RIZZO, Antonio
Scultore operante nella seconda metà del sec. XV. Solo oggi, da quando il Temanza, F. Bartoli e Iacopo Morelli riuscivano a chiarirne la figura, incomincia a imporsi Antonio R. quale massimo rappresentante della scultura veneziana del pieno Quattrocento. Questo artista, sicuramente veronese, come tale citato dai documentì e dai contemporanei, non ha nulla a che fare con l'arte di Andrea Briosco (v.) detto il Rizzo, ma raccoglie piuttosto la tradizione di quel comasco Antonio Bregno, con cui Francesco Sansovino e il Giovio lo confondono, artista di transizione, scultore ufficiale del doge Francesco Foscari. Egli non era in tal modo straniato dalle predilezioni gotiche lagunari e poteva nello stesso tempo portare a conclusioni più genuine quelle fresche e precoci tendenze toscane fiorite nel Veneto, che appunto nel Bregno avevano avuto la prima notevole risonanza. Accasatosi a San Giovanni Nuovo intorno al 1477, doveva però trovarsi a Venezia prima del 1464, poiché in quell'anno moriva il protonotario apostolico Gregorio Cornaro, che l'aveva elogiato in due epigrammi latini, e subito dopo doveva avere scolpito il monumento di Orsato Giustiniani, con decise e adorne maniere del Rinascimento, per S. Andrea della Certosa, donde naturalmente passò nel 1465 a quella di Pavia, a cui forniva ancora nel 1467 da Venezia certe colonnette. Ma se il monumento Orsato è distrutto e solo comprensibile attraverso un modesto disegno del Grevembroch, ci resta il gruppo di Vittore Cappello, inginocchiato innanzi a Sant'Elena eseguito per incarico dei figli poco dopo quell'anno per la chiesa omonima, e oggi visibile, con il portale a cui si connette, sulla facciata di S. Pantalon. Esso dimostra, per le vesti ancora cordonate, e l'allungamento delle forme, evidenti legami col Bregno, che ci fanno pensare a lui anche per la poco più acerba Annunciazione ai fianchi della porta maggiore della Madonna dell'Orto.
Ma è dopo questo preambolo vivace che il R. giunse a quelle attuazioni artistiche le quali sono, prima del Vittoria, la voce più alta della genuina scultura lagunare; pittorica senza la strana illusione dei Lombardi di imitare i quadri per divenire tale. Pittorica cioè per espressione propria, ricca di ombre, di sfaccettature, e pure sostenuta da uno scheletro volumetrico, per cui appare evidente e utilissimo l'esempio di Antonello. I frutti di codesta arte, sbocciata appieno allorché fu assunto a proto della Serenissima nel 1483, e nella quale assomiglia per certi aspetti, sebbene rifuggendo dalle sue storture, al concittadino Liberale da Verona, sono innanzi tutto l'Adamo, l'Eva e il Marte dell'Arco Foscari, certo finito nel 1491, in cui non sapremmo se più lodare la maestà, la forza dell'idea, o la dolcezza dell'esecuzione. Alle dette genuine statue non si possono paragonare per altezza altro che certe Madonne col Bimbo, a tre quarti di figura, una alla Madonna dell'Orto su una mensola, più giovanile, una seconda al Museo archeologico di Milano, e un'altra al Louvre, di una squadratura monumentale che, per via d'Antonello, ricorda il Laurana, e i bassorilievi delle Vittorie, giovanili e mobili, scolpite ai fianchi della scala dei Giganti in Palazzo ducale. Passando alle opere più complicate, entriamo con il monumento al doge Niccolò Tron (morto nel 1473) ai Frari, e con quello a Giovanni Emo (morto nel 1483) di cui si conserva l'idea negli acquerelli di I. van Grevenbroeck, e le tre statue principali a Vicenza (il doge) e al Louvre (gli scudieri), in un campo più decorativo, dove l'architettura s'impone allo scultore, talvolta più per soverchiarlo che per aiutarlo. Non gli accade, come a Pietro Lombardo, di tradire la logica forma fiorentina, dopo averla esaltata nel monumento Roselli, per le forme complicate delle tombe a scala, ché anzi quella Emo rappresenta una chiara rettifica, a cui si collegano tutte le altre opere affini al fare del maestro, come la tomba di Generosa Orsina ai Frari e Onigo a S. Niccolò di Treviso; d'altra parte quell'elevare in cinque piani il monumento Tron, senza contare zoccolo e cimiero, toglie al maestro ogni spinta a far da sé, oltre al primo scomparto. Infatti vi sono del R., evidentemente, solo le belle statue della Carità e della Speranza, trasparenti di forme sotto la guaina delle vesti sottili, e il bonario vecchio doge.
Lo scultore non si dimenticò mai, quando poté, di dar anche sfogo alla sua perizia decorativa, e ciò gli accadde particolarmente nella rifabbrica del Palazzo ducale, dopo l'incendio del 1473, specie nel lato verso il rio, perché la facciata nel cortiletto dei senatori è, a tale riguardo, la più sobria e la più architettonica, con la teoria delle sue ampie finestre a edicola. Non immemore dell'eccessivo adorno della Certosa, vi stese infatti, con più eleganza, ma senza migliore fortuna, la fitta trama delle sue più preziose rabesche; le quali non possono alla fine non apparire soverchianti.
L'esilio per grave peculato tronca tanta bella attività e tanta gloria, fra il 1474 e il 1477, vivida anche di luce guerriera all'assedio di Scutari, dove il R. fu valorosamente, come ingegnere, "ferito di più ferite"; sapienza meccanica che nel 1488 lo portava a ottenere con Giorgio di Jamedeo luganese privilegio per una nuova maniera di mulini. Poco dopo aver giudicato col Coducci i lavori della Scuola grande di San Marco (1490), essere stato invocato invano dalla patria città per le statue della Loggia del Consiglio (1491), e aver dato saggi pareri ai Vicentini nel 1496 per il Palazzo della Ragione, il 5 aprile 1498, venduti in fretta i suoi beni, egli è già lontano da Venezia per sfuggire alla giustizia. Si rifugiò ad Ancona e poi a Foligno, dove invano si è tentato trovarne traccia nelle opere.
Sappiamo, per testimonianze di Venezia e di Cesena che, nel 1499, era ancora in vita; poi più nulla. Possiamo credere solo sia stato suo figlio quel Simplicio Rizzo che ritroviamo orefice a Roma sulla traccia dei documenti del Bertolotti.
Bibl.: L. Planiscig, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVIII, Lipsia 1934 (con ampia bibl.); per documenti, giudizî e riproduzioni, resta fondamentale: P. Paoletti, L'architettura e la scultura del Rinascimento a Venezia, Venezia 1893, pp. 141-63 e passim.