PICCOLOMINI, Antonio
PICCOLOMINI, Antonio. – Nacque a Sarteano nel 1435, secondogenito di Nanni Todeschini e Laudomia Piccolomini, sorella di Enea Silvio Piccolomini, poi papa Pio II. Suoi fratelli furono Francesco, primogenito (poi cardinale e papa Pio III nel 1503), iniziato alla carriera ecclesiastica dallo zio materno, Iacopo e Andrea. Prese, insieme con i fratelli, il cognome materno Piccolomini all’elezione papale dello zio.
Le notizie circa l’infanzia e la formazione sono scarse, se si fa eccezione per il trasferimento a Siena con la famiglia. La sua fortuna coincise con l’elezione al soglio petrino dello zio nel 1458. Sin dall’inizio del pontificato, Piccolomini fu infatti il nipote laico prediletto da Pio II, il quale lo colmò di benefici, incarichi civili e militari e prerogative, in un ristretto arco di tempo. Fu conte palatino dal 1458; nello stesso anno (1° novembre) fu nominato castellano di Castel Sant’Angelo (Reg. Vat. 515, c. 137r). Il 23 novembre 1459 ricevette una littera passus per una galea per la crociata (Reg. Vat. 502, c. 282r-v). L’8 marzo 1460 fu nominato commissario e governatore generale della cavalleria e fanteria pontificia (gubernator armorum; Reg. Vat. 515, cc. 230v-231v). Il 21 aprile 1460 ebbe concesso, gratis pro nepote, l’altare portabile (Reg. Vat. 476, c. 14v). Il 13 giugno 1460 il papa emanò direttive circa una galea per la crociata guidata da Piccolomini (ibid., cc. 226v-227v). Il 25 marzo 1461 ottenne una littera passus per la galea che lo avrebbe portato a Napoli (Reg. Vat. 480, c. 27r-v).
Il 23 maggio 1461 Piccolomini sposò Maria d’Aragona, figlia naturale del re di Napoli Ferdinando I, che gli conferì il feudo di Amalfi, come parte della dote di Maria, con il titolo ducale e l’onore di aggiungere ai suoi il nome e le armi di Aragona (Archivio di Stato di Napoli, Museo, 99, A.17-I, cc. 160v-171v). Fu quindi il capostipite della casata dei Piccolomini d’Aragona nel Regno di Napoli, che tenne il ducato di Amalfi fino al secondo decennio del XVII secolo. Seguì una serie di cariche e privilegi sia da parte regia sia pontificia. Il 27 maggio 1463 Ferdinando lo nominò maestro giustiziere del Regno di Napoli e generale luogotenente di gente d’arme. Il 12 febbraio 1463 fu investito I conte di Celano e Gagliano, barone di Balsorano, Pescina e Carapelle, marchese di Capestrano, marchese di Deliceto e signore di altre terre abruzzesi (Puglia, 2005, p. 47). Il 18 luglio 1463 ricevette in dono, insieme con i fratelli Andrea e Iacopo, il palazzo paterno a Pienza (Reg. Vat. 492, cc. 115v-116r). Il 31 gennaio 1464 ebbe in feudo dal papa Senigallia, oltre al vicariato di Mondavio e delle altre terre adiacenti (Reg. Vat. 496, cc. 3r-10v). Sempre insieme con i fratelli, il 31 marzo 1464 ebbe un cospicuo donativo di beni familiari e di giuspatronati (Reg. Vat. 495, cc. 300r-303r). Il 27 maggio 1464 ottenne dal re il dominio utile sulla terra di Scafati, mentre il dominio eminente andò al monastero di Real Valle, di cui era commendatario il fratello Francesco (Reg. Lat. 368, c. 69r). Il 29 maggio 1464 fu nominato luogotenente dell’Urbe in vista della partenza del papa per la crociata (Reg. Vat. 517, cc. 3r-4r). Il 31 maggio 1464 ebbe insieme a tutti e tre i fratelli il giuspatronato della cappella di S. Maria di Betlemme nella diocesi di Siena (Reg. Vat. 497, cc. 159v-161r). Il 5 giugno 1464 fu costituito infine vicario di Gradoli, Abbazia a Ponte, Canino e delle terre vicine (ibid., cc. 190r-191v).
Il rilievo assunto da Piccolomini è sottolineato da un progetto di congiura guidato dai Colonna per assumere il potere su Roma in assenza di Pio II (1459), che prevedeva appunto la sua uccisione. Durante il pontificato piesco, Piccolomini fu sovente impegnato in missioni militari nelle terre sia dello Stato della Chiesa, occupate da feudatari ormai illegittimi, sia del Regno di Napoli, funestata dalle guerre di successione ad Alfonso il Magnanimo. Lo stesso Pio II, nei Commentari, parla sovente di Piccolomini, giustificando il suo nepotismo con le grandi capacità belliche e amministrative dell’uomo, e mettendo in risalto il suo valore e la sua attività durante il pontificato.
Nel racconto dell’assedio di Donadio (ottobre 1460), Pio II dipinge il nipote come un valoroso comandante, che mette in salvo le donne dalla furia sforzesca e che riesce incolume da una battaglia in cui si ritrovò a combattere da solo. Circa l’assegnazione del ducato di Sessa a Piccolomini, il papa sottolinea come fosse un ringraziamento di Ferdinando I, mentre quella del feudo di Terracina evidenzia come ciò addirittura sia sfavorevole al nipote: Piccolomini, a detta del papa, fu un mezzo per le alleanze. Anche il matrimonio con la figlia naturale del re fu per Pio più favorevole alla Chiesa che agli interessi della famiglia.
Piccolomini fu coinvolto nel tentativo di Luigi di Angiò di riottenere per la sua casata il Regno di Napoli; Luigi propose al pontefice di spartire i territori tra lui, Ferdinando d’Aragona e, appunto, Piccolomini, che avrebbe ricevuto la Calabria (1461). Anche in occasione del vittorioso assedio di Troia, in Puglia (18 agosto 1462), da parte delle truppe di Ferdinando, Antonio poté fregiarsi agli occhi dello zio di grande valore militare, pur non essendo mai stato a capo di grandi eserciti. Ancora: fu utilizzato per la liberazione dell’Abruzzo dalle scorrerie di Niccolò Piccinino e per il recupero di Sessa, ove si distinse in valore nella battaglia di Mondragone (1463). In più, Pio II dichiarò che la contea di Celano fu assegnata da Ferdinando a Piccolomini esclusivamente per i suoi meriti.
Dopo la morte di Pio II (1464), l’attività politica e militare di Piccolomini gravitò naturalmente nel Regno di Napoli: fu governatore degli Abruzzi negli anni 1469-75, 1484 e 1491, signore di Castel del Conte e di Ofena dal 1478, mentre nel 1480 venne aggregato alla nobiltà napoletana del seggio di Nido; rimase poi sempre fedele a Ferdinando d’Aragona durante la congiura dei baroni. Nello Stato della Chiesa già nel 1464 lasciò il governo di Castel Sant’Angelo, e – successivamente – tutti gli incarichi militari pontifici; nel 1474, perse Senigallia e il vicariato di Mondavio. Rimasto vedovo di Maria d’Aragona nel 1470, sposò Maria di Marzano nel 1471. Ebbe cinque figlie (tre dalla prima moglie e due dalla seconda) e quattro figli (tutti della seconda moglie).
Morì a Capestrano l’11 gennaio 1492.
Piccolomini è protagonista del dialogo sulla crociata indetta da Pio II Gratulatio ad maximum, beatissimumque Pontificem Pium II. Pro felici, ac secundo ex Mantuana peregrinatione reditu del benedettino Girolamo Aliotti (1460, in Hieronymi Aliotti Arretini Epistolae et opuscola, a cura di G. M. Scarmali, II, Arezzo 1769, pp. 323-345).
Fonti e Bibl.: Pio II, I commentari, a cura di L. Todaro, Milano 2008, pp. 771, 849-853, 919, 923, 929, 933-937, 1359, 1461, 1843-1851, 2197, 2289, 2301, 2387-2391, 2433, 2455. M. Camera, Memorie storico-diplomatiche dell’antica città e ducato di Amalfi, II, Salerno 1876, p. 31; P. Pagliucchi, I Castellani del Castel S. Angelo di Roma, I, 1-2, Roma 1906, ad ind.; A.A. Strnad, Francesco Todeschini Piccolomini. Politik und Màzenatentum im Quattrocento, in Römische historische Mitteilungen, VIII-IX (1964-66), pp. 101-425, ad ind.; A. De Vincentiis, Battaglie di Memoria…, Roma 2002, ad ind.; I. Puglia, I Piccolomini d’Aragona duchi di Amalfi, 1461-1610. Storia di un patrimonio nobiliare, Napoli 2005, ad indicem.