MONTAUTI, Antonio
MONTAUTI, Antonio (Giovanni Antonio). – Figlio di Annibale e di Chiara Danesi, nacque il 14 novembre 1683 nella parrocchia di S. Felice in Piazza a Firenze (Visonà, 1996).
Educato allo studio delle arti plastiche nella città natale sotto la guida di Giuseppe Piamontini, il giovane Montauti, secondo una prassi corrente tra gli artisti suoi contemporanei, fu indirizzato in un primo momento, come ricorda Francesco Maria Niccolò Gabburri, allo studio della statuaria antica e delle opere michelangiolesche, alla conoscenza delle quali unì, come si può dedurre dall’esame della sua prima attività, interessi distintivi per i nuovi orientamenti dell’arte tardobarocca locale, aggiornata, ormai da tempo, alle tendenze stilistiche più in voga della scultura romana.
Al 1706, tempo dell’immatricolazione all’Accademia del disegno (Zangheri, 2000), dovette dare il via a un’attività indipendente, segnata in un primo momento, oltre che da opere di cui non si ha più notizia – come un Baccanale in bronzo (Dati, 1734) e una statua da giardino per la villa medicea di Lappeggi (Palagi, 1876) –, soprattutto dall’esecuzione di medaglie (Vannel - Toderi, 2006).
Firmata e datata 1707 risulta la medaglia di Giovanni Maria Baldigiani, alla quale seguirono a breve distanza quelle dedicate, tra il 1708 e il 1713, a Vincenzo da Filicaia, a Federico IV di Danimarca, a Francesco Maria de’ Medici, a Orazio Ricasoli Rucellai, a Lorenzo Magalotti, a Violante Beatrice di Baviera e alla poetessa senese Aretafila Savini Rossi, per la quale Montauti scolpì anche un medaglione in marmo, apparso nel 2009 sul mercato antiquario fiorentino. Conformi stilisticamente al linguaggio dei più noti maestri locali del tempo, come Massimiliano Soldani Benzi e Giovacchino Fortini, queste medaglie risultano apprezzabili, oltre che per l’arguzia espressiva dei ritrattati, per l’originalità inventiva delle scenette allegoriche o degli emblemi descritti nei rovesci, per l’alta qualità esecutiva e per la finezza del modellato, esaltato dalle impeccabili rifiniture a bulino, condotte con notevole perizia tecnica.
I buoni apprezzamenti di pubblico riscossi da Montauti tra la fine del primo e l’inizio del secondo decennio del Settecento favorirono la sua graduale affermazione professionale in ambito fiorentino, sancita da commissioni sempre di maggior prestigio, legate alla casa granducale toscana, alle famiglie patrizie locali più in vista e ad alcuni dei più rinomati edifici di culto del capoluogo toscano. Dopo aver preso parte all’esecuzione degli apparati effimeri allestiti, nel 1711 e nel 1712, nella basilica di S. Lorenzo per commemorare, rispettivamente, le esequie dell’imperatore Giuseppe I d’Asburgo e la canonizzazione di papa Pio V (Riederer-Grohs, 1978) e dopo aver ultimato, nel 1714, la realizzazione del busto marmoreo di Filippo Corsini per il palazzo della famiglia in Parione (Visonà, 1990), ottenne l’incarico di scolpire due medaglioni in marmo dedicati alle storie di s. Filippo Neri per la chiesa oratoriana di S. Firenze.
Sotto l’egida di Fortini, artista al quale erano stati affidati i lavori architettonici e la sovrintendenza alle decorazioni interne della chiesa, Montauti realizzò, tra il 1714 e il 1719, gli ovali con S. Filippo Neri che vende i suoi libri e distribuisce i soldi ai poveri e S. Filippo Neri che riceve lo Spirito Santo (Bellesi, 1992). Precedute dai modelli in gesso, conservati nel convento attiguo alla chiesa (Id., 1996), le due opere, parte di un ciclo di quattro episodi dedicati alla vita del santo fiorentino al quale partecipò anche Fortini, mostrano un linguaggio stilistico ricco di raffinato eclettismo, deferente, essenzialmente, alla lezione di Piamontini con originali aperture verso la briosa narratività fortiniana e le affascinanti sigle compositive tardobarocche d’ispirazione romana.
Databile al secondo decennio del secolo e identificabile, con probabilità, con una statua citata nel 1718 in una lettera di Anton Maria Salvini (Visonà, 1996) è l’elegante busto marmoreo di Gian Gastone de’ Medici nella Galleria degli Uffizi (Lankheit, 1962), catalogabile tra i raggiungimenti più alti dell’attività centrale di Montauti. L’opera, debitrice dalle formule ritrattistiche diffuse con successo in Toscana da Fortini nei primissimi anni del Settecento, mostra uno stile elegante d’impronta aulica che enfatizza mirabilmente la regalità del personaggio effigiato, adornato da una fluente parrucca dai ricci inanellati e dalla corazza drappeggiata con cura e caratterizzato dallo sguardo bonariamente fiero intriso di altezzoso sussiego. Affini o dipendenti da questa opera risultano altri interessanti ritratti, databili tra lo scorcio del secondo e l’inizio del terzo decennio del Settecento.
Significativi, in tal senso, appaiono un rilievo dedicato allo stesso personaggio mediceo nella collezione Bruschi a Grassina (Bellesi, in Bellesi - Visonà, 2008), il busto marmoreo con Manoel de Vihlena, già letto come Ramon Despuig, nel Castello reale di Varsavia (già presso la Heim Gallery a Londra; Baroque Paintings, 1968), il modello in terracotta sempre di de Vihlena già sul mercato antiquario (firmato; ibid.) e, ancora, l’elegante busto con l’effigie di Francesco Redi in collezione privata statunitense (Spike, 1984) e il più sobrio ritratto in marmo con Cosimo III di Toscana nella collezione Hall a New York (Repertorio, 1993), forse identificabile con un’opera esposta nel 1724 (Borroni Salvadori, 1974).
Con la qualifica di «professore festaiolo» Montauti ottenne nel 1719 l’incarico di sovrintendere all’esposizione artistica allestita periodicamente dall’Accademia del disegno nei chiostri della Ss. Annunziata, occasione, nella quale espose anche dipinti della sua collezione. Documenti del 1721 ricordano il rapporto instaurato con i collezionisti inglesi e in particolare con John Molesworth per il quale realizzò alcune opere, oggi non identificate, che contribuirono a far apprezzare il suo nome anche nei paesi d’oltralpe (Montagu, 1975).
Sulla scia degli interessi dimostrati in quel tempo dalla corte granducale e dalle famiglie patrizie cittadine per gli uomini illustri realizzò, probabilmente nel corso dello stesso decennio, alcuni medaglioni in materiali diversi, replicati in più di un caso varie volte, tra i quali spiccano, oltre a un tondo in marmo con l’effigie di Marsilio Ficino, già presso la Heim Gallery a Londra (firmato; Faces and figures ..., 1971), la serie in stucco policromato con Michelangelo Buonarroti,Niccolò Machiavelli, Galileo Galilei e, ancora, il Ficino, apparso nel 2007 nella Galleria Bacarelli a Firenze (Bellesi, 2007).
Nel 1723, tempo di esecuzione del perduto S. Pietro collocato alla sommità della colonna in piazza S. Felicita (Visonà, 1996), Montauti scolpì la statua con l’Innocenza per la chiesa carmelitana di S. Maria Maddalena de’ Pazzi a Firenze; l’opera fu affiancata in seguito dal marmo con la Religione, iniziato da lui stesso e poi ultimato, nel 1738, dall’allievo Gaetano Masoni (Pacini, 1990), che aveva già collaborato alla realizzazione delle storie filippine in S. Firenze (Bellesi, 1996).
Dopo aver partecipato nel 1724 agli apparati allestiti in S. Lorenzo per le celebrazioni della morte del granduca Cosimo III, Montauti ottenne, nello stesso anno, dall’elettrice palatina Anna Maria Luisa de’ Medici il pagamento di 300 ducati per il gruppo bronzeo con il Ritorno del figliol prodigo, destinato a palazzo Pitti e oggi conservato nell’Institute of art di Detroit (Casciu, 2006).
L’opera – dalla quale fu tratta in seguito una seconda versione con varianti per la famiglia Salviati, conservata attualmente nel National Museum of the Wales a Cardiff (già nella Heim Gallery a Londra; Italian paintings ...,1976) – costituì parte integrante di una serie di bronzetti legati ai nomi più altisonanti della scultura fiorentina del tempo, tra i quali comparivano, insieme con gli artisti più promettenti della nuova generazione, i celebri Giovanni Battista Foggini, Soldani Benzi, Piamontini e Fortini. L’effetto altamente narrativo e quasi didascalico della composizione medicea, che per gli apprezzamenti riscossi in ambito di corte meritò di essere esposta al pubblico nello stesso anno (Borroni Salvadori, 1974), si coglie in altre opere della maturità di Montauti, di difficile collocazione cronologica, come la coppia con Ercole e Diomede ed Ercole e Jolao che uccidono l’Idra (già nella Heim Gallery; Paintings-sculptur …, 1983) e, ancora, il raffinatissimo rilievo bronzeo con il Ratto di Europa e Nettuno sul carro marino nel County Museum of art a Los Angeles (commissionato dalla famiglia Corsini; Schaefer - Fusco), opera modulata su schemi molto acclamati a Firenze in età rocaille, sensibili soprattutto alla lezione di Soldani Benzi.
Attento osservatore delle realtà artistiche del suo tempo, Montauti eseguì nel 1725 due dei più intriganti ritratti riferibili al suo catalogo, che, per i caratteri tipologici caricati e forzatamente espressivi, contrastano con le effigi dei personaggi già trattate dallo stesso in età precedente. Raffiguranti Antonio Magliabechi e Gian Gastone de’ Medici e conservati rispettivamente nella Biblioteca nazionale di Firenze (Visonà, 1990) e nel loggiato dell’ospedale di S. Maria Nuova (Bellesi, in corso di stampa), i due busti si qualificano per il tono pungente degli sguardi e per la spietata definizione dei volti, quasi comparabili a maschere tragicomiche.
Fonti d’ispirazione primaria per opere di questo tipo, decisamente prive degli intenti espressivi a sfondo idealizzante riscontrabili nella ritrattistica ufficiale, risultano, a un riscontro critico adeguato, l’assuefazione e lo studio delle opere di Fortini, autore di busti molto apprezzati nella Firenze del tempo, dedicati al «culto dei brutti». La bruttezza fisica, da intendersi non solo metaforicamente come un tramite per raggiungere la virtù, divenne, proprio grazie a Fortini, un nuovo termine di confronto tra i maestri toscani del tempo, che sembrarono quasi rivaleggiare nell’ideazione di opere dedicate ai più repellenti e bersagliati personaggi locali, appartenenti, soprattutto, alle classi sociali più elevate.
Al 1726 risale l’esecuzione del capolavoro dell’attività sacra di Montauti a Firenze, ovvero la statua in marmo con S. Maria Maddalena de’ Pazzi in uno dei chiostri di S. Frediano in Cestello (Montagu, 1975).
L’opera, ammirata in anteprima dall’elettrice palatina nello studio di Montauti «alla Nunziata», mostra un linguaggio raffinatamente eclettico nel quale confluiscono i caratteri stilistici più tipici dello scultore, oscillanti, in prevalenza, tra gli ideali edonistici derivati dall’antichità classica, la grazia descrittiva e l’eleganza dei maestri fiorentini di ambito fogginiano e le novità del mondo romano-francese, evidenti, in modo marcato, nella virginale bellezza della figura, nella sinuosa curvatura del corpo e nel vibrante fruscio delle ampie stoffe, quasi smosse da una leggera brezza marina.
Nella fitta agenda di allogazioni legate al nome di Montauti appare documentata al 1727 l’esecuzione di un ritratto, oggi non identificato, di Pier Francesco Borgherini, in merito al quale si hanno notizie nelle carte dell’Accademia del disegno (Borroni Salvadori, 1985); al 1728 risalgono i primi incarichi per il cardinale Alamanno Salviati, che alcuni anni più tardi gli aprì la strada per Roma. Altra famiglia fiorentina importante per le commissioni svolte da Montauti nel capoluogo toscano e a Roma fu quella dei Corsini per la quale realizzò opere soprattutto in bronzo.
Oltre al già citato rilievo con il Ratto di Europa e Nettuno sul carro marino meritano di essere menzionate opere come Ganimede con l’aquila, Meleagro, Venere e Adone e Diana, oggi conservate nel Museo nazionale d’arte antica - Palazzo Corsini a Roma (Montagu, 1975). Il successo riscosso da queste realizzazioni è attestato, significativamente, dalla presenza di altre redazioni autografe, tra le quali si possono citare in merito al gruppo con Venere e Adone due belle fusioni nel Museo del Bargello a Firenze e nel Museum Schloss Fasanerie a Eichenzell. Per quanto concerne la composizione con Ganimede è probabile che avesse come pendant un bronzetto con Leda con il cigno (una versione, con attribuzione a Piamontini, è conservata nel Minneapolis Institute of arts; Zikos, 2005). Oltre che composizioni di sua invenzione Montauti realizzò, sempre per i Corsini, bronzetti tratti dall’antico o da opere famose seicentesche, documentate nelle carte d’archivio e al momento in gran parte non identificate (Visonà, 1996).
Dopo aver firmato e datato nel 1731 una medaglia con Gian Gastone de’ Medici, nel 1732 Montauti, oltre all’apparato allestito all’interno della cattedrale di S. Maria del Fiore per l’ingresso ufficiale a Firenze di don Carlos di Spagna (Bellesi, in Bellesi - Visonà, 2008), portò a termine due grandi statue di s. Pietro e s. Paolo in marmo per la basilica di S. Antonio a Mafra, in Portogallo (Vale), imponente edificio che vide impegnati gli scultori fiorentini e romani più importanti del tempo.
Forte del successo sancito da queste statue, per le quali «riportò applauso e gloria immortale» (Gabburri), e grazie alla protezione del cardinale Salviati, Montauti ebbe la possibilità di trasferirsi nel 1733 a Roma, dove, entro breve tempo, ottenne ambite commissioni. Poiché il cardinale morì pochi mesi dopo il suo arrivo, trovò nuova protezione nel nipote del prelato, Giovan Vincenzo Salviati, che gli assegnò «un quartiere, tavola e carrozza» nel palazzo alla Lungara, dove fu ospitato insieme con l’allievo Salvadore Sani, anche lui fiorentino (ibid.). Dopo essere stato impegnato in un ritratto dedicato al cardinale appena defunto, oggi non identificato (Visonà, 1996), Montauti attese, sempre nel 1733, all’esecuzione della struggente statua marmorea con la Pietà destinata a S. Giovanni in Laterano (Nava Cellini, 1982), commissionata da papa Clemente XII Corsini, il quale assegnò a Montauti «lo studio a S. Pietro, che già fu del Valeri scultore, e poi di Agostino Cornacchini, insieme al Palazzetto ivi contiguo per sua abitazione» (Gabburri).
Preceduta da studi di piccolo formato, dei quali è noto al momento solo un gesso in collezione privata fiorentina (Bellesi, in Bellesi - Visonà, 2008), la Pietà, che rappresenta il capolavoro assoluto di Montauti, evidenzia dati di altissima qualità nella poetica definizione delle figure, venate di sottile malinconia, e nei virtuosismi esecutivi che, oltre a esaltare il candore delle levigatissime superfici marmoree, pongono attenzioni particolari agli elementi di contorno, trattati con acribia tecnica e con intenti descrittivi quasi iperrealisti. Frutto di un raffinatissimo intreccio culturale, la statua lateranense, nella quale non sono esenti citazioni iconografiche erudite da opere seicentesche, mostra, a un riscontro analitico, dati stilistici particolari concilianti, soprattutto, l’elegante dettato compositivo fiorentino con l’arte tardobarocca romana e il linguaggio figurativo dei maestri francesi contemporanei, in particolare Nicolas Cousteau, autore di un’opera con lo stesso tema sacro, conservata a Notre-Dame, strettamente affine a quella di Montauti nella disposizione dei due protagonisti.
In seguito agli apprezzamenti pubblici e privati ottenuti con questa scultura, Montauti firmò, nello stesso anno, il contratto per l’esecuzione dell’imponente statua marmorea con S. Benedetto per S. Pietro in Vaticano (Bershad, 1984). L’opera, inclusa in un ciclo di statue dedicate ai santi fondatori degli ordini religiosi (eseguite nel corso di tutto il Settecento), tenne impegnato Montauti fino al 1735, tempo della collocazione del marmo all’interno della basilica (Visonà, 1996). Preceduta da un modello di grande formato, la statua si segnala tra i raggiungimenti più alti della scultura romana del tempo, comparabile, all’interno della stessa serie, alle raffinate realizzazioni, più o meno coeve, di Camillo Rusconi, Giovanni Battista Maini e Filippo Della Valle.
Ormai affermato in ambito artistico locale, Montauti ottenne, dopo l’ultimazione del S. Benedetto, l’incarico di «architetto assistente» della Fabbrica di S. Pietro, affiancando così Filippo Barigioni, che in quel tempo rivestiva, all’interno dello stesso edificio, la carica di «architetto soprastante » (ibid.).
Delle molte opere di Montauti citate nei documenti tra la fine degli anni Trenta e il 1746, probabile anno di morte, ben poche risultano rintracciate o sopravvissute. Tra queste meritano di essere menzionate una statua con Cristo per il convento della Ss. Trinità dei Pellegrini, un bassorilievo marmoreo con la Madonna con Gesù Bambino per la basilica patriarcale di Lisbona e la cancellata per la cappella dell’Immacolata Concezione sempre per la stessa chiesa portoghese, rimasta incompiuta al momento del suo decesso e inviata in loco solo nel 1747 (ibid.).
Prossimo alla morte, nel 1746 Montauti fece redigere il testamento e l’inventario dei suoi beni (Montagu, 1996), documenti dai quali si apprendono l’esistenza di due sorelle e lo stretto legame che lo univa al cardinale Neri Corsini, suo «singolare padrone », per la cui famiglia egli aveva lavorato, come è stato più volte rilevato, a ritmo quasi costante. Morì probabilmente nello stesso 1746 a Roma.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Pal., E.B.9.5: F.M.N. Gabburri, Vite di pittori (1719-41), I, cc. 315-316; C.R. Dati, Raccolta di prose fiorentine (1716-45), VI, Firenze 1734, p. 294; G. Palagi, La villa di Lappeggi e il poeta Gio. Batt. Fagiuoli, Firenze 1876, p. 14; K. Lankheit, Florentinische Barockplastik. Die Kunst am Hofe der letzen Medici, 1670-1743, München 1962, ad ind.; Baroque paintings. Sketches and sculptures for the collectors. Autumn exhibition (catal.), Heim Gallery, London 1968, n. 88; Faces and figures of the Baroque. Autumn exbition (catal.), Heim Gallery, London 1971, n. 78; F. Borroni Salvadori, Le esposizioni d’arte a Firenze dal 1674 al 1767, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XVIII (1974), 1, p. 105; J. Montagu, in Gli ultimi Medici. Il tardobarocco a Firenze, 1670- 1743 (catal., Detroit-Firenze), Firenze 1974, pp. 86-89; Id., A. M.’s Return of the prodigal son, in Bulletin of the Detroit Institute of arts, LIV (1975), 1, pp. 14-23; Italian paintings & sculptures of the 17th and 18th centuries. Summer exhibition (catal.), Heim Gallery, London 1976, n. 37; B. Riederer- Grohs, Florentinische Feste des Spätbarock … 1670- 1743, Frankfurt a.M. 1978, pp. 207, 209, 225; K. Langedijk, The portraits of the Medici, 15th-18th centuries, I-III, Firenze 1981-87, ad ind.; A. Nava Cellini, Storia dell’arte in Italia. La scultura del Settecento, Torino 1982, pp. 37 s., 136; Paintingssculpture: the Baroque era in Europe and Spanish, America. Winter Spring exhibition (catal.), Heim Gallery, London 1983, pp. n.n.; D.L. Bershad, The contract for A. M.’s St. Benedict in St. Peter, Vatican, in Antologia di belle arti, 1984, n. 23-24, pp. 76-79; J.T. Spike, Baroque portraiture in Italy: works from North American collections (catal., Sarasota-Hartford), Sarasota 1984, n. 46; F. Borroni Salvadori, Committenti scontenti, artisti litigiosi nella Firenze del Settecento, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXIX (1985), 1, p. 135; S. Casciu, Due episodi della scultura fiorentina del Settecento nel mecenatismo di Anna Maria Luisa de’ Medici, in Paragone, XXXVII (1986), 435, pp. 86, 98; R. Engass, Early Eighteenth century sculpture in Rome, London 1986, pp. 189-192; S. Schaefer - P. Fusco, Sculpture in the Los Angeles county Museum of art. An illustrated summary catalogue, Los Angeles 1987, p. 147; P. Pacini, Cappella di S. Maria Maddalena de’ Pazzi nella chiesa omonima, in Cappelle barocche a Firenze, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo 1990, pp. 190 s.; M. Visonà, Carlo Marcellini accademico «Spiantato» nella cultura fiorentina tardobarocca, Ospedaletto 1990, ad ind.; S. Bellesi, La decorazione scultorea della chiesa di S. Firenze e alcune considerazioni sull’attività di Giovacchino Fortini, in Antichità viva, 1992, n. 1, pp. 41-44; S. Blasio, in Repertorio della scultura fiorentina del Seicento e del Settecento, a cura di G. Pratesi - U. Schlegel - S. Bellesi, Torino 1993, I, p. 52 (con errata data di morte); S. Bellesi, ibid., p. 89; II, ibid., figg. 342-357; Id., I modelli in gesso per i medaglioni con le storie di S. Filippo Neri nella chiesa di S. Firenze, in Paragone, XLVII (1996), 557-561, pp. 204-206; J. Montagu, Gold, silver and bronze. Metal sculpture of the Roman Baroque, New Haven-London 1996, pp. 2 s., 155 s.; F. Ormond, in The Dictionary of art, XXII, New York 1996, pp. 5 s.; M. Visonà, in S. Pietro. Arte e storia nella basilica Vaticana, a cura di G. Rocchi Coopmans de Yoldi, Roma 1996, pp. 371- 377 (con bibl. precedente); L. Zangheri, Gli accademici del disegno: elenco alfabetico, Firenze 2000, p. 222; La cappella Corsini nella basilica romana di S. Giovanni in Laterano, con testi di C. Napoleone - A. Marchionne Gunter, Milano 2001, pp. 14, 25, 78, 90; T.L.M. Vale, A escultura italiana de Mafra, Lisboa 2002, ad ind. (con bibl. precedente); D. Zikos, Giuseppe Piamontini. Il Sacrificio di Isacco di Anna Maria Luisa de’ Medici, elettrice palatina, Milano 2005, pp. 43, 54; S. Casciu, in La principessa saggia. L’eredità di Anna Maria Luisa de’ Medici elettrice palatina (catal., Firenze), Livorno 2006, pp. 314 s. (con bibl. precedente); F. Vannel - G. Toderi, Medaglie italiane del Museo nazionale del Bargello, III, Secolo XVIII, Firenze 2006, ad ind. (con bibl. precedente); S. Bellesi, in Incontri, sculture e oggetti d’arte in galleria (catal.), a cura di R. Bacarelli, Firenze 2007, pp. 25-27; Id., in Il volto di Michelangelo (catal.), a cura di P. Ragionieri, Firenze 2008, pp. 54 s.; S. Bellesi - M. Visonà, Giovacchino Fortini. Scultura architettura decorazione e committenza a Firenze al tempo degli ultimi Medici, I-II, Firenze 2008, ad ind.; S. Bellesi, Un busto inedito di Gian Gastone de’ Medici di Giovacchino Fortini, in corso di stampa.