MEUCCI, Antonio
– Nacque il 13 apr. 1808 a Firenze da Amatis, impiegato del Buongoverno toscano, e Maria Domenica Pepi.
Dal novembre 1821 frequentò per sei anni l’Accademia di belle arti, studiando, oltre alle materie artistiche, la chimica e la meccanica, comprendente tutta la fisica allora conosciuta, incluse l’acustica e l’elettrologia, introdotte nell’Accademia durante la dominazione francese (1799-1815) e mantenute dagli Asburgo-Lorena con vantaggio dell’artigianato fiorentino e dello stesso M., che usufruì d’un insegnamento tecnico superiore tra i migliori d’Europa.
La scuola di meccanica era diretta da F. Focacci, quella di chimica da G. Gazzeri e dal suo aiuto C. Calamandrei. L’Accademia era dotata di una ricca biblioteca e di un «Laboratorio di esercitazione e di costruzione di macchine e strumenti di fisica» con annesso un «Museo delle macchine», ambedue diretti da F. Gori. A Firenze, inoltre, si pubblicava, con cadenza mensile, il Giornale di scienze ed arti, mentre il Museo di fisica e di scienze naturali (oggi Museo della Specola), diretto dal conte G. Bardi, con professori valenti come G. Pigri, offriva un insegnamento libero di scienze e pubblicava gli Annali del Museo imperiale di fisica e di storia naturale di Firenze, con scritti di G. Babbini (fisica), G. Gazzeri (chimica), O. Targioni Tozzetti (scienze naturali), D. De Vecchi (astronomia), F. Uccelli (medicina) e F. Nesti (zoologia e mineralogia).
Il M. mostrò subito spiccato interesse per la chimica: nel maggio 1825, in occasione dei festeggiamenti con fuochi d’artificio per l’imminente parto di Maria Carolina di Sassonia, moglie del granduca Leopoldo II, concepì una potente miscela propellente per razzi, che però sfuggirono al suo controllo causando danni e feriti in piazza della Signoria. Il M. fu arrestato e sospettato di cospirazione contro il Granducato.
Dal 1823 al 1830 lavorò a tempo parziale come doganiere alle porte di Firenze. Affiliato alla carboneria, prese parte ai moti del 1831; dal settembre 1833 fu imprigionato per tre mesi con F.D. Guerrazzi.
Fu poi assunto nel prestigioso teatro della Pergola come assistente del capo macchinista, A. Canovetti. Poté applicare e perfezionare le nozioni tecniche apprese in Accademia e costruì, tra l’altro, un telefono acustico (come quello ancora usato nelle navi) per comunicare dal piano del palcoscenico a quello dei «soffittisti», a circa venti metri d’altezza, per ordinare il cambio delle scene senza disturbare lo spettacolo. Questo «telefono» è tuttora in uso.
Il 7 ag. 1834 si unì in matrimonio con Maria Ester Mochi, costumista nello stesso teatro, da cui non ebbe figli. Anche per sfuggire alle persecuzioni della polizia, il M. e la moglie accettarono una scrittura per Cuba dall’impresario catalano Francisco Martí y Torrens. Lasciata Firenze il 5 ott. 1835, quello stesso giorno si imbarcarono a Livorno con 81 elementi dell’Opera italiana provenienti dal teatro della Pergola e scritturati per cinque anni dallo stesso Martí, e approdarono all’Avana il 16 dicembre.
Il contratto al M., a sua moglie e ai componenti dell’Opera italiana fu rinnovato per altri due quinquenni, fino al 1850. Lavorarono prevalentemente nel gran teatro de Tacón, allora il più grande delle Americhe. I quindici anni all’Avana furono per i coniugi Meucci i più felici e redditizi della loro vita. Oltre a essere ben pagati, ricevevano dall’impresario lauti premi, mentre Ester riceveva regali e gioielli dai cantanti più famosi; inoltre fu loro assegnato un appartamento adiacente al teatro, sottostante all’abitazione dell’impresario. Il M. poté usufruire di una grande officina per la preparazione degli attrezzi e strumenti teatrali, mentre a Ester fu assegnato un grande laboratorio di sartoria, entrambi adiacenti al teatro. Poiché, inoltre, la stagione teatrale durava da ottobre a maggio, avevano molti mesi liberi da dedicare ad altre attività. Il M. guadagnò subito la stima dei Cubani per aver progettato ed eseguito un complesso di opere per la depurazione delle acque che rifornivano la città e, in seguito, per aver riprogettato il teatro, semidistrutto da un uragano, rendendolo resistente alle grandi calamità naturali. Nell’attrezzeria del teatro impiantò inoltre la prima fabbrica di elettrodeposizione delle Americhe, stipulando un contratto con il governatore per l’argentatura e la doratura galvaniche di equipaggiamenti militari (come elmi, sciabole, bottoni). Nel tempo libero approfondì le sue conoscenze di elettricità sul Traité de l’électricité et du magnétisme di A.C. Becquerel, e di elettrochimica su quelli di L.J. Thenard e di J.F. Daniell, le opere di L. Galvani e Ch.A. Coulomb, la traduzione in francese dei lavori del fisico tedesco M.H. von Jacobi ed il Traité de magnétisme animal di F.A. Mesmer. Per verificare le teorie di quest’ultimo e quelle sull’elettricità animale dell’abate P. Bertholon compì esperimenti di elettroterapia su pazienti che gli erano inviati dai medici locali. In uno di questi, nell’autunno del 1849, ottenne per primo la trasmissione della parola per via elettrica, divenendo così, in assoluto, il pioniere del telefono.
Trattando un malato di reumatismi alla testa, il M. lo invitò a mettere in bocca una spatola di rame e a tenerne in una mano un’altra, in modo da fare attraversare dalla corrente elettrica la parte malata. Il M. si trovava in un’altra stanza, dove erano sistemate le batterie, tenendo in mano a sua volta una spatola di rame identica a quelle del paziente, in modo da potersi inserire di quando in quando in circuito con lo stesso, secondo quanto raccomandato dalle teorie di Mesmer. Il paziente emise un grido a causa dell’eccessiva corrente utilizzata, e il M. ebbe la sensazione che il grido gli giungesse dalla vibrazione della spatola che teneva in mano: dunque per via elettrica piuttosto che attraverso l’aria. Si trattava di una trasmissione per via elettrostatica, simile a quella usata oggi nei microfoni a condensatore. Il M. ripeté l’esperimento dopo aver isolato la spatola con un cono di cartone, pregando il paziente di parlare dentro il cono.
Il risultato fu modesto, ma sufficiente a convincerlo della possibilità di trasmettere la parola per via elettrica. Tuttavia, essendo scaduto il terzo rinnovo del suo contratto quinquennale con Martí, ma anche per il deteriorarsi dei rapporti con il governatore per le sue note simpatie per G. Garibaldi, il M. si apprestava a lasciare l’Avana e sospese gli esperimenti. Il 23 apr. 1850 s’imbarcò con la moglie per New York, dove giunsero il 1° maggio 1850 con un capitale di 26.000 dollari (oltre mezzo milione al valore odierno).
I Meucci si stabilirono quasi subito a Clifton, Staten Island, dove acquistarono un cottage e costruirono sul terreno antistante un edificio per la fabbricazione di candele steariche (prima fabbrica del genere nelle Americhe), secondo un progetto dello stesso Meucci. Suo scopo principale era dare lavoro agli esuli italiani dell’area di New York, che erano in condizioni di estremo bisogno. Garibaldi, anch’egli giunto a New York dopo la campagna romana del 1849, fu ospitato dal M. insieme con l’aiutante di campo, il maggiore P. Bovi Campeggi, per un anno. La fabbrica non ebbe successo, soprattutto a causa dello spregiudicato ambiente newyorchese degli affari, ancora più difficile per un immigrato italiano. Il M. tentò altre strade, tra le quali la costruzione di pianoforti e di una sorta di celesta a barre di vetro, ma senza successo. Infine ripiegò su una più convenzionale fabbrica di birra lager, molto richiesta nell’area, affidandone la direzione amministrativa e commerciale a un certo J. Mason, introdotto nel mondo degli affari newyorchese. Costui però si rivelò un vero e proprio imbroglione, che in breve tempo e con inganni privò i Meucci di tutti i loro averi, venduti in asta pubblica (13 nov. 1861).
Nel frattempo, dal 1854, la moglie del M. si era ammalata di una grave forma di reumatismo articolare, che la costrinse alla quasi totale immobilità. Il M. allora riprese l’idea del «telegrafo parlante» sperimentato all’Avana, e stese una linea telefonica dalla stanza di Ester alla cantina, dove aveva un piccolo laboratorio, e di lì a uno più grande, posto nel cortile, allo scopo di comunicare con la moglie inferma.
Su questo collegamento il M. sperimentò una trentina di diversi modelli di telefono, fino a realizzarne uno praticamente perfetto tra 1864 e 1865: alloggiato in una scatola di bosso con coperchio a vite, utile a bloccare il diaframma metallico lungo tutta la circonferenza, favoriva un’ottima riproduzione della voce. L’apparecchio aveva il nucleo permanentemente magnetizzato con regolazione del traferro e dimensioni e forme ottimali della bobina e delle interfacce acustiche. Inoltre, a quella data, il M. aveva risolto i problemi essenziali per la comunicazione a lunga distanza, come il cosiddetto circuito antilocale, il carico induttivo della linea e la segnalazione di chiamata, che i Laboratori Bell avrebbero individuato e risolto molti anni più tardi.
Pertanto il M. ritenne maturo il tempo per portare la sua invenzione al pubblico e, volendo privilegiare la terra natale, incaricò un amico in partenza per l’Italia, E. Bendelari, di proporre l’invenzione a qualche imprenditore italiano. Fallito il tentativo per i rivolgimenti politici in atto, tra 1860 e 1861 il M. pubblicò nell’Eco d’Italia di New York una descrizione della sua invenzione, oggi non più reperibile.
In nessuna biblioteca degli Stati Uniti sono disponibili queste annate, tanto da far sorgere il fondato sospetto che parti interessate abbiano provveduto a sopprimerle.
Nel dicembre del 1871, insieme con tre italiani di New York, il M. fondò la Telettrofono Company, con l’obiettivo di effettuare gli esperimenti per la realizzazione del «Telettrofono».
Il contratto prevedeva, inoltre, di estendere le attività della società in ogni Stato d’Europa e del mondo, nei quali la Compagnia si proponeva di ottenere brevetti, formare società affiliate e concedere licenze.
I soci, tuttavia, non fornirono al M. i 250 dollari necessari per depositare un brevetto; pertanto il 28 dic. 1871 egli ripiegò sul deposito di un «caveat» (sorta di pre-brevetto, molto più semplice, che consentiva all’inventore, a fronte del pagamento annuo di 10 dollari, di essere avvisato se altri avessero presentato domanda per un congegno analogo e quindi procedere al deposito di un brevetto regolare). Tuttavia il M. non riuscì a trovare i 10 dollari per rinnovare entro il 28 dic. 1874 il «caveat», che pertanto decadde.
Appena fu di pubblico dominio che nel marzo 1876 A.G. Bell aveva ottenuto un brevetto sul telefono, il M. reclamò la priorità in ogni sede e in ogni occasione. Non poteva fondarsi legalmente sul «caveat», scaduto da due anni, ma solo sul fatto che la sua invenzione era di dominio pubblico nell’area di New York (ciò che, secondo la legge vigente, invalidava il brevetto Bell). Molti altri inventori, a vario titolo e tramite varie società che avevano acquisito i loro diritti, chiesero al governo degli Stati Uniti di annullare i due più importanti brevetti Bell sul telefono, accusando lo stesso Bell di spergiuro, avendo egli violato l’art. 24 della legge citata. La Globe Telephone Co. di New York acquisì i diritti del M. e il 29 sett. 1885 inoltrò una petizione al procuratore generale degli Stati Uniti, A.H. Garland, sostenendo la priorità del M. e chiedendo l’annullamento dei brevetti. La stampa americana diede notevole rilievo a questa azione, parteggiando apertamente per il Meucci. Tuttavia la Bell Company, che deteneva i brevetti, giocò d’anticipo e, il 10 nov. 1885, citò la Globe e il M. dinanzi alla corte distrettuale di New York per infrazione di brevetto. Nello stesso giorno il governo degli Stati Uniti avviò una serie di udienze pubbliche presso il ministero degli Interni, presieduto da L.Q.C. Lamar, per accertare la fondatezza delle petizioni che chiedevano l’annullamento dei brevetti. Il 22 dic. 1885 gli assistenti di Lamar redassero un rapporto in cui affermavano, tra l’altro, di aver raccolto prove sufficienti in favore della priorità del Meucci. Pertanto Lamar, nel gennaio 1886, raccomandò al procuratore generale ad interim, J. Goode, di istituire un’azione legale a nome del governo, per l’annullamento dei brevetti. Dopo poco meno di un anno (13 genn. 1887) il governo citò in giudizio la Bell Company nel Massachusetts, dove aveva la sede legale. Durante il processo la Compagnia ottenne però dalla corte distrettuale di New York una vittoria «locale» sulla Globe Telephone e sul M., grazie a un’assurda sentenza del giudice W.J. Wallace (19 luglio 1887), secondo la quale il M. aveva realizzato telefoni «meccanici» e non elettrici.
La sentenza fu, secondo lo storico G. Schiavo, «uno dei più lampanti errori giudiziari negli annali della giustizia americana» e «una delle più disoneste sentenze negli annali d’America e non solo disonesta, ma oltraggiosamente offensiva» (G. Schiavo, A. M.: inventor of the telephone, New York 1958).
La Globe ricorse in appello, ma il 26 sett. 1888 la Bell ottenne dai giudici LeBaron Colt e T.L. Nelson l’accoglimento di un’eccezione circa la liceità dell’azione del governo contro di essa. La sentenza fu subito impugnata dal rappresentante del governo, G.A. Jenks, e il caso deferito alla Corte suprema di Washington. Qui, il 12 nov. 1888, il giudice W.H.H. Miller annullò la sentenza della corte distrettuale del Massachusetts e affermò definitivamente la liceità dell’azione del governo. Elettrizzata da quest’ultima sentenza e fidando in un esito favorevole di quell’azione, la Globe Telephone Co. rinunciò all’appello contro la sentenza di primo grado della corte di New York. Contrariamente alle aspettative, però, il processo «Governo contro Bell» si trascinò, tra cavilli, rinvii, esibizioni di prove ed escussioni di testi, fino al 1897, quando fu chiuso senza vincitori né vinti, essenzialmente per evitare al governo di aumentare ulteriormente i già enormi costi sopportati fino a quel momento. Le parti, tuttavia, si impegnarono vicendevolmente a non trarre profitto dalla chiusura consensuale del procedimento, che pertanto non avrebbe dovuto interpretarsi come un riconoscimento della priorità di Bell nell’invenzione del telefono.
Nel frattempo, però, il M. morì a Staten Island (NY) il 18 ott. 1889.
La sua opera di inventore non si limitò al telefono e alle ricerche compiute all’Avana e nei primi anni di permanenza negli Stati Uniti. Il M. propose un numero impressionante di innovazioni in diversi settori merceologici fin dal 1858, quando, grazie al supporto finanziario di certo W.E. Rider, presentatogli dal tenore Domenico Lorini, diede vita alla New York Paraffine Candle Co., che riprese la fabbricazione di candele in base a nuovi brevetti del Meucci. Le candele erano commercializzate con successo dalla Rider & Clark di New York, che distribuiva anche oli per vernici e pitture, anch’essi brevettati dal M.; successivamente, dal 1865, Rider intraprese una nuova attività, la fabbricazione di carta, basata su tre brevetti del M., che fu il primo a ottenere dal legno pasta cellulosica di buona qualità. Ciò destò l’interesse dell’Associated Press, la quale stipulò un contratto con il M. e Rider, poi non perfezionato, ma per ragioni indipendenti dalla qualità del prodotto. Rider, comunque, intraprese questa attività per proprio conto, nominando il M. direttore dell’impresa, la Perth Amboy Fiber Co. (Perth Amboy, NJ), attiva fino a quando, nel 1871, il M. rimase gravemente ustionato per lo scoppio delle caldaie di un traghetto sul quale stava per salpare da Manhattan per Staten Island. Rimase tra la vita e la morte per più di tre mesi; in quell’occasione la moglie, per pagare le spese mediche e procacciarsi mezzi di sostentamento, dovette vendere tutti i modelli di telefono costruiti dal Meucci. Tra le invenzioni più importanti si ricordano: una lampada a cherosene senza fumo e senza tubo (1862); un metodo di produzione industriale di bevande effervescenti alla frutta, mediante fermentazione e carica di CO2 (1871-72); un metodo di produzione industriale del ragù alla bolognese, con accorgimenti originali per la conservazione e aggiunta di gelatina (1873); un lattometro basato sulla determinazione dei solidi totali (1875); un igrometro ad assorbimento dotato di accorgimenti estensimetrici (1876); un sistema di diffusione con altoparlanti elettromagnetici (1879); un sistema sonoro (sonar) di localizzazione di navi (1879); un processo industriale per ottenere materie plastiche artificiali, succedanee di sostanze naturali quali l’avorio (1883). Complessivamente si devono al M. 50 diverse innovazioni in 16 diversi settori applicativi, coperte da 14 brevetti, due dei quali estesi all’estero, nonché 10 imprese industriali da lui fondate e/o dirette.
Il M. fu un raffinatissimo e geniale ingegnere, preoccupato dell’operatività e funzionalità pratica delle sue invenzioni e attento alle richieste del mercato, spesso anticipando di decenni invenzioni che sarebbero state proposte da altri. Il suo carattere schietto e onesto gli procurò seri problemi con l’ambiente newyorchese degli affari, ma rimase nell’animo di coloro che lo conobbero e lo stimarono come un integro gentiluomo. L’amore per l’Italia fu costante e profondo e gli valse la nomina a presidente del Comitato centrale permanente formato a New York per reclutare uomini e mezzi per la terza guerra d’indipendenza.
La rivendicazione della priorità del M. nell’invenzione del telefono fu costante preoccupazione, tra gli altri, di G. Marconi. Da presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), carica che esercitò per un decennio (1927-37), egli commissionò una ricognizione nell’area di New York a un perfezionando in giurisprudenza della Columbia University, F. Moncada, che concluse le ricerche con un rapporto dattiloscritto, ma morì nel 1933, prima di pubblicarlo (F. Moncada, A. Meucci. L’inventore del telefono, datt. di 215 pagine, datato 15 apr. 1933, conservato presso la Staten Island Historical Society). Il contenuto fu però utilizzato da L. Respighi in un libretto pubblicato a cura del CNR (Per la priorità di A. M. nell’invenzione del telefono, Roma 1930). Le ricerche di Moncada servirono a rafforzare i dubbi sulla validità del processo di New York che aveva negato al M. la priorità nell’invenzione. Successivamente, un’indagine più completa ed approfondita di G. Schiavo (A. M.: inventor of the telephone, cit.) mostrò in modo inequivocabile l’infondatezza e le irregolarità del processo, che dunque la comunità italoamericana di New York tentò di riaprire. Un giudice della Corte suprema, D.R. Massaro, chiese all’ing. B. Catania, che dal 1989 aveva condotto estese ricerche per trovare prove legali e scientifiche della priorità del M., di appurare se vi erano suoi eredi (l’ultima, Bianca, era morta a Firenze nel 1962). Massaro si prefisse di adire il Congresso degli Stati Uniti e invitò Catania a presentare in una conferenza pubblica all’Università di New York le prove da lui rinvenute (10 ott. 2000; il testo è stato pubblicato in B. Catania, A. M., inventor of the telephone: unearthing the legal and scientific proofs, in Bulletin of science, technology & society, XXIV [2004], 2, pp. 115-137). La Giunta comunale di New York approvò dunque all’unanimità una risoluzione (n. 1566) che raccomandava al Congresso di riconoscere la priorità del Meucci. Un deputato dello Stato di New York, E.E. Engel, depositò al Congresso due documenti (datati 24 maggio e 5 sett. 2001) che proponevano un’altra risoluzione (n. 269), preparata dal deputato V. Fossella dello Stato di New York. La votazione nel Congresso (11 giugno 2002) ha avuto esito largamente favorevole.
Fonti e Bibl.: Numerosi cimeli del M. sono conservati a Staten Island, nel Garibaldi-Meucci Museum (istituito dall’Order Sons of Italy negli Stati Uniti nel cottage abitato dal M., e spostato a poca distanza dal sito originale, è ora locato al n. 420 di Tompkins Avenue); altri importanti documenti sono conservati, sempre a Staten Island, presso la Staten Island Historical Society. La maggior parte dei documenti processuali si trova a College Park (MD), National Archives and records administration, Secretary of the Interior, RG.48; Department of Justice, RG.60; Supreme Court, RG.267. I brevetti del M. sono visionabili ad Arlington (VA), United States Patent and Trademark Office. Nutrita documentazione sulle residenze e stato civile (nascite, morti e matrimoni) si trova presso l’Archivio di Stato di Firenze e negli archivi di S. Maria del Fiore e della Curia arcivescovile, oltre che nei registri degli Stati d’anime di alcune parrocchie fiorentine. Sul M. si vedano: L. Respighi, Il telefono e la priorità di A. M., Roma 1939; N. Vitali, L’invenzione del telefono (A. M.), Firenze 1949; M. Giampietro, A. M. l’inventore del telefono, Brescia 1953; G. Arrighi, Applicazioni militari del telefono in un inedito di A. M., in Physis, III (1961), 4, pp. 256 s.; M. Nese - F. Nicotra, A. M., 1808-1889, Roma 1989; F. Capelvenere, M., storia di un’ingiustizia, Roma 1989; Id., M., l’uomo che ha inventato il telefono, Firenze 2003; Los días cubanos de A. M. y el nacimiento de la telefonía, La Habana 1998. Tra i libri e articoli dedicati al M. da B. Catania (elencati nel sito http://www.chezbasilio.it/meucci.htm): A. M. L’inventore e il suo tempo, I-II, Roma 1994-96; Un documento inedito rivaluta l’opera di A. M., in AEI - Automazione, energia, informazione, LXXXII (1995), 2, pp. 32-40; Four «Firsts» in telephony, in ETT - European Transactions on telecommunications, X (1999), 6, pp. 681-687; Il governo degli Stati Uniti contro Alexander Graham Bell: un importante riconoscimento per A. M., in AEI - Automazione, energia, informazione, LXXXVI (1999), suppl., pp. 1-12 (apparso anche in inglese, in Bulletin of science, technology & society, XXII [2002], 6, pp. 426-442; nonché in spagnolo, in Primeros experimentos telefónicos de A. M. - La Habana 1849-1999 (Aniversario 150), a cura di J. Altshuler - R. Díaz Martín, La Habana 1999, pp. 155-184); A. M.: telephone pioneer, in Bulletin of science, technology & society, XXI (2001), 1, pp. 55-76; A. M.: how electrotherapy gave birth to telephony, in ETT - European Transactions on telecommunications, XIV (2003), 6, pp. 539-552; A. M.: una vita per la scienza e per l’Italia, in La Comunicazione. Note, recensioni & notizie, LII (2003), pp. 37-46; A. M.’s «Teletrofono». The true story behind the invention of the telephone, in Accenti. The Canadian Magazine with an Italian accent, I (2003), 3, pp. 16-28; A. M., l’inventore del telefono, in Notiziario tecnico Telecom Italia, XII (2003), 1, pp. 109-117; M. day. L’ora della verità, ibid., pp. 118-128; A. M., storia di una rivendicazione, in AEI - Automazione, energia, informazione, XC (2003), pp. 49-56.
B. Catania