PRIULI, Antonio
PRIULI, Antonio. – Primogenito di Lorenzo di Costantino, del ramo a Cannaregio (detto ‘dal capuzzo’ perché Lorenzo portava sempre un cappuccio come copricapo), e di Chiara Tron di Luca, nacque a Venezia il 4 gennaio 1418.
Tale la ricostruzione sulla scorta delle Prove di età per patroni di galere dell’Avogaria di Comun, poiché Priuli non risulta registrato alla Balla d’oro e colui che compare nel 1457 è un omonimo.
È probabile che in gioventù abbia esercitato la mercatura, ma l’ancor fresca età pone il dubbio se possa essere lui il Priuli attivo nella muda di Barbaria nel 1441, mentre è certo essere stato il beneficiario di una procura redatta nel 1448 in Alessandria d’Egitto, che lo abilitava a riscuotere un credito a Rialto per conto di Giovanni Dolfin. In quest’anno, infatti, Antonio Priuli si trovava a Venezia, dove sposava Elena Contarini di Giovanni quondam Girolamo, che gli diede due figlie e morì, per cui nel 1451 passò a nuove nozze con Maria Foscari del procuratore Marco, fratello minore del doge (il quale nel 1395 aveva sposato Maria Priuli di Andrea, fratello di Costantino nonno del Priuli), ma il matrimonio rimase sterile. A continuare questo ramo del casato avrebbe pertanto provveduto il fratello Pietro che, a conferma delle aderenze e della ricchezza della famiglia, sarebbe divenuto procuratore di S. Marco.
Priuli risulta far parte della Quarantia dal 1448 al 1451, anno in cui, il 24 agosto, ebbe anche la nomina di visdomino al fondaco dei Tedeschi, quindi fu eletto (il 1° gennaio 1452) tra i cinque tesorieri nuovi, incaricati di riscuotere crediti dovuti al Fisco, poiché l’erario era allora chiamato ad affrontare ingenti spese a causa del logorante scontro con Milano e, in Levante, dell’ascesa al trono ottomano di Maometto II. Questo non gli impedì il 5 marzo di accettare la nomina a capitano delle galere di Aigues-Mortes. Il 1° ottobre 1453 Priuli venne quindi eletto savio agli Ordini, una magistratura le cui competenze riguardavano la flotta, sia mercantile sia militare, che la caduta di Costantinopoli aveva reso di prioritaria importanza.
La carriera politica proseguì dopo un intervallo di qualche anno, il che fa pensare a perduranti interessi di Priuli nel settore commerciale; sappiamo infatti che, in unione al fratello Pietro, negli anni Sessanta possedeva un carato della galera Foscara che commerciava con l’Inghilterra e le Fiandre, dove Priuli – pur non esercitando direttamente la mercatura – faceva vendere cera, spezie, cotone e panni, acquistando poi stagno e cuoio che venivano in parte smerciati a Tunisi e a Messina, in parte trasportati a Venezia.
Dopo il saviato agli Ordini, concluso nel marzo del 1454, soltanto tre anni più tardi (21 marzo 1457) venne eletto savio di Terraferma, con l’ulteriore, particolare compito di occuparsi delle frodi che da tempo si riscontravano nell’arte della seta. Dopo una nuova latitanza di quattro anni, il 27 settembre 1461 venne eletto auditor vecchio; quindi dal 1462 entrò regolarmente a far parte del Senato.
Lo scoppio del conflitto veneto-ottomano in Morea costrinse la Repubblica veneziana a cercare alleati nei Balcani, dove poteva fare affidamento sul solo Scanderbeg; Priuli venne eletto ambasciatore presso il duca Stefano di San Saba, nella speranza di sottrarre la Bosnia al completo asservimento ai turchi, mentre al re di Ungheria, Mattia Corvino, fu inviato Giovanni Emo per una missione di più ampio respiro. Ricevute le commissioni il 26 agosto 1463, il 18 novembre Priuli si trovava ancora nei pressi di Spalato, a causa della perdurante diffidenza fra il re di Ungheria e il duca Stefano, che rendeva problematica una congiunta azione antiottomana.
A Venezia fu ancora savio di Terraferma per il semestre aprile-settembre 1464 e l’anno successivo entrò a far parte della camera degli Imprestidi. Lo spossante conflitto in cui la Repubblica era impegnata si sarebbe concluso solo nel 1479 con la perdita di Negroponte, per cui il restante percorso della carriera politica di Priuli va letto nell’ambito di questa impegnativa situazione. Donde le ambascerie che gli vennero affidate dal Senato nel tentativo di trovare alleati, peraltro in buona parte da lui rifiutate, a cominciare da quella in Ungheria, cui venne eletto il 28 agosto 1466. Si trattava certamente di una missione difficile, ma Priuli si trovava allora nel pieno della maturità né gli mancavano i mezzi per svolgerla adeguatamente, sicché ha il sapore di una punizione la sua elezione a podestà di Chioggia (7 gennaio 1467), un rettorato minore e per di più ristretto all’ambito della stessa laguna veneta.
Al termine del mandato riprese normalmente – secondo una prassi consolidata a Venezia – la progressione nella carriera politica con l’elezione a savio di Terraferma per il semestre ottobre 1468-marzo 1469. Mentre ricopriva tale carica, l’11 novembre 1468 venne eletto, assieme a Paolo Morosini, ambasciatore presso l’imperatore Federico III. I due dovevano attendere il sovrano a Ferrara e poi accompagnarlo a Roma, dove ancora una volta l’Asburgo intendeva recarsi, ufficialmente per sciogliere un voto espresso durante l’assedio di Vienna, ma in realtà per concludere accordi con papa Paolo II.
Il 10 dicembre gli ambasciatori ricevettero le commissioni, che prevedevano di sollecitare il pontefice nel duro impegno che la Repubblica stava sostenendo, in particolare ottenendo l’emanazione del divieto ai principi cristiani di commerciare con i turchi. Giunti a Roma il 23 dicembre, gli ambasciatori rientrarono subito a Venezia, dove il 7 febbraio 1469 Priuli venne incaricato, assieme ad altri undici patrizi, di accogliere a Chioggia con il Bucintoro Federico III che tornava in Germania. Qualche settimana più tardi (18 marzo 1469) venne eletto ambasciatore ordinario a Roma, ma rifiutò l’incarico; due mesi dopo fu la volta di Napoli, e anche stavolta si negò. Non per questo gli venne meno la fiducia dei concittadini, che infatti il 1° ottobre dello stesso 1469 lo elessero savio di Terraferma e l’anno successivo lo designarono ambasciatore a Firenze, stavolta con successo.
Così infatti il cronista Domenico Malipiero, in data 22 settembre 1470: «è stà manda a Fiorenza, per haver qualche aiuto da quella Comunità contra ’l Turco» (Annali veneti, 1843, p. 66): la recente perdita dell’Eubea, fondamentale avamposto della Repubblica in Levante, costituiva una ferita decisiva per il commercio veneziano, che in pratica si vedeva escluso dal Mar Egeo. Le richieste veneziane sarebbero cadute nel vuoto, tuttavia la missione di Priuli si prolungò ben oltre a quanto previsto dalle iniziali commissioni, visto che l’11 marzo 1471 il Senato gli ordinava di rimpatriare solo dopo avere appurato le reali intenzioni del duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza, allora presente nella città toscana nell’intento di far naufragare proprio un’eventuale lega in funzione ottomana.
A Venezia riprese il suo posto tra i savi di Terraferma cui era stato nuovamente eletto nell’ottobre dell’anno precedente, nell’ambito di una conferma in tale magistratura che si prolungò ininterrottamente dal 1468 al 1475, quasi sempre per l’intero anno e non per i sei mesi previsti dalla legge. Il 1° dicembre 1471 venne designato per un’altra ambasceria, stavolta presso il re Ferdinando di Napoli dove già si trovava Zaccaria Barbaro, sempre con l’oggetto di trovare aiuto contro i turchi. In Levante, infatti, sembravano schiudersi per Venezia nuove prospettive, grazie all’entrata in campo del signore della Caramania, nell’attuale Anatolia orientale, il turcomanno Uzun Hasan. Costui aveva riportato buoni successi contro Maometto II, e Venezia sin dal 1463 aveva stabilito rapporti progressivamente rinsaldati grazie all’azione diplomatica di Giosafat Barbaro, che gli aveva promesso l’invio di artiglierie, senza le quali ogni confronto con gli Ottomani non avrebbe avuto speranza di successo.
Nel 1472, intanto, reparti di turchi bosniaci penetravano nel Friuli, iniziando una serie di incursioni che si sarebbero rinnovate nel 1477 (e più tardi nel 1499); il loro scopo era di compiere razzie, non certo di stabilirsi al di qua dell’Isonzo, ma Venezia dovette mobilitare le sue forze per difendere i sudditi che cercavano rifugio abbandonando i villaggi. Come savio di Terraferma Priuli fu direttamente chiamato a intervenire sul piano militare, ma non trova riscontro l’affermazione di Girolamo Alessandro Cappellari Vivaro, secondo cui egli fu commissario in campo, mentre il 3 agosto 1472 l’elezione era caduta su Marino Lion (Archivio di Stato di Venezia, Senato Terra, reg. 6, c. 174r). È certo invece che il 17 agosto dello stesso 1472 ebbe parte nella composizione di una vertenza che vide alcuni mercanti catalani reclamare per i danni subiti da una loro nave a opera di una galera veneziana.
Dopo essere stato eletto nella giunta del Consiglio dei dieci (13 ottobre 1473), il 5 aprile 1474 fu eletto ambasciatore a Firenze, ma ancora una volta oppose un rifiuto; accettò invece l’anno seguente la nomina a savio sopra i Dazi (3 aprile 1475) e il 20 agosto ad avogador di Comun.
Alla fine di febbraio del 1476, nel corso del conclave che avrebbe portato all’elezione del doge Andrea Vendramin, si schierò apertamente in favore di quest’ultimo, zio della moglie di suo fratello Pietro, opponendosi con successo a Benedetto Venier, il quale era parso sul punto di prevalere.
Nell’aprile del 1478 entrò a far parte dei savi del Consiglio e in tale veste propose l’erezione di una fortezza a Gradisca, in riva all’Isonzo, quale struttura difensiva antiottomana; l’opera venne effettivamente realizzata, benché la cittadina friulana non dovesse restare a lungo sotto il dominio della Repubblica, poiché sarebbe divenuta austriaca in seguito alla disfatta di Agnadello (1509). È questa l’ultima notizia su Antonio Priuli, che rivestì un ruolo di prestigio nella politica veneziana del secondo Quattrocento, ma che scomparve prematuramente attorno ai sessant’anni, proprio quando si apprestava a raccogliere i frutti del suo impegno dentro e fuori la patria (morì infatti attorno all’anno 1480). Nel 1483 la vedova, Maria Foscari, si risposò con Pietro Corner di Giacomo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M.Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VI, p. 237 (ma la data del matrimonio dei genitori è sbagliata); Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. Ital., cl. VII, cod, 17 (= 8306): G.A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio Veneto, c. 243r; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3783: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, c. 93v; Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Prove d’età, Prove d’età per magistrati, reg. 169, cc. 101r, 190v; ibid., Prove d’età per patroni di galere e altre cariche, reg. 178, c. 49r; Segretario alle voci, Misti, reg. 4, cc. 24v, 83r, 121r, 124r, 126v, 154r; reg. 5, c. 3r; Senato, Terra, reg. 5, cc. 48v, 167r (rifiuto dell’ambasceria presso Mattia Corvino); Senato, Deliberazioni, Misti, reg. 60, c. 53r; reg. 25, cc. 4r, 8r, 9v, 37r; Senato, Deliberazioni, Secreta, reg. 21, cc. 175r, 179v, 180v-181v, 202v; reg. 25, cc. 4r, 37r, 144v e passim; reg. 26, cc. 1v e passim; Consiglio di Dieci, Deliberazioni, Misti, reg. 18, c. 27r; D. Malipiero, Annali veneti dall’anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo - A. Sagredo, in Archivio storico italiano, VII (1843), 1, p. 66; R. Predelli, I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, V, Venezia 1901, pp. 139, 210; Servodio Peccator. Notaio in Venezia e Alessandria d’Egitto (1444-1449) , a cura di F. Rossi, Venezia 1983, p. 50; M. Sanudo, Le vite dei dogi (1474-1494), a cura di A. Caracciolo Aricò, I, Venezia 1989, pp. 16, 20, 67, 138; Id., Le vite dei dogi (1423-1474), a cura di A. Caracciolo Aricò, I, Venezia 1999, pp. 466, 527, II, Venezia 2004, pp. 91, 103, 110 s., 116, 132, 219.
P. Ghinzoni, Federico III imperatore a Venezia (7 al 19 febbraio 1469), in Archivio veneto, XXXVII (1889), 73, pp. 133-144 (in partic. p. 136); G. Foscari, Viaggi di Fiandra 1463-1464 e 1467-1468, a cura di S. Montemezzo, Venezia 2012, ad indicem.