MINUTI, Antonio
– Figlio di Jacopino, nacque a Piacenza, tra la fine del sec. XIV e gli inizi del secolo XV. Avviato agli studi, si indirizzò alla professione notarile. Era a Forlì nel 1416, quando Andrea Fortebracci (Braccio da Montone) conduceva la sua campagna contro Perugia. L’anno dopo era già entrato al servizio di Muzio Attendolo Sforza, del quale seppe conquistarsi rapidamente la fiducia.
Nel dicembre 1417, infatti, quando lo Sforza, sottratta Roma a Braccio per conto della regina Giovanna II d’Angiò, rientrò a Napoli, lasciò al governo e alla difesa dell’Urbe il nipote Foschino Attendolo e il M., con la carica di questore, che egli esercitò sino a maggio 1418. Nel 1419, dopo la sconfitta di Muzio contro i Bracceschi presso Viterbo, il M. fu catturato e tenuto prigioniero in Montefiascone sino ai primi di ottobre, quando venne liberato, probabilmente dietro riscatto o scambio di ostaggi.
Tornò quindi al servizio dello Sforza, divenendone cancelliere e, alla sua morte, nel 1424, passò al seguito del figlio Francesco, ma per quasi due decenni si perdono le tracce della sua attività. Il M. ricompare solo il 31 luglio 1442 quando sottoscrive l’accordo matrimoniale (senza seguito per ragioni politiche) tra Sforza, figlio naturale del conte Francesco, e Maria d’Aragona, figlia naturale di re Alfonso V d’Aragona, dichiarandosi «publicus imperiali auctoritate notarius et iudex ordinarius et nunc notarius et secretarius eiusdem illustris Francisci Sfortie» (Osio, p. 275 n.). È dunque probabile che nel periodo precedente egli abbia continuato a operare, come notaio e magistrato, in una delle terre governate dallo Sforza.
Il nome del M., con la qualifica ufficiale di «secretarius et cancellarius» del conte Francesco e il titolo «ser», compare tra i testimoni in un atto rogato il 30 apr. 1443 (Osio, p. 288). Da allora le tracce dell’attività del M. alle dirette dipendenze del suo signore si fanno più consistenti. Nel 1445, egli controfirmò l’atto, rogato in Jesi il 2 giugno, emesso dallo Sforza a favore della Comunità di Castelfidardo. In questo periodo, specializzato nelle tecniche finanziarie, era frequentemente chiamato tesoriere e detenne, con Giovanni Botta, la carica di referendario generale del conte Francesco. Il 1° maggio 1447, ancora come cancelliere, fu testimone nell’accordo, stipulato a Pesaro, tra i fratelli Francesco e Alessandro Sforza con la Comunità pesarese da un lato e i fratelli Malatesta Sigismondo Pandolfo e Domenico detto Malatesta Novello dall’altro per la conservazione ai primi della signoria sulla città.
Nel 1450, all’indomani dell’ascesa ufficiale di Francesco Sforza al Ducato di Milano, il M. fu presente tra i funzionari centrali dell’apparato burocratico al servizio della nuova dinastia: il 1° marzo, venne infatti nominato regolatore delle Entrate ducali, carica riconfermatagli a beneplacito il 23 dic. 1466; era un ufficio di alta responsabilità: i maestri delle Entrate ordinarie provvedevano all’incanto dei dazi, sorvegliavano entrate e spese correnti, controllavano i redditi del sale, trattavano le cause daziarie tra la Camera ducale e i privati o tra privati. La carica presupponeva esperienza professionale e la conoscenza delle voci di bilancio delle entrate statali, ma anche onestà e senso dell’equità. Come per altre magistrature nodali nell’amministrazione sforzesca, il duca nominò maestri delle Entrate ordinarie esponenti di eminenti famiglie milanesi, affidandone però la direzione a un elemento al pari suo forestiero e di provata fedeltà personale, il M. appunto.
Nel decennio successivo sono numerose le testimonianze del suo impegno nel soddisfare le richieste ducali: sussidi, prelievi, prestiti ed esazioni forzose sono il tema principale del carteggio con lo Sforza, conservato, sparso, nei fondi visconteo-sforzeschi dell’Arch. di Stato di Milano (Fermi, pp. 15 s.). Si tratta di corrispondenza ufficiale che ben poco lascia trapelare dei rapporti personali tra i due, se non, sporadicamente, l’irritazione velleitaria dello Sforza per quella che giudica l’incapacità del suo funzionario di provvedere sempre, con efficienza e sollecitudine, agli interessi della Camera ducale e alle esigenze di spesa della corte.
Una svolta significativa nella relazione tra il M. e il suo signore si verificò non a caso nel 1458, anno in cui fu portato a compimento il suo Compendio di gesti del magnanimo et gloriosissimo signore Sforza.
L’opera è stata edita da G. Porro Lambertenghi, in Miscellanea di storia italiana, VII (1869), pp. 95-306 (per la tradizione manoscritta cfr. pp. 100 s.); si tratta di una biografia in volgare, dedicata esclusivamente a Muzio Attendolo Sforza e composta tra il 1451 e il 1458. A giudizio del Porro Lambertenghi, lo stile è più cancelleresco che letterario e non mancano lacune e inesattezze linguistiche e storiche; tuttavia, la narrazione, condotta con scrupoloso ordine cronologico dalla nascita alla morte dello Sforza (1369-1424), è esposta con ordine e dovizia di particolari e di aneddoti, opportunamente contestualizzata nel quadro dei più generali eventi che travagliarono allora la Penisola, con particolare attenzione per gli episodi bellici e precisione nel descrivere gli eventi a lui contemporanei. Nell’avvicinarsi, seppur empiricamente, alla storiografia umanistica, il M. delinea con efficacia il ritratto e il carattere di Muzio Attendolo e riporta dialoghi e discorsi diretti. Come dichiara apertamente – forse più per legittimare il valore storico della sua narrazione che per citare fonti effettivamente utili e consultate – egli basa inoltre parte della sua ricostruzione dei tempi sulle opere di Leonardo Bruni da Arezzo, Bartolomeo Fazio e Flavio Biondo (Compendio, p. 109).
A lungo gli studiosi hanno dibattuto sul ruolo del Compendio quale fonte primaria di riferimento del De vita rebusque gestis Francisci Sfortiae Vicecomitis Mediolanensium ducis ill.mi, opera storica in prosa latina realizzata da Lodrisio Crivelli intorno al 1460. Ianziti ha attribuito a entrambe le compilazioni il carattere di scritti di propaganda, in funzione prevalentemente antibraccesca, nel quadro di un progetto istituzionale di affermazione della dinastia sforzesca, elaborato nell’ambito della Cancelleria ducale milanese e destinato a ripercorrere i decenni che avevano visto protagonisti della scena politica Muzio e il figlio Francesco. Un progetto di trasposizione umanistica che si proponeva di trasformare in storia le memorie cronachistiche dei protagonisti, tra i quali per primo il M., ma che venne interrotto dalla caduta in disgrazia del Crivelli e dal suo esilio da Milano nel 1464. Di sicuro, il Compendio è stato utilizzato da autori successivi nella ricostruzione di quel periodo storico, gli anni di attività di Muzio Attendolo, di cui il M. era stato testimone e della cui memoria veniva riconosciuto dallo stesso Francesco Sforza principale depositario: così per la biografia composta da Marco Attendolo, fonte a sua volta della Storia di Bernardino Corio, per gli Annali di Lorenzo Bonicontri e per le annotazioni di Nicodemo Tranchedini, riportate a margine della Cronachetta di Leonardo Botta.
Lo sforzo memorialistico del M. venne a suo tempo prontamente ricompensato dal duca, che gli aumentò il salario mensile dai 32 fiorini iniziali a 200 ducati; crebbe anche l’influenza che egli esercitava a corte, tanto che nell’autunno 1458 poté raccomandare personalmente, con Biagio da Cusano, Raffaele Zaccaria alla carica di capitano del Seprio. Infine, giunse addirittura a fregiarsi del nome di battesimo del suo signore, come risulta da un atto del 15 genn. 1459, nel quale compare tra i sottoscrittori come Francesco Antonio Minuti, regolatore delle Entrate ordinarie (I registri delle lettere ducali, p. 74), né, considerata la peculiarità della carica ricoperta, potrebbe trattarsi di un parente. Come per altri fidati funzionari, con il progredire dell’età le sue mansioni mutarono e, probabilmente, venne affiancato ai cadetti di casa Sforza, di cui avrebbe dovuto tutelare il benessere e l’educazione: nel 1460, infatti, lo si trova impegnato a chiedere alla duchessa Bianca Maria Visconti di inviare al piccolo Ottaviano Maria, di appena tre anni, il maestro di viola Barbante, della cui musica il fanciullo pare fosse un entusiasta estimatore.
Nel 1466, morto il duca Francesco, il M., ormai anziano, fu progressivamente emarginato dal servizio attivo, nonostante la riconferma ufficiale dell’incarico a beneplacito il 23 dicembre di quell’anno; lo testimonia anche l’entità del suo salario, ridisceso ai 32 fiorini lordi al mese, cui si aggiunsero 33 fiorini per un non meglio specificato incarico retto a Pavia, dal sapore più di prebenda che di salario.
Di certo, è difficile pensarlo settantenne impegnato a reggere l’onerosa carica di tesoriere generale del duca Galeazzo Maria Sforza, attribuitagli da Ianziti in ragione dell’antica funzione e per confusione con l’omonimo Antonio da Piacenza, della famiglia però degli Anguissola, già cameriere del successore di Francesco. A tutti gli effetti, il M. può comunque essere considerato tra i più fidati, longevi e fedeli funzionari del casato sforzesco, memoria storica della dinastia per ben tre generazioni, soprattutto per un periodo, quello avanti il principato, privo di fonti documentarie ordinatamente conservate e preservate in un archivio cancelleresco istituzionalizzato: è Francesco Sforza stesso a riconoscerlo ufficialmente quando dichiara che la sua data di nascita va domandata al M., depositario delle relative scritture (Ianziti, p. 90).
Non si conoscono luogo e data di morte del Minuti.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Archivio Sforzesco, Registri Sforzeschi, cart. 145, f. 107; Atti di governo, Popolazione parte antica, cart. 73; L. Crivelli, De vita rebusque gestis Francisci Sfortiae, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XIX, Mediolani 1731, col. 682; A. Olivieri, Memorie di Alessandro Sforza signore di Pesaro, Pesaro 1785, pp. IV s.; Documenti diplomatici tratti dagli Archivi milanesi, a cura di L. Osio, III, 2, Milano 1877, pp. 275, 288, 550; Catalogo dei codici manoscritti della Trivulziana, a cura di G. Porro, Torino 1884, p. 243; G. Mazzatinti, Inventario delle carte dell’Archivio Sforzesco contenute nei Codd. Ital. 1594-1596 della Biblioteca nazionale di Parigi, in Arch. storico lombardo, XII (1885), pp. 680, 684; C. Stornajolo, Codices Urbinates latini, Romae 1912, p. II; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco, Milano 1948, pp. 64, 201; I registri delle lettere ducali del periodo sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1961, pp. 11-12, 74, 332, 343; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, II, Torino 1978, p. 1017; Milano e gli Sforza: mostra documentaria e iconografica (catal.), a cura di G. Bologna, Milano 1983, pp. 54 s.; G. D’Adda, L’arte del minio nel Ducato di Milano dal secolo XIII al XVI, in Arch. storico lombardo, XII (1885), pp. 772-774; L. Beltrami, Il castello di Milano sotto il dominio dei Visconti e degli Sforza, Milano 1894, pp. 99-104; G. De Blasiis, Una inedita cronachetta degli Sforza, in Arch. stor. per le provincie napoletane, XIX (1894), pp. 720-724; O. Schiff, A. de’ M., il biografo contemporaneo di Muzio Attendolo Sforza, in Arch. stor. lombardo, XXIX (1902), pp. 368-380; P. Parodi, Nicodemo Tranchedini da Pontremoli, Abbiategrasso 1926, p. 2; S. Fermi, Un ignoto biografo piacentino di Muzio Attendolo Sforza, A. de’ M., in Boll. storico piacentino, XXXIX (1944), pp. 3-18; E. Pellegrin, La bibliothèque des Visconti et des Sforza ducs de Milan au XVe siècle, Paris 1955, pp. 389 s.; E. Garin, La cultura ai tempi di Ludovico il Moro, in Storia di Milano, VII, Milano 1956, p. 592; C. Santoro, L’organizzazione del Ducato, ibid., pp. 526 s.; C. Sartori, Vita musicale alla corte sforzesca, ibid., IX, ibid. 1961, p. 804; E. Cochrane, Historians and historiography in the Italian Renaissance, Chicago 1981, p. 112; F. Petrucci, Crivelli, Lodrisio, in Diz. biogr. degli Italiani, XXXI, Roma 1985, p. 149; G. Ianziti, Humanistic historiography under the Sforzas, Oxford 1988, pp. 49, 83-89, 91-102, 105, 109-115, 119, 121; F. Leverotti, Diplomazia e governo dello Stato, Pisa 1992, p. 62; L. Pesavento, L’umanista e il principe. La «Vita ducum» di Pietro Lazzaroni, Pisa 1996, p. 19; Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, XXIX, p. 26; Rep. font hist. Medii Aevi, VII, p. 605.
F.M. Vaglienti