PANELLA, Antonio
– Nacque all’Aquila il 2 ottobre 1878 da famiglia di origini modeste: il padre Giovanni era falegname, la madre, Giovanna Spalloni, cucitrice.
Diplomatosi alla Scuola locale di notariato, superò il concorso per accedere all’Amministrazione degli Archivi di Stato e, nominato alunno di seconda categoria con decreto ministeriale del 24 luglio 1901, fu assunto in servizio dapprima presso l’Archivio di Stato di Napoli fino al 25 giugno 1902 e quindi presso quello di Firenze, dove il 21 gennaio 1911 conseguì il diploma di archivista paleografo della Scuola di paleografia annessa alla facoltà di lettere e filosofia presso l’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento. Il diploma gli valse la promozione ad archivista, in applicazione della riforma organica del 20 marzo 1911.
Non risulta essersi laureato in giurisprudenza (come invece indicato nel Repertorio del personale ..., II, 2012, p. 561, ma non da D’Addario, 1980, p. 76): non vi è traccia di tale diploma di laurea nei suoi fascicoli personali (Archivio di Stato di Firenze, Archivio dell’Archivio, Personale, 4; Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale degli Archivi di Stato 1945-48, b. 41).
Nell’Istituto fiorentino ebbe la responsabilità della sezione V (archivi speciali e archivio provinciale postunitario) dal 1911 al 1913; della sezione III (archivi politico amministrativi del Principato) dal 1914 al 1920; della sezione II (archivi politico-amministrativi della Repubblica fiorentina) dal 1920 al 1921; e della Sezione I (Diplomatico, Notarile antecosimiano) dal 1922 al 1932. Fu posto alla direzione dell’Archivio di Stato di Firenze dapprima come reggente, dal 1932 fino al 31 gennaio 1936, e quindi come soprintendente, incarico che tenne ininterrottamente fino alla data del suo collocamento a riposo, il 18 giugno 1947. Nel 1940 fu anche nominato soprintendente archivistico per la Toscana, carica che conservò fino alla morte.
Sposatosi a Roma il 2 ottobre 1905 con Matilde Bedeschini, come lui originaria dell’Aquila, ebbe due figli: Alberto, nato nel 1906, e Ermanno, nato nel 1909.
Nel corso della prima guerra mondiale, nel 1916, fu richiamato alle armi, ma riuscì a ottenerne la dispensa.
La lunga traiettoria professionale di Panella ebbe i suoi esordi in un’amministrazione archivistica da tempo (1874) inquadrata alle dipendenze del Ministero degli interni e in un Istituto, quello fiorentino, affidato alla direzione di eminenti studiosi quali Alessandro Gherardi (tra il 1903 e il 1908) e Demetrio Marzi (tra il 1908 e il 1920). Erano quelli gli anni in cui nell’Archivio di Firenze, disegnato con un profilo prevalentemente culturale dal suo primo ideatore e ordinatore, Francesco Bonaini, era subentrata una fase di ripensamento e riflessione, nella quale l’applicazione dei criteri organizzativi bonainiani, in seguito definiti come ‘metodo storico’ e diffusi su scala nazionale, aveva subito una battuta di arresto. In sintesi si trattava di un sistema di ordinamento delle carte secondo il principio che «ogni archivio continuasse a rappresentare un’istituzione, una magistratura; ma che l’insieme degli archivi ci offerisse come la storia del popolo fiorentino e successivamente del governo toscano: era dunque da ricercare nell’istoria un razionale ordinamento» (cit. in Vitali, 1995, p. 40). A Firenze in realtà il processo non era andato oltre la riorganizzazione fisica delle carte con la suddivisione delle serie documentarie in corrispondenza della data di inizio del Principato mediceo (anno 1530), senza arrivare agli esiti radicali rappresentati a Lucca dalla pubblicazione a stampa degli inventari di Salvatore Bongi. Gli interventi di descrizione si erano concentrati soprattutto su singole unità documentarie della Firenze repubblicana, la più appetita dal pubblico di studiosi della nuova storiografia nazionale che andava riscoprendo il Medioevo, e avevano dato l’avvio a impegnativi lavori di regestazione (I Capitoli del Comune di Firenze. Inventario e regesto, I , a cura di C. Guasti, Firenze 1866; II, a cura di A. Gherardi, ibid. 1893), di schedatura analitica (sulla serie delle Provvisioni) o di edizione integrale (Le Consulte della Repubblica fiorentina dall’anno 1280 al 1298. I-II, a cura di A. Gherardi, ibid. 1896-98). Agli inizi del Novecento, la riflessione archivistica aveva già avviato una varietà di ricerche intese a comprendere meglio alcune fenomenologie che non si inquadravano nel paradigma ordinatorio bonainiano, e in particolare il significato dell’esistenza di serie parallele (i cosiddetti ‘duplicati’) o delle ‘miscellanee’. Si erano già allora iniziate le indagini che stavano approdando alla pubblicazione del monumentale lavoro sulla cancelleria fiorentina di Marzi (1910) e che avrebbero trovato un seguito negli studi di Bernardino Barbadoro sugli atti dei Consigli e le fonti legislative di Firenze (1921-34). Esse andavano evidenziando come nel pluralistico mondo comunale singoli redattori (notai, ufficiali, cancellieri) fossero stati deputati alla scrittura di atti per una molteplicità di magistrature e, altrettanto, come distinte concentrazioni archivistiche (Archivio delle Riformagioni, Archivio della Camera) avessero accolto documentazione di diversa provenienza, mostrando quanto magmatico fosse stato fin dalle origini l’ordinamento delle carte. Le nuove consapevolezze traevano spunto dalle suggestioni dell’archivistica bonainiana, che invitava a una approfondita indagine storico istituzionale sui documenti, ma facevano registrare un’impasse alla rigida suddivisione degli archivi per magistrature e uffici. Tale difficoltà era registrata nel 1913 da Roberto Palmarocchi che con una sua polemica pubblicazione (Saggio di inventario del Mediceo avanti il Principato, Firenze 1913) scatenò una accesa querelle tra la direzione dell’Archivio e il mondo della cultura storica (cfr. Archivio di Stato di Firenze, Archivio dell’Archivio, Personale, 1; Manno Tolu, 1995, pp. 12 s.).
Panella si inserì nella riflessione in corso con interventi originali e promuovendo l’apertura di nuove frontiere. Il suo primo lavoro (pubblicato nel 1911) fu uno studio sulle concentrazioni documentarie al tempo della dominazione napoleonica, operazione culturale della quale sottolineò il significato positivo delineandola come una sorta di anticipazione dell’intervento bonainiano di centralizzazione archivistica (Scritti archivistici, a cura di A. D’Addario, Roma 1955, p. 53). Nel saggio su Le scuole degli Archivi di Stato (1918) rivendicò per l’archivistica lo statuto di autonoma disciplina scientifica, opponendosi a Giovanni Vittani che la indicava piuttosto come materia pratica, da affidarsi all’Amministrazione degli Archivi, a differenza dei corsi di paleografia e diplomatica che avrebbero invece dovuto rimanere di rango universitario. In questo senso, Panella contribuì ad accreditare il «metodo storico» come consolidato sistema di ordinamento «scientificamente perfetto» (1911), «unicamente perfetto» (1918, Scritti archivistici, 1955, cit., pp. 53 e 72). Sostenne l’importanza di estendere l’ambito di studio delle scienze documentarie ai complessi archivistici dei Principati (p. 71). Per quanto riguarda le sue attività di schedatura e inventariazione, anche se all’inizio fu incaricato di continuare la regestazione dei Capitoli (1917) e l’edizione delle Consulte (1918), i suoi interessi archivistici si orientarono piuttosto verso le filze del fondo Mediceo del Principato e della Miscellanea medicea.
Dal punto di vista invece della produzione storiografica, fin dal 1904 collaborò alla sezione Notiziario della rivista Archivio storico italiano con recensioni di volumi e articoli, e i suoi primi lavori furono di indicizzazione (opere di Pasquale Villari, 1910; Pompeo Molmenti, 1911; Alessandro D’Ancona, 1914; Villari, 1914); dal 1917 collaborò regolarmente al Marzocco fino al 1932, e a varie altre riviste. Piuttosto che prendere posizione nel dibattito in corso nella medievistica italiana, suscitato dalle tesi di Gaetano Salvemini contestate nelle ricerche di Nicola Ottokar, sui connotati economici e sociali delle lotte di magnati e popolani nel comune fiorentino, Panella preferì recuperare gli spunti di riflessione proposti da Villari indirizzandosi al pensiero politico di Niccolò Machiavelli, di cui in seguito (1939) avrebbe curato l’edizione delle opere, e di Girolamo Savonarola (D’Addario, 1980, p. 79). Anche per la sua Storia di Firenze (I ed., Roma 1930; II ed., Firenze 1949) scelse di mantenersi sul piano della descrizione politico istituzionale, conformemente alla linea già tracciata da Villari, ma estendendo la sua esposizione di sintesi fino ad abbracciare tutto il periodo granducale. A Panella risale infatti la rivalutazione dell’esperienza della signoria medicea quattrocentesca e lo spostamento del baricentro di attenzione storiografica alla fase del Principato (D’Addario, 1980, pp. 80 e 82).
Il periodo della maturità professionale e scientifica di Panella si colloca nel pieno del ventennio fascista. Nel 1925 (anno in cui il regime mussoliniano costrinse Gaetano Salvemini a lasciare l’Italia e ridusse alla clandestinità i circoli di cultura dissidenti; cfr. Manno Tolu, 1995, p. 13) Panella ottenne l’incarico della prima cattedra di archivistica dell’Università italiana che conservò fino al compimento del suo settantesimo anno (1949). La cattedra era stata istituita a Firenze nella nuova Scuola per bibliotecari e archivisti paleografi (R.D.L. 29 ottobre 1925) il cui diploma, secondo Panella, avrebbe dovuto diventare l’unico titolo riconosciuto per l’accesso al concorso per archivi e biblioteche (Scritti archivistici, 1955, cit., p. 121). Nel 1932 ottenne, in virtù di una procedura straordinaria, la libera docenza in archivistica (D.M. 5 settembre 1932), che gli fu confermata nel dopoguerra, il 20 febbraio 1946. Nella sua lunga esperienza di insegnamento ebbe così modo di formare un’intera generazione di archivisti, tra i quali figura anche Arnaldo d’Addario che in seguito (1980) avrebbe ricordato Panella «maestro da non dimenticare», e avrebbe descritto il suo metodo di insegnamento: «gli aspetti più interessanti del pensiero del Panella si coglievano nel corso della discussione che egli faceva a proposito dei problemi teorici dell’archivistica. Criticava con linguaggio polemico ed appassionato i sistemi di ordinamento anteriori a quello storico e di quest’ultimo si soffermava ad illustrare le premesse e la rispondenza ai principi che egli riteneva fondamentali, quello della integrità dei fondi e l’altro del rispetto dell’ordinamento originario. […] Alle sue lezioni contribuiva a dare un senso di concretezza il metodo usato nell’introdurre gli allievi nel difficile uso della nomenclatura archivistica e nel complesso dei problemi proposti da ogni serio lavoro di inventariazione» (D’Addario, 1955, pp. XXV-XXVI).
Nel corso degli anni Trenta Panella fu chiamato a sostenere il progetto di promozione culturale di Firenze messo in atto dal regime attraverso l’istituzione di un Centro nazionale di studi sul Rinascimento (1939), dei cui organi direttivi fece parte in qualità di consigliere e quindi come presidente della Commissione bibliografia e archivistica. Partecipò quindi all’organizzazione del Secondo convegno nazionale di studi sul Rinascimento, in cui espose una relazione su Gli studi medicei in Italia e all’estero (D’Addario, 1980, p. 80).
Nel 1932 fu nominato direttore reggente dell’Archivio di Stato di Firenze a seguito della scelta di Barbadoro di abbandonare l’amministrazione archivistica per l’Università, e avviò una serie di lavori di grande respiro: promosse la completa descrizione sommaria dei fondi repubblicani così come definitivamente cristallizzati dalla sistemazione bonainiana e illustrati nella tassonomia dell’Inventario sommario di Gherardi (R. Archivio di Stato di Firenze, Ricordo del Centesimo anniversario della sua fondazione e omaggio al Congresso storico internazionale di Roma nell’aprile 1903: cfr. D’Addario, 1955, p. XVI); sostenne il progetto avviato da Barbadoro di edizione integrale dello Statuto dell’Arte della lana di Firenze (1317-1319), curato da Anna Maria Enriques Agnoletti (Firenze 1940). Ma il suo interesse precipuo fu rivolto agli archivi medicei, dei quali, prendendo atto della loro articolazione consolidata dalla tradizione, avviò lavori di inventariazione che sarebbero approdati alla pubblicazione nel secondo dopoguerra. Nell’immediato, incoraggiò l’edizione di una selezione documentaria dei carteggi medicei curata da Giorgio Spini (D’Addario, 1980, p. 81).
Ascoltato consulente del ministro, nel 1939 fu inserito nella Commissione per il regolamento degli Archivi di Stato ed ebbe parte attiva nella promozione della nuova legge che introdusse vincoli alla libera disponibilità degli archivi privati di «particolare interesse storico» e istituì le Soprintendenze archivistiche regionali (legge 22 dicembre 1939, n. 2006, cfr. artt. 21-28). Su questo tema già nel 1918 aveva avuto modo di pronunciarsi pubblicamente (a proposito della minaccia di dispersione dell’archivio Medici Tornaquinci) affermando che: «L’interesse pubblico deve prevalere in materia sui troppo rigidi principi di diritto privato. Un archivio domestico non può essere considerato alla stregua di tutti gli altri beni costituenti il patrimonio di una famiglia, perché accanto al suo valore ve n’è un altro di gran lunga superiore, che interessa il patrimonio storico della Nazione; e lo Stato deve potere difendere questo bene morale prima che custodi infedeli ne abbiano fatto scempio» (Scritti archivistici, 1955, cit., p. 85).
Da direttore dell’Archivio fiorentino Panella si trovò anche a fare da tramite delle direttive centrali di controllo politico e repressione messi in atto dal regime nei confronti del personale e degli utenti dell’Istituto. Per esempio, dal 1934 tentò di imporre maggiore severità e restrizioni nel servizio al pubblico inibendo ai funzionari il diretto contatto con i ricercatori in sala di studio (Archivio di Stato di Firenze, Archivio dell’Archivio, 477, n. 1). In particolare, tra l’autunno del 1938 e il luglio 1939 si trovò a eseguire gli atti che determinarono, attraverso un’interpretazione estensiva delle leggi razziali, la sospensione dal servizio e quindi la rimozione definitiva di Anna Maria Enriques Agnoletti dall’Amministrazione archivistica «senza liquidazione di pensione per mancanza del prescritto periodo minimo di servizio» (Ibid., Personale, 2).
Conseguì numerose onorificenze: elevato a cavaliere della corona d’Italia il 30 aprile 1918, fu nominato commendatore dell’ordine della corona d’Italia il 1º maggio 1936 e cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro il 15 gennaio 1940.
Nel corso della seconda guerra mondiale fu impegnato nel difficile compito della tutela del patrimonio archivistico, minacciato da attacchi e depredazioni belliche. Provvide al trasferimento temporaneo, nel giugno-luglio 1940, nel dicembre 1942-aprile 1943 e nel giugno-luglio 1943 del materiale più antico (Diplomatico, archivi repubblicani e medicei) verso sedi reputate più sicure nei dintorni di Firenze, per esempio la villa reale a Poggio a Caiano, il palazzo vicariale di Certaldo, la villa di Soli a Gagliano (cfr. Archivio di Stato di Firenze, Archivio dell’Archivio, 490, tit. 16, n. 4). Il 5 giugno 1944 prestò giuramento di fedeltà alla Repubblica sociale italiana (RSI) e il 7 settembre 1944 fu tra i 27 impiegati del gruppo A per i quali il Consiglio di Amministrazione del Ministero dell’Interno della RSI deliberò l’aumento periodico dello stipendio (Repertorio del personale ..., II, 2012,p. 205). Nel periodo del passaggio del fronte a Firenze rimase a lungo in Archivio, per salvare il materiale documentario da possibili saccheggi, sfidando il pericolo, come segnalato nel rapporto di un capitano inglese conservato nel fascicolo personale di Panella in allegato alla proposta di conferimento dell’encomio solenne, che tuttavia non risulta essergli stato assegnato (ibid. p. 192). Dopo l’istituzione, in virtù del decreto luogotenenziale del 21 settembre 1944, del Commissariato (poi Ufficio centrale) per gli Archivi del Regno fu in costante contatto con gli organi centrali dell’Amministrazione archivistica che risiedevano a Roma. Nei suoi confronti il 5 aprile 1945 la Delegazione provinciale di Firenze propose all’Alto Commissariato aggiunto per l’epurazione l’applicazione della sanzione disciplinare del «richiamo» (ibid., p. 259).
Dal punto di vista scientifico in questo periodo sono da segnalare la pubblicazione Gli antimachiavellici (Firenze 1943, con la ristampa di vari articoli comparsi tra il 1925 e il 1927) e la voce Firenze, uscita nel marzo 1944 nella Guida generale degli Archivi di Stato, pubblicata dall’Amministrazione archivistica della RSI con i tipi dell’editore Zanichelli di Bologna, che riproduceva la situazione anteriore al 1939, era pronta da tempo e redatta sulla base di lavori precedenti, anche di altri archivisti, quali Gherardi (cfr. Repertorio del personale ..., II, 2012,p. 204).
Nel convulso dopoguerra italiano, mantenuto l’incarico di direttore dell’Archivio di Stato di Firenze e quello di soprintendente archivistico per la Toscana, il 5 maggio 1947 Panella fu nominato membro della Commissione di disciplina del personale per l’Amministrazione degli Archivi di Stato, e nel 1954, poco prima della morte (D’Addario, 1980, p. 65), fu chiamato a far parte del Consiglio superiore per gli Archivi.
La nuova collana di Pubblicazioni degli Archivi di Stato edita dal Ministero dell’Interno della neonata Repubblica italiana rese onore nel 1951 ai lavori di grande lena sugli archivi medicei cui Panella aveva dato impulso, pubblicandone i primi inventari nei numeri I e II (Archivio Mediceo del Principato, a cura di M. Del Piazzo, Roma 1951, con Introduzione di Panella, pp. V-XXXIII; Archivio Mediceo avanti il Principato, a cura di F. Morandini, Roma 1951, con Introduzione di Panella, pp. VII-X). Alle origini del complesso archivio mediceo Panella vedeva una «formazione casuale, come casuale e frutto di circostanze più che di un piano preordinato fu il processo formativo di quello Stato in gestazione» (Introduzione all’inventario del Mediceo del Principato, p. VI). E la struttura degli inventari rifletteva bene le sue maturate convinzioni metodologiche: la diffidenza nei confronti degli antichi ordinamenti, precedenti alla sistemazione bonianiana delle carte (non vi sono infatti riportate le antiche segnature) ma anche la prudenza nello sconvolgere assetti tramandati dalla tradizione consolidata («chi mai si sentirebbe oggi l’animo di sconvolgere l’ordinamento esistente e di modificare le segnature, mettendo gli studiosi nell’impossibilità di ricercare i documenti con la scorta di quelle pubblicazioni?»; ibid., p. XXIX).
Sul finire della sua carriera archivistica nel sentito ritratto di Gherardi che tracciò e pubblicò nel 1949 nelle Notizie degli Archivi di Stato, Panella ha lasciato una sorta di testamento spirituale. Di Gherardi ricordava che «era entrato nell’Archivio di Firenze come apprendista […] senza altro corredo di studi che quello della scuola media», secondo il sistema di reclutamento bonainiano che era piuttosto un’ordinazione, poiché «benedettini laici» potevano dirsi gli archivisti, come Guasti ebbe a definirli. In effetti «al pari dei religiosi» gli archivisti maturavano «con animo sgombro e quasi ingenuo la vocazione per il loro ufficio o ministerio […]. A formarli avrebbe provveduto il tirocinio archivistico: tirocinio tutt’altro che facile e breve». In particolare Panella apprezzava che Gherardi fosse rimasto per un quarantennio «nell’ombra discreta della disciplina gerarchica» e soprattutto la scelta di rifiutare la carriera universitaria: «Modestia? Confessione sincera di non sentirsi all’altezza del compito che gli si voleva affidare? Forse né l’una cosa né l’altra, ma ancora e sempre l’invincibile desiderio di non allontanarsi dall’Archivio, come chi, per troppo amore al luogo dove è nato, non può separarsene, neppure quando a farlo lo spingerebbero la lusinga e la certezza di migliore stato e di maggiore fortuna» (Scritti archivistici, 1955, cit., pp. 261, 262, 268). È in tale profilo di vita da «umile archivista» che Panella mostrava allora di riconoscersi.
Morì a Firenze il 6 ottobre 1954.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato dell’Aquila, Tribunale, Stato Civile, Aquila, Atti di nascita, 1878; Archivio di Stato di Firenze, Archivio dell’Archivio, Affari, 477 (1938), 490 (1944), 491 (1945), 493 (1946); Personale, 4. N. Rodolico, A. P., in Archivio storico italiano, CXII (1954), p. 447; A. D’Addario, Introduzione a A. Panella, Scritti archivistici, Roma 1955; Id., Bibliografia di A. P., ibid., pp. 278-320; Id., Ricordo di A. P., in Archivi e cultura, XII (1978), pp. 163-166; Id., A. P.. Un maestro da non dimenticare, in Rassegna degli Archivi di Stato, XL (1980), pp. 64-97; R. Manno Tolu, Le fonti archivistiche nella storiografia internazionale, in L’Archivio di Stato di Firenze, a cura di R. Manno Tolu - A. Bellinazzi, Fiesole 1995, pp. 9-25; S. Vitali, L’Archivio centrale di Francesco Bonaini, ibid., pp. 39-41; U. Falcone, Gli archivi e l’archivistica nell’Italia fascista. Storia, teoria e legislazione, Udine 2006, pp. 125-133; Repertorio del personale degli Archivi di Stato, I (1861-1918), a cura di M. Cassetti, Roma 2008, in partic. pp. 561 s.; II (1919-1946), a cura di M. Cassetti - U. Falcone - M.T. Piano Mortari, Roma 2012, in partic. p. 259.