RAGGI, Antonio
RAGGI, Antonio. – Figlio di Andrea e di Antonia Catanei (morti rispettivamente il 14 dicembre 1643 e il 31 ottobre 1678; Archivio storico del Vicariato di Roma, S. Maria in Campo Carleo, Libri dei morti, 1628-56, c. 100r; S. Francesco di Paola ai Monti, Libri dei morti, 1647-81, c. 259), nacque nel 1624 a Vico Morcote, piccolo villaggio sul crinale orientale del promontorio dell’Arbostora sul lago di Lugano (Pio, 1724, 1977, p. 210; Pascoli, 1730, p. 248). Il padre, presente a Roma nel maggio del 1626 (Archivio di Stato di Roma, Monte di Pietà, reg. 50, c. 771), vi giunse spinto probabilmente dalle opportunità di lavoro offerte dai numerosi cantieri barberiniani diretti da Carlo Maderno e in gran parte popolati da maestranze comasco-ticinesi.
La prima testimonianza sulla presenza di Raggi nella città pontificia si data al 1635, quando fu registrato assieme ai fratelli Bernardino e Alberto tra gli abitanti dell’area nota come Pantani. Dapprima ospite del ticinese Giorgio Verga in un caseggiato nei pressi di S. Maria in Campo Carleo (Eisler, 2008, p. 374), nel 1637 il giovane Antonio si stabilì in casa del muratore ticinese Bartolomeo da Ponte, nelle adiacenze della chiesa di S. Lorenzo ai Monti; qui, assieme al padre e ai fratelli Bernardino e Alberto, venne censito pure un terzo fratello di nome Fedele (Archivio storico del Vicariato di Roma, S. Lorenzo ai Monti, Stati delle anime, 1634-49), sinora ignoto ma identificabile con lo scultore che il 20 settembre 1667 venne saldato con dieci scudi per la realizzazione dei medaglioni con ritratti funerari destinati alle pareti laterali della cappella Accoramboni in S. Andrea delle Fratte (Archivio storico della Banca d’Italia, Banco di Santo Spirito, Sez. II.1.73, c. 508).
Al 1643 risale la prima opera nota, allorché il 17 luglio Raggi firmò la ricevuta di un pagamento corrispostogli da Paolo Maccarani per l’esecuzione di «due angeli di stucco» da collocare in S. Maria dell’Umiltà sul nuovo altare maggiore progettato da Martino Longhi il Giovane (di Macco, 1994, p. 206 n. 44); le sculture, rimosse dopo il 1947, rappresentarono solamente il primo intervento di Raggi nella chiesa dove, tra il 1651 e il 1652, fu chiamato dallo stesso committente a modellare per le nicchie della navata un ciclo di sei statue in stucco raffiguranti Sante martiri (Curzietti, 2005). Sempre su richiesta di Maccarani, stavolta in qualità di agente del cardinale Giulio Mazzarino, lo scultore realizzò due angeli in travertino per la facciata della vicina chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio, riedificata per volontà del porporato su progetto di Martino Longhi il Giovane (1647-50; di Macco, 1994, p. 208 n. 51).
In queste prime opere lo stile figurativo di Raggi si mantenne privo di una cifra personale riconoscibile, palesando viceversa assonanze con il linguaggio dei primi decenni del Seicento, in cui ancora forte era la presenza di accenti tardomanieristici. Ne sono testimonianza l’adozione di pose ricercate e talvolta un po’ innaturali ed eccentriche, la predilezione per le capigliature scomposte in spesse ciocche e, non ultimo, l’uso di modellare i panneggi torcendoli e affastellandoli con insistenza al punto da conferire loro una resa pesante e spesso disordinata a scapito della valenza anatomica dei corpi sottostanti.
Tra il 1646 e il 1647 prese parte ai lavori nella villa Pamphilj fuori porta S. Pancrazio dedicandosi al restauro di alcune sculture antiche destinate ai giardini (Quellen..., 1972, pp. 215 n. 1048, 232 n. 1127, 235 n. 1149); questo impegno, oltre a documentare la pratica giovanile sulla statuaria classica, rappresentò il primo contatto con Alessandro Algardi.
Questi, nel cantiere, svolgeva il ruolo di progettista e supervisore e coordinava una numerosa équipe dove rilevante era la presenza di artisti e artigiani d’origine ticinese: tra essi si ricorda lo scultore Francesco Fontana, di cui Raggi tenne a battesimo la figlia Francesca Margherita l’8 gennaio 1651 (De Lotto, 1987, p. 211).
Il rapporto con Algardi fu determinante per la partecipazione, tra il 1648 e il 1649, alla decorazione della navata centrale di S. Giovanni in Laterano, per la quale lo scultore bolognese aveva ideato un ciclo di dodici rilievi in stucco con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento: benché i documenti non associno puntualmente i nomi degli scultori coinvolti ai soggetti loro assegnati, la critica ha attribuito a Raggi la paternità dei riquadri raffiguranti il Battesimo di Cristo, la Caduta di Cristo sulla via del Calvario e Giuseppe venduto dai fratelli (Montagu, 1985a, pp. 343 s.).
Una terracotta preparatoria per la scena con la Discesa di Cristo nel Limbo, conservata nel Museo nazionale del Palazzo di Venezia e già accostata alla produzione di Raggi (Barberini, 1991, p. 36), è stata ricondotta al catalogo di Giovanni Francesco de Rossi sulla base di una più corretta lettura stilistica (Giometti, 2011, p. 48).
Pressoché coeva a quella con Algardi fu la collaborazione con Gian Lorenzo Bernini, il cui inizio può farsi risalire al 1647, quando Raggi fu chiamato assieme a oltre quaranta scultori a prender parte alla decorazione delle navate di S. Pietro in Vaticano: in base a quanto rivelato dalle informazioni archivistiche (Westin, 1978, pp. 226 s.; Tratz, 1991-1992, p. 371), lo scultore realizzò quattro rilievi, non identificabili, dei quali due raffiguranti putti che sostengono le chiavi e il triregno e altri due con coppie di putti che sostengono effigi di pontefici.
A ridosso degli interventi nella basilica pietrina si data la partecipazione ad altri celebri cantieri berniniani, quali la decorazione della cappella dedicata a s. Teresa d’Avila in S. Maria della Vittoria e la fontana dei Quattro Fiumi in piazza Navona: nella prima Raggi fu incaricato di scolpire, tra il 1651 e il 1652, parte dei busti ritraenti membri della famiglia Cornaro nei palchetti alle pareti laterali del sacello (Napoleone, 1998, pp. 184 s.), mentre per la seconda realizzò, tra il 1650 e il 1651, la colossale scultura raffigurante il Danubio (Westin, 1978, pp. 227-232), eccellente esempio della maturità con cui l’artista seppe mettere a frutto lo studio sulla statuaria antica.
Affine a quest’ultima opera fu la fontana del Tritone per il cortile del Palazzo ducale di Sassuolo, commissionatagli da Francesco I d’Este intorno al 1652 ed eseguita da artisti locali sulla base di un progetto berniniano dal quale Raggi trasse alcuni bozzetti, di cui sono oggi noti due esemplari (Modena, Galleria Estense; Milano, collezione privata; Dickerson III - Sigel, 2012).
Risale alla metà degli anni Cinquanta l’ultima collaborazione con Martino Longhi il Giovane, che tra il 1653 e il 1656 fu incaricato di rinnovare la chiesa di S. Adriano in Campo Vaccino, per il cui altare maggiore Raggi modellò in stucco le figure della Fede e della Carità (perdute); nel 1656 realizzò poi uno dei rilievi nella cappella Spada in S. Girolamo della Carità, identificato dalla critica con quello raffigurante le effigi di Amadore e Mengo Spada (Heimbürger Ravalli, 1977, pp. 96-99).
L’ascesa al soglio pontificio di Alessandro VII Chigi, nel 1655, coincise con l’affermazione di Raggi in seno alla bottega di Bernini, di cui divenne ben presto il principale collaboratore. Nel cantiere di riqualificazione di S. Maria del Popolo (1655-58) modellò in stucco le figure delle Ss. Tecla, Apollonia, Barbara e Caterina d’Alessandria sugli archi della navata, la coppia di Vittorie che sostengono lo stemma di Alessandro VII sull’arcone antistante alla crociera, le due coppie di angeli con putti reggistemma sotto le cantorie degli organi e, infine, l’angelo in marmo a destra dell’altare alla testata sinistra del transetto (Cugnoni, 1883, passim).
Tra il 1656 e il 1657 realizzò i putti in stucco che sostengono il drappeggio nella sala Ducale in Vaticano (Ozzola, 1908, p. 16; Westin, 1978, pp. 234 s.), mentre tra il 1655 e il 1657 scolpì la figura della Carità per il berniniano monumento funebre del cardinale Domingo Pimentel y Zuñiga in S. Maria sopra Minerva. Nel contempo è documentato l’intervento in S. Maria della Pace, dove, sotto la direzione di Pietro da Cortona e al fianco di Cosimo Fancelli ed Ercole Ferrata, realizzò, tra il 1656 e il 1658, la statua di S. Bernardino nella cappella Chigi e i medaglioni ai lati della facciata con le effigi di Alessandro VII Chigi e Sisto IV della Rovere (Montagu, 1994).
Nuovamente sotto la supervisione di Berrettini, tra il 1663 e il 1664 Raggi avrebbe modellato due angeli in stucco a sostegno dell’iscrizione dedicatoria sull’arco trionfale di S. Giovanni in Laterano, distrutti a seguito della demolizione della tribuna negli anni Ottanta del XIX secolo (Villani, 1998, pp. 58-60).
Pur godendo di ampi margini di autonomia professionale e mantenendo sovente nelle sue opere tracce dello stile aulico e idealizzato di Algardi, Raggi dimostrò un’adesione al linguaggio figurativo berniniano pressoché totale. Anche ipotizzando un giusto calcolo di convenienze nel gravitare attorno all’orbita dell’artista più celebrato del tempo, resta fuor di dubbio che il dinamismo barocco del Bernini ben si confece alla modalità espressiva del ticinese, che seppe maturare al suo fianco una propria cifra stilistica, giungendo così a conquistare un livello di assoluta riconoscibilità nel panorama artistico romano, avallatogli già nel 1657 con l’ammissione all’Accademia di S. Luca il 1° luglio di quell’anno.
Per tutti gli anni Sessanta del Seicento il rapporto con Bernini, che reputò Raggi come il migliore tra i suoi allievi (Montagu, 1985b, p. 30), rappresentò il principale canale attraverso cui ricevere incarichi e commissioni: impegnato tra il 1659 e il 1663 nella realizzazione delle statue di Alessandro VII per il transetto destro del Duomo di Siena (Bacci, 1931; Butzek, 1996, pp. 134, 173) e di S. Bernardino per l’attigua cappella del Voto (Golzio, 1939, pp. 84 s., 98; Butzek, 1996, pp. 124, 173, 198), Raggi partecipò tra il 1661 e il 1665 alla decorazione della chiesa di S. Andrea al Quirinale (Donati, 1941, p. 144) e nel biennio 1660-61 a quella di S. Tommaso da Villanova a Castel Gandolfo (Golzio, 1939, pp. 387 s., 402 s.). Di importanza niente affatto minore fu l’attività svolta tra il 1657 e il 1664 per la cattedra di s. Pietro (Battaglia, 1943, ad ind.): Raggi eseguì in collaborazione con Ercole Ferrata e Lazzaro Morelli i modelli dei quattro Dottori della Chiesa e gli stucchi della Gloria del Paradiso, per la cui fase preparatoria gli è stata recentemente attribuita una terracotta della collezione Chigi Saracini a Siena (Angelini, 2012, pp. 87-95). Sempre alla supervisione di Bernini si deve far riferimento per la Madonna con il Bambino commissionata dal cardinale Antonio Barberini e ora nella chiesa di St-Joseph-des-Carmes a Parigi, per la quale Raggi ottenne un primo acconto di 50 scudi l’8 luglio 1659 (Archivio di Stato di Roma, Monte di Pietà, reg. 308, c. 877) e un secondo di analogo importo il successivo 20 dicembre (Aronberg Lavin, 1975, p. 29 n. 247).
Mentre era impegnato nel cantiere berniniano a Castel Gandolfo, Raggi sposò Giovanna Francesconi, assieme alla quale si trasferì in un caseggiato «a capo del vicolo di S. Vitale» in «Strada Felice per andare a S. Maria Maggiore», dimorandovi fino alla morte (Archivio di Stato di Roma, Stato civile, Libri parrocchiali, VI, libro 21). Dall’unione nacquero Chiara (25 aprile 1662), Andrea (13 luglio 1664-12 agosto 1681), Giovanni Francesco (16 novembre 1665), Pietro Paolo (2 novembre 1667), Teresa Francesca (2 aprile 1672), Petronilla (7 luglio 1674), Barbara Felice (6 ottobre 1676-9 novembre 1731), Antonia Caterina (10 dicembre 1679-21 giugno 1699) e infine Giuseppe Gioacchino, nato il 20 marzo 1683 e deceduto l’8 marzo 1726 (Archivio storico del Vicariato di Roma, Ss. Silvestro e Martino ai Monti, Battesimi, 1647-63, 1663-75, 1675-94, 1710-35; S. Francesco di Paola ai Monti, Libri dei morti, 1647-81, 1681-1709, 1710-35). Quest’ultimo sposò il 22 settembre 1715 Anna Giustina Livia Cardelli (Archivio storico del Vicariato di Roma, S. Tommaso in Parione, Matrimoni, 1688-1748), dalla quale ebbe Petronilla Chiara Maria e Filippo, morti rispettivamente il 17 giugno 1717 e il 28 agosto 1718 (ibid., Libri dei morti, 1708-27).
Bernini lo volle ancora in un suo cantiere nel 1663-64, allorché realizzò due angeli reggicornice per la pala d’altare nella cappella Fonseca in S. Lorenzo in Lucina (Barry, 2004, pp. 398 s.), sostituiti nel 1715 con copie in bronzo, come pure su suo interessamento gli fu affidata l’esecuzione del rilievo con la Morte di s. Cecilia in S. Agnese in Agone (1662-65; Westin, 1974). Autonome rispetto all’appartenenza alla bottega berniniana furono invece le commissioni per il gruppo con il Battesimo di Cristo sull’altare maggiore di S. Giovanni dei Fiorentini (1665-69; Westin, 1978, pp. 256-263; Curzietti, 2013) e per la realizzazione degli inserti scultorei per il monumento funebre del cardinale Marco Antonio Bragadin nella chiesa romana di S. Marco.
A partire dallo scadere degli anni Sessanta del Seicento la carriera di Raggi si caratterizzò per un numero crescente di opere indipendenti.
Tra le ultime testimonianze della collaborazione con Bernini furono l’esecuzione, tra il 1668 e il 1670, dell’Angelo con la colonna per ponte S. Angelo (Weil, 1974, pp. 71-77, 127) e, secondo una cronologia recentemente proposta dalla critica (Pierguidi, 2013) e ora confermata su basi documentarie, il gruppo marmoreo raffigurante il Noli me tangere sull’altare della cappella Alaleona nella chiesa dei Ss. Domenico e Sisto, scolpito tra il 1673 e il 1674 (Archivio storico della Banca d’Italia, Banco di Santo Spirito, Sez. II.1.79, c. 266, II.80, c. 195). Ancora all’interessamento di Bernini dovette risalire l’impegno nella chiesa del Ss. Nome di Gesù, dove, sotto la direzione di Giovan Battista Gaulli e a fianco di Leonardo Retti e Michel Maille, Raggi modellò tra il 1676 e il 1679 gran parte delle statue in stucco ai lati dei finestroni della navata (Curzietti, 2011, pp. 84-88).
Al 1671 risale la commissione per il monumento funebre di lady Jane Cheyne, inviato quello stesso anno a Londra e collocato nella Chelsea Old Church (Montagu, 1991, pp. 38-44). Entro il 1674 dovette giungere l’incarico per l’esecuzione degli angeli ai lati dell’altare sinistro in S. Maria della Vittoria a Milano (Torre, 1674, p. 104), dove secondo la critica avrebbe realizzato anche i clipei bronzei con le effigi dei defunti fratelli del cardinale Luigi Alessandro Omodei e la coppia di angeli a sostegno del tabernacolo (Montagu, 1985b, p. 31). Tra il 1671 e il 1673 scolpì la statua di S. Giovanni Battista e il rilievo sorretto da putti con S. Carlo Borromeo per la cappella Gavotti in S. Nicola da Tolentino, ultimo cantiere cortonesco nel quale si trovò a operare accanto a Ercole Ferrata e Cosimo Fancelli sotto il coordinamento di Ciro Ferri (Curzietti, 2010). Per il cardinale Flavio Chigi realizzò nel 1672 un modello per una Maddalena in bronzo da collocare ai piedi di un crocifisso in avorio (Palazzo Pitti, cappella Palatina; Schlegel, 1976) e il reintegro di quattro gladiatori appartenenti alle sue collezioni di statuaria antica (1673-75; Golzio, 1939, pp. 310, 321). Nel 1675, anno in cui fu accolto tra i Virtuosi al Pantheon (La Compagnia..., 2005, p. 363), realizzò in travertino la statua di S. Carlo Borromeo per la facciata della borrominiana chiesa di S. Carlo alle Quattro Fontane; valutazioni stilistiche rendono altresì databile a questo periodo anche la scultura con S. Benedetto nel Sacro Speco di Subiaco.
L’impresa più rilevante degli anni Settanta fu la decorazione della cappella Ginetti in S. Andrea della Valle, portata a termine sotto la direzione di Carlo Fontana (Cavazzini, 1999): dapprima incaricato dell’esecuzione della pala marmorea per l’altare (1670-73), poi dei due rilievi destinati alle pareti laterali (1673-75; perduti), quindi chiamato a scolpire la Fama sulla lunetta destra (1675), gli fu infine affidata la realizzazione della statua del cardinale Marzio Ginetti per il deposito allestito alla parete sinistra (1683-84). La collaborazione con Fontana, tratto distintivo dell’ultima stagione della carriera di Raggi, si ripropose in occasione della decorazione della chiesa di S. Maria dei Miracoli (1678-81), per cui lo scultore realizzò la coppia di Fame sull’arcone d’accesso alla tribuna, la decorazione dell’altare maggiore con putti e angeli e infine le due figure in marmo della Giustizia e della Prudenza per il deposito del marchese Benedetto Gastaldi alla parete destra del presbiterio (Curzietti, 2006, pp. 207-209); ancora sotto la supervisione dell’architetto ticinese, Raggi modellò il rilievo in stucco con S. Filippo Benizi rinuncia al triregno per la facciata di S. Marcello al Corso (1683-84; Curzietti, 2008). Coeva a quest’ultima opera fu la realizzazione del monumento funebre del cardinale Bonaccorso Bonaccorsi per il santuario della Santa Casa di Loreto (Curzietti, in corso di stampa).
L’ultima produzione di Raggi si caratterizzò per una sperimentazione formale destinata in maniera graduale a fargli abbandonare la teatrale magniloquenza berniniana soffermandosi su una resa dei gesti, delle pose e dei panneggi più incline a una ricercata, talvolta esasperata, eleganza. Recuperando gli accenti tardomanieristici della sua giovinezza, aggiornati sulle tendenze espressive del maturo barocco, egli seppe accompagnare e in parte anticipare le nuove tendenze del gusto settecentesco, che ebbe nella sofisticata raffinatezza uno dei propri cardini.
Allo scadere del 1684, tornando da Castel Gandolfo, Raggi «cadde di calesso, e poco poté ne’ due susseguenti anni, che gli rimaser di vita, lavorare» (Pascoli, 1730, p. 250); rimasto infermo, morì a Roma il 1° agosto 1686 (Westin, 1978, p. 224).
Secondo la critica (Enggass, 1974), la morte prematura gli impedì di realizzare il ciclo di statue allegoriche in stucco per le cappelle ai lati del presbiterio in S. Ignazio, poi realizzate da Camillo Rusconi, Jacopo Antonio Lavaggi, Simone Giorgini e Francesco Nuvolone, per la cui progettazione gli è stato attribuito un disegno conservato nella Biblioteca comunale di Siena (Angelini, 1998, p. 145). Dalla sua bottega, fatto salvo il breve alunnato di Giuseppe Mazzuoli (Butzek, 1996, pp. 157 s.), non emersero allievi di rilievo; l’unico riconosciuto fu il citato Francesco Nuvolone, figlio dello stuccatore ticinese Antonio, che il 20 aprile 1689 sposò la figlia dello scultore Teresa Francesca (Archivio storico del Vicariato di Roma, S. Francesco di Paola ai Monti, Matrimoni, 1646-96, c. 322).
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