NOVELLI, Antonio
– Figlio di Clemente di Domenico, nacque a Castelfranco di Sotto (Pisa) il 1° ottobre 1599 (Franceschini, 1980, p. 106). Stando invece al suo primo biografo, Filippo Baldinucci (1728 [cui si fa riferimento ove non diversamente indicato], pp. 339-352), sarebbe nato nel 1600. Sebbene la biografia di Baldinucci sia basata su informazioni raccolte dalla viva voce di Novelli e del suo allievo Jacopo Maria Foggini, spesso non trova conferma nei documenti e va dunque presa con cautela per le notizie prive di riscontri.
Di famiglia riconosciuta già nel Cinquecento tra quelle «anziane e antiche nel governo del Comune» (Franceschini, 1980, p. 75), sarebbe stato avviato a Castelfranco allo studio delle «umane lettere» e della musica e sarebbe stato poi «posto all’esercizio del pittore» dopo che lo zio paterno, piovano, avrebbe riconosciuto in lui un «buon genio al disegno» (Baldinucci, p. 339). Un possibile candidato come primo maestro è il pittore Cristofano Allori, podestà di Castelfranco nel 1607 (Franceschini, 1980, p. 95). Sempre stando al primo biografo, Novelli avrebbe dimostrato allora un’inclinazione alla scultura, in verità alquanto sorprendente considerata la mancanza di una locale tradizione in quest’arte. A 15 anni sarebbe stato di conseguenza mandato a Firenze a studiare con un allievo di Giovanni Caccini, Gherardo Silvani, il più importante architetto fiorentino del Seicento, ma attivo anche – almeno fino alla metà del terzo decennio del secolo – come scultore. Che Novelli abbia avuto Silvani come maestro risulta confermato dal più antico documento che lo riguarda: un pagamento corrisposto da Michelangelo Buonarroti il Giovane a Silvani e preso in consegna proprio da «Antonio Novelli suo mandato» il 10 maggio 1618 (Vliegenthart, 1976, p. 241).
Secondo una ‘fede’ autografa prodotta in occasione di un processo del 1625 (segnalata da Pizzorusso, 1989, 68 n. 36), era «andato a inparare la professione da’ primi princìpi» per «quattro anni e più» (Archivio di Stato di Firenze, Accademia del disegno, 72, c. 319r). Stando a tale ‘fede’, l’alunnato era terminato quando Novelli entrò nella bottega di un altro allievo di Caccini, Agostino Ubaldini, l’11 settembre 1618. Il rapporto tra Novelli e il suo secondo maestro sarebbe stato più di collaborazione che di discepolato, «avendo di poi messo mano quasi in tutte le sue statue, e tirato da lui provvisione» (Baldinucci, p. 339).
Mentre lavorava ancora a fianco di Ubaldini, avrebbe però fatto «alcune cose sopra di sé» (ibid.). Di queste lo storico menziona esplicitamente un «putto di marmo grande quanto il naturale, che si vede in atto di notare nell’isola del Giardino di Boboli». La scultura, terminata entro il 10 febbraio 1621 (Capecchi, 2008, p. 140 doc. 35), era destinata al cosiddetto Bagno di Venere in Boboli, ora smantellato. L’arredo plastico è stato riposizionato altrove nel complesso di Palazzo Pitti e di Boboli e il ‘putto’ di Novelli è stato identificato in un marmo oggi posto nella vasca della Grotta di Mosè nel cortile di Pitti (Fabbri, 2003, p. 491; ma cfr. Capecchi, 2008, p. 71).
Tra le opere fatte «sopra di sé» mentre assisteva Ubaldini vanno annoverati alcuni modelli in cera che si «esibiva» a fare «con ogni dua mesi uno di essi per prezzo di quaranta ducatoni», come scrisse in una lettera del 3 maggio 1622 Filippo Belardi a Caterina Medici Gonzaga, duchessa di Mantova (Piccinelli, 2000, pp. 329 s. n. 816). Belardi comunicava l’invio di sei di queste cere e lodava il loro autore come «vertuosissimo», aggiungendo che «ha fatto in Boboli di belle cose et in particolare un puttino di marmo disteso». La testimonianza riguardo alle cere è preziosa, facendo intravvedere come Novelli fosse già attivo anche come modellatore e dando ragione della sua successiva produzione di terrecotte, di bronzi e di «modelli per orefici e argentieri» attestata pressoché esclusivamente da Baldinucci (pp. 340, 348).
Alla morte di Ubaldini nel 1623, secondo Baldinucci (p. 339), Novelli avrebbe terminato «alcune sue opere [che] rimasero imperfette». Dalle carte del processo del 1625 emerge però che Novelli «alla morte di detto [Ubaldini] stava con il Silvani» e che solo l’erede di Ubaldini «lo messe in possesso cedendoli la roba di bottega [di Ubaldini] e lavori e loro interessi, dove che al presente [1625] è debitore di gran somma di danari» (Archivio di Stato di Firenze, Accademia del disegno, 72, c. 318rv).
Baldinucci (pp. 339 s.) menziona, tra le opere di Ubaldini che Novelli fu chiamato a completare, le allegorie della Musica e della Pittura, «due femmine di mezzo rilievo che sono al sepolcro di Arcangela Palladina», morta nel 1622 e definita «celebre musica della Serenissima Archiduchessa», ovvero di Maria Maddalena d’Austria, vedova del granduca Cosimo II. Questo monumento sepolcrale si trova nella loggia della chiesa di S. Felicita a Firenze. Per l’evidente diversità di concezione e lavorazione, le due allegorie, poste sul sarcofago ai lati del busto della defunta, sono di mano diversa. Non è facile concordare con Caterina Caneva (1974-75; 1993, p. 96; seguita da Fiorelli Malesci, 1986, p. 275, e Pizzorusso, 1989, p. 70) quando riconosce nella Pittura (la figura stilisticamente più ambiziosa e più vicina al modo di Caccini) un «massiccio intervento del Novelli», al quale sembra invece spettare la Musica, opera ancora acerba.
Sebbene il processo del 1625 suggerisca (contrariamente a quanto scrive Baldinucci, 1702, p. 50) che Novelli abbia terminato anche altre opere del suo secondo maestro, le fonti finora note ne indicherebbero soltanto una, la statua della Religione, «di marmo maggiore del naturale», che si trovava nel secondo chiostro del convento della Ss. Annunziata: inventata da Caccini, sarebbe opera finita da Silvani, da Ubaldini e da Novelli (Pizzorusso 1989, p. 68). La scultura, attualmente dispersa, fu vista per l’ultima volta nel 1970 «rovinata e mutilata» (Caneva, 1974-75, p. 72 n. 5).
Il completamento del sepolcro Paladini dette forse a Novelli l’opportunità di entrare in rapporto con Maria Maddalena d’Austria, che probabilmente lo aveva commissionato. Per la villa del Poggio Imperiale, di proprietà della granduchessa, eseguì un perduto «Vento, che mostra di stracciare una vela» (Baldinucci, p. 340). Nonostante lo storico lo dati «circa all’anno 1630», deve essere anteriore al 9 ottobre 1627, giorno in cui furono saldati gli ultimi conti degli scultori che avevano lavorato per la villa (Archivio di Stato di Firenze, Scrittoio delle Regie Possessioni, 4290, c. 18). Secondo Giovanni Cinelli (cit. in Hoppe, 2012, pp. 286 s., doc. 8), Novelli sarebbe autore non di una ma di più statue dei Venti (il programma iconografico ne prevedeva otto), di ‘pietra bigia’, alte «braccia cinque l’una» e poste entro nicchie che si trovavano nelle due ali davanti all’edificio. Scomparsa è anche un’altra opera di Novelli commissionata per quel complesso, la statua allegorica del Fiume Ombrone, eseguita a pendant di quella dell’Arno, di altro artista: si tratterebbe di due «colossi di spugne».
La più antica opera di sicuro autonoma di Novelli, completata entro il 24 settembre 1626 (data della ricevuta di pagamento), è lo stemma di ‘pietra bigia’ che orna ancora il palazzo dei Pasquali (Archivio di Stato di Firenze, Pasquali, 121). Strettamente collegato a quest’opera era il perduto «ritratto di terracotta del nostro avolo posto nella nicchia sopra il nostro cancello» (ibid.; Bevilacqua, 2007) che sarebbe stato dipinto di biacca a simulare il marmo da un certo maestro Giuliano. Terminato tra il 2 settembre e il 9 ottobre 1627, raffigurava Andrea Pasquali, medico di Cosimo I, e di esso parla, dicendolo di marmo bianco, anche Baldinucci (p. 340), secondo il quale Novelli avrebbe eseguito anche il busto del figlio di Andrea, Cosimo (morto nel 1624), e di Bernardo Salvetti (1574-1625), figlio di una sorella di questo (Sicca, 2010, p. 8 n. 13).
Poco più di tre mesi dopo la realizzazione dello stemma Pasquali, nel gennaio 1627, Novelli iniziò a lavorare agli stucchi «nella volta del terazo dorato e nelle lunette» di Palazzo Pitti, uno spazio che più tardi venne chiuso e assunse il nome di sala della Stufa. A questa impresa collaborò con il meno noto Bastiano Pettirossi. I pagamenti per questo raro esempio di decorazione a stucco, nel primo Seicento, a Firenze vanno dal 4 gennaio al 27 febbraio 1627 (Caneva, 1974-75, pp. 91 s., 349 doc. I). I suoi elementi figurativi consistono in quattro coppie di putti e otto medaglioni con ritratti di altrettanti celebri sovrani (Tordella, 2003). Il lavoro venne saldato il 15 maggio 1627.
Sembra che Novelli avesse in quell’anno una collaborazione professionale con Pettirossi. Annotando allora che i due scultori «concorrano alla restaurazione delle mie statue antiche», Michelangelo Buonarroti il Giovane forniva un’ulteriore informazione: che essi «stanno insieme in Via della Scala», dove già Caccini aveva avuto il suo studio. Al 12 aprile 1627 risale il primo pagamento datato per questo lavoro di restauro (Vliegenthart, 1976, p. 216 n. 925), saldato più tardi quel mese (il 24 secondo Procacci 1965, p. 16; il 27 secondoVliegenthart 1976, p. 216 n. 925): consisteva nelle integrazioni, eseguite in pietra serena, di due statue di togati (Procacci, 1965, p. 16 n. 60; Corsi, 1997, p. 28).
Di poco successiva è la commissione a Novelli di una perduta statua della Dovizia da parte del balì Giovan Battista Martelli, il quale il 18 maggio 1627 intimò Pietro Paolo Albertini, che la «aveva presa a fare già otto mesi incirca» (Archivio di Stato di Firenze, Accademia del disegno, 93, c. 33r; Pizzorusso, 1989, p. 104 n. 15), di completarla entro quindici giorni. L’ingiunzione sembra non avesse avuto buon esito, se Baldinucci (p. 341) riporta che Novelli eseguì una statua con questo soggetto per lo stesso committente (morto nel 1636) che l’avrebbe posta nel «giardino della allora sua villa di Scandicci», da identificare con l’attuale villa Boccini. Si tratterebbe, a quanto pare, di una figura che si limitò a terminare (Pizzorusso, 1989, p. 104).
Tra il 1627 e il 1630 va collocata la realizzazione di due statue avviate da Silvani e destinate alla cappella di S. Sebastiano di patronato dei Pucci. Le due statue erano state commissionate a Caccini. A causa di una lite tra il committente Ruberto Pucci e lo scultore, la vedova del primo, Ottavia Capponi Pucci, si rivolse a Silvani, cui le opere vennero commissionate ex novo. Dai pagamenti nel fondo Riccardi (679) dell’Archivio di Stato di Firenze si evince che nemmeno questo artista riuscì a portarle a termine. Il completamento fu allora chiesto a Novelli, che vi lavorò dal 4 dicembre 1627 al 27 agosto 1630 riscuotendo un totale di 124 scudi. Sebbene l’ultimo pagamento risulti per il ‘resto’ delle due statue, dovevano essere ancora incomplete, se Novelli venne di nuovo incaricato di lavorarvi a partire dal 1651.
Il 13 agosto 1628 si immatricolò nell’Accademia del disegno, al cui interno avrebbe in seguito ricoperto vari incarichi (Zangheri, 1999, pp. 48, 55 s., 58 s., 61 s., 64, 66, 74 s., 80 s., 87; 2000, p. 236)
Al 1629 risalgono due statue di pietra arenaria, non leggibili nei dettagli a causa del loro deterioramento, di giovani che reggono scudi con le armi Strozzi e Ciappi nella facciata del Palazzo Strozzi, detto ‘del Poeta’, in Via Tornabuoni 5 (Martelli, 2007).
Agli anni dei lavori per i Pasquali Baldinucci (p. 340) fa risalire alcuni lavori in bronzo, due piccoli rilievi con la Flagellazione e la Coronazione di spine, così come un Crocifisso alto «due terzi di braccio, e due Angeli di simile grandezza». Sebbene queste opere siano perdute, la loro cronologia all’interno della carriera di Novelli è confermata da una acquisizione documentaria secondo la quale il 24 ottobre 1629 ricevette da Alfonso Altoviti (committente, a Silvani, dei lavori di ammodernamento del Palazzo Altoviti di fronte al Palazzo Strozzi del Poeta) un pagamento per un Crocifisso di bronzo (Zikos, in corso di stampa).
Il 22 marzo 1630 stimò alcuni lavori per il palazzo Castelli, eseguiti da Albertini (Pizzorusso, 1989, p. 105 n. 22). La perizia era stata richiesta dall’Accademia del Disegno dopo due precedenti valutazioni discordanti, a riprova della stima che Novelli godeva a questa data nell’ambiente artistico della città.
Intorno al 1630 vanno datate due statue testimoniate solo da Baldinucci (p. 341): «alte due braccia rappresentanti due mesi dell’anno», erano state commissionate a Novelli tramite l’«abate Fabbroni» da Maria de’ Medici, regina di Francia. Come si evince dalla ‘vita’ di Chiarissimo Fancelli, stilata sempre da Baldinucci (p. 136), facevano parte di una serie di diciotto, iniziata da Fancelli e continuata da Novelli e da altri scultori. Il termine ante quem dovrebbe essere il 1631, anno in cui Maria andò in esilio. Sempre solo Baldinucci (p. 340) attesta la commissione a Novelli da parte del pittore Domenico Cresti, detto il Passignano, di un suo busto ritratto e di una «Lucrezia romana di macigno». Baldinucci data queste opere subito dopo l’esecuzione del Vento per Poggio Imperiale e, in effetti, i termini cronologici più plausibili sono quello del ritorno a Firenze di Passignano da Roma (dove è documentato per l’ultima volta nel novembre 1627) e quello della sua morte, nel 1638.
Quasi tutte le opere di Novelli pervenute datano a partire dal 1630. Il 18 febbraio 1631, nella sua villa, detta della Bifolcheria, presso Incisa nel Valdarno, morì Alfonso Altoviti, che allo scultore aveva commissionato un Crocifisso di bronzo due anni prima. Il 29 aprile successivo Novelli e Francesco di Orazio Mochi furono pagati per la prima volta da Guglielmo Altoviti per realizzare (su disegno di Baccio del Bianco) il sepolcro di Alfonso nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano, detta del Vivaio, a Incisa. Mochi lavorò lo stemma Altoviti, Novelli intagliò invece il busto del defunto (Ottawa, National Gallery of Canada), poi sostituito con una copia coeva in pietra serena tinta di bianco, due imprese, due teschi, una clessidra e un’iscrizione, tutti di marmo bianco e saldati il 23 agosto 1633 (Baldinucci, p. 340; Zikos, in corso di stampa). Il busto Altoviti dipende dal ritratto di Michelangelo Buonarroti il Giovane scolpito da Giuliano Finelli a Roma (Firenze, Casa Buonarroti), che Novelli vide sicuramente poco dopo l'arrivo a Firenze (25 ottobre 1630), e più precisamente quando ricevette da Buonarroti la commissione di una statua del suo grande antenato, probabilmente poco prima del 7 giugno 1631: in quel giorno Buonarroti ordinò a Carrara il marmo per questa scultura, il cui modello doveva dunque essere stato già definito. In effetti gli ultimi pagamenti per il sepolcro Altoviti (saldato il 23 agosto 1633) vennero effettuati nell’arco di tempo nel quale ha inizio la statua di Michelangelo, il cui marmo arrivò allo studio di Novelli in piazza Antinori il 25 febbraio 1633 (Vliegenthart, 1976, p. 216 n. 921). Michelangelo è raffigurato seduto come le sue statue di Giuliano e Lorenzo de’ Medici nella sacrestia nuova di S. Lorenzo. Stando a Baldinucci (p. 341), che la giudica infelice, la statua sarebbe stata eseguita (seguendo la volontà del committente) su un disegno del pittore Fabrizio Boschi, riconosciuto in un foglio degli Uffizi che la sola Caneva (1974-75, p. 135) considera invece opera di Novelli. I termini di esecuzione della statua vennero fissati in un contratto, datato 6 aprile 1633, dove però non si specifica che lo scultore avrebbe dovuto seguire il disegno di Boschi, bensì che l’opera non avrebbe dovuto avere «alcun rapezzamento o ristuccamento» (Vliegenthart, 1976, pp. 245 s., appendice 5). La statua (che costò 150 scudi) venne saldata il 21 luglio 1635 (ibid., pp. 216, 245 s., appendice 3).
Di lì a poco, l’11 ottobre 1635, il giovane granduca Ferdinando II conferì a Novelli un incarico di grande rilievo, ovvero il marmo colossale della Legge Mosaica, destinato alla Grotta di Mosè nel cortile di Palazzo Pitti, dove ancora si trova (Caneva, 1974-75, p. 355 doc.VI; Pizzorusso, 1989, p. 25 n. 47). Oltre che a questa statua – per la quale ricevette un primo acconto il 29 dicembre successivo e che gli fu saldata per 550 scudi il 5 giugno 1638 (Fabbri, 2003, p. 489) – Novelli lavorò alla sistemazione delle stalattiti e delle spugne della grotta (Caneva, 1974-75, pp. 137, 355 doc. VI). Nella figura biblica trovò una sua formula di classicismo, dando prova di grande perizia nell’intaglio (soprattutto del panneggio) e allontanandosi, nel contempo, dallo stile tardocinquecentesco dei suoi maestri.
Con il Cristo risorto di S. Marco (ricetto della sacrestia), commissionatogli da Angelo Ganucci e terminato poco prima del 22 febbraio 1641, Novelli raggiunse uno dei suoi apici. L’opera evoca la scultura del primissimo Cinquecento fiorentino, al punto di indurre Alessandro Parronchi (1988-89) a ritenerla cominciata da Andrea Sansovino e solo finita da Novelli, ipotesi alquanto improbabile e contraddetta anche dalle vicende esecutive dell’opera, che fu necessario rielaborare per addattarla entro una nicchia poco profonda, parte di un insieme disegnato da Matteo Rosselli (Caneva, 1974-75, pp. 359 doc. 10, 360 doc. 11, 361 doc. 12; 1993, pp. 94 s.).
Il 21 aprile 1641 siglò un contratto con Andrea Del Rosso, con cui si impegnava a eseguire, per 900 scudi, la facciata della cappella Del Rosso nella chiesa dei Ss. Michele e Gaetano, principale cantiere barocco a Firenze (Chini, 1984, pp. 155, 327 doc. 60-B). Si trattava di completare una decorazione a marmi «tanto bianchi quanto misti» e lo scultore avrebbe dovuto rispettare «l’istesse condizioni et patti s’è osservato nella cappelle di già fatte con maestro Alessandro Malavisti», precisazione che sembrerebbe indicare una non documentata collaborazione precedente fra Novelli e Malavisti. Il contratto prevedeva inoltre l’esecuzione di una «statua di marmo, che andrà in mezo conforme sta nel disegno», cioè il busto della Vergine che si trova in questa cappella (Caneva, 1993, p. 95), da identificare con la «immagine di Maria Vergine, testa col busto», scolpita, secondo Baldinucci (p. 341), per una «cappella domestica» di Andrea Del Rosso. Sempre il 21 aprile 1641 Malavisti concordava con Del Rosso la realizzazione della decorazione interna della cappella, riservando però a Novelli «le due cartelle di marmo che vanno in dette bande [di dentro] della cappella», ovvero i due cartigli marmorei sopra le cornici dei dipinti (Chini 1984, pp. 155, 327 s. doc. 60 B). Per lo stesso committente Novelli scolpì le statue dei santi Simone e Andrea all’esterno della cappella Del Rosso, mentre per l’esterno della cappella Franceschi nella stessa chiesa realizzò le statue degli evangelisti Giovanni e Matteo (ibid., pp. 207-209). Le carte d’archivio note non permettono di precisare la data d’esecuzione di queste quattro figure, emblematiche dello stile maturo di Novelli. Baldinucci pospone la loro esecuzione al suo viaggio romano, che ebbe luogo nel 1645. Se così fosse, ci si aspetterebbe di trovare un riscontro dell’impatto che ebbe su di lui lo stile barocco di Roma, invece del tutto assente. Stilisticamente omogenee, le statue devono essere state lavorate nello stesso periodo, forse dopo il 1641, che non è solo la data del contratto con Del Rosso ma anche quella visibile nella lapide dedicatoria della cappella Franceschi (Caneva, 1974-75, p. 178; 1993, p. 95), e prima del 1645. Nei Ss. Michele e Gaetano, Novelli avrebbe lavorato anche ad alcuni stucchi e ad alcune teste di cherubini per la cappella Ardinghelli nel 1643 (Chini, 1984, p. 141).
Negli anni Quaranta lo scultore era affittuario dei Pasquali, come emerge da una serie di pagamenti che vanno dall’agosto 1642 al giugno 1647 (Archivio di Stato di Firenze, Pasquali, 122) e riguardano non solo «la pigione d’una bottegha et un porticho e una stanza sopra la stalla» (da identificare forse con lo studio che lo scultore occupava già nel 1633 nella piazza Antinori), ma anche «due figurine di terra cotta» e «uno putto di terra cotta, servì per la capannuccia e la testa d’asino».
Del 1641 sarebbe, stando a Giovanni Targioni Tozzetti (Caneva, 1974-75, p. 206), il busto del giovane Ferdinando II, posto sulla facciata di casa Nardi in via dell’Alloro (Baldinucci, p. 341), e «intorno al 1641 andranno collocati anche alcuni busti medicei nei quali il Novelli non si discosta dalla tradizione figurativa locale», ovvero i busti di Ferdinando I, Cosimo II e Ferdinando II nella facciata dell'antico monastero di S. Jacopo sopr’Arno (Caneva, 1993, p. 97).
Stando sempre a Baldinucci (p. 341), Novelli si dedicò anche al restauro antiquario. Avrebbe restaurato «per lo Marchese Giovanni Corsi e per altri cavalieri fiorentini molte statue». I lavori per Corsi andrebbero datati intorno al 1640, in concomitanza cioè con quelli da lui messi in atto nella sua villa di Sesto Fiorentino. Un altro restauro è testimoniato il 29 luglio 1642, quando lo scultore venne pagato da Lisabetta Salviati Capponi «per haverli restaurato una venere di basso rilievo e per haverli assettato teste e busti di marmo della signora Ottavia Capponi Pucci» (Fabbri, 1992, p. 115 n. 72). Altri restauri di varie statue furono commissionati nel novembre di quell’anno dal principe Giovan Carlo (Caneva, 1993, p. 110 doc. 1) e altri seguirono, sempre per lo stesso committente, nel 1646, quando il 6 luglio sono documentati pagamenti per il restauro di statue antiche (Barocchi - Gaeta Bertelà, 2007, pp. 26 n. 84, 50 s. n. 184).
In quel lasso di tempo Giovan Carlo, divenuto cardinale nel 1644, «volle, nell’andare a Roma a pigliare il cappello condurlo [Novelli] seco in qualità di scultore» (Baldinucci, p. 341). Il viaggio durò dal 9 febbraio al 2 giugno 1645 (Barocchi - Gaeta Bertelà, 2007, p. 34 n. 99) e in quel periodo scolpì un busto del neocardinale per il palazzo Madama, non identificabile ma documentato (Caneva, 1974-75, p. 218). Roma ebbe un grande impatto su Novelli, il quale avrebbe confessato con rammarico al suo discepolo Giovan Maria Foggini (che vi soggiornava): «O Foggini, o Foggini, bisognava per me esserci venuto prima» (Baldinucci, p. 341).
Il «busto a grandezza naturale» di un personaggio di spicco della corte del cardinale, Filippo Niccolini, documentato nel 1645 (Spinelli, 2010, p. 271), andrebbe datato dopo il viaggio romano. Allo stesso anno risalgono i lavori alla fabbrica della grotta del giardino di via della Scala, annesso al casino dato in usufrutto dal granduca al cardinale Giovan Carlo il 1640 (Caneva, 1974-75, p. 365 doc. XV; 1993, p. 110 doc. 1). La grotta sarebbe opera di Novelli e «figurata per l’antro di Polifemo», diviso «in tre grandi spazi, in ciascheduno de’ quali è una gran figura di mezzo rilievo composta di spugne» (Baldinucci, p. 344). Il successivo saldo di tutti i lavori di Novelli per questo giardino le conferma come sue opere, ma non è possibile stabilire se la loro esecuzione risale a questa prima fase della sistemazione del sito.
Il 1649 firmava e datava una scultura fatta per conto proprio, una Maddalena (Stoccolma, Museo nazionale), poi acquistata da un emissario di Cristina, regina di Svezia. Di impostazione classicista, rivela nell’intaglio virtuosistico soprattutto dei capelli, il modo di scolpire proprio di tanti protagonisti del barocco romano.
Nel 1651 riprendeva il lavoro alle statue per la cappella Pucci, che sarebbe durato fino al 1657 (Archivio di Stato di Firenze, Riccardi, 791; Fabbri, 1992, pp. 115-118, 150-152 doc. 38). Il 27 aprile 1651 ricevette un primo acconto da parte di Ottavia Capponi Pucci per la statua della Gloria e per il completamento di una statua di marmo cominciata già da Silvani, che dovrebbe essere il Martirio, opera, in effetti, molto diversa dalla Gloria lavorata ex novo da Novelli. La Gloria cominciata da Silvani e finita da Novelli nel 1630 dovrebbe essere la statua scartata dalla committente, la quale secondo Baldinucci (1702, p. 53) l’avrebbe data al nipote Vincenzo Capponi. Il saldo per il completamento del Martirio e per la Gloria risale al 28 aprile 1657. Durante questa seconda campagna per le statue Pucci, Novelli percepì 170 scudi contro i 320 riferiti da Baldinucci (ibid.), totale al quale non si arriva neanche aggiungendo i 124 della prima campagna di cui si è scritto sopra.
I pagamenti di Ottavia Capponi Pucci si accavallavano con una serie di pagamenti da parte del cardinale Giovan Carlo per il giardino di via della Scala, che iniziarono dopo il 30 giugno 1652 per concludersi entro il 30 giugno 1657, quando Novelli venne saldato una prima volta per tutte le sue sculture per questo ambiente (Caneva, 1974-75, pp. 240-245; 1993, p. 110 doc. 2; Barocchi - Gaeta Bertelà, pp. 65 n. 212 [che riferiscono però i pagamenti alla villa di Castello] e 100 n. 317). In questo primo saldo (seguito da una ‘correzione’ il 9 ottobre 1658) sono incluse «diverse statue di spugne, rappresentanti Eolo con li sua venti», le tre figure cioè della grotta cominciata nel 1648, un «puttino di terracotta», «diversi modelli» e «un colosso di braccia 19 incirca» (Barocchi - Gaeta Bertelà, 2007, p. 100 n. 317), cioè il «Polifemo in atto di bere all’otre», la cui complessa realizzazione è lodata da Baldinucci (p. 344; Caneva, 1993).
Nella prima metà degli anni Cinquanta – in concomitanza cioè con il lavoro delle statue Pucci e con le commissioni per il giardino di via della Scala – Novelli deve aver eseguito i modelli per le figure del ‘gran ciborio’ della Ss. Annunziata, datato 1655 (Caneva 1993, pp. 107s.; Liscia Bemporad, 1992, p. 222). In un processo del 1656 tra Domenico Pieratti e Agnolo Galli, egli viene più volte elencato tra i migliori scultori della città (Pizzorusso 1989, pp. 187-190).
Baldinucci riferisce di un primo soggiorno di Novelli a Castelfranco, successivo al termine dei lavori al giardino di via della Scala e durato dodici anni; la notizia è stata messa in dubbio da Caneva (1974-75, p. 261), il cui parere trova riscontro nella documentazione dell’Accademia del disegno, dove Novelli non risulta tra il 1657 e il 1661 (Zangheri, 2000, p. 236). Indubbiamente ritornò a Firenze per realizzare il suo ultimo lavoro noto, il colossale Atlante, costruito per la festa a cavallo celebrata a Boboli nel luglio 1661 in occasione del matrimonio tra il Gran Principe di Toscana, Cosimo di Ferdinando II, e Marguerite Louise d’Orleans. Le forme per le varie parti dell’Atlante (che si vede in una famosa incisione di Stefano della Bella) furono costruite nel giardino di via della Scala (Caneva 1974-75, p. 270; 1993, p.106). Il successo di quest’opera gli valse la nomina a soprintendente alle Statue della Real Galleria (cioè alle statue antiche della Galleria degli Uffizi), «carica per avanti non più conferita» (Baldinucci, p. 347).
Morì a Firenze il 16 settembre 1662 e fu sepolto il giorno successivo in S. Jacopo sopr’Arno (Caneva, 1993, p. 108).
Secondo Baldinucci, Novelli avrebbe condiviso l’interesse per le scienze diffuso a Firenze nel Seicento: avrebbe inventato uno strumento musicale, sarebbe stato un bravissimo costruttore di lenti e avrebbe cercato di far rivivere l’antica tecnica della terracotta invetriata.
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