MUSCETTOLA, Antonio
– Nacque a Napoli il 25 gennaio 1628, primogenito di Francesco I, esponente dei duchi di Spezzano, e da Vittoria Campolongo. Ebbe come fratelli Pietro e Tiberio.
Dopo la laurea in legge, fu iniziato dal padre alla carriera giuridica, che presto abbandonò per dedicarsi alla poesia. Sin dagli anni della giovinezza ebbe, infatti, un’intensa attività culturale e creativa. Si ha notizia della fondazione, a opera sua, di un’accademia a Lucera (in Puglia) – dove il suo avo Marco Antonio era già stato governatore della provincia – e di sue partecipazioni a prestigiosi sodalizi del tempo (Oziosi, Gelati, Incogniti, Apatisti), indicative della frequentazione di una variegata geografia culturale (Napoli, Bologna, Venezia, Firenze). A Napoli sposò la nobile Francesca Vargas, che diede alla luce il suo unico figlio, Francesco II (26 aprile 1650).
Fu in contatto con diversi letterati, eruditi, scienziati e stampatori del tempo (fra gli altri, Antonio Bulifon, Giovan Francesco Loredano, Lorenzo Magalotti, Leone Allacci, Antonio Magliabechi). Ebbe anche modo di conoscere l’erudito genovese Angelico Aprosio, che non incontrò mai personalmente, ma con il quale intrecciò un fitto scambio epistolare, iniziato grazie all’intermediazione del comune amico Vincenzo Pallavicino. Le oltre 100 lettere, custodite presso la Biblioteca universitaria di Genova (ms. E.II. 4 bis e ms. E.IV. 14) e scritte nell’arco di 18 anni (dall’aprile 1660 sino alla metà del 1678), furono indirizzate ad Aprosio perlopiù da Napoli e dimostrano che Muscettola fu per l’amico di Ventimiglia un prezioso tramite con la coeva cultura regnicola. Sull’asse Napoli-Genova Muscettola concepì la tragedia LaBelisa, pubblicata a Lovano nell’agosto 1664, con il corredo delle meticolose ed eruditissime annotazioni di Oldauro Scioppio (cioè di Aprosio stesso: Le bellezze della Belisa, tragedia dell’Illustrissimo Signor Don Antonio Muscettola, abbozzate da Oldauro Scioppio).
Presentata dal suo autore come già conclusa in una lettera ad Aprosio dell’11 dicembre 1660 (ms. E.IV. 14, c. n.n.), LaBelisa in realtà vide la luce, con dedica a Carlo Emanuele II di Savoia, solo quattro anni più tardi, a causa del rifiuto del primo editore napoletano, a cui Muscettola si era rivolto, di pubblicare le annotazioni di Aprosio e a causa della morte dell’arciduca Ferdinando Carlo, il primo dedicatario dell’opera, per il quale il poeta aveva composto un panegirico poetico in 62 sestine.
Le lettere ad Aprosio contengono informazioni utili anche su altre opere di Muscettola, come il volume di Poesie (Napoli 1659) e quello di Prose (ibid. 1665), la favola drammatica Rosminda (ibid. 1669), la raccolta lirica intitolata IlGabinetto delle Muse (ibid. 1669), la commedia Rosaura ovvero l’innamorata scaltra (pubblicata a Napoli nel 1679 con lo pseudonimo di Costantino Vatelmo), la tragicommedia IlRadamitto (ibid. 1691, postuma). Un interessante autoritratto è contenuto nella citata lettera dell’11 dicembre 1660, in cui Muscettola tratteggia per il Teatro dei letterati letterati dell’abate Girolamo Ghilini (opera rimasta manoscritta) e su sollecitazione di Aprosio, un suo breve profilo biobibliografico e dà notizia anche di alcune sue opere al momento introvabili (la tragicommedia Stella, traduzione di un testo spagnolo, il romanzo Armidauro, il melodramma Armida, una Parafrasi de’ sette salmi penitenziali) o semplicemente ideate (un’epitome di storia della Spagna, un romanzo sul modello dell’Euformione di John Barclay). Emblematiche della stretta amicizia con Aprosio sono poi anche alcune lettere in cui Muscettola informa il suo corrispondente di Ventimiglia sulla stampa della Grillaia, pubblicata da Aprosio per la prima volta a Napoli nel 1668 per i torchi di Novello De Bonis, proprio grazie al decisivo interessamento di Muscettola.
All’attività creativa Muscettola affiancò anche l’impegno in alcune cariche pubbliche e civili. Nel 1664 gli venne affidato il governo della casa degli Incurabili e la prefettura dell’Annona. Nel marzo 1665 risulta eletto della città per il Seggio di montagna. Nel settembre 1668, a seguito di un contrasto con il viceré Pietro d’Aragona, si rifugiò prima in San Lorenzo e poi nella sua villa di Massa, dove fu obbligato a soggiornare nei mesi successivi con il divieto di ingresso a Napoli (lettera ad Aprosio del 30 aprile 1669: ms. E.IV. 14, c. n.n.). Con il successivo viceré, il marchese d’Astorga, tornò sulla scena pubblica e ricoprì nel giugno 1670 l’incarico di giustiziere (una sorta di sovrintendente al controllo dell’Annona).
Nel frattempo, la sua rinomanza negli ambienti poetici del tempo era vieppiù cresciuta: Giuseppe Battista gli aveva indirizzato alcuni sonetti, ricevendone anche risposte in rima, e uno dei suoi Epicedi eroici (In morte di suo zio, 1668-69); Pietro Casaburi Urries gli aveva dedicato alcune poesie e gli aveva chiesto, ottenendola, una lettera di premessa per la sua raccolta di liriche, Le Sirene (1676); Federigo Nomi gli riservò, post mortem, una citazione (1684) nel suo poema epico-satirico Il Catorcio d’Anghiari (Mattesini, 1984, XII, p. 337), accostandolo a Carlo de’ Dottori per la sua Belisa (sia pure in chiave parodistica). Numerosi suoi componimenti furono inseriti nelle raccolte poetiche di sodali e di accademici a lui vicini (Francesco Dentice, Lorenzo Crasso, Federigo Meninni, Carlo Buragna, Giovanni Canale, Baldassarre Pisani ecc.).
Molto contribuì alla sua fama la pubblicazione del volume di Poesie, stampato in prima edizione a Napoli nel 1659, poi riproposto in due parti, con accrescimenti, a Venezia (Parte prima: 1661; Parte seconda: 1669). La Parte seconda comprendeva, oltre a sonetti, anche componimenti più lunghi in sestine e la favola drammatica Rosminda. Un’ulteriore Parte terza, comprensiva del panegirico in onore di Clemente IX (La piramide della virtù) e della lunga tragicommedia Il Radamitto, fu pubblicata postuma a Napoli nel 1691 dal figlio Francesco, che vi aggiunse una corposa appendice di Componimenti varii fatti sopra la morte di D. Antonio Muscettola Duca di Spezzano (pp. 149-241).
Se nelle Poesie Muscettola rivela, per scelte tematiche e opzioni stilistiche, una piena adesione al marinismo, poi confermata nei sonetti e nei madrigali del Gabinetto delle Muse (Venezia 1669), evidente imitazione della Galeria di Giovan Battista Marino, non manca, tuttavia, di manifestare un notevole interesse anche per la linea poetica di Gabriello Chiabrera e di Fulvio Testi, come rivelano le odi pindariche e oraziane della raccolta.
Tipiche del clima di transizione fra Barocco e Arcadia, sono anche le Epistole familiari (Napoli 1678), singolare declinazione del genere dell’epistola eroica secentesca di matrice ovidiana. Indirizzate a 35 diversi destinatari, si inseriscono, infatti, nel filone del capitolo d’argomento moraleggiante, trattando una varietà di temi (spunti domestici e cronachistici, questioni di tipo linguistico e ortografico, problematiche letterarie) e segnano senza dubbio una svolta nella poetica di Muscettola, oramai caratterizzata da un’apertura sempre più evidente alle suggestioni innovatrici della prearcadia ‘investigante’ napoletana e da un abbandono dei precedenti paradigmi marinistici.
Per il genere della satira Muscettola manifestò sempre una speciale inclinazione, avendo anche composto, verosimilmente negli ultimi anni di vita, un poemetto epico-burlesco in tre canti (pubblicato postumo solo alla fine dell’Ottocento), notevole anche per l’adozione di un registro linguistico basso e scatologico. Intitolato la Carildeide ovvero il bordello sostenuto (ibid. 1886), vi si narrano le gesta erotiche di Giulia De Caro, attrice e cantante pugliese, con la quale forse lo stesso Muscettola ebbe una relazione, e contiene riferimenti, a chiave o espliciti, a numerosi personaggi illustri della Napoli del tempo (come il viceré Antonio d’Astorga). Altri componimenti satirici in italiano e in dialetto napoletano, attribuiti a Muscettola nel ms. XIII. C. 26 della Biblioteca nazionale di Napoli e incentrati su fatti, eventi, personalità della capitale del Regno, confermano la sua predilezione per il genere. Vittorio Imbriani gli attribuisce, citandone alcuni versi, anche un poema inedito in 18 canti e in terzine dantesche, oggi probabilmente perduto, Il Mondo senza maschera (Tallarigo-Imbriani, 1884, p. 556).
Oltre che per una vena poetica di tipo lirico e satirico-burlesco e per una scrittura teatrale proficuamente testata su molteplici generi (tragedia, commedia, tragicommedia, melodramma), Muscettola si distinse anche come prosatore. Un suo volume di Prose (Piacenza 1665) comprende un’agiografia di s. Barbara (Vita di Santa Barbara vergine e martire), un auto-commento, di carattere apologetico, alla Belisa (Per la favola della Belisa) e altri scritti di contenuto vario, nella linea della scrittura moralistica di marca barocca.
Ottenuto il titolo di duca di Spezzano il 20 agosto 1679 in seguito al decesso del padre, Muscettola morì nel suo castello di Molinara pochi mesì dopo, il 21 ottobre (Ricca, 1978, p. 168; il 16 dicembre secondo Innocenzo Fuidoro, Giornali di Napoli, ms. X.B.19 della Biblioteca nazionale di Napoli ). Fu sepolto nella cappella di S. Giuseppe, all’interno della chiesa di S. Domenico maggiore a Napoli.
Opere: Giulia de Caro «famosissima armonica» e il «Bordello sostenuto» del Sig. Don A. M., a cura di P. Maione, Napoli 1997; Rime, a cura di L. Montella, Alessandria 1998.
Fonti e Bibl.: Genova, Biblioteca Universi-taria, E.II. 4 bis; E.IV. 14; Napoli, Biblioteca nazionale, XIII C. 26; X.B.19; L. Crasso, Elogii degli huomini letterati, II, Venezia 1666, p. 225; A. Aprosio, Biblioteca Aprosiana, Bologna 1673, p. 463; Memorie, imprese e ritratti de’ Signori Accademici Gelati di Bologna, Bologna 1672, p. 55; F.S. Quadrio, Della storia e ragione d’ogni poesia, II, 1, Milano 1741, p. 222; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, pp. 233, 407; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Milano 1833, p. 567; C.M. Tallarigo - V. Imbriani, Nuova Crestomazia italiana…, III, Il Cinquecento e il Seicento, Napoli 1884, pp. 555-571; A. Broccoli, Del Fuidoro e del M., in LaLega del Bene, I (1886), 10, pp. 4-7; 11, pp. 7 s.; 12, pp. 6-8; 13, pp. 5 s.; 14, p. 8; 15, pp. 5 s.; 20, pp. 6 s.; 21, pp. 6 s.; 30, pp. 7 s.; 33, pp. 6 s.; U. Tria, D. A. M. duca di Spezzano ed il p. Angelico Aprosio da Ventimiglia, Napoli 1897; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1947, pp. 95, 340; I. Fuidoro, Giornali di Napoli dal MDCLX al MDCLXXX, a cura di F. Schlitzer et al., Napoli 1934-1943, passim; Opere scelte di Giovan Battista Marino e dei marinisti, a cura di G. Getto, II, Torino 1954, pp. 385-390; Marino e i marinisti, a cura di G.G. Ferrero, Milano-Napoli 1954, pp. 999-1002; B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1962, pp. 149, 316; Lirici marinisti, a cura di B. Croce, Bari 1968, pp. 351-362; A. Quondam, Dal Barocco all’Arcadia, in Storia di Napoli, VI, 2, Napoli 1970, pp. 812-817 e 1064; N. Toppi, Biblioteca napoletana, Bologna 1971, pp. 30, 330, 364; E. Ricca, La nobiltà delle due Sicilie, Bologna 1978, IV, pp. 467 s.; Poesia italiana del Seicento, a cura di L. Felici, Milano 1978, pp. 189 s.; F. Nomi, Il Catorcio d’Anghiari: secondo l’autografo di Borgo San Sepolcro, a cura di E. Mattesini, Città di Castello 1984, pp. XII, 337; C. Jannaco - M. Capucci, Il Seicento, a cura di A. Balduino, Padova 1986, p. 298; S. Flauto, Due componimenti inediti di A. M. duca di Spezzano, in Quaderni dell’Istituto nazionale di studi sul Rinascimento meridionale, XI (1996), pp. 15-25; C.G. Jöcher, Allgemeines Gelehrten-Lexicon, IX, Hildesheim-New York 1997, p. 245; G. Jori, La poesia lirica tra classicismo e Barocco, in Storia della letteratura italiana (Salerno), V, Roma 1997, p. 708 e passim; Antologia della poesia italiana, a cura di C. Segre - C. Ossola, Torino 1999, pp. 200 s. -, 620; G. Getto, Il Barocco letterario in Italia, Milano 2000, pp. 57 s., 61, 72; B. Croce, Nuovi Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, I, a cura di A. Fabrizi, Napoli 2003, passim.