PIZZUTO, Antonio
PIZZUTO, Antonio (Antonino). – Nacque a Palermo il 14 maggio 1893, primogenito di Giovanni, avvocato, e di Maria Amico, poetessa e cultrice di musica, figlia di Ugo Antonio Amico (1831-1917), colto letterato della Palermo della seconda metà dell’Ottocento.
Dopo gli studi classici superiori conseguì nel 1915 una prima laurea in giurisprudenza, con una tesi di statistica ed economia sulla Coltivazione del caffè in Brasile, e nel 1922 una seconda laurea in filosofia, con una tesi Sullo scetticismo di Hume, relatore Cosmo Guastella (1854-1922), il filosofo fenomenista ricordato in alcune pagine dello scrittore quale eminente figura di maestro. La morte del nonno materno nel 1917 e una difficile situazione economica familiare gli fecero intraprendere, nel 1918, una carriera di ripiego nella Pubblica Sicurezza dapprima a Palermo e poi a Roma, dove si recò nel 1930 chiamato al Viminale da Angelo Bocchini, il capo della polizia mussoliniana, e dove ricoprì anche la carica di vicepresidente della commissione internazionale di Polizia criminale (la futura Interpol), che gli permise di viaggiare, in qualità di rappresentante della sezione italiana e grazie alla sua conoscenza delle maggiori lingue europee, in molti Paesi dell’Europa e in America. Concluse la carriera con il grado di questore nelle sedi di Bolzano (1946-47) e di Arezzo (1948-49). Nel 1950, all’età di 57 anni, scelse di andare in pensione in anticipo per dedicarsi interamente alla scrittura.
Nonostante la carriera di poliziotto, Pizzuto non rinunciò mai alla sua più autentica vocazione di studioso e di scrittore. Si impegnò costantemente, a dispetto delle incombenze lavorative e familiari, a seguire la sua stella, secondo l’augurio del nonno materno. Infatti quella che è stata considerata una carriera letteraria tardiva (prima dell’accurata ricostruzione da parte di Gualberto Alvino e Antonio Pane della biografia e dell’opera edita e inedita di Pizzuto), fu preceduta in realtà da numerose prove creative, come racconti e romanzi pubblicati con pseudonimo, e da un lavoro costante di lettura e di traduzione sui classici greci e latini tra i quali Platone, Tucidide, Tacito, Seneca; nonché Shakespeare, Proust, Joyce, che Pizzuto lesse in originale. Appena diciannovenne, pubblicò il suo primo racconto Rosalia (in Illustrazione popolare, 16 maggio 1912, poi in Pane, 1999) e, nel corso della giovinezza e della prima maturità, si diede a comporre numerosi testi: la prima Sinfonia del 1923 (Messina 2005) e la seconda Sinfonia del 1926-27 (Sant’Angelo in Formis 2009) radicalmente rimaneggiata nella struttura dopo il folgorante incontro con l’Ulisse di Joyce e corredata di un manifesto teorico, Otto rinunzie e un proposito, che costituisce una prima apodittica dichiarazione di poetica riguardo al superamento del romanzo tradizionale; Sul ponte di Avignone (Roma 1938); la traduzione dei Fondamenti della metafisica dei costumi di Immanuel Kant (Palermo-Milano 1942).
Tuttavia il primo vero lancio editoriale dello scrittore già sessantaseienne, avvenne con il romanzo Signorina Rosina a partire dal quale si è convenuto di scandire la sua produzione in gruppi di trilogie costituite rispettivamente da: Signorina Rosina (Milano 1959), Si riparano bambole (Milano 1960), Ravenna (Milano 1962); Paginette (Milano 1964), Sinfonia (Milano 1966), Testamento (Milano 1969); Pagelle I (Milano 1973), Pagelle II (Milano 1975), Ultime e Penultime (Milano 1978). A queste trilogie seguiranno i due volumi postumi Giunte e virgole (Roma 1996) e Spegnere le caldaie (Roma 1999) composti anch’essi di pagelle.
I testi della prima trilogia si possono ancora ascrivere al romanzo. Vi si riscontrano infatti i tratti distintivi del genere: l’intreccio, anche se traballante, la presenza di dramatis personae, la durata e il tempo narrativi. Tali tratti già vacillano e si dissolvono in Ravenna, nel quale ogni residua unità narrativa è definitivamente rotta, cominciando a prevalere su un protagonista una pluralità di voci narranti, sicché non ci sono più un Bibi (Signorina Rosina) o un Pofi (Si riparano bambole) a tenere le pur deboli fila dell’intreccio, ma saranno Foco, Fufina, Malinda, Andrea ecc. a movimentare una narrazione che diviene sempre più franta, spericolata e ardua.
Per ammissione dello stesso Pizzuto, bisogna già considerare come una pagella, per la definitiva e radicale adibizione della sintassi nominale, l’ultima lassa (Codicillo) di Testamento, «l’opera pizzutiana più ariosa e luminosa» (Ferraris, La voce inaudita, 1985, p. 73).
Con la seconda trilogia viene così inaugurato un genere narrativo inedito, dai tratti inconfondibilmente pizzutiani. È il nuovo assetto formale dato ai suoi libri, ciascuno suddiviso in capitoletti, sempre in numero di venti per ogni volume, che lo stesso autore fu d’accordo nel definire, con termine medievale suggerito da Gianfranco Contini, lasse, e che nella successiva trilogia si configurano propriamente come pagelle. Il passaggio dalle lasse alle pagelle, a dei capitoletti sempre più brevi e a volte brevissimi, sempre più criptici e rarefatti, si attua sul doppio versante di una progressiva brachilogia linguistica e di un crescente sentimento della morte, come testimoniano anche la terza trilogia e le raccolte postume Giunte e virgole e Spegnere le caldaie.
La scrittura di Pizzuto evolve pertanto dal romanzo alle pagelle attraverso un’implacabile e apparentemente riduttiva condensazione. Il procedimento sintattico che permette tale condensazione consiste, tra l’altro, nella cancellazione dei connettivi logici. Da qui un vero precipitare della lingua in un’altra logica o, se si vuole, in un’altra grammatica la cui fondamentale innovazione consiste «nella eliminazione della categoria medesima di verbo in quanto opposta al nome» (Contini, 1978, p. 305), nel passaggio cioè a una sintassi esclusivamente nominale, la cui peculiarità risiede nella soppressione, dapprima parziale poi radicale, dei modi finiti del verbo e della sua coniugazione. Le forme verbali superstiti – infiniti, participi e gerundi – vengono assimilate alla classe dei nomi, sicché una sorta di paratassi, di ordinamento agerarchico di parole, occupa le pagelle di Pizzuto. Una tale scelta sintattica non poteva non sfociare in una scrittura indeterminata (Pizzuto amava parlare di «poetica dell’indeterminismo») nella quale vigono l’atemporalità, l’amodalità e la non-persona, venendo a mancare, con la coniugazione finita del verbo, ciò che lo definisce e cioè la marca stessa della persona. Spetta dunque al lettore stabilire un ordine sintattico e gerarchico e articolare i punti nodali, di senso, nei quali il flusso della scrittura può essere di volta in volta fissato. Inoltre questa singolare scansione sintattica è inscindibilmente articolata con precise scelte lessicali e ritmiche. E forse la musica si può considerare come il luogo privilegiato da cui si genera la scrittura di Pizzuto: «Io non so quali sono le mie origini. La mia cultura, soprattutto, è molto musicale. Non so… quello che, per parecchi scrittori rappresenta la pittura, l’arte figurativa, per me è la musica, che mi ha creato certi stati d’animo…» (Pizzuto parla di Pizzuto, 1978, p. 50).
Morì a Roma il 23 novembre 1976, nella sua casa di via Fregene nel quartiere S. Giovanni.
Fonti e Bibl.: Per una più esaustiva bibliografia si rinvia al Repertorio bibliografico (1959-95), in G. Alvino, Giunte e virgole, Roma 1996, pp. 187-214, che non comprende il ricco epistolario pubblicato solo a partire dal 2001. Si elencano solo le prime edizioni di alcuni studi critici: G. Contini, Paginette, in Corriere della sera, 6 settembre 1964; C. Segre, L’Hypnopaleoneomachia di Pizzuto, in Strumenti critici, 1967, 3, pp. 241-259; R. Jacobbi, A. P., Firenze 1971; S. Longhi, Un’interpretazione delle Pagelle di Pizzuto, in Paragone - Letteratura, XXIII (1972), 268, pp. 82-98; W. Pedullà, La letteratura del benessere, 2ª ed. riv. e accr., Roma 1973, ad ind.; D. Ferraris, «Si riparano bambole» di A. P., in À travers le XXe siècle italien…, Abbeville 1976, pp. 94-138; F. Audisio, Le «comparative simiglianze» di Pizzuto, in Paradigma, I (1977), pp. 289-313; G. Contini, Nota per l’ultimo Pizzuto, appendice ad A. Pizzuto, Ultime e Penultime, Milano 1978, pp. 300-307; Pizzuto parla di Pizzuto, a cura di P. Peretti, Cosenza 1978; R. Galvagno, P. e lo spazio della scrittura, Messina 1980; G. Frasca, Si riparano bambole: il dilettante come colui che misconosce, in Il piccolo Hans, 1982, n. 36, pp. 85-108; S. Longhi, Pizzuto: l’oscurità, la luce (Studio di «Ultime»), in Studi novecenteschi, X (1983), 25-26, pp. 143-164; D. Ferraris, Ébauche d’une poétique de la discrétion. À propos de «Sul ponte di Avignone», Randazzo 1985; Id., La voce inaudita di A. P., in Carte siciliane, 1985, 1, pp. 69-82; M. Santchi, Portrait d’A. P., Losanna 1986; A. P. Inediti e scritti rari, in La taverna di Auerbach, II (1988), 2-3-4, n. monografico, a cura di G. Alvino; F. Audisio, La tavolozza di Pizzuto, in Paradigma, X (1992), 10, pp. 167-191; Narrare: tutti i racconti, a cura di A. Pane, Napoli 1999; Id., Il leggibile Pizzuto, Firenze 1999; G. Alvino, Chi ha paura di A. P.? Saggi, note, riflessioni, Firenze 2000; B. Panieri, A. P. nel regno del tempo, Bologna 2008; M. Fratnik, En quête d’un autre mode narratif: les montages cinématographiques d’A. P., in De la littérature à l’image et de l’image à la littérature. Espagne-Italie, XXe et XXIe siècles, a cura di A. Allaigre - M. Fratnik - P. Thibaudeau, Saint-Denis 2011, pp. 195-210; La vera novità ha nome Pizzuto, a cura e con introduzione di D. Perrone, Acireale-Roma 2011 (in particolare R. Galvagno, Scrittura e passione musicale in A. P. Sul ponte di Avignone - Viol sec - Quarto brandeburghese, pp. 51-75); G. Alvino, La parola verticale. Pizzuto, Consolo, Bufalino, Casoria 2012, ad indicem.