ORDELAFFI, Antonio
ORDELAFFI, Antonio. – Nacque a Forlì, probabilmente nel 1388, figlio naturale di Cecco (Francesco III) Ordelaffi, signore di Forlì insieme al fratello Pino dal 1385 al 1405.
Quando Cecco morì, nel settembre 1405 – Pino era morto nel 1402 – Antonio, benché nato fuori dal matrimonio, gli successe in quanto unico erede maschio. Pochi giorni dopo, tuttavia, in città scoppiò un’insurrezione che portò all’instaurazione di un libero governo comunale, che riprendeva il linguaggio e le forme istituzionali dei regimi di popolo di Due e Trecento.
Negli Annales Forolivienses si legge che i forlivesi «sub populari statu et dominio rei publice se gubernant» (p. 81), mentre Girolamo Fiocchi, nel suo Chronicon contemporaneo agli eventi, usa le espressioni «regere ad comunitatem» e «regere ad populum» (Chroniconfratris Hieronimi de Forlivio, p. 6). Fu istituito un nuovo collegio di dodici priori, che occupò il vertice delle istituzioni comunali riformate. A ottobre il legato papale Baldassarre Cossa pretese la sottomissione della città alla Chiesa. Di fronte al rifiuto opposto dal nuovo regime, il cardinale lanciò l’interdetto su Forlì e indirizzò le sue truppe contro la città. Nel maggio 1406 il governo comunale scese a patti con Cossa e accettò un podestà e un capitano nominati dal legato. Negli anni successivi a capo del Comune si trovano di nuovo, come prima del 1405, gli anziani, segno che la riforma istituzionale popolare era stata affossata.
Antonio fu costretto ad abbandonare la città, come Giorgio, figlio naturale di Tebaldo di Ludovico Ordelaffi, che negli anni successivi tentò di ristabilire il dominio degli Ordelaffi su Forlì. Giorgio riuscì a ottenere l’aiuto economico e militare di altri signori che vedevano di buon occhio un ridimensionamento della posizione del papato nella regione: di Gian Galeazzo Manfredi, che grazie all’aiuto di Ordelaffi nel 1410 tornò al potere a Faenza; di Ludovico Alidosi signore di Imola, del quale dopo il rientro a Forlì avrebbe sposato la figlia Lucrezia; e del potente Niccolò III d’Este, signore di Ferrara, Modena, Reggio e Parma. Grazie a questa trama di alleanze e all’impegno dei suoi fautori attivi all’interno della città, il 7 giugno 1411 Giorgio riuscì a entrare a Forlì, scortato, secondo le cronache, da 2000 pedites, e fu acclamato signore. Aveva portato con sé il giovane Antonio Ordelaffi, ma alla fine di agosto di quello stesso anno, quando fu scoperto un complotto per uccidere il signore, Antonio fu accusato di essere tra i mandanti e venne incarcerato nella rocca di Ravaldino. Dopo il matrimonio di Giorgio con Lucrezia Alidosi, nel luglio 1412, fu trasferito a Imola, dove rimase prigioniero fino al febbraio 1424.
Nel 1418 Giorgio ottenne il riconoscimento del vicariato apostolico da Martino V. Morì quattro anni dopo, nel gennaio 1422, e gli successe il figlio Tebaldo, di soli nove anni. Di fatto, le redini del potere furono prese da Ludovico Alidosi, padre della vedova Lucrezia, il quale tra l’altro inviò a Forlì un folto contingente di armati per premunirsi contro eventuali disordini. L’invadente tutela degli imolesi suscitò un diffuso malcontento, e nel maggio 1423 scoppiò un tumulto popolare. Il fattore scatenante fu rappresentato dalla voce che presto truppe fiorentine sarebbero entrate in città: Ludovico Alidosi era infatti fedele alleato di Firenze in funzione antiviscontea. Due giorni dopo l’insurrezione fecero il loro ingresso in città i soldati di Filippo Maria Visconti, che erano di stanza a Lugo, al comando di Secco da Montagnana e altri condottieri. È probabile, quindi, che la rivolta fosse stata in qualche modo sostenuta e incoraggiata dai viscontei, che intendevano sottrarre la città ad Alidosi e, soprattutto, ai fiorentini. A partire dal 1424 Forlì passò sotto il dominio dei Visconti. Nel febbraio 1424 l’esercito visconteo occupò anche Imola, e Ludovico Alidosi, sconfitto, fu condotto a Milano. La guerra in Romagna durò ancora un paio d’anni finché nel maggio 1426 Visconti, avendo deciso di svincolarsi dal fronte romagnolo per concentrare i propri sforzi contro Venezia, che minacciava i suoi domini lombardi, cedette Forlì alla Chiesa.
Non sembra che Antonio Ordelaffi, che fu liberato nel 1424, dopo l’occupazione viscontea di Imola, abbia avuto un ruolo attivo nella guerra in Romagna. In ogni caso, negli anni del dominio diretto della Chiesa rimase fuori da Forlì. È probabile che, come era accaduto anche tra il 1406 e il 1411, i governatori papali non consentissero ai membri della famiglia Ordelaffi, che disponevano ancora di molti sostenitori e potevano agire da catalizzatori del malcontento popolare, di risiedere in città. Antonio si insediò a Lugo, dove poteva contare sulla protezione delle truppe viscontee e da dove nel 1432 e nel 1433 effettuò diversi tentativi per entrare a Forlì e ritornare al potere. Il 26 dicembre 1433 scoppiò un’insurrezione popolare contro il governatore papale, il veneziano frate Tommaso, vescovo di Traù.
Proprio come nel 1423, sembra che la rivolta fosse determinata dalla voce, probabilmente infondata, di un imminente arrivo di truppe veneziane, chiamate da Tommaso. È evidente, insomma, che i cittadini nutrivano una sostanziale ostilità nei confronti delle potenze ‘straniere’, un forte sentimento municipalistico e un attaccamento all’idea della ‘libertà’ cittadina, intesa come reggimento autonomo, che poteva essere espresso tanto da un governo collegiale quanto da una dinastia signorile autoctona.
Secondo la fonte principale di cui disponiamo per la ricostruzione di queste vicende, la dettagliata cronaca del pittore Giovanni Merlini (Giovanni di maestro Pedrino depintore ..., 1929-34), testimone oculare degli eventi, Antonio non avrebbe avuto parte in questa rivolta, che culminò con il saccheggio del palazzo del Comune, sede del governatore, e la distruzione della documentazione emanata dalle autorità papali. Il tumulto scoppiò in effetti al grido di «viva il puovolo e la libertade» e fu determinato, secondo il cronista, dalla volontà dei cittadini di governarsi da soli («fo ordinado dai citadini volere el regimento per loro», Cronica, I, p. 442). È probabile insomma che la rivolta non avesse da subito un’univoca connotazione a favore degli Ordelaffi, anche se i fautori di Antonio vi svolsero senz’altro un qualche ruolo. Il vescovo Giovanni Caffarelli fuggì precipitosamente e il capitolo e il clero cittadino, con grande partecipazione popolare, elessero in piazza un nuovo vescovo, il forlivese Guglielmo Bevilacqua.
La fase decisiva si aprì quando il moto popolare cominciò a calmarsi. Se nel 1405 in quella fase era prevalso lo schieramento favorevole all’instaurazione di un governo collegiale in forme popolari, nel 1433 la situazione fu presa prontamente in mano dai sostenitori di Ordelaffi. Alle finestre del palazzo del Comune e nella piazza antistante furono issate bandiere con le insegne della famiglia e fu eletto un vicario del signore. Alcuni notabili cittadini si recarono quindi a Lugo per invitare Antonio a entrare in città. Ordelaffi giunse alle porte di Forlì nella notte tra il 26 e il 27 dicembre, fu accolto da una folla festante e condotto al palazzo.
Non riuscì però a ottenere dal papa il vicariato apostolico che avevano detenuto i suoi predecessori. L’elezione irregolare del vescovo Bevilacqua, non confermata dal pontefice, aveva reso molto tesi i rapporti con la Curia. In più, la vicinanza di Ordelaffi ai Visconti costituiva un altro grave ostacolo, dal momento che il papa era schierato al fianco di Firenze e Venezia contro il duca di Milano.
Nell’estate del 1436, quando la guerra tra le grandi potenze riprese dopo una breve interruzione nell’anno precedente, Forlì, città alleata dei Visconti, fu presa di mira da Francesco Sforza, capitano delle truppe pontificie. Sottoposti a un durissimo assedio, i forlivesi decisero di arrendersi e di consegnare la città alla Chiesa. Secondo Giovanni Merlini, l’iniziativa della resa sarebbe venuta da un gruppo ristretto di cittadini vicini al signore, in gran parte gli stessi che solo tre anni prima ne avevano favorito il ritorno al potere. Antonio e i due figli Cecco e Pino furono costretti di nuovo ad abbandonare la città.
Nel 1438 Ordelaffi si unì alle truppe di Niccolò Piccinino, condottiero al servizio del duca di Milano e, secondo il solito copione, cominciò a riorganizzare la rete dei propri sostenitori in città. Mentre la situazione si faceva sempre più tesa, il governatore pontificio abbandonò Forlì lasciando il potere nella mani degli anziani. L’anzianato era espressione della fazione che aveva voluto il ritorno della città sotto il controllo della Chiesa e che, dunque, non vedeva di buon occhio, anche per paura di ritorsioni, una restaurazione della Signoria. Intorno alla possibilità di un rientro di Antonio, tuttavia, si stava di nuovo coagulando un ampio consenso popolare, che il 20 maggio sfociò in un tumulto; gli anziani furono costretti ad abbandonare il palazzo. La notte stessa Ordelaffi entrò in città. Ormai i cittadini identificavano sempre più strettamente la famiglia signorile con l’autonomia di Forlì dalle potenze ‘straniere’.
Gli anni successivi furono comunque convulsi e difficili. La Romagna rimaneva al centro dei contrasti tra i principali Stati italiani ed era continuamente attraversata dalle compagnie di ventura. Quando nel 1441 Francesco Piccinino, al servizio del duca di Milano, tentò di impadronirsi di Forlì, Antonio, rovesciando una politica delle alleanze che la sua famiglia perseguiva ormai da un secolo, lasciò il fronte visconteo e si legò a Firenze e al papato. Il 9 giugno 1443, finalmente, ottenne dal papa il rinnovo – per cinque anni – del vicariato, per sé e per i figli Cecco e Pino. Prima ancora della scadenza, nel 1447, il vicariato fu poi confermato dal nuovo papa Niccolò V per altri cinque anni .
Nel 1442 Antonio promosse una riforma istituzionale che portò a dodici il numero degli anziani, in precedenza sei, prolungò il loro mandato da uno a sei mesi e soprattutto definì e allargò le loro prerogative. Gli anziani, nelle parole di Giovanni Merlini, che probabilmente ricalcavano l’atto di riforma, assumevano la funzione di «consiglieri de tuto el regimento del governo del signore e de la çitade», e in quanto tali «se ponno adonare, consiglare sença licençia del signore, tante fiade quante al loro piaxe per gli fatti del comuno» (Giovanni Merlini, Cronica, 1934, p. 173).
Morì il 4 agosto 1448.
I notevoli margini di autonomia dei quali godevano gli anziani, in particolare in ambito fiscale, divennero evidenti dopo la morte di Antonio, negli anni nei quali il potere fu gestito dalla vedova Caterina Rangoni (vedi voce Ordelaffi, Pino). Gli anziani, reclutati ora per quartiere, continuavano a essere, come prima della riforma, rappresentativi di diverse componenti della società cittadina, e non mancavano neppure gli artigiani.
Fonti e Bibl.: Cronache forlivesi di Leone Cobelli dalla fondazione della città sino all’anno 1498, a cura di G. Carducci - di E. Frati, Bologna 1874, pp. 179-219; Chronicon fratris Hieronymi de Forlivio ab anno MCCCXCVII usque ad annum MCCCCXXXIII, a cura di A. Pasini, in Reurum Italicarum Scriptores, XIX, 5, pp. 6, 18-20, 58; Iohannis Simonetae rerum gestarum Francisci Sfortiae Mediolanensium ducis commentari, a cura di G. Soranzo, ibid., II ed., XXI, 1, pp. 46 s.; Annales Forolivienses ab origine urbis ad a. 1473, a cura di G. Mazzatinti, ibid., XXII, 2, pp. 81, 84, 87, 91-94, 96; Diario ferrarese dall’anno 1409 sino al 1502, a cura di G. Pardi, ibid., XXIII, 7, p. 12; Giovanni di maestro Pedrino depintore, Cronica del suo tempo, a cura di G. Borghezio - M. Vattasso, I, Città del Vaticano 1929, pp. 447 s., 450-454, 460, 464, 467, 470, 473, 476, 516-518, 525, 529, 534 s., 545, 548, 553; II, ibid. 1934 pp. 29, 40-43, 69, 78 s. 82, 84 s., 111 s., 173, 195, 212, 237, 240 s.; Lettere di stato di Coluccio Salutati: cancellierato fiorentino (1375-1406), a cura di A. Nuzzo, Roma 2008, ad ind. Si veda inoltre: P. Bonoli, Storia di Forlì, II, Forlì 1826, pp. 73, 74, 85 s., 101 s.; Alidosi, Ludovico, in Dizionario biografico degli Italiani, II, Roma 1960, pp. 376, s.; M.T. Fuzzi, L’ultimo periodo degli O. in Forlì, Forlì 1937, pp. 31-68; G. Pecci, Gli O., con testo riveduto, note, aggiunte e appendice di M. Tabanelli, Faenza 1974, ad ind.; Storia di Forlì, II, Il Medioevo, a cura di A. Vasina, Bologna 1990, p. 176-178; P.G. Fabbri, L’idea di signoria nella cronaca di Giovanni di Maestro Pedrino, in Studi romagnoli, LII (2001), pp. 129-142.