MONTELATICI, Antonio
MONTELATICI, Antonio (in religione Ubaldo). – Nacque a Firenze nel 1692 da Santa Giulianetti e Tommaso, un «onestissimo ed esemplarissimo» rentier fiorentino (Manetti, 1791, p. 13). Ebbe tre fratelli: uno fu cancelliere del Bigallo; l’altro, Giovanni, seguì la carriera ecclesiastica; l’ultimo, Carlo, sposò la figlia del cancelliere del vescovado di Fiesole. Tutti rimasero senza figli, per cui questo ramo della famiglia non ebbe seguito.
Seguì a Firenze studi di lettere, filosofia e teologia. Sacerdote dell’Ordine regolare dei canonici Lateranensi con il nome Ubaldo, fu lettore in vari monasteri, prima a Pistoia e a Fiesole, quindi a Brescia e a Milano «alle cui Squole o Lezioni molti Secolari ancora di quella Città si portavano » (ibid., p. 14). Con il titolo di abate privilegiato tornò in Toscana, ricevendo l’investitura della badia di S. Pietro in Casa Nuova a Laterina nel 1742. Qui riprese lo studio della fisica e maturò un particolare interesse per la botanica e l’agricoltura, inserendosi in quel filone di razionalizzazione della pratica agraria e della vita economica tipico della parte centrale del Settecento.
Dopo nove anni si trasferì a Fiesole; nominato abate della badia di S. Bartolomeo, mise a frutto le sue ricerche agrarie scrivendo il Ragionamento sopra i mezzi più necessari per far rifiorire l’agricoltura (Firenze 1752; edizione parziale in Scritti teorici e tecnici di agricoltura..., 1989, pp. 31-429), opera nella quale elaborò l’idea di fondare una società a favore dell’«industria agraria ». Montelatici si lega, in effetti, alla nascita dell’Accademia dei Georgofili, avvenuta a Firenze nel 1753, di cui fu fin da subito riconosciuto come «institutore» e nominato «segretario».
Si trattava del «primo e nobile esempio in Europa d’una associazione d’ingegni intesi al perfezionamento dell’agricoltura» (Tabarrini, 1856, p. 3). L’agricoltura era considerata da Montelatici «arte nobile, dilettevole e fruttuosa… madre e nutrice di tutte le altre, sostegno e mantenimento della Repubblica» (Ragionamento, 1752, p. 2). L’Accademia ebbe all’inizio una vita stentata e all’impegno di Montelatici non corrispose un sufficiente consenso fra gli eruditi e i cultori dell’arte agraria, dovendo anzi affrontare gli «inveterati pregiudizi» di chi, in ambito letterario e proprietario, riteneva che l’agricoltura fosse «un’arte pratica, spoglia di qualsiasi teoria scientifica» e la Toscana già «coltivata quanto meglio esser potesse» (Zobi, 1858, pp. 152 s.). Fu solo dopo l’insediamento di Pietro Leopoldo (1765) che l’Accademia ricevette l’effettivo patrocinio del principe, diventando un riferimento per le politiche agrarie ed economiche del Granducato.
Intanto Montelatici aveva stabilito corrispondenze fisse con studiosi e istituti tedeschi e francesi, che si aggiungevano alle relazioni con coloro che a Firenze avevano dato vita all’Accademia. Tra questi spicca Giovanni Targioni Tozzetti, con cui intercorse tra 1754 e 1763 un fitto scambio di lettere, libri, opuscoli e manoscritti attestato dalle carte conservate presso la Biblioteca nazionale di Firenze (e riguardante idee e materiali su «erbaggi, vitigni, e frutti» (Firenze, Biblioteca nazionale, Manoscritti, Targioni Tozzetti, 163). Montelatici mantenne l’incarico di segretario dei Georgofili fino al giugno 1767, quando fu nominato segretario perpetuo per il carteggio con l’estero.
Gli interessi agrari di Montelatici possono essere collocati in quella fase centrale del Settecento in cui si delinea una nuova visione economica, che sviluppando le idee di Sallustio Bandini spinge i capitali toscani a spostarsi sempre più dal commercio all’agricoltura. In questa ottica i grandi proprietari fondiari erano sollecitati a superare l’atteggiamento assenteista per dedicarsi allo studio dell’agricoltura, occuparsi delle loro terre e migliorare l’attività rurale. Già introdotto da Ludovico Antonio Muratori nelle sue considerazioni sopra l’agricoltura (Della pubblica felicità, oggetto de’ buoni principi, Lucca 1749), questo motivo torna in Montelatici, finendo per ricorrere continuamente in Antonio Genovesi ed essere ripreso successivamente in Toscana da Ferdinando Paoletti, Giovan Battista Landeschi e altri parroci agronomi, restando un Leitmotiv ancora nel primo Ottocento. Scaturiscono da qui, in Montelatici, anche la considerazione dell’istruzione come mezzo utile a promuovere lo sviluppo dell’agricoltura e il suo invito al governo a valutare «se nelle comunità tornasse ben fatto, alla scuola del leggere e dello scrivere unire quella dell’agricoltura» (Ragionamento, 1752, p. 25). È un richiamo, questo, alle parole di Muratori che pochi anni prima aveva scritto della necessità che «avrebbero i Rustici di chi facesse loro scuola d’Agricoltura» (Della pubblica felicità... , p. 180). Montelatici contribuì in questo modo «a stabilire una tradizione galileiana in Toscana dando l’esempio di una continua applicazione della ragione all’esperienza nel settore dell’agricoltura» (Mirri, 1967, p. 69), ricollegandosi al gruppo di cultori delle scienze sperimentali, in particolare botanici e naturalisti, emerso nella prima metà del secolo. Accostato a Targioni Tozzetti, suo miglior collaboratore negli anni Cinquanta, e al botanico Pier Antonio Micheli, Montelatici è stato considerato dalla storiografia come il riformatore più importante tra Bandini e Pietro Leopoldo (Venturi, 1969, p. 337).
Il Ragionamento fu pubblicato in una seconda edizione a Napoli nel 1753 a cura di Antonio Genovesi che vi aggiunse come premessa il Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze. I rapporti tra i due sono testimoniati anche dal carteggio, riguardante sia l’edizione dell’opera di Montelatici sia il ruolo dell’agricoltura. A questo proposito Montelatici chiedeva a Genovesi informazioni bibliografiche relative agli scrittori napoletani di agricoltura, ottenendo l’indicazione dei «libri della villa di Giambattista della Porta, e un piccolo trattatuccio della vendemmia dell’avvocato Macrini » (Firenze, Arch. storico dell’Accademia dei Georgofili, b. 23). In una lettera del 24 giugno 1758 Genovesi chiedeva invece il nome del traduttore delle Lettere sulla moneta di Locke, di tenerlo al corrente su eventuali opere dell’Accademia della Crusca e «se si lavora a qualche versione di opera forestiera… perché qui siamo al buio delle cose di Firenze» (Ibid.). L’opera di Montelatici era stata nel frattempo recensita sul periodico fiorentino Novelle letterarie (1752) e sul francese Journal oeconomique, ou mémoires, notes et avis sur les arts, l’agriculture, le commerce (1755).
Tra il 1757 e il 1767 si impegnò con Saverio Manetti nell’elaborazione di un dizionario plurilingue di agricoltura e botanica: il progetto fu presentato ai Georgofili nel 1758. Fu anche in relazione a questa idea che pianificò un viaggio in Europa, con l’obiettivo di trovare qualche editore straniero e di «istruirsi di vantaggio sopra diversi usi e macchine altrove praticate, per corredare sempre più con tali notizie quest’Opera» (Magnanima, 1783, p. 94). Partito verso la fine del 1763 con l’intento di visitare l’Austria e la Germania, il tour durò 18 mesi. A Vienna si recò alla corte di Maria Teresa, ricevendo «diverse commissioni» come esperto di agricoltura, tra cui quella di visitare alcuni territori della Stiria e della Carinzia e sovrintendere alla coltivazione e all’innesto dei gelsi. Si rivolse anche a Francesco I, chiedendo il patrocinio per l’Accademia dei Georgofili.
La realizzazione del dizionario andò comunque incontro a varie difficoltà e nel 1764, quando Montelatici era ancora a Vienna, a Firenze Giuseppe Pelli esprimeva seri dubbi sull’opera e sull’autore: «Il peggio è che il padre Montelatici per libriccioli dati fuori di niun merito, e per la sua figura, maniere, e accidenti ridicoli è stimato uomo di miglior volere che capacità, e che per ciò si dà poco orecchie alle sue promesse» (Firenze, Biblioteca nazionale, NA 1050, Efemeridi, XI, 1764, p. 125). Sebbene Montelatici avesse ottenuto vari attestati scientifici internazionali, tra cui quello del botanico Robert Laugier, che certificavano la dignità di pubblicazione dell’opera, il progetto venne in effetti accantonato, quando la sua eco si era già sparsa per l’Italia. Da Piacenza Giuseppe Giuliani gli scriveva il 6 febbraio 1766: «mi duole, e ne duole assaissimo anche agli amici miei della remora, che si frappone alla stampa dell’insigne Suo Dizionario» (Firenze, Arch. storico dell’Accademia dei Georgofili, b. 23). Alla metà del 1767 si parlava ormai di un «voluminoso dizionario che parte si stamperà e parte resterà manoscritto appresso il padre don Ubaldo Montelatici, sperando d’averlo a lasciare a pubblico benefizio nella stanza dell’Accademia» (Veglie non meno utili che piacevoli di materie particolari appartenenti all’economia della villa, I, Firenze 1767, p. 51). Restò quindi un progetto incompiuto, anche se l’idea di una nomenclatura agraria come presupposto della riforma delle pratiche rurali sarebbe stata ripresa successivamente da Giovanni Fabbroni e in parte realizzata con la Biblioteca georgica di Marco Lastri e molto tempo dopo, nel 1809, con la pubblicazione del Dizionario botanico italiano di Ottaviano Targioni Tozzetti.
Rientrato a Firenze alla fine del 1764, Montelatici riprese a occuparsi dell’Accademia. Dopo aver scritto un libretto sulla coltivazione degli ulivi nei luoghi freddi (Lastri, 1787, p. 37), pubblicò un opuscolo sulla coltivazione e l’uso delle patate (Estratto da’ più celebri autori, sì editi come inediti, che hanno trattato della diversa coltivazione, ed usi varii delle patate, Firenze 1767) e si occupò anche di aspetti minori della pratica rurale: una sua lettera sulla raccolta dei pinoli in Maremma fu edita nel 1774 nella Istoria civile e naturale delle pinete ravennati di Francesco Ginanni. Infine dette vita al foglio quindicinale Veglie non meno utili che piacevoli di materie particolari appartenenti all’economia della villa, che uscì dal 1767 al 1769 e per il quale utilizzò in parte il lavoro accumulato per il Dizionario.
La figura di Montelatici non incontrò grande stima tra i suoi contemporanei, specie di ambito fiorentino. Il più sferzante fu Pelli, secondo il quale «il buon padre abate studiava quanto poteva,… ma non aveva talento, e fra i suoi scritti non credo che si sieno trovati che degli zibaldoni» (Firenze, Biblioteca nazionale, NA 1050, Efemeridi, XXVIII, 1772, pp. 190 s.); sobrio nei costumi e nei comportamenti, al punto di vestire «trascuratamente, e con abiti talmente usati e in quel genere ordinarj che dalla maggior parte si sarebbero detti abietti ed improprj» (Manetti, 1791, p. 23), fu dipinto come persona di debole memoria «né gran parlatore, né franco, e concettoso», tendenzialmente ipocondriaco e di animo malinconico, «insaziabile nell’accumulare notizie e comprar libri» (Magnanima, 1783, p. 102), ma senza capacità di finalizzare il suo impegno. Si guadagnò una buona fama, più all’estero che in patria, soprattutto come fondatore dell’Accademia dei Georgofili: ai primi dell’Ottocento Filippo Re (1802) lo definì un «autore forse il più benemerito dell’agricoltura italiana fra quelli che vissero nel secolo passato»: un giudizio che contribuì alla sua riabilitazione sia negli studiosi ottocenteschi sia nella storiografia successiva.
Montelatici morì a Firenze il 3 agosto 1770.
Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. storico dell’Accademia dei Georgofili, b. 2, Memorie dell’Accademia de’ Georgofili scritte per me, Ubaldo M., institutore e segretario della detta Accademia, 1753-1767; 23, Corrispondenza dal 1754 al 1791; Firenze, Biblioteca nazionale, Manoscritti, Fondo Targioni Tozzetti, 163, Clarorum Virorum Epistola; 205, Scritture varie per incumbenze nell’Accademia de’ Georgofili, 1767-1781; Ibid., NA 1050, G. Bencivenni Pelli, Efemeridi, s. 1, III, 1760, pp. 107 s.; XI, 1764, pp.124 s.; XIII, 1765, pp. 39 s.; XX, 1767, p. 22; XXVIII, 1772, pp. 190 s.; Scritti teorici e tecnici di agricoltura, I: Dal Settecento agli inizi dell’Ottocento, a cura di S. Zaninelli, Milano 1989, pp. 23-29, 31-429; L. Magnanima, Elogio del padre abate don Ubaldo M. dei Canonici Lateranensi ora soppressi di Fiesole, in Osservatore toscano, II (1783), pp. 91-105; G. Lami, Novelle letterarie, n. 19, Firenze 1752, p. 290; M. Lastri, Biblioteca georgica, ossia catalogo ragionato degli scrittori di agricoltura, veterinaria, agrimensura, meteorologia, economia pubblica, caccia, pesca, ecc. spettanti all’Italia, Firenze 1787, p. 37; S. Manetti, Elogio del p. Abate don Ubaldo M. istitutore dell’Accademia de’ Georgofili compilato e letto nella medesima il dì 22 agosto 1770, in Atti della R. Società economica di Firenze ossia de’ Georgofili, I (1791), pp. 11-27; F. Re, Saggio di bibliografia georgica, Venezia 1802, p. 71; Id., Dizionario ragionato di libri d’agricoltura, veterinaria e di altri rami d’economia campestre, Venezia 1808-1809, III, p. 168; Almanacco biografico per gli eruditi toscani, III, San Miniato 1836, p. 88; A. Zobi, Storia civile della Toscana dal MDCCXXXVII al MDCCCXLVIII, I, Firenze 1850, p. 418; M. Tabarrini, Degli studi e delle vicende della Reale Accademia dei Georgofili nel primo secolo di sua esistenza. Sommario storico, Firenze 1856, pp. 3, 310- 317, 345, 433, 437; A. Zobi, Manuale storico degli ordinamenti economici vigenti in Toscana, Firenze 1858, pp. 152-154, 228; P. Bargagli, L’Accademia dei Georgofili nei suoi più antichi ordinamenti, in Atti della Reale Accademia economico-agraria dei Georgofili, s. 5, III (1906), pp. 404-406; Memorie dell’Accademia de’ Georgofili, ibid., pp. 438 s.; M. Mirri, Ferdinando Paoletti. Agronomo, «georgofilo », riformatore nella Toscana del Settecento, Firenze 1967, pp. 69-75; F. Venturi, Settecento riformatore, I: Da Muratori a Beccaria (1730- 1764), Torino 1969 (1988), pp. 334-443 e 560; Id., Scienza e riforma nella Toscana del Settecento. Targioni Tozzetti, Lapi, M., Fontana e Pagnini, in Rivista storica italiana, LXXXIX (1977), pp. 77-105; Z. Ciuffoletti, L’Accademia economicoagraria dei Georgofili, in Quaderni storici, XII (1977), 36, pp. 865-873; M. Rosa, Un «giansenista » difficile nell’Europa del ‘700: Antonio Niccolini, in Studi di storia medievale e moderna per Ernesto Sestan, II, Firenze 1980, p. 788; R. Pasta, Scienza politica e rivoluzione. L’opera di Giovanni Fabbroni (1752-1822) intellettuale e funzionario al servizio dei Lorena, Firenze 1989, pp. 19 s., 26, 226, 230, 243-245; Id., L’Accademia dei Georgofili e la riforma dell’agricoltura, in Rivista storica italiana, CV (1993), pp. 484-501; M. Verga, La cultura del Settecento. Dai Medici ai Lorena, in Storia della civiltà toscana, V, I Lumi del Settecento, a cura di F. Diaz, Firenze 1999, pp. 125-152; M. Taccolini, Fonti per la storia dell’agricoltura italiana (1750- 1799). Saggio bibliografico, Milano 2000, ad vocem.