PIGNATELLI, Antonio
PIGNATELLI, Antonio. – Nacque a Napoli il 27 marzo 1722 da Antonio e da Anna Francesca Pinelli.
Se i Pignatelli erano di antichissime origini, la linea dei Pignatelli Aymerich, alla quale apparteneva Antonio, era relativamente recente e discendeva da un ramo cadetto dei principi di Noia stanziatosi nel secondo Seicento in Spagna, dove Domenico fece fortuna combattendo in Catalogna e sposando una ricca ereditiera, Anna de Aymerich, marchesa di San Vicente. I suoi figli, Antonio e Francesco, rivestirono importanti cariche politiche e militari nella Spagna borbonica; successivamente, mentre il minore rimase nella penisola iberica, il maggiore si stabilì nel Regno di Napoli ed entrò al servizio di Carlo VI, attratto nell’orbita asburgica dalla sorella Maria Anna, coniugata con il conte d’Althann, Giovanni Venceslao, e ben introdotta nella corte cesarea. Nel 1721 Antonio sposò Anna Francesca Pinelli, figlia ed erede di Oronzo, principe di Belmonte, duca di Acerenza, marchese di Galatone e conte di Copertino, e godette di grande prestigio sia nella vita sociale della Napoli austriaca sia sulla scena politica. All’avanzata dell’esercito borbonico che avrebbe sottratto il Mezzogiorno agli Asburgo, fu nominato vicario del viceré Giulio Visconti e, al richiamo a Vienna di Tiberio Carafa, fu al comando dell’esercito imperiale. Sconfitto nel 1734 a Bitonto, si rifugiò in Austria per tornare nel 1738 nel Regno, grazie all’intercessione presso Carlo di Borbone dell’arcivescovo di Napoli, Francesco Pignatelli. Nella capitale partenopea si ricongiunse alla moglie che con l’appoggio di José Jaquín de Montealegre era entrata nelle grazie della regina, diventando una delle più potenti e intriganti dame di corte. Antonio dovette essere tempestivamente assolto dai suoi trascorsi filoimperiali se già nel successivo anno si vociferava che stesse per ottenere importanti cariche militari o che potesse recarsi in Spagna come ambasciatore. Di lì a poco, tuttavia, fu travolto dalla caduta in disgrazia della consorte, che nel 1741 fu allontanata dal Palazzo per volontà del suo ex protettore e relegata nei suoi feudi con la famiglia, mentre nel Mezzogiorno, in procinto di essere coinvolto nella guerra di successione austriaca, si guardava con crescente sospetto ai fautori del passato regime.
Nella circostanza il primogenito dei coniugi Pignatelli, Antonio, all’epoca marchese di Galatone, volle scindere le proprie fortune da quelle familiari e partì con le truppe borboniche verso i confini settentrionali del Regno, per concorrere alla formazione di uno schieramento antiasburgico, e nel 1744 partecipò alla battaglia di Velletri. La sua carriera militare subì un’importante svolta alla caduta di Montealegre, quando la madre, reintegrata a Palazzo, riuscì a farlo nominare capitano delle guardie italiane, oltre che gentiluomo di Camera.
Nel 1754 sposò una dama dell’aristocrazia filoimperiale, Francesca Revertera, nata dalle seconde nozze di Nicola Ippolito, duca di Salandra, e imparentata con la duchessa di Castropignano, Zenobia, figlia di primo letto dello stesso duca e influente dama della regina.
Dopo l’abdicazione al trono di Carlo in favore del figlio Ferdinando, Pignatelli dovette prendere posizione negli schieramenti di forze creatisi negli anni della Reggenza e stabilì una solida intesa con Domenico Cattaneo, principe di San Nicandro e aio del re, e con il gruppo che a lui faceva capo, fautore degli interessi nobiliari e avverso a Bernardo Tanucci. Durante la minore età di Ferdinando IV, Pignatelli riuscì a instaurare una profonda sintonia con il giovanissimo re, di cui divenne frequentatore abituale ricevendone considerazione e amicizia, nutrite dalla quotidianità della vita di palazzo e alimentate dalla gioiosa condivisione dei frequenti momenti di svago. La confidenza tra i due spiacque al ministro toscano, che non perse occasione per scrivere a Madrid dello scandalo sollevato nella corte napoletana da «Belmonte Pignatelli, che fa gran conversazioni segrete col tenero Re, e si mescola e s’insinua e minaccia d’avere un giorno a cagionare qualche grande sconcerto nella casa reale» (Tanucci, 1985-2003, XII, p. 21).
Il 1762 fu importante per Antonio Pignatelli, dall’inizio dell’anno precedente succeduto al padre nel titolo di principe di Belmonte, feudo calabrese che avrebbe ereditato solo nel 1779, alla morte della madre, insieme agli altri a lei intestati e dislocati nelle province di Basilicata e Terra d’Otranto. In primo luogo il principe, vedovo dal 1756, si unì in matrimonio con Chiara Spinelli, figlia di Troiano, duca d’Aquara, e di Barbara Caterina Pinto, e le nozze furono celebrate con un componimento encomiastico del giurista e arcade Giuseppe Maria Fagone, dedicato alla principessa vedova di Belmonte. In secondo luogo beneficiò della spartizione delle cariche già ricoperte dal defunto Lelio Carafa, e divenne primo cavallerizzo del re, per il servizio a corte esentato da quello attivo nel reggimento, pur conservando la carica di capitano delle guardie italiane.
Alle dipendenze della dinastia borbonica si posero alcuni fratelli del principe di Belmonte che non intrapresero la carriera ecclesiastica, mentre un altro fratello, il benedettino Gennaro, visse a lungo nella corte viennese e al suo rientro nel Regno divenne arcivescovo di Bari e di Capua. Il conte Michele fu gentiluomo e maggiordomo di settimana di Carlo di Borbone, prima di avviare una brillante carriera diplomatica che lo portò a Lisbona e a Torino come ministro plenipotenziario e come inviato straordinario a Londra e a Parigi. Godette della stima e della protezione di Tanucci, convinto non solo delle sue capacità professionali, ma pure che caratterialmente «non somiglia[sse] né la madre né il fratello primogenito» (Tanucci, 1985-2003, XII, p. 590), vale a dire che non fosse, come loro, un intrigante. Un altro fratello, Vincenzo, fu ufficiale di marina e si pose al diretto servizio della Corona spagnola. A Napoli giunse, oltre l’eco delle imprese da lui compiute sotto le insegne di Carlo III, la notizia della sua improvvisa morte in Orano che suscitò sospetti e fece ipotizzare fosse stato «avvelenato per invidia degl’altri spagnoli, che lo vedevano prossimo ad avanzamenti maggiori» (Strazzullo, 1976, III, p. 248).
Pignatelli continuò ad assistere Ferdinando IV anche dopo il matrimonio con Maria Carolina d’Austria; durante le lunghe e suntuose celebrazioni nuziali, si distinse per lo zelo con cui accudì alla real persona, con il vantaggio di avvicinare personaggi autorevoli come i granduchi di Toscana, convenuti a Napoli per partecipare ai festeggiamenti. Se alla fine degli anni Sessanta i coniugi Pignatelli rischiarono l’allontanamento dalla capitale e il «ritiro spontaneo» (Lettere di Bernardo Tanucci, 1969, p. 495) nei feudi aviti a causa della gelosia suscitata nella regina dalle grazie della principessa, forse troppo apprezzate dal re, successivamente essi raggiunsero posizioni di forte preminenza a corte. Dama di carattere esuberante, brillante protagonista della vita mondana e abile animatrice di un proprio salotto, la principessa riuscì ad accaparrarsi la fiducia della sovrana, che apprezzò la sua vivace compagnia nelle occasioni ludiche e se ne servì nella gestione degli affari più intricati e segreti, consentendole di acquisire grande importanza nel Palazzo e nella città. Annoverato tra i «potenti di corte» (p. 803), il principe vide tramutarsi l’antica fedeltà della sua famiglia alla casa d’Austria da elemento di debolezza a elemento di forza, quando Maria Carolina si impose nella vita pubblica napoletana. Insignito del cordone dell’Ordine di S. Gennaro in occasione delle nozze reali, ascese ai più alti gradi dell’esercito, a partire proprio dal 1768, allorché, in virtù di trent’anni di meritorio servizio alla Corona, ottenne il grado di brigadiere di fanteria per diventare successivamente maresciallo di campo e, infine, tenente generale. Né fu meno fortunata la sua carriera a corte, dove rivestì il ruolo prima di cavallerizzo maggiore e poi di maggiordomo maggiore. Resse la più alta carica di corte dal 1778 alla morte, svolgendo compiti delicati e complessi sia di rappresentanza sia di programmazione e gestione economica, come di organizzazione materiale e di vigilanza sul Palazzo; dal sovrano venne inoltre incaricato di presiedere e controllare importanti istituzioni culturali quali l’Accademia di scienze e belle lettere e la Deputazione de’ spettacoli e teatri.
Morì a Napoli il 2 gennaio 1794.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Archivio Serra di Gerace, Ms. Livio Serra, I, p. 247. Per l’archivio dei Pignatelli Aymerich, estintisi nei Granito di Belmonte, v. Archivi di famiglie e di persone. Materiali per una guida, I, Roma 1991, pp. 48-49. G.M. Fagone, Per le nozze degli eccellentissimi A. P. e Chiara Spinelli, Napoli 1762; Calendario e notiziario della corte, Napoli, ad annos e ad nomina; Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone: 1759-1776, regesti a cura di R. Mincuzzi, Roma 1969; F. Strazzullo, Le lettere di Luigi Vanvitelli della biblioteca palatina di Caserta, I-III, Galatina 1976; B. Tanucci, Epistolario, IX-XX, Roma e poi Napoli 1985-2003; N. Fraggianni, Lettere a B. Corsini (1739-1746), Napoli 1991; Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci, XVII, Roma 1994; Carlo di Borbone, Lettere ai sovrani di Spagna, III, Napoli 2003; C. Knight, Carteggio San Nicandro - Carlo III, Napoli 2009, ad nomina.
P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle due Sicilie, VII, Napoli 1811, p. 35; L. Del Pozzo, Cronaca civile e militare delle Due Sicilie sotto la dinastia borbonica, I, Napoli 1857, pp. 108, 121, 155; G.G. dei Tomasi, Elenco dei gentiluomini e delle dame che composero la Real Corte dei Borboni di Napoli, in L’Araldo. Almanacco nobiliare, 1882, pp. 223-271; M. Schipa, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Milano-Roma-Napoli 1923, I, pp. 102-117, II, p. 182; H. Acton, I Borbone di Napoli (1734-1825), Milano 1960, pp. 204, 258-260, 268; M.G. Maiorini, La reggenza borbonica (1759-1767), Napoli 1991, pp. 144, 257; G. Galasso, Storia del Regno di Napoli, IV, Torino 2007, pp. 390, 447, 531; D. Shamà, L’aristocrazia europea ieri e oggi. Sui Pignatelli e famiglie alleate, Foggia-Roma 2009, pp. 138-140, 212 s.; P. Molas Ribalta, Virreyes italianos en la corona de Aragon, in Centros de poder italianos en la Monarquía hispanica (siglos XV-XVIII), a cura di J. Martinez Millán - M. Rivero Roderíguez, I, Madrid 2010, pp. 31-55; E. Papagna, La corte di Carlo di Borbone il re ‘proprio e nazionale’, Napoli 2011, pp. 144-147.