PIETRANGELI, Antonio
PIETRANGELI, Antonio. – Nacque a Roma il 19 gennaio 1919 da Francesco, ingegnere, e Ofelia Palleschi, maestra.
Visse con i fratelli e le sorelle, Liliana, Mario, Achille (morto poi a 23 anni), Nina, Giorgio, Gianna e Fiorella, in via Angelo Poliziano. Frequentò le elementari presso l’istituto Ruggero Bonghi e il liceo classico nel privato Santa Maria. Si iscrisse alla facoltà di medicina e, laureatosi il 19 aprile 1945, esercitò per qualche tempo la professione, per poi dedicarsi al cinema e al giornalismo, cui si era interessato fin da studente.
Nel 1940 firmò con lo pseudonimo Vice recensioni e servizi da diversi festival per il quotidiano Il lavoro fascista.
Nell’estate-autunno del 1941 divenne, grazie a Umberto Barbaro, Luigi Chiarini e Francesco Pasinetti, collaboratore di Bianco e Nero, storica testata del Centro sperimentale di cinematografia, in qualità di segretario di redazione, redattore ed editorialista. Fautore del futuro neorealismo, promotore dell’anticalligrafismo, collaborò alla rivista fino all’estate del 1943, con una trasferta su Cinema e Si gira, che diresse per soli tre numeri, nell’aprile-maggio 1942, con Mino Donati e Massimo Mida.
Il 1943 fu molto importante per Pietrangeli. Il 30 gennaio sposò Margherita Ferrone – dalla quale ebbe due figli, Paolo (29 aprile 1945, regista e cantante: sua Contessa, manifesto canoro del ’68 italiano) e Carlo (6 febbraio 1951). Scrisse poi, insieme a Barbaro, un contributo pubblicato su Pattuglia, la rivista dei Cineguf di Forlì, e il noto saggio, Appunti sulla regia cinematografica, che rimase però inedito fino al 1995. Dopodiché approdò sul set (anche se già nel 1941 era stato segretario di edizione di Via delle cinque lune di Chiarini) dirigendo l’ufficio stampa e affiancando Giuseppe De Santis come aiuto regista di Ossessione di Luchino Visconti. Addetto alla revisione dei dialoghi, fu per errore accreditato come sceneggiatore.
Alla sceneggiatura si dedicò invece in seguito, spesso con soggetti inediti: Morte a Venezia (Il processo di Maria Tarnowska), depositato con Visconti all’Ente italiano per il diritto d’autore (EIDA); Jane Eyre e Fornaci, revisionati per Roberto Rossellini e Gianni Franciolini; Temporale (da Gli indifferenti di Alberto Moravia, scritto con Vitaliano Brancati), per il quale Alberto Lattuada non ebbe il visto di censura.
Sfollato all’indomani dell’8 settembre, visse in clandestinità insieme a Michelangelo Antonioni a Magliano de’ Marsi.
Alla fine dell’anno diresse, con Pasinetti e poi solo, la Piccola enciclopedia del cinema, mai in edicola.
Nella Roma liberata del 1944 curò collane narrative, collaborò a testate culturali (Domenica, Mercurio, Città, Cosmopolita, Cronache), tradusse racconti (William Faulkner) e fu titolare, fino all’aprile del 1946, della rubrica Sala di proiezione di Star, diretto da Ercole Patti. Penna esigente e intransigente, che Alessandro Blasetti definì implacabile, amò non senza riserve i film neorealisti e si mostrò un valido storico del cinema.
Il 1945 fu segnato dal trattamento di Il delitto dell’auto (scritto con Barbaro, sull’assassinio Matteotti), dalle voci dell’Enciclopedia del teatro e delle arti diretta da Silvio d’Amico e dagli adattamenti-commenti per La nostra guerra, documentario di Lattuada, per il quale mancò l’aiuto-regia, e per Un giorno nella vita, lungometraggio di Blasetti.
A cavallo tra il 1945 e il 1946 fu coinvolto nel film resistenziale inedito di Visconti, Furore, insieme ad Antonioni, Vasco Pratolini e De Santis, nonché in Il processo di Maria Tarnowska, sempre viscontiano, prima redatto con Antonioni e Guido Piovene, poi rimaneggiato più volte nel tempo con Federico Fellini, Tullio Pinelli e Moravia.
Nel 1946 Pietrangeli ebbe una controversia con Visconti per Proposta di un soggetto per un film sulla borghesia milanese, destinata alla Lux, nonché una sceneggiatura irrealizzata: La vita di Alfredo Catalani di Franciolini.
Nel 1947 fu ancora critico e saggista per Fotogrammi di Ermanno Contini, ma anche per La critica cinematografica e Film Rivista. Venne poi eletto presidente della Federazione italiana dei circoli del cinema (FICC). Infine sceneggiò Gioventù perduta di Pietro Germi e Amanti senza amore di Franciolini.
Nel 1948 si candidò alla Camera dei deputati nelle liste del Fronte democratico popolare di un collegio toscano, senza essere eletto. Si congedò dalla carta stampata con Panoramique sur le cinéma italien (poi Cinema italiano sonoro in un quaderno FICC del 1950), pubblicato su La Revue du Cinéma (1948, n. 13, pp. 10-53). Scrisse ancora (Fabiola di Blasetti, Gli ultimi giorni di Pompei di Paolo Moffa e Marcel L’Herbier, Senza pietà di Lattuada), ma soprattutto approdò sul set di La terra trema di Visconti come responsabile del commento parlato. Seguì anche la traduzione italiana e francese del doppiaggio, senza che mutassero le sfortunate sorti distributive della pellicola.
Tra progetti irrealizzati e terminati (Romanzo d’amore di Duilio Coletti, Vulcano di William Dieterle, Quel fantasma di mio marito di Camillo Mastrocinque, Due mogli sono troppe di Mario Camerini, La sposa non può attendere e Ultimo incontro di Franciolini), fu a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta che collaborò con Suso Cecchi d’Amico, ruppe con Visconti (per La carrozza del S. S. Sacramento poi diretto da Jean Renoir) e nuovamente incontrò Rossellini, per il quale fu attore e sceneggiatore per Europa ’51 e Viaggio in Italia, nonché autore del soggetto Finalmente la libertà, da cui Dov’è la libertà.
Sceneggiatore ancora di Franciolini, Luigi Comencini e Lattuada, per Il mondo le condanna, La tratta delle bianche e La lupa, nel 1953 passò dietro la macchina da presa.
Il sole negli occhi (Celestina), il cui primo soggetto, Il lungo viaggio di Celestina, venne depositato alla Società italiana degli autori e degli editori (SIAE) nel 1951, fu scritto insieme a Lucio Battistrada, a Cecchi d’Amico e in parte a Ugo Pirro. Interpretato da Irene Galter, al cui fianco comparve un allora semisconosciuto Gabriele Ferzetti, vi si narra del difficile inurbamento di una cameriera, Celestina, appunto. Dopo Amori di mezzo secolo (di cui firmò l’episodio Girandola 1910), progetto collettivo che nello stesso anno affrontò con Glauco Pellegrini, Mario Chiari, Germi e Rossellini, Pietrangeli passò alla commedia con Lo scapolo/Alberto il conquistatore (1955) e Souvenir d’Italie (1957). Pellicole al maschile, dagli incassi record e dai fortunati incontri con soggettisti-sceneggiatori celebri (Ettore Scola, Ruggero Maccari, Sandro Continenza, il duo Age e Scarpelli, Armando Crispino, Dario Fo), nonché indiscussi mattatori (Alberto Sordi, nel primo).
A fronte di progetti chiusi nel cassetto (Le ragazze chiacchierate, Le carmelitane), Nata di marzo (1958) venne riesumato dopo quattro anni e modificato nel nome dei protagonisti (Francesca, Sandro), nella professione maschile (architetto), nelle aspirazioni femminili (indipendenza) e nell’ambientazione (Milano). Interpretata ancora da Ferzetti e da Jacqueline Sassard (già Guendalina di Lattuada), la pellicola lasciò perplessi i critici, soprattutto per via di quella sofferta riconciliazione finale che, non prevista dagli sceneggiatori Scola, Maccari, Age e Scarpelli, ma suggerita dal produttore Carlo Ponti, scatenò inesatte interpretazioni sulla visione del matrimonio di Pietrangeli.
Numerose furono le traversie dei successivi tre anni, durante i quali Pietrangeli lavorò a progetti ancora destinati a slittare: Sarajevo (sull’assassino di Ferdinando d’Asburgo, detonatore della prima guerra mondiale), I gemelli, la vergine e il toro, Una vedova al mese (La truffa), ma soprattutto Le ragazze chiacchierate (poi anche Chiacchierate), la cui sceneggiatura fu venduta alla Vides di Franco Cristaldi e poi trasposta in I delfini (1960) di Francesco Maselli.
Il 18 aprile 1958 Pietrangeli firmò un contratto con la Zebra Film di Moris Ergas per 3 film: Adua e le compagne, La bugiarda, Una donna al giorno, di cui solo il primo, scritto da Maccari-Scola e Pinelli, entrò in lavorazione il 4 aprile 1960, dopo rinvii per indisposizione di Simone Signoret (la Adua del titolo), ritardi della coproduzione francese e grane con la censura. Nell’Italia della legge Merlin e della chiusura delle case di tolleranza, quattro prostitute, Adua, Milly (Gina Rovere), Lolita (Sandra Milo) e Marilina (Emmanuelle Riva), si mettono in proprio e aprono una loro trattoria-locanda, salvo nel finale tornare a battere il marciapiede.
Presentato al festival di Venezia, in un’edizione agitata dall’ostruzionismo nei confronti di Emilio Lonero, allora direttore, appartenente ad Azione cattolica e severo censore, Adua subì diversi tagli e venne distribuito in Italia, salvo che in Sicilia (in particolare a Palermo, dove prima annunciato e poi fermato per dei tagli di censura, fu definitivamente ostacolato, pare, dal cardinale Ruffini), dalla fine di settembre.
Tra pellicole preannunciate e sfumate (tra cui Una storia italiana, sul ventennio fascista, prima annunicata e poi disdetta), fu negli anni Sessanta che Pietrangeli mise ancora a segno ottimi film.
Fantasmi a Roma (1961) gli venne commissionato da Cristaldi nel febbraio 1960, anche se le riprese iniziarono a metà anno. Tratto da un soggetto fantastico di Sergio Amidei, sceneggiato con Scola-Maccari e in parte Ennio Flaiano, la pellicola a colori si avvalse della fotografia di Giuseppe Rotunno e della partecipazione di un cast di attori eccellenti come Edoardo De Filippo, Marcello Mastroianni, Tino Buazzelli, Vittorio Gassman, la Milo e Lilla Brignone. Flop d’incassi, insignito di un prestigioso premio belga, fu una parentesi maschile nell’universo prettamente femminile della produzione del Pietrangeli di allora.
Escluso Il magnifico cornuto (1964), interpretato da Ugo Tognazzi (Andrea Artusi) nel ruolo di un imprenditore bresciano ossessionato dalla gelosia per la moglie Maria Grazia (Claudia Cardinale), tratto per la prima volta da una commedia teatrale (Le cocu magnifique di Fernand Crommelynck), questo fu di fatto il decennio della trilogia femminile: La parmigiana e La visita del 1963, Io la conoscevo bene del 1965.
Ispirato all’omonimo romanzo di Bruna Piatti, edito dalla Longanesi, La parmigiana scaturì da un contratto firmato il 3 luglio 1962 con la Documento Film. Dopo che il lavoro di sceneggiatura di Scola-Maccari e Stefano Strucchi (cui si aggiunse, prima del doppiaggio, la traduzione dei dialoghi in dialetto del critico parmense Giuseppe Calzolari) si concluse il 29 agosto, il primo ciak fu battuto a ottobre. Moderno nei contenuti e nello stile, la spregiudicatezza e l’indipendenza di Dora (Catherine Spaak), la protagonista parmense del titolo, sono messe a confronto con la mediocrità e la meschinità maschile, per es. di Michele (Lando Buzzanca) e Nino (Nino Manfredi), con cui intreccia relazioni senza sposarsi. Dalla regia fluida e non lineare, scandita da flashback introdotti con panoramiche, il film fu accolto con favore dal pubblico, ma ebbe critiche maschiliste e moraliste che fraintesero la risata finale della Spaak, la quale davanti a una vetrina ricaccia indietro le lacrime, passandosi il rossetto sulle labbra, gesto che fu preso come sintomo di perdizione, laddove invece traduce un’emancipazione femminile.
Nello stesso anno Pietrangeli tornò sul set de La visita, che avrebbe dovuto dirigere De Santis, altrimenti impegnato con Italiani brava gente.
Acquisito soggetto e sceneggiatura da quest’ultimo e da Maccari-Scola, le riprese iniziarono il 12 giugno e terminarono il 20 agosto. Commedia amara e circolare, che si apre e si chiude in treno, con uso della voice over e nel mezzo ancora dei flashback, La visita narra l’incontro di due solitudini – quella di Pina (Milo), una donna matura e indipendente che vive e lavora in un consorzio agrario del mantovano, e di Adolfo (François Perier), commesso ultraquarantenne di una libreria romana – che, dopo un annuncio matrimoniale e una fitta corrispondenza, malinconicamente si consuma nell’arco di una giornata, senza avere un seguito.
I quotidiani annunciarono l’inizio delle riprese di Io la conoscevo bene il 23 ottobre 1961. Al termine di un’inchiesta svolta nel sottobosco delle pin-up, modelle e attricette che aspirano al cinema e alla pubblicità, Pietrangeli scrisse con Scola-Maccari la sceneggiatura. Sulle prime pensò alla Milo come protagonista, ma a causa dell’insuccesso di Vanina Vanini (1961) di Rossellini, il suo nome non risultava più spendibile. Caldeggiò allora quello di Stefania Sandrelli, recente rivelazione di Divorzio all’italiana (1961) e Sedotta e abbandonata (1964) di Germi, ma senza far breccia sui produttori che gli proposero invece Natalie Wood, Brigitte Bardot, Claudia Cardinale, Silvana Mangano e così via. Momentaneamente accantonato, fu solo in seguito agli strepitosi incassi del Magnifico cornuto che Pietrangeli poté riprendere in mano il film.
Basato sulle esperienze di vita di Adriana Astarelli e dei suoi numerosi incontri con uomini interpretati, tra gli altri, da Manfredi, Jean-Claude Brialy, Mario Adorf, Enrico Maria Salerno, Ugo Tognazzi (Nastro d’argento come Miglior attore non protagonista, per il ruolo di Bagini), Io la conoscevo bene è un puzzle che ricompone l’ennesimo ritratto di una ragazza di provincia catapultata nella capitale all’inseguimento dei sogni-miraggio dell’Italia del boom. Una giovane che, come afferma uno scrittore in una sequenza chiave del film, è senza ambizioni né curiosità, volubile e incostante. Eppure, mentre tutto sembra scivolarle addosso, lei si consuma nei brevi incontri con l’altro, senza colmare la sua struggente solitudine, tanto da compiere quel repentino salto nel vuoto con cui tragicamente la pellicola si conclude.
Nonostante premi (Miglior regia e sceneggiatura ai Nastri d’argento 1966) e riconoscimenti, Pietrangeli – che nel 1966 accettò di dirigere ancora Sordi nell’episodio di Fata Marta, per Le fate di Rodolfo Sonego, cui parteciparono anche Mario Monicelli, Luciano Salce e Mauro Bolognini – incontrò ancora difficoltà per titoli come Il mestiere di giudice, Le paure, Il futuro è cominciato ieri (Il duplicatore), L’attrazione, ma soprattutto La picaresca. Solo dopo qualche anno poté iniziare la lavorazione di quella che fu la sua ultima opera, uscita postuma: Come, quando, perché (1969).
Scritto con Pinelli, interpretato da Philippe Leroy (Marco), Danielle Gaubert (Paola), Horst Bucholz (Alberto), ambientato nella borghesia imprenditoriale piemontese e basato sulla classica triangolazione marito-moglie-amante, ma anche sul tema della sessualità matrimoniale, il film ebbe inizio alla fine di marzo del 1968, per poi interrompersi tragicamente. Pietrangeli morì il 12 luglio 1968.
A riprese ormai quasi ultimate fu in località Torre Scissura, a 4 km da Gaeta, che il regista infatti trovò la morte a soli 49 anni. Verso le 17.30 era sceso in acqua, in località La spiaggia dell’argonauta, dinanzi a uno sperone di roccia, per spiegare a tre comparse i dettagli delle ultime inquadrature del film. D’improvviso il mare cominciò però a ingrossarsi, impedendo al quartetto di rientrare. La troupe a riva cercò d’intervenire e, dopo alcuni tentativi andati a vuoto, riuscì finalmente a gettare ai quattro una corda. Malauguratamente sopraggiunse una forte onda che scaraventò Pietrangeli contro lo scoglio. A seguito di un violento urto del capo il regista svenne e mollò la presa. Risucchiato dal mare, venne ripescato ormai senza vita qualche ora dopo, alle 19.20, dalla Capitaneria di Porto.
Tre giorni dopo, il 15 luglio, furono celebrati i funerali a Roma, presso una chiesa poco distante dall’abitazione dei Pietrangeli di via delle Isole 16, mentre la salma fu tumulata nella tomba di famiglia al cimitero di Prima Porta.
Dopo che il montaggio di Come, quando, perché venne interrotto in autunno, su ordinanza del pretore Antonio Marone e richiesta degli eredi, preoccupati che fosse manipolato contro la volontà paterna, il film venne ultimato da Valerio Zurlini e distribuito l’anno successivo.
Fonti e Bibl.: Un vivo ringraziamento ad Antonio Maraldi e ai figli di P. per le preziose notizie familiari e biografiche fornite. L’archivio A. P., donato dai figli, è conservato a Cesena, presso il Centro cinema città di Cesena e si compone di un archivio fotografico (che conta circa 6000 foto di scena riconducibili sia alla sua attività di regista sia a quella di critico) e di un archivio cartaceo, dove sono raccolte corrispondenze, materiali di lavoro, inediti.
C. Mangini, La parabola naturale di A. P., in L’Eco del cinema e dello spettacolo, 1954, n. 84, p. 9; S. Martini, Tre domande a P., in Cinema nuovo, 1958, n. 127, p. 132; F. Rinaudo, Primi piani. A. P., in La rivista del cinematografo, 1958, nn. 7-8, pp. 232-233; M. Argentieri, Cominciano le peripezie di Adua e le sue compagne, in L’Unità, 3 aprile 1960, p. 6; Il cardinale Ruffini blocca “Adua” a Palermo, in L’Unità, 20 settembre 1960, p, 6; A. P.: “Io la conoscevo bene”. Registi al lavoro, in L’Unità, 17 ottobre 1961, p. 6; Premio a P., in L’Unità, 21 ottobre 1961, p. 6; L. De Santis, I registi del cinema italiano, in Cineforum, 1964, n. 37, pp. 661-662; L. Autera, P., in Venti anni di cinema italiano, Roma 1965; G. Biraghi, Dieci film tutta una vita, in Cinema d’oggi, 1968, n. 30, p. 3; Red., P., in Cinema 60, 1968, n. 69, pp. 5-6; P. Valmarana, P. regista di rara umanità, in Cineforum, 1968, n. 76, p. 426; P. gira a Torino la storia d’un nuovo triangolo, in La Stampa, 26 marzo 1968, p. 7; Un’ondata l’ha sbattuto sulla roccia e P. è scomparso tra i flutti, in L’Unità, 13 luglio 1968, p. 3; Il regista P. annega travolto da un’ondata sulla riva, in La Stampa, 13 luglio 1968, p. 5; L’addio a P., in L’Unità, 16 luglio 1968, p. 6; L. Z., Folla di attori ai funerali di P.. Nessuno sa spiegarsi la sciagura di Gaeta, in La Stampa, 16 luglio 1968, p. 7; Un altro regista girerà le scene, in La Stampa, 17 luglio 1968, p. 8; Bloccato dal Pretore il montaggio dell’ultimo film di P., in L’Unità, 21 settembre 1968, p. 9; L’ultimo film di P., in La Stampa, 9 novembre 1969, p. 8; M. Argentieri, “Che vergogna!” disse il ministro e Rocco fu il primo della lista, in L’Unità, agosto 1982, p. 4; Il cinema di A. P., a cura di P. Detassis - T. Masoni - P. Vecchi, Venezia, 1987; A. Maraldi, A. P., Firenze 1991; Un’invisibile presenza. Il cinema di A. P., a cura di G. Morelli - G. Martini - G. Zappoli, Milano 1998; A. Crespi, A colazione da Visconti, in L’Unità, 2 novembre 2006, p. 17; Io la conoscevo bene. Un film di A. P., a cura di P. Mereghetti, Bianco e nero all’italiana. I DVD del Corriere della Sera, 2009; http://www.imdb.com/name/nm0682881/?ref_=fn_al_nm_1 (25 maggio 2015); http://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Pietrangeli (25 maggio 2015).