PÈREZ NAVARRETE, Antonio
– Nacque nel 1600 in Spagna, a Logroño, da Michele, patrizio della città e militare al servizio della Corona cattolica, e da Caterina González de Velorado. Costretto a rinunciare alla carriera delle armi, cui era stato destinato il fratello primogenito Giuliano, morto prematuramente nella battaglia di Nördlingen, intraprese gli studi di diritto e li perfezionò nella prestigiosa Università di Alcalá.
Passò poi in Italia e, su presentazione del cardinale infante Ferdinando d’Austria, arcivescovo di Toledo, nel 1629 entrò nel collegio bolognese di S. Clemente, istituto di patronato regio riservato ai più meritevoli studenti spagnoli, dove ricevette le insegne dottorali in utroque jure e divenne cattedratico e rettore dello stesso collegio prima e poi delle tre università bolognesi. Negli anni trascorsi a Bologna diede alle stampe alcune opere giuridiche, tra cui la Interpretatio ac repetitio in capitulo 1° de probationibus e le Scholasticae quaestiones in tit. de Actionibus, e la biografia celebrativa del fondatore di S. Clemente intitolata Las grandezas de el Restaurador de los estados dela Yglesia el Eminentísimo y Reverendísimo Principe y Señor Cardenal Don Gil de Albornoz.
Poiché il Collegio degli spagnoli costituiva per la Monarquía un bacino di reclutamento di giuristi fedeli da impiegare negli apparati dei Reynos, Antonio trovò un’adeguata collocazione professionale nel Regno di Napoli. Divenuto uditore presso l’Udienza di Trani, si inserì nella vita sociale e culturale della città e, tra l’altro, allacciò rapporti con l’editore Lorenzo Valeri, presso il quale stampò il Compendium rerum notabilium iuris pontificii et cesarei e il Liber singularis de actionibus, testi che sotto altro titolo riproponevano opere latine elaborate durante il soggiorno bolognese, e la biografia di Gil de Albornoz. Con una buona dose di intelligenza politica, dedicò le proprie opere ai diversi viceré pro tempore, garantendosi anche per questa via il loro favore e poté così attingere al flusso di gratificazioni materiali e simboliche dispensate tra i sostenitori del governo spagnolo e ascendere nelle locali gerarchie della ricchezza e dell’onore.
Nel 1635 sposò una nobildonna napoletana, Ippolita Albertini d’Azzia, che a metà del XVII secolo, per una serie di circostanze fortunose, avrebbe ereditato i feudi e i titoli della famiglia materna, avrebbe consentito a Perez Navarrete di fregiarsi del titolo di conte di Noja, in Terra di Bari, e di diventare marchese di Laterza, in Terra d’Otranto, se pure maritali nomine.
Nello stesso anno lasciò le province per Napoli e divenne giudice di Vicaria. Nella capitale partenopea rivestì cariche prestigiose e fu nominato nel 1639 uditore generale dell’esercito e delegato della milizia italiana, nel 1641 avvocato fiscale nelle cause di nobiltà, nel 1645 consigliere del Sacro Regio Consiglio, nel 1646 vicario generale di Campagna per tutto il Regno. All’inizio degli anni Quaranta ottenne la croce dell’Ordine militare di Santiago.
Tra il quarto e il quinto decennio del Seicento si mise progressivamente in luce nella vita pubblica napoletana, oltre che come giurisperito competente e ministro affidabile, come autore capace di impegnarsi in generi letterari diversi e pubblicò alcuni lavori dedicati al duca di Medina o comunque volti a sostenerne la linea di governo.
L’agile trattatello Politica de la verdad y alivio del Reyno de Napoles, edito in un anno imprecisato, presumibilmente all’arrivo del viceré nel Mezzogiorno o poco dopo, ricalcava un diffuso modello letterario, finalizzato a guidare il principe nell’attività di governo, e illustrava in sei discorsi le carenze del Paese che il duca era stato chiamato a reggere. Scritta dall’autore in qualità di fiscale delle piazze nobili di Napoli per appoggiare la politica ufficiale della monarchia e la sua stretta fiscale nel Mezzogiorno, anche La Razón non era datata, ma riconducibile all’incirca al 1642, poiché destinata a vincere le resistenze opposte alla contribuzione straordinaria di undici milioni di ducati concessa dall’ultimo Parlamento celebrato nel Regno. Era indirizzata, come recitava il sottotitolo, A los Nobilissimos Cavalleros Napolitanos, per spiegare loro i motivi per cui avrebbero dovuto finanziare il conflitto che, combattuto dagli Asburgo nel nord dell’Europa, era giunto a lambire lo Stato di Milano, antemurale del Regno di Napoli. Nello stesso 1642 Pérez Navarrete, diventato giudice militare, componeva il Discurso legal y politico en defensa del privilegio que gozan los Escolares dela Artilleria e la Defensa de la iurisdición militar, due scritti in cui adoperava le sue competenze giuridiche per respingere l’indebita usurpazione di giurisdizione tentata a suo danno dal fiscale della Gran Corte della Vicaria.
La rivolta antispagnola (1647) costituì un’opportunità per Perez Navarrete, che si impose in quei mesi difficili tanto da diventare uno dei collaboratori più validi e affidabili dei viceré che ressero Napoli alla metà del XVII secolo. Da un lato venne impiegato per risolvere delicate questioni, sovente coperte da segreto, e fu costretto ad agire mantenendosi nell’ombra perché coinvolto in operazioni al di fuori della legalità e da non divulgare, dall'altro ricoprì importanti mansioni istituzionali, volte parimenti a contenere l’opposizione alla Monarquía.
Fu membro della Giunta speciale per gli imputati politici, istituita nel 1640 e trasformata poi in Giunta di Stato e degli inconfidenti; nel 1647 fu inviato da don Giovanni d’Austria a governare Capua, città di importanza strategica, ubicata lungo l’itinerario che conduceva da Napoli nello Stato pontificio. Nel 1649, per ordine del conte di Oñate, lasciò la carica di governatore e, in qualità di delegato generale di Campagna, si adoperò per sgominare banditi e ribelli che continuavano a infestare la provincia di Terra di Lavoro dopo la conclusione della rivolta.
Nel secondo Seicento Pérez Navarrete conseguì i massimi successi personali e professionali, avvalendosi del largo credito che in quegli anni era accordato agli esponenti della burocrazia regia, per bilanciare e contenere la forza della nobiltà. Nell’esercizio delle sue funzioni agì schierandosi sempre fedelmente con i viceré, facendo leva tanto sulla forza del diritto quanto su quella delle armi, deciso a reprimere le resistenze sopravvissute alla rivolta, pronto a liquidare sul nascere i focolai eversivi attizzati da sedicenti riformatori politici istigati dalla Francia. Stabilì una profonda intesa con il viceré conte di Castrillo e nell’ottobre del 1654, quando venne riformata la Giunta degli inconfidenti, fu nominato commissario generale; di lì a qualche mese, in occasione del nuovo attacco sferrato al Regno dal duca di Guisa, combatté presso Torre Annunziata e concorse alla ritirata della flotta francese.
Capace di assolvere degnamente ogni incarico, fu pure delegato dal viceré a sovrintendere alle celebrazioni per la nascita dell’infante Filippo Prospero che si tennero a Napoli nel carnevale del 1659. Per conservare memoria dell’evento dinastico, favorì l’edizione in tempi brevi del volume delle Feste celebrate in Napoli che, scritto dal teatino Andrea Cirino e corredato dalle pregevoli incisioni di Nicola Perrey, da alcuni gli venne erroneamente attribuito.
Durante il governo di Pietro d’Aragona fece parte del cosiddetto 'partito aragonese' dei fedelissimi del viceré e, abile a destreggiarsi tra i diversi schieramenti di forze, riuscì sia a conseguire ulteriori successi individuali sia a pilotare abilmente le carriere dei figli avviati, a eccezione dell’erede, alcuni alla carriera ecclesiastica e altri agli studi di diritto.
Ambì alla carica di reggente del Collaterale e, per favorire l'attuazione dell'obiettivo, all’inizio degli anni Settanta del XVII secolo mise ordinatamente per iscritto i Servicios hechos a Su Magestad por el Consejero Don Antonio Navarrete, Cavallero del avito de Sant’Tiago y Marques dela Terzia, un’opera diversa dalle precedenti, forse finalizzata a circolare esclusivamente all’interno di una ristretta cerchia di destinatari e stampata per agevolarli nella lettura. Si trattava di una dettagliata relazione che riassumeva l’operato di una vita, condensandolo per temi in quattro capitoli, ove l’autore narrava centinaia di episodi che lo avevano visto protagonista e che concernevano la carcerazione di delinquenti comuni, l’arresto di rivoltosi e dissidenti politici, la cattura di fuoriusciti e banditi, i servizi resi «en materia de Govierno, justicia, y aumento de la Real Hazienda de S.M.» (p. 115).
Nominato nel 1674 reggente soprannumerario, Pérez Navarrete seguitò a barcamenarsi tra interessi privati e pubbliche necessità, spendendosi per reprimere il dissenso politico e per soddisfare le esigenze della Monarquía. Durante la crisi di Messina, episodio periferico della guerra d’Olanda i cui oneri vennero in parte a ricadere sul vicino Mezzogiorno, si adoperò sia per finanziare il conflitto attraverso un donativo sia per garantire l’ordine pubblico nella capitale.
Morì il 23 dicembre 1686.
Il suo iter umano e politico fu sintetizzato nella lapide sepolcrale che il figlio Nicolò, dal 1681 marchese di Laterza per successione materna, fece apporre sul suo mausoleo nella chiesa napoletana di S. Maria della Salute, luogo simbolo della famiglia dove sarebbero state in seguito concentrate le sepolture di altri esponenti del casato.
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