MIRABELLI, Antonio
– Nacque a Calvizzano presso Napoli il 21 febbr. 1812 da Domenico e da Maria Anna De Criscio, discendenti entrambi da nobile famiglia. Iniziò gli studi nel seminario vescovile di Pozzuoli sotto la guida del vescovo C.M. Rosini che fu presidente della Società reale borbonica e della Reale Accademia ercolanese.
L’insegnamento del maestro, benemerito studioso dei papiri di Ercolano e in particolare dei testi di Filodemo, favorì nel giovane il gusto per la composizione in latino e ne stimolò anche l’interesse verso le manifestazioni non letterarie del mondo classico. Successivamente frequentò a Napoli la scuola fondata da B. Puoti nel 1825, ammirando la padronanza linguistica da lui dimostrata nella traduzione e nel commento dei classici greci e latini. Avvertì, però, anche i limiti di un classicismo fondato sull’esclusivismo puristico e formale, secondo cui la lezione dei classici antichi si era attualizzata prevalentemente nella lingua letteraria italiana del Trecento e del Cinquecento. Rispetto al maestro il M. si propose il conseguimento di una più organica compenetrazione di forma e contenuto, auspicando il superamento del puro decorativismo, che si manteneva vivo per opera dei circoli letterari antiromantici. Riconobbe la funzione svolta dall’imitazione dei classici per conservare alto il livello stilistico della scrittura, ma ritenne che i contenuti dovessero appartenere alla tradizione del pensiero italiano.
Insegnò nel seminario di Salerno prima di aprire uno studio privato in Napoli, che gli venne chiuso nel 1850, perché non aveva i requisiti che erano richiesti dal decreto del 18 ott. 1849, e che poté riaprire solo nel 1859. Nel 1872 la fama di cui godeva, sia come conoscitore dell’antica Roma sia come scrittore in lingua latina, lo fece inserire, insieme con D. Comparetti, G. Flechia, R. Bonghi e con G. Fiorelli, nella commissione giudicatrice del concorso per l’assegnazione della cattedra di letteratura latina dell’Università di Napoli, fino ad allora tenuta per incarico dal canonico G. Scherillo. La commissione nominò vincitore del concorso lo stesso M., che per il resto della sua vita si dedicò all’insegnamento nell’ateneo napoletano. Morì a Napoli il 2 luglio 1883.
L’insegnamento del M. – come ha ricordato il suo successore sulla cattedra napoletana – era di impronta prevalentemente neoumanistica: «La vita antica, più che intenderla, ei la sentì e, per così dire, la visse» (Cocchia, p. 145). Una manifestazione di tale tendenza è costituita dall’uso di far rappresentare in latino dagli studenti universitari alcune commedie plautine; per tali spettacoli il M. compose prologhi e intermezzi delle pièces teatrali, rifacendo abilmente le forme espressive del commediografo. Insegnava agli allievi la tecnica della versificazione in lingua latina, di cui aveva grande padronanza.
Il suo orizzonte si inscriveva in una visione «panlatinista» e «panciceroniana» della cultura (Treves, p. 403), ampiamente diffusa nella geografia classicistica dell’Italia contemporanea. L’ammirazione per la romanità lo portava a contrapporsi alle teorie romantiche che – come è noto – non tenevano in gran conto le manifestazioni artistiche sviluppatesi a Roma, in quanto le ritenevano un prodotto di «imitazione» di quelle greche ed ellenistiche. Poiché tale idea aveva trovato in T. Mommsen il rappresentante più autorevole e più noto in Italia, quando questi venne a Napoli, nel 1873, il M. gli rivolse un’orazione fortemente ostile, i cui contenuti furono condivisi da molti contemporanei. I motivi di contrapposizione (esplicitati dal M. anche in Storia …, III, p. 668) sono stati studiati da angolature differenti, che hanno comunque dimostrato la profondità delle radici di tale sentimento nella coscienza nazionale degli Italiani (Croce, 1956, p. 254; Chabod, p. 179; Pfeiffer, p. 190).
Buona parte dell’insegnamento e dell’attività di ricerca del M. si proponeva di dare una base teorica e normativa alla composizione in latino; nello stesso tempo egli intendeva fornire il modello di enunciati espressivi fondati soprattutto sullo studio dei principali auctores, sia latini sia italiani. Accanto a tale attitudine va però registrata anche la sua sensibilità per i valori di contenuto veicolati dai testi. Lo storico M. Pironti ricorda le letture tacitiane del M., che esaltavano l’amore della libertà e i sacrifici che talvolta esso richiede (Pironti, p. 7). Fra le altre, una testimonianza significativa delle posizioni politiche del M. è contenuta nell’orazione pronunciata nel 1857 per i funerali del cardinale T. Riario, in cui egli sostenne la legittimità del potere temporale del pontefice e affermò il primato della formazione cristiana, in quanto essa tramandava i valori spirituali della «verità» contro quelli materialistici della «ragione» tipici della cultura francese.
Una delle opere principali del M., che documenta fra l’altro le linee direttrici del suo insegnamento universitario, è la Storia del pensiero romano da Romolo a Costantino, pubblicata in quattro volumi a Napoli tra il 1879 e il 1882. La categoria del «pensiero romano» si estende dall’ambito letterario-mitologico a quello filosofico a quello linguistico a quello religioso-rituale, da quello evenemenziale a quello giuridico-istituzionale agli aspetti della civiltà materiale.
Secondo L. Russo, la sovrabbondanza dell’apparato erudito nascondeva «la mancanza di veri problemi e il difetto di sensibilità moderna» (Russo, p. 135). La ricostruzione storica del M. è strutturata dalla concezione «biologica» dell’evoluzione dei popoli antichi, che assegnava la civiltà greca alla fase della «giovinezza» e della creatività artistica, mentre identificava quella romana con il periodo della «maturità», in cui si sviluppano le attitudini pratiche; tale schema ermeneutico spiegherebbe anche la superiorità dei Romani nel campo del diritto. Un altro vettore strutturale dell’opera consiste nell’esaltazione della missione civilizzatrice svolta da Roma nella storia dell’umanità; per cui, secondo il M., l’aspirazione a eguagliare la grandezza degli antichi Romani contribuisce all’elevazione morale dell’Italia. Secondo i canoni adottati dalla tradizione più significativa della storiografia di ispirazione cattolica, anche per il M. il ruolo della Chiesa non può essere ridotto a quello di una istituzione culturale, politica o sociale, in quanto essa è titolare e responsabile dell’evolversi degli individui e della società nel suo complesso, tanto sul piano terreno quanto su quello spirituale.
Pure le Istituzioni di eloquenza, pubblicate a Napoli nel 1859 in tre volumi, avevano finalità didattiche. Costituivano una guida per gli studenti del corso di eloquenza, che avevano già seguito il ciclo di lezioni di grammatica superiore, basato sull’insegnamento dell’etimologia e della sintassi, e quello di composizione, che aveva per oggetto lo studio della struttura logica dei testi.
La materia era divisa in tre parti: la prima conteneva la definizione e la storia dell’eloquenza, a iniziare dalle età greca e romana; era inquadrata sia sul piano dell’evoluzione tecnica sia su quello delle istanze sociali che sono alla base dell’esigenza comunicativa. La seconda riguardava le forme espressive delle varie opere in prosa e le distingueva in tre specie: prosa didascalica, prosa storica e prosa oratoria. La terza trattava le caratteristiche dei diversi generi poetici, dalla lirica all’epica alla poesia drammatica. Con le Istituzioni il M. contribuì alla restaurazione delle forme classiche della scrittura dopo le aperture «moderniste» del decennio francese. Il principale modello di riferimento era ciceroniano ed era indicato dal M. in quegli oratori «qui distincte, qui explicate, qui abundanter, qui illuminate et rebus et verbis dicunt, et in ipsa oratione quasi quemdam numerum versumque conficiunt, id est quod dico ornate» (Cicerone, De oratore, III 53, 4). Un altro principio raccomandato dal M. era quello di evitare espressioni «plebee», onde preservare l’unità linguistica nazionale. Anche questo ideale linguistico, che si inseriva nel clima culturale risorgimentale e che fece riconoscere al suo magistero un ruolo non secondario nel rafforzamento dell’ideale di unità nazionale, era di origine ciceroniana, in quanto coincideva con la categoria dell’urbanitas sostenuta dall’Arpinate, avvertita come un argine nei confronti delle forze disgregatrici del linguaggio e dei contenuti a esso connessi, che a Roma erano particolarmente presenti per i numerosi contatti con le popolazioni delle province. Nella storia culturale dell’Italia ottocentesca il travestimento classicistico dello strumento espressivo è stato per lo più giudicato come il persistere di una posizione arretrata rispetto ai più vitali fermenti romantici.
La vena poetica in latino del M. si manifestò soprattutto in un poema epico di 37.000 esametri intitolato Petreidos libri XXIV, iniziato nel 1845. Utilizzando materiali narrativi tratti dai Vangeli, vi si raccontavano le vicende dell’apostolo Pietro, rappresentandolo in una dimensione eroica. Il valore esemplare attribuito al santo era il presupposto della celebrazione dell’autorità papale. Si tratta di idee di ispirazione giobertiana, che erano condivise da una componente importante all’interno del processo risorgimentale, secondo cui la grandezza della storia romana era stata funzionale alla diffusione del cristianesimo e tale corso storico, secondo un progetto provvidenzialistico, avrebbe assegnato all’autorità papale il compito di assicurare l’unità morale dell’Italia.
Al di là di una certa monotonia enfatica, l’opera è un documento significativo dell’esigenza non solo di rinnovare il classicismo sul piano formale, ma anche di renderlo adatto a interpretare e a esprimere le problematiche culturali e politiche del XIX secolo. Il tono del poema riprende l’andamento solenne e disteso del verso, quale è prevalente nell’Eneide virgiliana. Il virgilianesimo del M., che è incentrato soprattutto sull’imitazione del poema epico dell’autore augusteo, è presente anche nei componimenti d’occasione, come nei 112 esametri del Carmen ad Michaelem Lupoli archiepiscopum Salernitanum. Numerosi versi dedicati a M. Lupoli sono vere e proprie citazioni testuali dell’Eneide oppure echi e reminiscenze adattate al nuovo contesto. Del poema epico il M. riprende anche alcuni elementi istituzionali: l’invocazione iniziale a personaggi particolarmente potenti, il topos della dichiarata inadeguatezza del poeta rispetto al compito che si è prefissato, l’introduzione di esseri personificati, l’intervento divino come fattore di sviluppo dell’azione. Accanto ai richiami virgiliani, un’altra componente significativa della versificazione del M. è la tendenza alla rappresentazione «scientifica», in termini lucreziani, del mondo naturale, come si rileva vistosamente nel Carmen composto in occasione del settimo convegno degli scienziati italiani.
Opere principali: Neapolitana archaeologiae, litterarum et artium Academia arcticos exploratores salutat, Napoli 1830; Saggio di commento a’ classici: Egloghe di P. Virgilio Marone, ibid. 1840; In septimo Italorum sapientium conventu Neapoli celebrato Carmen, ibid. 1845; In funere Gregorii 16. Pontificis maximi, ibid. 1846; Orazione ed iscrizioni dell’abate Antonio Mirabelli pe’ solenni funerali celebrati nella chiesa de’ Ss. Apostoli alla memoria dell’eminentissimo cardinale Tommaso Riario …, ibid. 1857; Istituzioni di eloquenza, ibid. 1859; Petreidos libri XXIV, I-IV, ibid. 1859-62; Theodorus Momsenius et M. Tullius Cicero: prolusio habita in Archigymnasio Neapolitano 15 kal. Iunias, ibid. 1873; Rappresentazione del Trinummo nelle sale dell’Università di Napoli nel maggio 1877, ibid. 1877; Il Ius papyrianum e le leggi delle 12 tavole, ibid. 1877; Versi in occasione del 18° centenario della distruzione di Pompei, ibid. 1879; Storia del pensiero romano da Romolo a Costantino, I-IV, ibid. 1879-82.
Fonti e Bibl.: G. Amenduni, In obitu Antonii M. Elegia, Neapoli 1883; P. Luciani, Rammemorazione di monsignor A. M., Napoli 1883; M. Pironti, In obitu Antonii M., Neapoli 1884; E. Cocchia, Il metodo filologico nello studio della letteratura latina. Prelezione al corso di letteratura latina letta nell’Università di Napoli il 16 febbr. 1884, poi in Id., Saggi filologici, I, Napoli 1909; M. Galdi, La cattedra di letteratura latina nella R. Università di Napoli, in Nuova Cultura, V (1925), pp. 5-53; B. Croce, La letteratura della nuova Italia, IV, Bari 1929, ad ind.; F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, I, Bari 1951, p. 179; B. Croce, Cultura germanica in Italia nell’età del Risorgimento, in Id., Uomini e cose della vecchia Italia, Bari 1956, pp. 255-267; E. Cione, Napoli romantica 1830-1848, Napoli 1957, pp. 139 s., 228; P. Treves, Ciceronianismo ed anticiceronianismo nella cultura italiana del secolo XIX, in Rendiconti dell’Istituto lombardo, XCII (1958), pp. 403-464; L. Russo, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana, Firenze 1959, pp. 168-172; R. Pfeiffer, History of classical scholarship from 1300 to 1850, Oxford 1976, p. 190; F. Giordano, A. M., in La cultura classica a Napoli nell’Ottocento, I, Napoli 1987, pp. 389-403.
F. Giordano