MONTEGNACCO, Antonio
MONTEGNACCO, Antonio. – Nacque il 30 novembre 1699 a Camino di Codroipo dal conte Girolamo, del ramo della famiglia originario di Gemona, e da Marina Coronella.
Di famiglia non ricca, compì la sua formazione a Udine, frequentando il seminario. Si distinse precocemente per competenza giuridica e ricevette alcuni incarichi dal patriarca Dionisio Dolfin: ordinato sacerdote nel 1722, divenne poi pievano di Tarcento nel 1730 mediante elezione da parte del capitolo di Udine, che esercitava diritti di giuspatronato. Nel settembre 1738 fu nominato canonico penitenziere del capitolo di Aquileia. Fin dal 1731 il patriarca lo aveva chiamato a far parte della nuova Accademia di scienze, fondata dell’erudito Giuseppe Bini per promuovere lo studio delle antichità della Patria del Friuli. Nel 1749 il suo prestigio di dotto si accrebbe per un efficace intervento a favore della città di Udine – sostenuta anche da un parere di Ludovico Antonio Muratori – nella disputa con l’Ordine di Malta per il riconoscimento della nobiltà della famiglia Florio (a ricordo dell’avvenimento, Montegnacco, commissionò a Giandomenico Tiepolo il dipinto Consilium in arena, oggi al Museo civico di Udine).
Si avviava intanto l’attività di Montegnacco come consultore della Repubblica di Venezia. Interpellato saltuariamente dal Senato fin dal 1746, e con maggiore assiduità dopo il 1749, sulla questione della ventilata divisione della diocesi di Aquileia, si pronunciò per la traslazione del patriarcato a Udine e per la creazione di una diocesi austriaca a Gorizia, in conformità alla prudente linea politica propugnata dal patrizio Marco Foscarini; ma gli sforzi del governo marciano non poterono impedire la soppressione del patriarcato e l’erezione delle due arcidiocesi di Udine e Gorizia, deliberata da Benedetto XIV nel 1751 (una soluzione che comunque salvaguardava i fondamentali interessi della Repubblica e che lo stesso consultore non aveva escluso fin dall’inizio). In seguito, e fino al 1758, Montegnacco, consultore straordinario, si accostò alle posizioni riformatrici del potente patrizio Andrea Tron e divenne uno fra i più ascoltati consulenti dal governo veneziano.
Prosecutore ideale del magistero di Paolo Sarpi e di Fulgenzio Micanzio, ma influenzato anche da autori gallicani e giansenisti, e specialmente da Bernhard van Espen, Montegnacco fu profondamente ostile alla Curia in materia giurisdizionale, come apparve soprattutto nella scrittura predisposta nel luglio 1753 per conto del savio di Terraferma Sebastiano Foscarini intorno alle modalità di revisione dei brevi spediti da Roma. Il fondamento storico del vigoroso intervento di Montegnacco è costituito da un decreto del Senato degli anni Venti del Seicento; ma lo spirito nuovo che circola nella scrittura si manifesta attraverso la presa di coscienza del problema non solo giuridico, ma anche sociale ed economico rappresentato dalla massa delle disposizioni romane, concessioni di benefici, indulgenze, dispense ecc., che si riversavano nel Dominio veneto.
Sulla scorta di questa scrittura gli ambienti patrizi vicini ad Andrea Tron persuasero il Senato a emanare il celebre decreto del 7 settembre 1754 sul licenziamento delle bolle provenienti da Roma, che fu subito contestato da papa Benedetto XIV, ma venne attivamente difeso dallo stesso Montegnacco, il quale, nominato revisore delle bolle, compose un’Apologia e una Risposta, destinate a circolare manoscritte, come risposta ufficiosa del governo marciano. Montegnacco non fu invece in sintonia con Tron e col suo ambiente sulla questione dei rapporti con gli Slavi ortodossi (o greco-serviani) della Dalmazia. In un importante consulto del 19 aprile 1754 manifesta una scarsa propensione alla tacita tolleranza degli ortodossi (che pure era conforme alle tradizioni della Serenissima e all’insegnamento dei consultori in iure del Seicento), e sembra quindi voler respingere la proposta di concedere ai serviani la nomina di un vescovo, almeno finché non sia stata fatta chiarezza sulla loro piena unione con Roma. Solo le evidenti pressioni degli ambienti governativi veneziani e il vicino esempio della Trieste teresiana indussero Montegnacco ad ammettere infine la possibilità di imitare, per ragion di stato, il modello austriaco, nominando un vescovo apertamente scismatico.
Non fu però questo contrasto, ma la perdurante controversia con Roma per il decreto del 1754 a determinare, il 26 agosto 1758, insieme con la revoca del decreto stesso (deliberata in omaggio al nuovo pontefice veneziano Clemente XIII Rezzonico) l’allontanamento di Montegnacco dall’ufficio di consultore, sia pure con l’onorevole dono da parte del Senato di una medaglia d’oro. Anche in seguito fu interpellato dal Senato e, soprattutto, rimase consigliere ascoltato della cerchia di Tron. Fin dal 1760 si dedicò al problema della riforma del clero e predispose scritture che preludevano all’istituzione della veneta Deputazione straordinaria ad pias causas. Nel 1766 apparve a Venezia il suo Ragionamento intorno a’ beni temporali posseduti dalle chiese, seguito da una puntuale Confermazione del ragionamento intorno ai beni temporali delle chiese (Venezia 1767), in cui si affermava apertamente il diritto del principe di intervenire su tale materia per introdurvi incisive riforme. Montegnacco ebbe la soddisfazione di vedere la nuova Deputazione sorgere e operare efficacemente, almeno fino al 1774, liquidando numerosi conventi e opere pie; ma il Senato, allo scopo di non inasprire eccessivamente i rapporti con Roma, il 6 ottobre 1768 respinse la proposta degli ambienti vicini al Tron di riammetterlo ufficialmente tra i consultori. Infatti il Ragionamento era stato condannato nel 1767 all’Indice; e l’opera fu poi confutata nel 1769 dal domenicano Tommaso Maria Mamachi. Duri attacchi vennero a Montegnacco anche dal Friuli. Il Ragionamento fu criticato dal primicerio del capitolo udinese Francesco Florio, in Le mani morte ossia lettera all’autore del Ragionamento intorno ai beni posseduti dalle chiese (Venezia 1766); un’altra confutazione, composta dal sacerdote Claudio Di Varmo, fu vietata dalla censura veneta. Osteggiato da una parte del clero, Montegnacco fu invece legato agli ambienti più avanzati della cultura friulana: amico del mercante illuminista Antonio Zanon e del conte Fabio Asquini, fu tra i primi sottoscrittori dei capitoli del 14 settembre 1762 per la creazione della Società di agricoltura pratica di Udine.
Ritiratosi in Friuli fin dagli anni Settanta e già da tempo ammalato, Montegnacco, che era nel frattempo divenuto decano del capitolo di Udine, morì il 4 agosto 1785.
I suoi consulti manoscritti sono nell’Archivio di Stato di Venezia, Consultori in iure, filze 233-256, 559-565; Inquisitori di Stato, bb. 888 s. (i consulti su Aquileia); alcuni di essi sono editi nella Collezione di scritture di regia giurisdizione, Firenze 1770-79. Altri scritti inediti o rari sono stati pubblicati in appendice a D. Tassini, I friulani «ignoti» consultori in iure della Repubblica di Venezia, I, Don A. di M., Udine 1908.
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