Pietrangeli, Antonio
Regista e sceneggiatore cinematografico, nato a Roma il 19 gennaio 1919 e morto a Gaeta il 12 luglio 1968. Apparentemente vicino alle forme della commedia all'italiana, il suo cinema si è in realtà mantenuto in bilico tra uno spirito umoristico e grottesco e una dimensione alienante, che accentua la profonda solitudine dei suoi personaggi con toni che sfiorano spesso il genere drammatico. Protagoniste dei suoi film sono quasi esclusivamente le figure femminili ‒ spesso giovani donne delle quali vengono rappresentati i desideri, le frustrazioni, il disagio, a volte la sottile disperazione ‒ inserite nel contesto sociale dell'Italia del boom economico. La frequente utilizzazione dei successi musicali dell'epoca, la struttura narrativa volontariamente frammentata (con il ricorso al flashback), la dimensione malinconica delle storie sono le caratteristiche di una delle personalità più innovative del cinema italiano degli anni Cinquanta e Sessanta.
Nella prima metà degli anni Quaranta iniziò a collaborare come critico con alcune riviste specializzate, come "Bianco e nero", "Cinema" e "Star", laureandosi contemporaneamente in medicina. Nel frattempo cominciava a frequentare i set: fu segretario di edizione in Via delle Cinque Lune (1942) di Luigi Chiarini e poi aiuto regista (assieme a Giuseppe De Santis) in Ossessione (1943) di Luchino Visconti dove, visto l'importante contributo alla revisione dei dialoghi, fu incluso tra gli sceneggiatori. Successivamente curò il commento del documentario La nostra guerra (1945) di Alberto Lattuada e di La terra trema (1948) di Visconti e collaborò come sceneggiatore con Pietro Germi (Gioventù perduta, 1948), Alessandro Blasetti (Fabiola, 1949), Lattuada (Senza pietà, 1948; La lupa, 1953), William Dieterle (Vulcano, 1950), Mario Camerini (Due mogli sono troppe, 1951) e altri. Il sodalizio più duraturo fu però instaurato con Gianni Franciolini e Roberto Rossellini: per il primo P. scrisse Amanti senza amore (1948), Anselmo ha fretta, noto anche come La sposa non può attendere (1949), Ultimo incontro (1951) e Il mondo le condanna (1953); mentre per Rossellini collaborò alla sceneggiatura di Europa '51 (1952), Dov'è la libertà…? (1954) e soprattutto Viaggio in Italia (1954).
Esordì dietro la macchina da presa con Il sole negli occhi (1953), dove disegnò il ritratto di una giovane cameriera, Celestina, venuta a Roma dalla campagna, che resta incinta e sola; ancora vicino al Neorealismo, il film si caratterizza per un'attenta analisi dei costumi e per il modo in cui i personaggi acquistano progressivamente spessore. Dopo l'episodio Girandola 1910 del collettivo Amori di mezzo secolo (1954), virò sensibilmente verso la commedia con Lo scapolo (1955), storia di uno scapolo impenitente che ama godersi la vita e le belle donne, ma alla fine deve capitolare. Il film, che ebbe un considerevole successo di botteghino, rappresentò un felice incontro tra P. e Alberto Sordi, ma soprattutto segnò l'allontanarsi del regista dalle formule del 'neorealismo rosa' per proporre un graffiante quadro della società, che per certi versi anticipa la commedia all'italiana, ma risulta caratterizzato da un'amarezza di fondo nella quale il comico sfiora il tragico. Nel suo lavoro successivo, Souvenir d'Italie (1957), tre ragazze straniere attraversano l'Italia in autostop imbattendosi in singolari personaggi; commedia corale e film d'attori (Vittorio De Sica, Massimo Girotti e Sordi), pur diretta con sicuro mestiere, è però l'opera meno personale del regista. Un altro ritratto al femminile, quello di una giovane donna viziata e capricciosa in Nata di marzo (1958), è in realtà un'accurata analisi dei rapporti di una coppia borghese, nella quale il contesto sociale (in particolare l'ambientazione milanese) assume un'importanza predominante. P. diresse poi Adua e le compagne (1960), storia di quattro prostitute che, dopo la chiusura delle case di tolleranza (a seguito della legge Merlin), aprono una trattoria: per un certo periodo riescono a mandarla avanti, ma sono poi costrette a tornare alla vita di prima. Il film rappresentò una riuscita sortita in direzione drammatica con momenti di aperto lirismo: in particolare l'esperienza della trattoria equivale alla materializzazione di un'utopia, di un desiderio fantastico. Nel successivo Fantasmi a Roma (1961), opera totalmente anomala rispetto agli stereotipi dei generi e del cinema d'autore di quegli anni, P. popolò un antico palazzo di Roma di apparizioni e sparizioni, in uno stile sempre sospeso tra fiaba e satira. Con La parmigiana (1963), tratto dal romanzo di B. Piatti, il regista tornò ad affrontare figure femminili con la consueta forza espressiva: il personaggio di Dora (Catherine Spaak) anticipa infatti per molti versi futuri profili di donne, caratterizzate da spontaneità, innocenza e spregiudicatezza, che vengono a scontrarsi con uomini meschini e opportunisti. Questi stessi elementi, insieme a una sorta di nomadismo emozionale, che porta il regista ad attraversare una varietà di ambienti esterni (dagli spazi urbani alle città di mare), e unitamente alla rappresentazione sociale dell'Italia degli anni Sessanta e all'utilizzazione di una struttura narrativa composta di flashback, ritornano anche in La visita (1963). Il film racconta con malinconia e disincanto una storia d'amore impossibile, tra le più belle del cinema italiano di quegli anni, che coinvolge una donna di provincia (Sandra Milo) e un commesso di libreria romano (François Perier), volgare e avido, conosciutisi tramite un annuncio su un giornale. Così, dopo Il magnifico cornuto (1964), tratto da un testo teatrale di F. Crommelynck, in cui i toni della commedia di costume si combinano efficacemente con le deformazioni fantastiche del protagonista (ossessionato dal pensiero di essere tradito dalla moglie), P. realizzò il suo capolavoro: Io la conoscevo bene (1965). Qui Adriana (Stefania Sandrelli), giunta in cerca di fortuna dalla provincia di Pistoia a Roma, rappresenta l'universo simbolico di tutti i personaggi femminili di P.: i diversi mestieri (domestica, parrucchiera, cassiera in un bowling), gli incontri (l'agente che le promette un lavoro nel mondo del cinema solo per approfittare di lei, lo scrittore, il ragazzo della buona borghesia), i drammi privati (l'aborto) vengono vissuti dalla protagonista con un'apparente passività cui si contrappone lo sguardo della macchina da presa nel rappresentare l'amara disillusione della ragazza che diventa indifferenza nei confronti del mondo che la circonda, ma anche bisogno di fuggire la solitudine e il silenzio; non a caso Adriana viene colta sempre in ambienti rumorosi e, quando è sola, ascolta in continuazione i dischi di successo del momento. Il tentato suicidio di Celestina in Il sole negli occhi si trasforma così nel suicidio improvviso di Adriana in Io la conoscevo bene: in questo passaggio la realtà vista attraverso l'oggettività della macchina da presa si trasforma nella realtà vista attraverso lo sguardo soggettivo della protagonista. P. realizzò poi Fata Marta, episodio di Le fate (1966) e Come, quando, perché (1969), ricostruzione della crisi matrimoniale di una coppia benestante di Torino; fu durante le riprese di questo film che annegò nel mare di Gaeta e il film venne portato a termine da Valerio Zurlini.
Il cinema di Antonio Pietrangeli, a cura di P. Detassis, T. Masoni, P. Vecchio, Venezia 1987; A. Maraldi, Antonio Pietrangeli, Firenze 1991; Un'invisibile presenza. Il cinema di Antonio Pietrangeli, a cura di G. Morelli, G. Martini, G. Zappoli, Milano 1998.