RANZA, Antonio
RANZA, Antonio. – Nacque a Piacenza il 15 gennaio 1801, da Enrichetta Cella e da Luigi Ranza, discendente di una famiglia di condizione non benestante ancorché proprietaria dello stabile in cui venne alla luce Antonio.
Il battesimo a opera dello zio paterno Paolo, curato della collegiata urbana di S. Michele prospiciente la casa natale, rappresenta l’unico indizio di un’appartenenza dei Ranza agli ambienti cattolici di città, appartenenza che sarebbe poi stata enfatizzata, al di là forse del vero, nel quadro della panegiristica che in epoca successiva si dedicò a Ranza stesso una volta acquisita la cattedra episcopale. La formazione intellettuale e quella ecclesiastica, quest’ultima iniziata a 17 anni senza una segnalata precocità, si intrecciarono tra loro presso istituzioni locali: dapprima il liceo pubblico a conduzione e insegnamento secolare – l’antico collegio di S. Pietro, di fondazione gesuitica, ma all’epoca sottratto alla disciolta Compagnia di Gesù, restaurata a Piacenza solo nel 1836 –, poi dal 1817 il noto collegio Alberoni: istituto ecclesiastico di grande tradizione e di orientamento filosofico-teologico in parte alternativo (in una fase ancora relativamente dialettica a fronte delle nette posizioni neotomistiche imposte poi in materia dalla S. Sede e attribuite retrospettivamente allo stesso Ranza, intravisto come continuatore del protoneotomista piacentino Vincenzo Buzzetti) rispetto al locale seminario diocesano. Ranza vi rimase sino all’ordinazione presbiterale del 20 dicembre 1823.
Dopo una brevissima esperienza pastorale nella parrocchia pedeappenninica di Torrano (unica traccia di cura d’anime prima dell’ascesa all’episcopato), si aprì il periodo ultraventennale che lo avrebbe portato nel maggio del 1849 all’ingresso come vescovo nella città nativa. È in tale fase – e negli incarichi non del tutto conseguenti di docente di filosofia presso il seminario, di prefetto della biblioteca civica, poi nuovamente di docente in seminario ma di teologia dogmatica, e infine di canonico teologo e componente del capitolo della cattedrale – che si intravvede il cursus classico che poteva condurre all’episcopato in diocesi di piccola-media importanza gli appartenenti al clero locale distintisi per capacità intellettuale, oltre che per una garantita ortodossia romana. Come vescovo di origini piacentine a Piacenza egli non costituiva un caso inedito: si poneva anzi in linea con una seppur breve e recentissima tradizione: l’immediato predecessore Luigi Sanvitale (1836-48) di origini parmensi era stato infatti preceduto nella sede di S. Antonino dai presuli piacentini Carlo Scribani Rossi (1817-23) e Lodovico Loschi (1824-36).
In buona sostanza Ranza diveniva vescovo di Piacenza senza aver mai lasciato la propria città e avendo inoltre maturato incarichi invariabilmente legati a un’esperienza di esclusivo ambito intellettuale. Fattori cui si aggiungeva, nell’opinione critica degli ambienti piacentini filorisorgimentali, l’assenza di propensione al governo e della necessaria capacità di mediazione rispetto alla complessa congiuntura dell’epoca. Nella coeva specifica situazione piacentina ciò significava l’intrecciarsi dei sentimenti antipapali dovuti al ruolo avuto da Pio IX nel fallimento del progetto di unificazione italiana secondo la visione federativa neoguelfa con le dinamiche del governo del ducato: dove la morte nel 1847 di Maria Luigia d’Austria aveva determinato quel ricambio dinastico previsto sin dagli accordi attuativi del congresso di Vienna, ma fino ad allora rimandato (in nome dell’estensione vitalizia del mandato ducale della ex consorte di Napoleone Bonaparte), con l’arrivo dei Borbone-Parma nella persona dapprima di Carlo II e pressoché subito del figlio di questi Carlo III.
In tale intreccio si delineò, nel primo quinquennio di episcopato di Ranza, il confronto con il duca Carlo III, ostile a una parte del clero locale per il suo presunto orientamento filonazionale (che si riteneva diffuso soprattutto negli ambienti del collegio Alberoni), ma anche spinto da esigenze finanziarie ad adottare provvedimenti contro il patrimonio e le istituzioni ecclesiastiche del territorio. Tale fase si esaurì drammaticamente nel marzo del 1854 con l’assassinio del regnante da parte di un presunto seguace delle idee mazziniane, ma l’ormai radicata contrapposizione tra le diverse componenti del clero e gli stessi orientamenti diffusi in città relativamente al processo di unificazione nazionale sfociarono, negli anni successivi, nelle vicende del 1859-60: quando Ranza non sottoscrisse la raccolta di firme pro annessione al Piemonte e, di fronte all’inglobamento sabaudo di parte dello Stato pontificio e alla conseguente scomunica comminata da Pio IX a Vittorio Emanuele II, si allontanò da Piacenza per non incontrare ufficialmente il sovrano, in visita nei territori di recente annessione. Ulteriori circostanze coinvolgenti il locale seminario determinarono infine, a luglio del 1860, un processo a suo carico per azioni ostili nei confronti del regnante sabaudo, la condanna a vari mesi di carcere (trascorsi peraltro a Torino, presso un istituto religioso) e, infine, il ritorno in città nell’ottobre successivo, una volta ottenuta la grazia. L’esaurirsi di quella prima vicenda processuale non avrebbe in ogni caso posto la parola fine a una situazione locale ormai strettamente incastonata nell’avanzamento del processo unitario e del coevo inasprirsi dello scontro tra Regno d’Italia e S. Sede, sullo sfondo di una contrapposizione tra papato e società moderna che avrebbe trovato nel Sillabo del 1864 il suo complessivo apice ‘ideologico’ e nelle ‘leggi eversive’ del 1866 un ulteriore passaggio nevralgico per il mondo ecclesiastico italiano. Il delinearsi anche a Piacenza, nel corso del 1862, dell’iniziativa promossa dall’ex gesuita Carlo Passaglia rialimentò così lo scontro tra le opposte tendenze e Ranza venne coinvolto in un’ulteriore vicenda – il mancato conferimento dei sacramenti in limine vitae e il rifiuto del funerale religioso a un sacerdote locale di orientamenti passagliani – a sua volta sfociata in processo, condanna in primo grado e sospensione della pena per la sopravvenuta amnistia seguita agli esiti della terza guerra d’indipendenza.
Fu l’ultimo grave episodio di un percorso episcopale nel quale – ben più che i tradizionali compiti episcopali, che pure vennero fedelmente adempiuti almeno nel caso della visita pastorale – le tormentate vicende nazionali degli anni Sessanta del XIX secolo occuparono un ruolo non sottovalutabile, consolidando in Ranza un forte conservatorismo religioso e politico che, già intuibile nei decenni di insegnamento, ma forse non scontato se visto alla luce delle lontane premesse della sua formazione al collegio Alberoni, trovarono un esito del tutto conseguente nel suo schierarsi senza ombra di indecisione a favore del dogma dell’infallibilità papale al concilio Vaticano I del 1869-70. La salute, da sempre ritenuta cagionevole, gli avrebbe comunque consentito di accompagnare quasi integralmente il declinante pontificato di papa Mastai Ferretti, spegnendosi in sede il 20 novembre 1875.
Nel resoconto largamente encomiastico del suo più noto biografo (Alfonso Fermi), si tentò di attribuirgli quale merito maggiore l’aver saputo riunire la diocesi piacentina e i suoi diversificati settori del clero in un’unica grande e coesa comunità di fede: raccolta attorno al suo vescovo e graniticamente devota al papa. Ma sarebbe spettato all’immediato successore Giovanni Battista Scalabrini, così come ai vertici del papato romano a Leone XIII, portarla fuori da una lunga stagione di rigorosa immobilità.
Fonti e Bibl.: La raccolta documentale più importante per la conoscenza della figura e dell’opera episcopale di Antonio Ranza è conservata nell’Archivio storico diocesano di Piacenza. In esso, al settore Acta curiae I, bb. 119-126, si trova la parte più cospicua del materiale attinente il nostro oggetto. Ma ulteriori carte (relative, tra l’altro, agli editti e alle lettere pastorali del vescovo e alla sua visita pastorale) si trovano in altri settori del suddetto archivio. Strumento fondamentale per orientarsi in tale patrimonio è l’ottima Storia della Diocesi di Piacenza, I, 1, Guida alle fonti. Archivi e biblioteche di Piacenza, a cura di L. Ceriotti - M. Giuramma - I. Musajo Somma - A. Riva, Brescia 2004. Il repertorio delle lettere pastorali o indulti quaresimali è edito in Lettere pastorali dei vescovi dell’Emilia-Romagna, a cura di D. Menozzi, con la collaborazione di A. Valenti - G. Codicè, Genova 1986, pp. 280-282. Presso la Biblioteca comunale piacentina Passerini-Landi sono consultabili taluni discorsi, indulti e lettere pastorali, mentre la sua precedente attività di insegnamento non pare avere dato vita a una propria cospicua produzione filosofico-teologica. In Storia della Diocesi di Piacenza, I, 2, Guida alle fonti. Repertorio delle pubblicazioni dal 1870, a cura di L. Ceriotti, Brescia 2004, sono elencati migliaia di titoli attinenti la storia diocesana piacentina e in particolare quella stagione ottocentesca che riguarda espressamente Antonio Ranza. Ne emerge un quadro di qualità storiografica modesta e tuttora dominato, almeno per ampiezza, dalla corposa opera di A. Fermi, Mons. A. R., filosofo, teologo, vescovo di Piacenza (1801-1875), Piacenza, edita una prima volta nel 1956 e, dopo polemiche legate al dibattito sulle origini del neotomismo piacentino, ripresa con modifiche e l’intervento di Franco Molinari nel 1966. Si tratta di un lavoro utile per le notizie e taluni materiali compulsati, un tradizionale esempio di erudizione locale, ma del tutto acritico sotto il profilo delle ricostruzioni e valutazioni espresse. Un contributo al superamento di questa evidente lacuna storiografica potrà venire dall’imminente volume della suddetta Storia della Diocesi di Piacenza dedicato tra l’altro al periodo di Antonio Ranza.