MAZZAROSA, Antonio.
– Sesto e ultimo figlio del nobile Giovan Battista Mansi e di Caterina Massoni, nacque a Lucca il 29 sett. 1780. All’età di vent’anni fu scelto come erede dal marchese Francesco Mazzarosa – privo di figli – per evitare l’estinzione della casata: oltre al cognome (assunto con l’obbligo di sostituirlo a quello originario), il M. ne ereditò il cospicuo patrimonio.
I suoi anni giovanili coincisero per buona parte con quelli del principato dei Baciocchi, di cui restò sempre fervente ammiratore. Apprezzava soprattutto l’impulso dato all’economia, il risveglio della piccola manifattura, la promozione di grandi lavori pubblici e la conseguente circolazione di capitali, che avevano fatto emergere un «terzo stato» di piccoli possidenti e negozianti (Sulla condizione delle arti e degli artigiani in Lucca dai primi del secolo fino al 1847, Lucca 1847, p. 11). Nel maggio 1814 fece parte del governo provvisorio costituito dal Senato lucchese dopo la fine del dominio napoleonico, la cui opera risultò però pesantemente limitata dall’occupazione militare austriaca, protrattasi fino al 1817.
Sotto il dominio dei Borboni la carriera politica del M. fu agevolata dal fatto che Ascanio Mansi, suo fratello maggiore, era ministro segretario di Stato, direttore del dipartimento degli Affari esteri e dell’Interno. Protagonista di primo piano della vita culturale cittadina, amante dell’opera lirica e sostenitore dell’intensa attività del teatro del Giglio, nel 1824 il M. ottenne la presidenza della commissione d’incoraggiamento di belle arti e manifatture. Il 16 giugno 1825 il duca Carlo Ludovico lo nominò direttore del Liceo reale, culmine del sistema educativo lucchese: un istituto universitario dove si poteva compiere il corso di ogni facoltà e conseguire tutti i gradi professionali. Nel dicembre 1830 il Liceo e gli altri istituti d’insegnamento vennero tolti dalle dipendenze del ministero dell’Interno e andarono a formare una direzione autonoma, per cui la carica del M. equivalse a quella di ministro della Pubblica Istruzione. In tale veste ebbe un ruolo decisivo nell’introduzione nel Ducato degli asili infantili ispirati a F.A. Aporti: nonostante l’opposizione di buona parte del clero verso gli asili aportiani, il M. riuscì a ottenere l’assenso di Carlo Ludovico con il motu proprio del 4 febbr. 1840.
Pubblicò vari lavori di carattere storico, artistico ed erudito, come la Guida del forestiere per la città e contado di Lucca (Lucca 1829). Nel 1833 dette alle stampe la Storia di Lucca dalla sua origine al 1814 (ibid.), che si segnala per ampiezza e precisione, oltre a essere un’efficace testimonianza della cultura e della mentalità del patriziato lucchese; in una nuova edizione (Firenze 1842) trattò anche gli anni 1814-17. Partecipò al primo Congresso degli scienziati italiani, tenutosi a Pisa nell’ottobre 1839, dove sostenne la necessità di un’inchiesta generale per conoscere le varie pratiche agricole diffuse nella penisola. Il suo attivo contributo nel settore fu rappresentato da Le pratiche della campagna lucchese (Lucca 1841), trattazione d’insieme di una realtà piccola ma significativa per la varietà dei metodi colturali. Il M. attribuiva la prosperità delle campagne lucchesi – di cui il vistoso aumento della popolazione a partire dai primi dell’Ottocento sarebbe stata la cartina di tornasole – alla pratica delle concessioni enfiteutiche e alle alienazioni dei beni dei conventi in età napoleonica. Poco dopo descrisse caratteri, abitudini, comportamenti e malattie diffusi nel mondo rurale in Del contadino lucchese. Discorso (ibid. 1845).
Il M. fu tra i promotori del quinto Congresso degli scienziati italiani, svolto a Lucca nel settembre 1843 e da lui presieduto; in apertura dei lavori sostenne che la necessità generale era quella di mettere mano a «una educazione morale, innestata a quella dell’agricoltura e delle arti: il dono più grande che far si potesse alle classi operanti» (Atti della quinta Unione degli scienziati italiani tenuta in Lucca nel settembre 1843, ibid. 1844, p. 68). In contatto con C. Ridolfi, G. Capponi e G.P. Vieusseux, svolse un ruolo di mediazione e di avvicinamento della realtà lucchese a quella toscana, in previsione della temuta annessione al Granducato, che secondo l’atto addizionale del congresso di Vienna doveva avvenire dopo la morte di Maria Luigia d’Asburgo Lorena.
Nel marzo 1840, dopo la morte di Ascanio, il M. appariva come il successore naturale e designato; il duca, tuttavia, decise diversamente e il 20 dello stesso mese lo nominò presidente del Consiglio di Stato.
In tale veste, rafforzata dal prestigio personale e dalla frammentazione delle altre cariche voluta da Carlo Ludovico, fu protagonista durante gli anni Quaranta di una serie di operazioni tese al rafforzamento delle élite cittadine, potenziando istituzioni come la cassa di risparmio, gli asili aportiani, l’Accademia delle scienze. In particolare la cassa gli appariva «sorgente feconda di morale educazione al povero» e sicuro mezzo di agevolazione dei lavori pubblici «aiutando gl’impresari col pronto contante» (Opere, V, pp. 48 s.).
Nel 1844 il duca decise di sostituirlo nella direzione del Liceo, ritenendolo eccessivamente tollerante nei confronti di studenti e professori sospetti di liberalismo. Il M. rifiutò allora la carica di gran maresciallo di corte, puramente onorifica, che gli era stata conferita a titolo di consolazione. Questo episodio, per quanto risoltosi senza eccessive conseguenze nei rapporti con il sovrano, contribuì molto ad accrescere il suo prestigio agli occhi dei liberali.
Il M. guardò con favore ai primi atti di Pio IX e nell’estate del 1847 si impegnò per impedire una dura repressione delle manifestazioni che invocavano un nuovo corso anche nel Ducato. Fedele al suo conservatorismo illuminato si sforzò di incanalare quelle istanze verso un riformismo molto moderato: mirava, infatti, a ottenere un ritorno alla costituzione oligarchica del 1805, interpretando la nuova stagione come un’occasione di riscatto del patriziato verso l’assolutismo monarchico. Di fronte all’irrigidimento del sovrano rassegnò le dimissioni (30 agosto), che però furono respinte. Il 1° settembre, mentre in città si temevano tumulti, si recò alla villa ducale di San Martino, seguito da una folla di oltre tremila persone, e chiese a Carlo Ludovico la liberazione dei detenuti politici, la formazione della guardia civica, il riordinamento delle finanze e una nuova legge sulla stampa. Il duca rimase profondamente scosso da quella che considerava una vera e propria rivoluzione, ma aderì alle richieste: nelle settimane seguenti, mentre il M. e i suoi colleghi si impegnavano a fondo per tradurre in atto le riforme, si spostò a Modena e trattò in gran segreto l’immediata cessione di Lucca alla Toscana dietro indennizzo finanziario.
Il M. aveva sempre sperato che il passaggio sotto la sovranità lorenese avvenisse almeno nell’ambito di una unione personale sotto lo scettro di Leopoldo II di Toscana, persuaso che questa non sarebbe stata una graziosa concessione, ma una sorta di obbligo morale al quale il granduca doveva attenersi a norma dei trattati di Vienna e di Parigi. A suo avviso era particolarmente importante che Lucca conservasse il titolo di Ducato per avere un’amministrazione autonoma con propri impiegati: «sarebbe bastato, ed era un temperare i diritti, piuttosto che allargarli» (ibid., p. 90). Temeva in caso contrario un impoverimento del paese, per la cessazione di tanti uffici, la mancanza di investimenti in opere pubbliche e l’aumento delle imposte. «Né ultimo pensiero allo sconforto era il perdere quella individualità, di cui Lucca aveva goduto da molti secoli, illustrata poi da mille e mille esempi di civile sapienza, da ogni argomento d’industria e fin anco della gloria militare» (ibid., p. 92).
Rimase dunque assai deluso quando vide, con la lettura dell’atto di possesso da parte del commissario granducale P.F. Rinuccini (11 ott. 1847), che si trattava di un’annessione pura e semplice, senza che a Lucca fosse concesso di conservare lo status di Ducato, sia pure vuoto di effetto. Rinuccini nominò una commissione provvisoria, composta dal M., L. Guinigi e N. Giorgini, incaricata di reggere Lucca nel periodo di transizione verso la fusione completa con gli ordinamenti toscani. Il M., però, indignato per la «flagrante violazione dei diritti del popolo lucchese», rifiutò di entrare a farne parte «non volendo servire alla ingiustizia, e non soffrendogli il cuore d’essere istrumento di mali inevitabili» (ibid., p. 91).
Nominato senatore da Leopoldo II il 17 maggio 1848, non partecipò alla vita parlamentare, così come rifuggì da qualsiasi carica anche negli anni successivi. Continuò a dedicarsi agli studi storico-artistici (Iscrizioni inedite, Lucca 1854; Sulle opere e sui concetti dell’architetto e ingegnere Lorenzo Nottolini, ibid. 1856) e in qualche modo all’autobiografia, redigendo il dodicesimo libro della Storia di Lucca, relativo agli anni del Ducato che lo avevano visto protagonista; l’opera fu pubblicata postuma, come quinto volume delle Opere (ibid. 1886).
Il M. guardò con favore all’unificazione della penisola e fu nominato senatore da Vittorio Emanuele II due mesi prima della morte, avvenuta a Lucca il 27 marzo 1861.
Fonti e Bibl.: Per la documentazione archivistica relativa alle cariche pubbliche ricoperte dal M. cfr. S. Bongi, Inventario del R. Arch. di Stato in Lucca, III, Lucca 1880, pp. 98, 244, 253. Presso la Biblioteca nazionale di Firenze si conservano le lettere a G.P. Vieusseux (Carteggio Vieusseux, cass. 69, ins. 43-53), G.B. Niccolini (Carteggi vari, cass. 66, ins. 15-20), L. Fornaciari (ibid., cass. 41, ins. 140-171) e all’impresario teatrale A. Lanari (ibid., cass. 395, ins. 55-64). La maggior parte delle pubblicazioni del M. è riunita nelle Opere, I-IV, Lucca 1841-42. C. Massei, Orazione detta nelle solenni esequie del marchese A. M., Lucca 1861; C. Minutoli, Elogio del marchese A. M., Lucca 1861; C. Massei, Storia civile di Lucca dall’anno 1796 all’anno 1848, Lucca 1878, I-II, passim; Lettere di Gino Capponi e di altri a lui, raccolte e pubblicate da A. Carraresi, II, Firenze 1883, pp. 32, 483; V, ibid. 1887, p. 57; G. Sforza, Lettere inedite di Pietro Giordani e Giovan Battista Niccolini al marchese A. M., in Giorn. stor. della letteratura italiana, XIII (1889), pp. 346-370; Id., La fine di un Ducato, in Nuova Antologia, 16 nov. 1893, pp. 306-331; 16 dic. 1893, pp. 675-710; C. Sardi, Lucca e il suo Ducato dal 1814 al 1859, Firenze 1912, pp. 5, 66, 180-183, 238-263, 274-277; G. Calò, Gli asili aportiani a Lucca nel Risorgimento (1836-1849), in Atti della R. Acc. d’Italia. Memorie, cl. di scienze morali e storiche, s. 7, I (1941), pp. 81-305; Le relazioni diplomatiche fra la Francia, il Granducato di Toscana ed il Ducato di Lucca, Serie seconda (1830-1848), I-II, a cura di A. Saitta, Roma 1960, ad ind.; F. De Feo, La reversione del Ducato di Lucca nel 1847, in Arch. stor. italiano, CXXIV (1966), pp. 160-207; P.G. Camaiani, Dallo Stato cittadino alla città bianca. La «società cristiana» lucchese e la rivoluzione toscana, Firenze 1979, ad ind.; R. Papini, Momenti e personaggi della cultura lucchese nel primo Ottocento, Lucca 1987, pp. 57-71; F. Sofia, L’ordinamento dello Stato e il retaggio napoleonico, in Actum Luce, XXVI (1997), pp. 37-62; G. Bandini, Il salterio, la santacroce e l’alfabeto. L’istruzione primaria nello Stato di Lucca nella prima metà dell’Ottocento (1805-1847), Firenze 1998, ad ind.; R. Pazzagli, Contadini e pratiche agrarie nella campagna lucchese dell’Ottocento: spunti dall’opera di A. M., in Actum Luce, XXVII (1998), pp. 83-109; A. Chiavistelli, Un moto effimero: le riforme del 1847 nel Ducato di Lucca tra mobilitazione cittadina e ancien régime, in Rass. stor. toscana, XLV (1999), pp. 519-569; A. Breccia, Fedeli servitori. Le onorate carriere dei Giorgini nella Toscana dell’Ottocento, Pisa 2006, ad indicem.