SALANDRA, Antonio
Nato a Troia (Foggia) il 13 agosto 1853 da famiglia molto agiata, i cui membri più volte avevano preso parte alla vita pubblica locale, morto a Roma il 9 dicembre 1931. Nel 1868 s'iscrisse alla facoltà di giurisprudenza nell'università di Napoli, dove venne foggiando la propria coscienza filosofica e giuridica all'ispirazione di Bertrando Spaventa, Giuseppe de Blasis, Antonio Tari, e soprattutto di Francesco De Sanctis. Laureatosi il 29 febbraio 1872, si diede all'esercizio professionale dell'avvocatura, continuando però negli studî prediletti. Incominciò con un saggio critico su La dottrina della rappresentanza personale e con la collaborazione al Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche, nel quale si occupò soprattutto di studî economici, e fra l'altro sostenne una polemica famosa con Giovanni Bovio. Il più forte e completo dei suoi scritti giovanili è l'ampio studio sul Riordinamento delle finanze comunali.
Libero docente dal 1877, al principio del 1879 fu chiamato dal De Sanctis, allora ministro della Pubblica Istruzione, a insegnare legislazione economico-finanziaria nell'università di Roma, e, nell'ottobre dell'anno seguente, scienza dell'amministrazione, cattedra allora istituita.
I primi anni del suo insegnamento sono quelli della sua maggiore attività scientifica, nella quale portò diligenza di studioso, vasta cultura, visione netta, chiarificatrice e concreta dei varî problemi, esposizione chiara e precisa. I temi dei quali si occupò sono varî: Il divorzio in Italia, La Perequazione, Dei metodi e criteri per calcolare la ricchezza nazionale in Italia, Un caso del socialismo di stato, Gli interessi della terra e la loro rappresentanza, La questione politica dell'Agricoltura. Inoltre tradusse i Principi di sociologia di H. Spencer.
L'elezione a deputato rallentò, ma non interruppe, la sua attività scientifica. Nel 1887 scrisse una importante relazione Sui demani comunali nelle provincie del Mezzogiorno, nel 1893 raccolse sistematicamente le disposizioni relative all'ordinamento della giustizia amministrativa in Italia. Nello stesso tempo concepì il vasto disegno di un Trattato della giustizia amministrativa. Questi lavori gli valsero la nomina (gennaio 1902) alla cattedra di diritto amministrativo, che da allora tenne sino al suo collocamento a riposo per limiti di età. Nel 1904 pubblicava poi la sua opera più importante, La giustizia amministrativa nei governi liberi, frutto dell'attività da lui spiegata nei primi anni del nuovo ordinamento sorto dalle leggi del 1889 e del '90, con le quali venne istituita la IV sezione del Consiglio di stato.
Ma ad un certo momento l'attività politica doveva superare quella scientifica. Poco dopo la sua venuta a Roma conobbe Silvio Spaventa - la cui dottrina politica doveva esercitare una grande efficacia su di lui - e Sidney Sonnino, e collaborò a La Rassegna, diretta da quest'ultimo. Da questa collaborazione nacque la profonda amicizia che doveva legare i due uomini. Con le elezioni del 23 maggio 1886 entrò alla Camera, come rappresentante del primo collegio di Foggia, poi, a cominciare dalla XVIII legislatura, di quello di Lucera. Sedette al centro destro e mostrò subito di voler ispirare la sua attività parlamentare alla dottrina della Destra storica, auspicando una politica che tenesse alto il prestigio della nazione nel mondo, mantenesse viva, all'interno, l'idealità della patria, ferma l'autorità dello stato e della legge, non fosse asservita agli opportunismi parlamentari, e fosse animata da pure intenzioni, da disinteresse personale o particolaristico, da dedizione al pubblico bene. L'attività parlamentare ben presto gli aprì le vie del potere. Fu prima sottosegretario alle Finanze, con L. Luzzatti, nel primo ministero Di Rudinì (6 febbraio 1891 - 15 maggio 1892), quindi sottosegretario nell'ultimo ministero Crispi (15 dicembre 1893-10 marzo 1896), con il Sonnino, ministro prima alle Finanze, poi al Tesoro, e fu prezioso collaboratore del suo ministro nell'opera di restaurazione del bilancio dello stato. Poi fu ministro dell'Agricoltura nel secondo gabinetto Pelloux (14 maggio 1899-24 giugno 1900).
L'aver partecipato a governi detti reazionarî, la mancanza di duttilità nella vita parlamentare, la riluttanza a scendere a compromessi, per lungo tempo lo tennero lontano dal potere. Fece parte dei due brevi ministeri Sonnino (febbraio-maggio 1906, dicembre 1909-marzo 1910), come ministro delle Finanze nel primo, del Tesoro nel secondo.
L'impresa libica e le successive guerre balcaniche richiamarono la sua attenzione sulla politica internazionale, e considerò la necessità d'intensificare la preparazione militare italiana come il problema più urgente dell'ora.
Nel marzo del 1914, quando Giolitti diede le dimissioni, la successione toccò al S.: il suo ministero, iniziatosi il 21 marzo, date le condizioni politiche e parlamentari dell'ora, sembrava destinato a vita breve. La crisi europea, sopravvenuta nel luglio, doveva, invece, dargli un'importanza storica. Allo scoppio delle ostilità, il governo del S. aveva proclamato la neutralità dell'Italia (v. guerra mondiale, XVIII, p. 102; italia, XIX, p. 894): decisione che il S. dovette prendere, d'accordo col ministro degli Esteri, A. di San Giuliano (v.), senza avere un'indicazione precisa dall'opinione pubblica disorientata dall'incalzarsi degli avvenimenti e che perciò gli costò più che quella dell'intervento. Ma la neutralità non era che una soluzione provvisoria, e una guerra, come quella che avrebbe profondamente cambiato l'assetto dell'Europa e del mondo, presentava l'occasione per risolvere definitivamente i problemi nazionali, compiere l'unità, raggiungere la sicurezza in Adriatico. Così, fino dai primi giorni il S. si orientò per l'intervento, e successivamente cominciò a studiarne, col di San Giuliano, le condizioni; e intanto dava un impulso fortissimo alla preparazione militare. Morto poi, il 16 ottobre, il ministro degli Esteri, A. di San Giuliano, il S. assunse l'interim degli Esteri. Nei pochi giorni che rimase agli Esteri fece eseguire (29 ottobre) lo sbarco di una missione sanitaria a Valona, preludio dell'occupazione, che doveva garantire i diritti italiani sull'altra sponda.
Intanto i dissensi con alcuni ministri sulla politica generale lo indussero a presentare le dimissioni (31 ottobre). Incaricato della formazione del nuovo ministero, questo venne annunciato ufficialmente il 5 novembre. In esso entrava, come ministro degli Esteri, il Sonnino, col quale il S., dallo scoppio della crisi in poi, si era tenuto sempre a contatto, ricevendone consigli e incoraggiamenti. In pieno accordo, iniziarono nel dicembre le trattative con l'Austria per ottenere i compensi all'avanzata austriaca nei Balcani, dovuti in base all'art. VII del trattato della Triplice. Ma le trattative dovevano dimostrarsi ben presto vane, di fronte all'atteggiamento austriaco (v. guerra mondiale, XVIII, p. 103); e allora il governo intavolò, nel marzo, le trattative con l'Intesa, che dovevano condurre al patto di Londra (26 aprile 1915). Furono mesi di azione diplomatica intensissima e difficile, che si dovette condurre nel più grande segreto.
La denuncia della Triplice (3 maggio 1915) fece comprendere che ormai si maturavano le decisioni supreme. Allora si ebbero la riscossa neutralista, le concessioni dell'ultima ora dell'Austria, fatte sotto la pressione della Germania, e la sollevazione dell'opposizione parlamentare, che si raggruppava intorno al Giolitti, contro il governo dell'intervento. Di fronte a questa situazione, il 13 maggio, il S. diede le dimissioni. Fu il segnale dell'imminente pericolo, che diede luogo alla reazione immediata e grandiosa degl'interventisti, della quale fu l'anima Benito Mussolini. E così il 16 il S. fu confermato in carica, il 20, alla riapertura del parlamento, ebbe i pieni poteri, e il 23 dichiarò guerra all'Austria.
Il S., che con la neutralità prima e con l'intervento poi aveva preso decisioni fondamentali, diresse ancora per un anno la politica italiana, e cioè fino al 10 giugno 1916, quando la discussione sull'offensiva austriaca nel Trentino coalizzò i neutralisti che non gli perdonavano l'intervento e quelli che chiedevano una condotta più energica della guerra. Da allora rimase in disparte fino a dopo la conclusione dell'armistizio, quando riprese parte all'azione politica, come delegato alla Conferenza di Parigi. Dopo l'avvento del fascismo rappresentò l'Italia a Ginevra e qui si distinse sopra tutto nella difesa della politica seguita nell'affare di Corfù. Nella politica interna credeva che il regime fascista "potesse rientrare nell'alveo della vecchia pratica costituzionale", ma nel gennaio del 1925 si accorse dell'errore di giudizio commesso e allora si ritirò dalla vita politica, e scrisse i due volumi di memorie su La neutralità italiana, 1914, Ricordi e pensieri (Milano 1928) e L'intervento, 1915 (ivi 1930). Nel 1928 fu nominato senatore.
Bibl.: Carteggio S.-Sonnino: agosto-dicembre 1914, in Nuova Antologia, 16 febbraio 1935; C. De Biase, A. S., Roma 1919; P. E. Boffi, A. S., Piacenza 1923; A. Savelli, A. S. uomo politico, in Il giornale di politica e di letteratura, marzo 1932; L'opera dei delegati ital. alla Soc. delle Nazioni, I: Tittoni, Ferraris, Imperiali, Scialoja, S., Roma 1935.