SANT'ELIA, Antonio
SANT’ELIA, Antonio. – Nacque a Como il 30 aprile 1888 da Luigi, parrucchiere, e da Cristina Panzillo.
Conseguita la licenza media presso le scuole tecniche di Cantù, s’iscrisse nel 1903 alla Scuola di arti e mestieri Gabriele Castellini in Como; nel 1906 si diplomò con la qualifica di perito edile-capomastro. Trasferitosi a Milano nel 1907, lavorò alle opere di completamento del canale Villoresi e fu impiegato come collaboratore esterno presso l’ufficio tecnico comunale con il ruolo di disegnatore. Nel gennaio del 1909, la rivista romana La casa pubblicò un suo progetto per una casa unifamiliare di forme secessioniste, giudicandolo in maniera sostanzialmente positiva (Studio per villa. Disegni inviatici dal sig. Antonio Sant’Elia). Nel mese di novembre, prese a frequentare i corsi di architettura superiore dell’Accademia di Brera; in quel periodo condivise un alloggio in corso Garibaldi con lo scultore Giovanni Possamai.
La città di Milano, a partire dai primi anni del Novecento, subiva radicali mutamenti della propria fisionomia sotto l’impulso di una frenetica industrializzazione; alcuni grandi progetti, come quello per la Città dell’industria nell’area a nord, finanziato dai gruppi Pirelli e Breda, sarebbero rimasti inattuati per l’avvento del secondo conflitto mondiale, altri furono in buona parte compiuti, come la città-giardino di Milanino a Cusano sul Seveso, realizzata dall’Unione cooperativa fondata da Luigi Buffoli. Sant’Elia visse in prima persona tale importante fase di crescita della città, cogliendo i nuovi temi progettuali scaturiti dalle necessità di una metropoli moderna: le infrastrutture, i servizi, i nuovi insediamenti residenziali. La frequentazione dell’Accademia di Brera lo rese partecipe di un contesto culturale e artistico particolarmente vivace: entrò in rapporti con Umberto Boccioni, Luigi Russolo, Gerolamo Fontana, Mario Chiattone, Carlo Carrà. Nei locali frequentati dagli artisti, come i caffè Cova e Campari, conobbe, tra gli altri, Romolo Romani, il critico d’arte Mario Bugelli, lo scrittore Marco Ramperti.
Nel 1910 fu ammesso al secondo anno del corso accademico, che frequentò soltanto per alcuni mesi; l’anno successivo ottenne una menzione d’onore al concorso per un villino moderno da realizzarsi al Milanino.
Articolato in tre differenti sezioni – Milanino, Quartiere Regina Elena, Quiete –, il concorso avrebbe assegnato «una medaglia d’oro al migliore studio generale di impianto e organizzazione di un quartiere villino o villaggio-giardino». Il premio sarebbe stato conferito al miglior progetto di «villino economico isolato di sei locali utili con giardinetto, per uso di una sola famiglia, su un’area rettangolare di mq. 750 e con un fronte di m. 25» (L’Architettura italiana, VI (1910-1911), 1, p. 12).
Nel 1911, nell’ambito delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario del Regno d’Italia, si svolsero a Roma e a Torino due importanti esposizioni internazionali dedicate rispettivamente alle arti e all’industria; Sant’Elia si recò con un gruppo di amici in visita alla mostra romana, nella quale ebbe occasione di vedere il padiglione austriaco progettato da Joseph Hoffmann e i dipinti di Gustav Klimt, oltre alle riproduzioni dei progetti di Otto Wagner e della sua scuola.
Sempre nel 1911 cominciò a lavorare, con Italo Paternoster, suo compagno di studi all’Accademia braidense, al concorso internazionale per il progetto del nuovo cimitero di Monza.
Il primo concorso, bandito nel 1898 e vinto da Ulisse Stacchini, non aveva avuto seguito. Alcuni anni dopo, la giunta comunale deliberò di costruire il cimitero in una differente località e di predisporre un nuovo bando, pubblicato il 15 febbraio 1912. Sant’Elia e Paternoster poterono lavorarvi fin dall’anno precedente, come dimostrano i numerosi disegni preparatori in parte conservati nelle collezioni Pellini (Milano) e della Banca popolare di Lecco: ciò, con tutta probabilità, grazie alle relazioni di Paternoster, originario di Monza.
Il progetto, contrassegnato dal motto Crisantemo, era costituito da undici tavole raffiguranti, oltre alle planimetrie d’insieme e alla suggestiva veduta prospettica connotata dai toni del blu e dell’oro (oggi custodita presso la Pinacoteca civica di Como), un edificio sormontato da una cupola, il colombario, la cappella funeraria, il forno crematorio e il famedio. La commissione giudicatrice, composta da Gaetano Moretti, Guido Civetti, Silvio Landriani e Giacomo Monti, non si espresse positivamente nei confronti dei progetti presentati, decretando che «nessuno di questi [fosse] tale da poter essere senza esitazione scelto e tradotto praticamente» (Quaglia, 1912). Alla proposta di Sant’Elia e Paternoster, non priva di «simpatica originalità, quantunque [...] ispirata a forme orientali», fu rimproverata la mancanza di corrispondenza, nella rappresentazione grafica, tra le piante, i prospetti e la sezione (ibid.).
Ancora nel 1912, Sant’Elia prese parte, in qualità di collaboratore dell’architetto Arrigo Cantoni, al nuovo concorso indetto per la stazione ferroviaria di Milano. Il riordino e il potenziamento della rete ferroviaria cittadina rendevano necessaria la ricostruzione della vecchia stazione centrale, realizzata nel 1864 su progetto di Louis-Jules Bouchot; a tale scopo, era stato bandito un concorso nel 1906, vinto da Cantoni, ma rimasto inattuato. Per il secondo concorso, Sant’Elia ideò un’architettura dalla forte connotazione monumentale nella quale il ricorso alla struttura in pietra e alle coperture in ferro e vetro costituiva un esplicito richiamo alle opere di Otto Wagner. Cantoni, tuttavia, non ritenne di presentarlo, preferendo avvalersi della collaborazione di Paolo Vietti Violi. La commissione giudicatrice, presieduta da Camillo Boito, attribuì il premio al progetto di Ulisse Stacchini.
Nello studio Cantoni, Sant’Elia strinse contatti con l’argentiere Arrigo Finzi, per il quale curò il disegno di alcune stoviglie realizzate e immesse sul mercato per un breve periodo a partire dal 1914.
Nel mese di ottobre del 1912, sostenne brillantemente l’esame di abilitazione da professore di disegno presso l’Accademia di belle arti di Bologna, ottenendo la migliore votazione nella prova progettuale, una facciata con portale del transetto di una grande chiesa metropolitana; ottimi risultati conseguì nelle prove pratiche, buone nel saggio e nell’esame orale.
Nel 1913, di nuovo a Milano, prese in affitto dal pittore Carlo Prada un locale al numero 3 di via S. Raffaele, che utilizzò come studio e abitazione. In quel periodo lavorò, ancora con Cantoni, al progetto del concorso per la nuova Cassa di risparmio di Verona (1913-14).
Cantoni aveva costituito un gruppo di progettazione eterogeneo per formazione: oltre a Sant’Elia, che curò la redazione delle tavole raffiguranti i prospetti e le sezioni, Tancredi Motta realizzò gli elaborati relativi alle piante e il pittore Leonardo Dudreville le viste prospettiche acquerellate. Il gusto medievaleggiante che informava il progetto, frutto di un preciso orientamento in tal senso da parte di Cantoni, sarebbe stato motivato dallo stesso bando di concorso, che all’articolo 4 «imponeva agli artisti – come concetto fondamentale – di doversi uniformare, nelle loro composizioni, al carattere generale della piazza» (G.U. Arata, La mostra dei concorsi per il palazzo della Cassa di risparmio di Verona, in Pagine d’Arte, II (1914), 7, p. 90). In occasione della visita all’esposizione dei lavori tenutasi presso la Reale Scuola industriale di Verona (l’odierno istituto tecnico industriale Galileo Ferraris), Giulio Ulisse Arata giudicò il progetto dello studio Cantoni il più moderno, sebbene «la genialità spesso [fosse] presa a prestito da elementi esotici». L’articolazione delle piante, in generale molto ben congegnata, penalizzava tuttavia la luminosità di alcuni ambienti; al contrario, le decorazioni dai colori violenti che rivestivano «le masse architettoniche salde e ben composte» erano «distribuite con genialità e con ottimo effetto nell’esterno e nell’interno» (ibid.).
Parallelamente all’attività professionale, che portava avanti non senza difficoltà, Sant’Elia si dedicò all’elaborazione del proprio linguaggio architettonico attraverso le opere grafiche, nelle quali si denotano sin dall’inizio caratteri «innovativi e quasi rivoluzionari» (Selvafolta, 2003, p. 2226). Nel marzo del 1914, a Milano, partecipò alla mostra organizzata presso il palazzo della Triennale dall’Associazione degli architetti lombardi per iniziativa di Giovanni Rocco. All’esposizione presero parte architetti già affermati, come Raimondo d’Aronco e Giuseppe Sommaruga, e numerosi giovani tra i quali Marcello Piacentini; in un articolo sull’evento appena concluso, Arata definì Sant’Elia, autore dei disegni raffiguranti una centrale elettrica, una stazione, una chiesa e un grattacielo, «il più geniale di tutti i giovani, il più impetuoso e anche il più logicamente fantastico [...]: non però il Sant’Elia del cimitero di Monza [...] ma [quello] dei piccoli studi dove, questo giovane genialissimo artista, fa vedere, anche in un piccolo schizzo riassuntivo di una stazione, quale deve essere la vera fusione dell’architettura, quali i suoi scopi costruttivi, quale la sua utilità pratica» (G.U. Arata, La prima mostra di architettura promossa dall’associazione degli architetti lombardi, in Rassegna d’arte antica e moderna, I (1914), 2, pp. 70 s.).
Nel maggio successivo, Sant’Elia prese parte alla mostra del gruppo Nuove tendenze, fondato in febbraio da Decio Buffoni, Gustavo Macchi, Ugo Nebbia e dallo stesso Arata. L’esposizione, tenutasi dal 20 maggio al 10 giugno in via Agnello presso la sede della Famiglia artistica milanese, ospitò le opere di Arata, «suo primo, convinto estimatore» (Selvafolta, 2003, p. 2226), Chiattone, Dudreville, Carlo Erba, Alma Fidone, Marcello Nizzoni, Possamai. Sant’Elia presentò La città nuova, Centrali elettriche e Case nuove: sedici disegni nei quali «gli edifici immaginati precedentemente confluiscono in un progetto di totale sintesi urbana che afferma l’idea nuova dell’esercizio dell’architettura alle dimensioni della scala metropolitana» (ibid.). Il catalogo della mostra recava una premessa priva di titolo, redatta dallo stesso Sant’Elia, che per impostazione e stile di scrittura può già vedersi come «il prodotto di un ambiente nel quale avevano una larga diffusione le idee agitate dai futuristi» (Godoli, in Il manifesto..., 2014, p. 22).
Secondo le testimonianze di Chiattone e di altri artisti i primi contatti di Sant’Elia con Filippo Tommaso Marinetti e l’adesione al suo movimento risalgono al periodo tra maggio e luglio del 1914, poco prima della diffusione del Manifesto dell’architettura futurista, stampato l’11 luglio in forma di volantino dalla tipografia Taveggia e il 1° agosto pubblicato sulla rivista Lacerba (II (1914), 15, pp. 228-231), a corredo dei disegni de La città nuova: «scritto denso di contenuti, per certi aspetti profetici, sulla metropoli contemporanea e sull’architettura moderna» (Selvafolta, 2003, p. 2227).
Le differenze concettuali e stilistiche tra il Manifesto e la prefazione al catalogo della mostra alla Famiglia artistica, ‘riscoperta’ solo alcuni decenni dopo la morte di Sant’Elia (G. Bernasconi, Il messaggio di Antonio Sant’Elia del 20 maggio 1914, in Rivista Tecnica della Svizzera italiana, 1956, vol. 43, pp. 145-152), diedero adito alla tesi, sostenuta da numerosi autori, «dell’alterità rispetto al Futurismo» dell’opera dell’architetto comasco (Godoli, in Il manifesto..., 2014, p. 21): in particolare l’influenza che l’architettura liberty e la Wagnerschule avevano avuto su Sant’Elia – già riscontrata, peraltro, da contemporanei come Arata – fu utilizzata «per dichiararla incompatibile con la denuncia della pseudo-architettura d’avanguardia austriaca contenuta nel manifesto» (ibid., p. 31), gettando dubbi sull’autenticità dello scritto.
Studi e approfondimenti critici recenti hanno evidenziato come lo stesso mutato clima politico potesse aver indotto l’architetto comasco, al pari dei futuristi, «a nutrire sentimenti antigermanici e antiaustriaci» (ibid.). Il fatto che per la redazione della premessa – o Messaggio, come fu definito da Giovanni Bernasconi – Sant’Elia si sia avvalso della collaborazione di Mario Bugelli e Ugo Nebbia, e che a Marinetti si debba invece la rielaborazione stilistica del Manifesto in forme più simili a quelle degli altri scritti del movimento, porterebbe più propriamente a ritenere i due scritti (e non, come da taluni sostenuto, il solo Manifesto) un’interpretazione del suo pensiero: in entrambi i casi, tuttavia, la revisione non ne avrebbe stravolto i principi (ibid.).
Nel luglio del 1914, Sant’Elia fu eletto consigliere comunale a Como nella lista dei socialisti rivoluzionari. Nella sua città, si dedicò in quel periodo al progetto per la sede della Società dei commessi (non realizzato) e al monumento a Gerardo Caprotti nel cimitero di Monza, eseguito nella versione meno elaborata e più economica tra quelle proposte, caratterizzata da richiami tardoliberty più vicini al gusto della committenza. Curò inoltre la decorazione delle facciate della scuola Francesco Baracca e di un fabbricato in via Cesare Cantù.
Nello stesso anno, realizzò, per incarico di Marinetti, una composizione parolibera per la copertina del volume di Luciano Folgore (pseudonimo di Omero Vecchi, figura di spicco del futurismo romano), Ponti sull’oceano. Versi liberi e parole in libertà, pubblicato dalle Edizioni futuriste di poesia.
Allo scoppio del conflitto, «strappato dall’interventismo alle teorie umanitarie pacifiste internazionaliste» (F.T. Marinetti, Sant’Elia e la nuova architettura, in Vecchio e nuovo, IX (1931), 1, p. 17), Sant’Elia si arruolò nel Battaglione lombardo volontari ciclisti, con Boccioni, Russolo, lo stesso Marinetti e altri. Raggiunta la zona di guerra, il gruppo prese parte alla battaglia per la riconquista di Dosso Casina (ottobre 1915). Il 30 novembre il battaglione fu sciolto e i volontari temporaneamente congedati; nel maggio del 1916, Sant’Elia partì per il Carso al seguito dell’esercito regolare con il grado di sottotenente del 225° reggimento di fanteria, brigata Arezzo. Il 6 luglio fu ferito durante un’azione nei pressi di Asiago: il coraggio dimostrato e la generosità nei confronti dei commilitoni gli valsero una medaglia d’argento. Tornato al combattimento già il 16 luglio, fu dapprima sul monte Baldo e quindi a Monfalcone, dove, per incarico del comandante Napoleone Fochetti, intraprese la progettazione del cimitero di guerra della brigata, realizzato di lì a poco.
Morì il 10 ottobre 1916, colpito alla fronte da un proiettile di mitragliatrice, nel corso di una battaglia lungo l’Isonzo.
La salma fu temporaneamente sepolta nel cimitero della brigata Arezzo da lui stesso progettato. Le esequie si svolsero a Como in forma solenne il 16 novembre; Angelo Noseda, capogruppo dei consiglieri socialisti, ne effettuò la commemorazione nel corso di una seduta consiliare.
Nel 1921 i resti furono traslati nel cimitero Maggiore di Como; nel 1930 si tenne nella città natale un’esposizione di 95 suoi disegni curata da Michele Leskovic (noto come Escodamè). Marinetti si adoperò perché il monumento ai caduti in Como fosse realizzato sulla base di un suo progetto per una torre con lanterna: la realizzazione fu curata da Attilio e Giuseppe Terragni. Nello stesso anno il Politecnico di Milano gli conferì la laurea in architettura ad honorem.
La Pinacoteca civica di Como conserva nel fondo Sant’Elia un consistente corpus di disegni, consultabile in rete, provenienti dalle donazioni della famiglia e di soggetti pubblici e privati.
Fonti e Bibl.: F. Quaglia, Per il nuovo cimitero di Monza, in La Lombardia, 17 ottobre 1912; Futurismo architettura, a cura di L. Patetta - V. Vercelloni, in Controspazio, III (1971), 4-5, n. monografico; O. Selvafolta, A. S., in Dizionario dell’architettura del XX secolo, IV, Roma 2003, pp. 2225-2227; A. S. La mia prospettiva interiore, a cura di G. Cerviere, Melfi 2004; Il manifesto dell’architettura futurista di S. Elia e la sua eredità, a cura di M. Giacomelli - E. Godoli - A. Pelosi, Mantova 2014 (in partic. E. Godoli, Puntualizzazioni sull’opera di A. S. e sul manifesto dell’architettura futurista, pp. 21-46); A. S., Manifesto dell’architettura futurista. Considerazioni sul centenario, a cura di F. Purini - L. Malfona - M. Manicone, Roma 2015; N. Barbugian, A. S. L’immagine della città nuova, in II Congresso internacional de habitação coletiva sustentável, São Paulo 2016, pp. 312-315; A. S. Il futuro delle città (catal.), Milano 2017; www.antoniosantelia.org, a cura di L. Caramel - M.L. Casati - A. Longatti, con approfondimenti e ampia bibliografia.