MORATO, Antonio
MORATO, Antonio. – Nacque il 17 marzo 1903 a Este (Padova), da Luigi e da Ilaria Brunetti.
Dal 1917 visse e lavorò a Padova (M.: 50 anni, 1973). Cresciuto in una famiglia culturalmente conservatrice, ebbe una formazione letteraria e frequentò il liceo classico, ma non terminò gli studi. Sembra abbia cominciato a dipingere nei primi anni Venti (Segato, 1987), a quando risalgono le prime opere databili con certezza. Amico di Marino Mazzacurati, Wart Arslan e Gaetano Nasalli-Rocca, era restio a spostarsi da Padova e, per tale motivo, il suo aggiornamento sulle nuove tendenze pittoriche fu inizialmente molto problematico (Rizzi, 1987).
Nel 1926 partecipò alla IV Esposizione d’arte delle Tre Venezie a Padova, dove ebbe anche modo di ammirare alcune opere di Umberto Boccioni. Il suo esordio pittorico, influenzato da Valori plastici e dal gruppo Novecento, rivela una compresenza di sintesi monumentale e pittura tonale. La solidità delle forme deriva anche da uno sguardo rivolto all’arte di Giotto e di Piero della Francesca mentre i colori risentono della pittura tonale veneta, di Giorgione in particolare (Formaggio, 1987). L’adesione al forte plasticismo di Novecento sembra tuttavia frequentemente prendere il sopravvento: si veda a tal proposito Scena biblica (le due madri) (1927; collezione privata; ripr. in A. M.: antologica, 1987, fig. 27). Fra la fine degli anni Venti e i primi Trenta, nella materia pittorica delle sue opere, pur vibrante e increspata, è visibile spesso la suggestione delle forme solide di Carlo Carrà. Anche l’influenza di Paul Cézanne è evidente in varie opere: Amorino (1929- 30; collezione privata, ripr. ibid., fig. 32), in particolare, è un chiaro omaggio all’olio cezanniano Amorino in gesso conservato nel Nationalmuseum di Stoccolma (Segato, 1987).
La pittura rapida, stesa con larghe pennellate di colore spesso, che compare più frequentemente nei suoi lavori degli anni Venti-Trenta, e molto più raramente nei decenni seguenti, fa pensare anche allo studio della scapigliatura pittorica lombarda. Nella prima metà degli Trenta si ricorda la sua partecipazione alla Biennale di Venezia (1930, 1934), alla Quadriennale di Roma (1931) e alla III Mostra sindacale d’arte triveneta a Padova (1932) dove espose varie opere, fra le quali si segnala Pescatore (1930 circa; collezione privata, ripr. in A. M.: antologica, 1987, fig. 34).
Nonostante l’impasto fortemente materico l’artista costruisce la scena con nette forme elementari: lo sguardo del soggetto coincide con l’alta linea dell’orizzonte fra cielo e mare (elementi della natura con i quali deve continuamente lottare).
Nel 1933 presentò un progetto per la decorazione del tempio ossario di Padova (non realizzato) in cui cercò di mettere in atto una pittura decorativa tesa a esaltare l’elemento spirituale e la monumentalità, analogamente a quanto proposto dal Manifesto della pittura murale firmato da Mario Sironi, Massimo Campigli, Carrà e Achille Funi nello stesso anno. Nel 1934 fu incaricato di eseguire due pannelli per la sala delle adunanze della sede del Consiglio provinciale dell’economia corporativa di Padova (oggi Camera di commercio), ai quali ne aggiunse altri quattro l’anno seguente; tali opere che denotano l’acquisizione di uno stile pittorico autonomo, mostrano, contemporaneamente, debiti verso le semplificazioni monumentali presenti nelle contemporanee opere di Carrà, Sironi e Funi.
Nel 1935 espose alla Quadriennale di Roma e alla Mostra dei Quarant’anni della Biennale di Venezia; nello stesso anno realizzò la tela con il Battesimo di Cristo per il duomo di Este, lavoro che rivela nuovamente, per l’impostazione monumentale e la solidità delle figure, uno sguardo attento nei confronti della pittura italiana del Quattrocento e di Piero della Francesca in particolare.
Nella seconda metà degli anni Trenta, oltre a varie mostre, partecipò alla Biennale di Venezia (1936) e alla Quadriennale di Roma (1939). Fra il 1937 e il 1939 dipinse molte opere fedeli alle impostazioni della pittura di regime e molto apprezzate dalla stampa dell’epoca, fra le quali si ricordano le pitture murali di casa Mansutti (1939; ripr. in Segato, 1987, fig. 15) e una Via Crucis (1939), collocata nella chiesa della Sacra Famiglia di Padova solo nel 1964 (ibid.). In questa sede terminò, nel 1940, un grande affresco absidale raffigurante il Padre Eterno con angeli, la Sacra Famiglia e la famiglia Grassetto (donatrice dell’affresco) e, nello stesso anno, realizzò una pittura murale per la sala delle studentesse nel palazzo del Bo’: un lavoro eclettico che, rivelando influenze neo-rinascimentali e del «Novecento », illustra personificazioni e allegorie dello studio, della morale e della virtù. Alla fine degli anni Trenta rifiutò l’invito di Renato Birolli di far parte del gruppo Corrente.
Negli anni Quaranta la pittura di Morato divenne neo-cubista, ma il linguaggio di Pablo Picasso, Georges Braque e Juan Gris era solo modello di studio, utilizzabile per ritrarre gli oggetti della realtà secondo i principi linguistici dell’avanguardia e che non impedisce la riconoscibilità degli oggetti e la loro collocazione spaziale, secondo una prospettiva policentrica ma chiara quale si può notare in Natura morta alla finestra (1945; collezione privata, ripr. in A. M.: antologica, 1987, fig. 75). Anche quando la destrutturazione degli oggetti è estrema, sono i valori cromatici a essere più importanti rispetto alla scomposizione analitica delle forme (Valigia aperta, 1946; collezione privata, ripr. ibid., fig. 76).
Secondo la critica la pittura di Morato non ha lo spirito analitico del cubismo ma lo interpreta in chiave espressiva (Rizzi, 1987). Guardando la maggior parte delle opere realizzate intorno alla metà degli anni Quaranta sembra che l’artista non volesse fondare un nuovo linguaggio pittorico, ma solamente utilizzare alcuni principi delle avanguardie europee della fine dell’Ottocento e del primo Novecento, tradotti nella sua sensibilità estetica.
Sempre negli anni Quaranta il segno grafico dell’artista ha esiti molto simili ai disegni di Antonio Zancanaro, del quale condivise il medesimo tema dei ritratti di figure abbracciate: si vedano opere come Maternità (1947; Teolo, Museo d’arte contemporanea Dino Formaggio), dalle linee lunghe e sottili su fondo completamente bianco. Parallelamente alla pittura da cavalletto, Morato continuò a eseguire ampli cicli di decorazioni murali. Nel 1946, dopo essersi dedicato per alcuni anni soprattutto al disegno, realizzò il Miracolo del cieco risanato nella cappella di palazzo Priuli a Venezia e, nel 1949, eseguì un ciclo di pittura murale e graffiti in Ca’ Marzari a Padova, poi distrutti a causa dell’abbattimento dell’edificio (Segato, 1987). Dalla fine degli anni Quaranta agli anni Sessanta, fra le commissioni pubbliche, sempre a Padova, si segnalano i disegni per il mosaico absidale con Cristo in trono benedicente della chiesa del Cristo Re (1956) e il graffito con una Scena di costruzione per l’istituto scolastico Bernardi (1960). In questo periodo continuò anche a dipingere opere da cavalletto abbastanza eclettiche, i cui migliori risultati sono rintracciabili in una serie di lavori dedicati ai nudi femminili.
Abbraccio materno (1948; collezione privata; ripr. in A. M.: antologica, 1987, fig. 86), Donne sedute (1951; Padova, collezione Grassetto, ripr. ibid., fig. 87), L’adolescente (la lettera) (1951; Padova, collezione Grassetto; ripr. ibid., fig. 88) e Al mare (1953; collezione privata, ripr. ibid., fig. 89) sono lavori in cui è evidente l’osservazione della ricomposizione dei volumi del Picasso degli anni dopo la prima guerra mondiale, ma in parte anche lo studio dei colori di Matisse. Nell’ultima opera il tema cezanniano delle bagnanti viene reinterpretato alla luce della pittura picassiana.
Nei decenni successivi lo stile pittorico dell’artista appare improntato a un eclettismo che si ispira a volte a Chagall, come in Falchi e colombe del 1966 e in Morte e glorificazione del 1968 (entrambe in collezione privata; ripr. in A. M.: antologica, 1987, figg. 98, 100). In altri casi emergono suggestioni provenienti dal futurismo e da Osvaldo Licini, arrivando, negli anni Ottanta, anche a pastelli astratti o con un’alta componente di pittura a-figurale, che raccolgono forti influenze di forme liberty e déco: Vaso con fiori (1985); Fiori (1985) e Giochi di colore (1986) (tutti in collezioni private; ripr. ibid., figg. 107-109).
Nel 1987 gli venne dedicata una mostra antologica nel palazzo della Ragione a Padova.
Fra le opere conservate in collezioni pubbliche spicca Paesaggio (1965; Teolo, Museo d’arte contemporanea Dino Formaggio), che rivela emblematicamente lo studio di alcuni fra i principali protagonisti della pittura del tardo Ottocento e dei primi decenni del Novecento: Cézanne, per la scomposizione dei volumi, Matisse per la costruzione delle anatomie umane e Chagall per l’uso dei colori.
Morì a Padova, il 13 marzo 1989.
Fonti e Bibl.: Nel Fondo bioiconografico della Galleria d’Arte moderna di Roma si conservano numerosi articoli riguardanti Morato. W. Arslan, A. M., un pittore, in Padova, dicembre 1931, pp. 1-5; M.: 50 anni di pittura, in La difesa del Popolo, 18 marzo 1973; A. M.: antologica. Opere dal 1925 al 1986 (catal.), a cura di D. Formaggio - P. Rizzi - G. Segato, Padova 1987, pp. nn. (con bibl.); P. Rizzi, Sessant’anni di pittura di A. M., ibid.; D. Formaggio, A. M. e la sua Padova, ibid.; B. Martinelli, Dedicato a Toni M., ibid.; G. Segato, A. M.: le opere su commissione, ibid.; C. Semenzato, A. M. pittore padovano, in Padova e il suo territorio, II (1987), 7, pp. 34 s.; A. M. (catal.), a cura di M. Gaddi, Piombino 1995; R. Breda, 1890-1940 Artisti e mostre, Roma 2001, p. 331.