SANSEVERINO, Antonio
– Secondogenito maschio del nobile napoletano Giovanni Antonio Sanseverino e di Enrichetta Carafa, nacque, verosimilmente a Napoli, dopo il 1477.
Suoi fratelli furono il primogenito Alfonso, che fu poi duca di Somma, e Giovanni. Nulla è noto della sua formazione né della sua giovinezza, se non che appartenne all’Ordine dell’ospedale di S. Giovanni. Leone X lo avrebbe nominato cardinale in pectore (Cardella, 1793); ma la nomina, se effettivamente vi fu, non venne resa pubblica, né da questo pontefice né dal successore Adriano VI. Durante il pontificato di Clemente VII, nel 1527, fu invece effettivamente creato cardinale presbitero di S. Susanna.
La nomina si inquadra in un momento di estrema difficoltà per il papa, che – prigioniero – attraverso la vendita di cappelli cardinalizi mirava a raccogliere una grossa somma di denaro da consegnare ai capitani delle truppe imperiali che avevano occupato Roma. I cardinali nominati in questa occasione – fra cui altri due napoletani, Vincenzo Carafa e Sigismondo Pappacoda – furono oggetto di un duro giudizio da parte di Francesco Guicciardini, che li definì, quasi tutti, indegni (Guicciardini, 1835).
Nella primavera-estate del 1528, Sanseverino fu tra i sostenitori dell’attacco militare francese contro Napoli, guidato dal visconte di Lautrec Odet de Foix; anche il fratello maggiore, Alfonso, si schierò con gli invasori, prendendo parte attiva agli scontri prima di recarsi in esilio in Francia.
Dopo la fine delle ostilità, a Sanseverino fu affidata – ed egli ne fu titolare sino alla morte – l’arcidiocesi di Taranto, retta precedentemente dal potente cardinale Francesco Armellini Medici (1525-27). È da escludere l’assegnazione (1528) dell’arcivescovato di Cosenza (asserita da Ughelli, 1721), che passò invece tra 1527 e 1528 dalle mani di Giovanni Ruffo a quelle del cardinale Niccolò Gaddi (Russo, 1956). Gli fu invece affidata dal 1528 al 1534 la diocesi di Conversano, come amministratore apostolico; e nel 1538 resse per pochi mesi, con la stessa carica, la diocesi di Lacedonia (Avellino).
Secondo la prassi corrente, governò l’arcidiocesi di Taranto per mezzo di un vicario. Si segnalò per una certa accondiscendenza nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche locali: nel 1531 concesse infatti al capitolo di Martina Franca e Grottaglie un privilegio secondo cui le cause civili, criminali e miste che lo riguardavano, a eccezione di quelle che comportavano una pena corporis afflictiva, potevano essere conosciute e giudicate in prima istanza presso il vicario foraneo residente in loco, senza passare per la giurisdizione della curia arcivescovile. Questo provvedimento generò peraltro un lungo strascico di conflitti in età postridentina, quando i vescovi vollero riaffermare e difendere le loro prerogative.
Fra il 1530 e il 1531 Sanseverino fu camerlengo del Collegio cardinalizio. Non perse la benevolenza papale con l’avvicendamento tra Clemente VII e Paolo III, alla cui elezione partecipò nel conclave del 1534. Sotto papa Farnese, mutò per ben quattro volte titolo cardinalizio: fu infatti cardinale presbitero di S. Maria in Trastevere (1534), e in seguito ascese a cardinale vescovo delle sedi suburbicarie di Palestrina (1537), S. Sabina (1539) e Porto-S. Rufina (1543), che avevano fatto parte anche del cursus honorum del nuovo pontefice.
Negli anni Trenta, ebbe un ruolo attivo nelle questioni – in quella congiuntura, di fondamentale rilievo – relative al disciplinamento degli ordini religiosi e alla gestione della loro conflittualità interna. Nel 1533 fu nominato, succedendo ad Antonio Del Monte, protettore dell’Ordine dei servi di Maria, e in veste di arbitro risolse una disputa tra osservanti e conventuali. Fu poi fermo sostenitore della sopravvivenza del compromesso Ordine dei frati minori cappuccini, che con Paolo III rischiò di essere accorpato agli osservanti o soppresso. Non mancò inoltre di occuparsi di questioni inerenti più in generale alla riforma della Chiesa: assieme a Giovanni Piccolomini e a Paolo Cesi, fece parte dapprima di una commissione (istituita da Paolo III pochi giorni dopo la sua elezione) che doveva proporre – ma senza esito – una riforma generale dei costumi; poi di una seconda (agosto 1535), con l’obiettivo di riformare la Curia romana; e infine di una terza commissione, indetta nell’aprile del 1539, per la preparazione del futuro concilio.
Morì a Roma il 17 agosto 1543 e fu sepolto nella chiesa della Ss. Trinità sul Pincio.
Non fu il primo né l’ultimo della sua casata a conseguire la porpora cardinalizia; accumulò certo benefici e cariche, ma non in misura esorbitante. Si contraddistinse per le sue posizioni moderate e concilianti nei conflitti ecclesiastici che si trovò a gestire, e non fu insensibile alle esigenze di riforma, in anni tumultuosi e difficili. Non sono sorrette da documentazione significativa le affermazioni che fanno di lui un mecenate e un erudito (Moroni, 1853, p. 53).
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