PACE, Antonio
PACE (del Pace), Antonio. – Figlio del rigattiere Tadeo da Greve, venne battezzato a Firenze il 17 gennaio 1545.
Fu chierico appartenente all’ordine militare dei Cavalieri di S. Stefano istituito a Pisa nel 1561 da Cosimo I de’ Medici. Il coevo Michele Poccianti lo dice «presbyter venerabilis» e «musicus non vulgaris» (1589), mentre il confratello Romena, che, poco maggiore d’età, lo doveva conoscere bene, ne traccia un profilo di cruda, impietosa icasticità rilevandone innanzitutto il carattere «vizioso circa a libidine de’ maschi», la «natura maligna» e il fatto che «si messe a fare sino la spia» (Firenze, Biblioteca nazionale, II.–.108: B. Romena, Oroscopi diversi). Il che, per quanto espresso con spirito censorio e una certa esasperazione malevola, pare non discostarsi troppo dalla realtà dei fatti, perlomeno stando alle esigue risultanze biografiche su Pace, di cui si colgono le inclinazioni omosessuali, l’attitudine a suscitarsi ostilità d’attorno, dovuta anche alla scarsa propensione al rispetto dei doveri sacerdotali e professionali, oltre a una certa inclinazione al maneggio (comunque di piccolo cabotaggio) che si traduceva nell’attività di informatore granducale, talvolta forse sollecitata dalla corte, talaltra offerta di propria iniziativa per ottenere in cambio favori.
Data di nascita a parte, su di lui non possediamo altre testimonianze fino al 1570. Al principio di quell’anno i Cavalieri di S. Stefano erano alla ricerca di un maestro di cappella per la chiesa conventuale appena consacrata, dal momento che a Giovanni Piero Manenti, il musicista in un primo tempo prescelto, Francesco de’ Medici non aveva concesso di allontanarsi da Firenze. Pace si trovava tra gli aspiranti all’incarico assieme al lucchese Nicolao Malvezzi e ai fiorentini Luca Bati e Giovanni Benvenuti. Ma poiché i Cavalieri desideravano un maestro di cappella che potesse servire alla chiesa anche come sacerdote, in modo da economizzare sui compensi, gli eleggibili si ridussero agli unici preti nella rosa, Bati e Pace. Richiesto parere al granduca nell’aprile 1570, costui prese atto di tale deliberazione pur senza pronunciarsi su alcun nome. Spettò perciò ai Cavalieri, in piena autonomia, la selezione di Pace, alla guida della cappella dal 1° giugno con un salario di 100 scudi annui. E fu certo da allora che il musicista vestì l’abito dell’Ordine: «si fece cavaliere sacerdote, per officiare la nostra chiesa», rammenta Romena (ibid.). Tuttavia il 13 febbraio 1572 rinunziò al posto (gli succedette Francesco Bocchini, proveniente dalla Primaziale pisana), preferendo assumere le mansioni di organista in luogo del dimissionario Giulio Gigli; il salario rimase invariato, così come l’obbligo di dir messa e partecipare agli Uffici divini.
Nello stesso 1572 Pace e altri tre confratelli vennero confinati in una quarantena per sodomia. Ancora una quarantena più un mese di carcere gli furono comminati nel 1575 a causa di una lite innescata dalle ingiurie che il cavalier Filippo Maria Lampugnano aveva rivolto a lui e a suo nipote.
Il 1575 fu anche l’anno d’uscita del Primo e del Secondo libro de madrigali a sei voci (Venezia, G. Guglielmo), le sole sue opere giunte ai torchi, datate rispettivamente 21 settembre e 4 ottobre, entrambe di stretta osservanza medicea. Il Primo libro è indirizzato al granduca Francesco, nella lettera prefatoria equiparato più volte a Dio: «si come a Dio s’offeriscono le primizie della terra, così al suo prencipe si debbono offerir le primizie de gl’ingegni»; e qualche rigo dopo: «io di tanto più de gli altri a Vostra Altezza son tenuto, che roba, vita, ingegno ed anima debbo esporre a’ suoi servizi, poiché da lei, dopo Dio, riconosco l’avere l’ingegno e la vita». Il Secondo libro porta la dedica a Bartolomeo Concini, primo segretario granducale. I 35 componimenti intonati nelle due raccolte (alcuni dei quali articolati in due parti, per un totale di 42 numeri) si collocano nell’alveo di un rassicurante petrarchismo: Francesco Coppetta Beccuti, Giovanni Della Casa e Luigi Tansillo vi compaiono con un brano a testa, Giovan Battista Strozzi con due, Petrarca con sette; ignoti gli altri autori. Nel Secondo libro, si distingue Or che le negre piume contrassegnato dalla dicitura «Serenata fatta con li strumenti»: testimonianza importante – considerato il generale silenzio delle stampe musicali cinquecentesche sulle modalità esecutive – di come il genere madrigalistico si piegasse a funzioni diverse (compresa, dunque, quella della serenata) e di una prassi che volentieri esuberava dai limiti di un organico meramente vocale. David Butchart, che ha saggiato i due volumi, esprime una valutazione alquanto negativa sulle capacità compositive di Pace: ne giudica disordinata la scrittura, carente di coerenza costruttiva e di pensiero contrappuntistico, impacciate le melodie, convenzionali i disegni ritmici (1979, pp. 137 s.). Nondimeno due madrigali di Pace suscitarono l’interesse di qualche contemporaneo: Mi parto, vita mia ricompare nell’antologia Harmonia celeste curata da Andreas Pevernage (Anversa, P. Phalèse e J. Bellère, 1583: cinque ristampe fino al 1628) e intabulato per liuto da Johannes Rudenius nei Flores musicae (Heidelberg, 1600); in intabulazione liutistica anche Ecco che pur dopo l’assenza amara del Primo libro, che Vincenzio Galilei inserì nel suo Fronimo (Venezia, eredi Scotto, 1584, pp. 163 s.).
Nell’ottavo decennio sono documentati contatti epistolari con Francesco de’ Medici, cui Pace inviava informative di carattere politico e personale, istanze di protezione, richieste di raccomandazioni, talora permettendosi perfino di suggerire al granduca l’atteggiamento da tenere nei confronti degli oppositori. In una missiva del 13 gennaio 1577 gli rivela di aver subito una feroce aggressione all’arma bianca da parte di un certo cavalier Fedeli, suo confratello: di ritorno dal desinare in compagnia di Giulio de’ Medici, Fedeli gli si era avvicinato investendolo di ingiurie e tirandogli poi una «grandissima pugnalata» con la quale si augurava di ucciderlo (e difatti, per esser pronto a una fuga rapida, aveva preparato una cavalla); solo che la giubba indossata da Pace aveva evitato il peggio. Il musicista scrive inoltre che Fedeli non perdeva occasione di porlo in cattiva luce col priore della chiesa e con i Cavalieri del Consiglio, poiché lo accusava di non esercitare il suo ufficio e ne reputava sconvenienti sia la partecipazione alla battute di caccia promosse da Giulio de’ Medici, sia le usuali uscite notturne. Pace, del resto, non nega del tutto questi addebiti, ma giustifica le sue assenze dalla chiesa con l’essere impegnato, talvolta, a servire il granduca altrove e, riguardo all’andar fuori di notte, confessa di esservi spinto dall’insistenza del Medici che a veglia lo reclamava sempre accanto a sé (Arch. di stato di Firenze, Mediceo del Principato, f. 693, nn. 63, 66).
Nel 1577 Pace soggiornò qualche tempo a Roma per apprendere a suonare l’arpa doppia da Gian Leonardo dell’Arpa (Giovanni Leonardo Mollica), virtuoso di tale strumento. Nel 1579 il suo nome compare nei ruoli della corte medicea, segno che aveva ottenuto il tanto agognato trasferimento da Pisa. Eppure nell’estate 1580, pressato dai debiti, domandò al granduca licenza di trasferirsi per due, tre anni presso qualche cardinale a Roma, offrendosi di svolgere da là l’attività di informatore per la corte fiorentina. Ma non risulta che ci sia andato.
Nell’ottobre 1581 lo si trova ancora salariato come organista della chiesa di S. Stefano dei Cavalieri a Pisa. Potrebbe esser morto entro quell’anno (cfr. Butchart, 1979; Baggiani, 1983; D’Accone, 2001; ma Poccianti, 1589, lo dà per vivo).
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, II.–.108: B. Romena, Oroscopi diversi, c. 107; Ibid., Magl. IX.70: A.M. Biscioni, Giunte alla Toscana Letterata del Cinelli, c. 1361; M. Poccianti, Catalogus scriptorum florentinorum omnis generis, Firenze, Filippo Giunta, 1589, p. 16; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 65; D.S. Butchart, The Madrigal in Florence, 1550-1630, diss., University of Oxford, Oxford 1979, pp. 136-138 et passim; F. Baggiani, Musicisti a Pisa. I Maestri di Cappella nella Chiesa Conventuale dei Cavalieri di S. Stefano, in Bollettino storico pisano, LII (1983), pp. 119-121; W. Kirkendale, The Court musicians in Florence during the Principate of the Medici, Firenze 1993, pp. 45, 66, 105, 113-117; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, II, p. 205; Supplemento, p. 580; R. Eitner, Quellen-Lexikon der Musiker, VII, p. 269; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, V, p. 484; F.A. D’Accone, P., A. in The new Grove dictionary of music and musicians, ed. 2001, XVIII, p. 842.