SETTIMULEIO CAMPANO, Antonio
– Soprannominato il Campanino per distinguerlo dall’omonimo vescovo Giovanni Antonio Campano, nacque a Bauco, nei monti Ernici (nel Lazio), probabilmente nel 1450. I nomi dei genitori non sono noti. La data di nascita si ricava dall’epitaffio composto da Pomponio Leto per la sua tomba in S. Onofrio al Gianicolo a Roma: oltre a ricordarne il paese d’origine, il testo informa che, quando morì, Settimuleio non aveva ancora compiuto i ventun anni; poiché risulta che fosse uscito dal carcere di Castel Sant’Angelo in pessime condizioni prima del 25 marzo 1469 venendo a morte poco più tardi a causa delle torture subite, non si può andare oltre lo scorcio di quell’anno o gli inizi del 1470.
Allievo di Pomponio Leto e familiare del vescovo di Feltre Angelo Fasolo, venne incarcerato nel febbraio del 1468 con l’accusa di avere partecipato alla congiura pomponiana contro papa Paolo II. Tanto le fonti d’archivio quanto le testimonianze dei contemporanei ne registrano concordemente il nome nella lista degli arrestati. Lo afferma l’umanista Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, imprigionato insieme con lui, nel Liber de vita Christi ac omnium pontificum, e ricorda le circostanze della cattura anche Agostino Patrizi in un’epistola di quello stesso 1468 ad Antonio Monelli (Casarsa, 1997, p. 375). Secondo Patrizi, Filippo Bonaccorsi fuggì nottetempo con Marcus, Glaucius e Petreius; il giorno dopo furono catturati il Platina, Marco Lucido Fazini, Agostino Maffei e qualcun altro, mentre Settimuleio, pur nominato fra i congiurati, per alcuni giorni fu energicamente difeso («acriter defenditur») dal vescovo Fasolo, ma alla fine fu anch’egli recluso in Castel Sant’Angelo e interrogato.
A tracciare le linee portanti della personalità di Settimuleio contribuiscono alcune raccolte poetiche. La più importante, postuma, è ospitata nel codice Add. 25596 della British Library di Londra. Si tratta di 69 componimenti che fanno riferimento a due fasi distinte della vita di Settimuleio: i primi sessanta testi precedono l’incarcerazione, gli ultimi nove fanno intravedere «l’eco del dramma personale» (Casarsa, 1997, p. 379).
Tra i destinatari (non tutti sono stati identificati) figurano i compagni coinvolti nella congiura quali il Buonaccorsi (Callimaco Esperiente), Pomponio Leto, il Fazini (detto Fosforo), il Platina; ma non mancano personaggi più periferici rispetto al baricentro romano, come il rimatore padovano Niccolò Lelio Cosmico o il veneziano Lucio Condulmer. Palesi sono i prelievi dai versi di Catullo, Properzio, Ovidio e Marziale, che intrecciano i temi dell’amicizia con quelli dell’eros paidicòs. In alcuni casi è possibile individuare veri e propri macrotesti interni alla raccolta, come nella serie di nove carmi per il Fazini o dei sette per «il bellissimo Severo» (Casarsa, 1993-1994, p. 91). Non mancano i classici tópoi del timore per il giudizio di nares aduncae verso la poesia di evasione, o della paura che le pagine del libellus possano diventare involucro per le spezie o i pesci.
La raccolta londinese è passibile di integrazioni con nuovi carmi provenienti da altri codici, in particolare il manoscritto Vat. lat. 7619 (Marziale), già attribuito, così come le annotazioni marginali, interamente alla mano del Settimuleio (Ruysschaert, 1961, p. 73 nota 26; più scettica Casarsa, 1993-1994, p. 100 nota 1). Il manoscritto vaticano conserva a c. 134v sei componimenti di Settimuleio. Una poesia, indirizzata a Pomponio Leto, è ospitata a c. 80 del codice B.v.21 della Biblioteca del seminario arcivescovile di Firenze; due «ad Lucullum» (il destinatario è probabilmente da emendare in «Lucilium» o «Lucillum») sono in coda (c. 76r) a un codice di Lucrezio, manoscritto 68 dell’Accademia dei Filopatridi di Savignano sul Rubicone (Casarsa, 1997, p. 377; con dubbi sull’attribuzione nel successivo Ead., 1993-1994, pp. 101 s.). Di queste poesie, la seconda del codice Vaticano, quella del codice del Seminario e la prima del codice di Savignano ritornano nel manoscritto Lat. 8274 della Bibliothèque nationale di Parigi, testimone rilevante dell’Epigrammaton libellus di Domizio Calderini. Dallo stesso codice parigino si possono aggiungere altre quattro poesie da sottrarre al Calderini e assegnare al Settimuleio.
I nuovi testi consegnano importanti riferimenti al soggiorno veneziano del Leto e notizie relative ad altri suoi allievi (emergono i nomi dei veneziani Alvise Contarini figlio di Andrea, cui il Leto fece da precettore durante l’anno di permanenza a Venezia, e Giovanni Tron, che ospitò il Leto a Venezia; accanto a essi si può individuare anche il folignate Sigismondo de’ Conti).
Oltre che nel già menzionato Marziale Vat. lat. 7619, la mano di Settimuleio (talvolta accoppiata a quella di Pomponio Leto) è stata riconosciuta in una non trascurabile serie di manoscritti. Gli sono attribuiti una postilla alla traduzione latina di Erodoto opera di Lorenzo Valla nel Vat. lat. 1797, (Scarcia Piacentini, 1984, p. 542); alcune note nel Corsiniano 1839 43 F 21 (Lunelli, 1997, p. 1216 e tav. XXV); il Vat. Chig. L.VI.203 che ospita l’Ars grammatica di Diomede; il Marciano Z. lat. 339 che raccoglie i Poliorketica di Erone di Bisanzio e l’Orazione funebre di Demostene nella traduzione latina di Giovanni Sophianòs; il manoscritto di Messina, Museo nazionale, XIII.C.7 che ospita gli Argonautica di Valerio Flacco.
A queste testimonianze è stata di recente, pur se con cautela, accostata una ulteriore serie di manoscritti legati all’attività di un copista che si firma umanisticamente Volusius; alcuni tratti del suo ductus potrebbero far pensare che dietro Volusius si celi in realtà la mano del Settimuleio maturo.
A lui si dovrebbero il Lucrezio di Basilea, Öffentliche Universitätsbibliothek, F.VIII.14; alcuni marginalia dei Marziale Vat. lat. 2823 e Ottob. lat. 1188, nonché due pagine del Silio Italico Vat. lat. 2778; parte del De immortalitate animae et mundi consummatione dialogus di Enea di Gaza nella traduzione latina di Ambrogio Traversari conservato a Terni, Biblioteca comunale, 18; alcuni marginalia del Gadd. Plut. 90 sup. 20 della Medicea Laurenziana di Firenze (Platina e Rodrigo Sánchez, De pace et bello); una nota nel Lucrezio di Pomponio Leto a Napoli, Biblioteca nazionale, IV.E.51; ancora marginalia nell’Ovidio di Ferrara, Biblioteca Ariostea, II 141 (Dixon, 2011, pp. 201-213). A Volusius sono infine ricondotti i trattati pomponiani Romulus e Fabius nel codice di Salamanca, Biblioteca universitaria, 107 (Dixon, 2010, p. 318 nota 196).
La maggior parte di questi carmi rinvia agli anni antecedenti al 1468 e restituisce un’immagine del Settimuleio ben diversa da quella che sarà segnata dalla dolorosa esperienza della prigionia, cui invece fa chiaro riferimento il capitolo indirizzatogli dal senese Jacopo Tolomei (Londra, British Library, Add. 19908, cc. 50v-51r), già suo compagno di prigionia. Si sa per altro che Rodrigo Sànchez de Arévalo, il nuovo castellano di Castel Sant’Angelo che prese il posto di Tolomei, inviò in lettura al Settimuleio in carcere il suo Liber de paupertate Christi et apostolorum.
Come sopra accennato, Settimuleio morì a Roma verosimilmente sullo scorcio del 1469 o comunque entro la fine del 1470. Alcuni studiosi tuttavia spingono la data di morte fino al limite di febbraio del 1471 (Di Bernardo, 1975, p. 219) o addirittura oltre il 1472 (Zabughin, 1909, p. 335).
Fonti e Bibl.: A. Della Torre, Paolo Marsi da Pescina: contributo alla storia dell’Accademia Pomponiana, Rocca S. Casciano 1903, pp. 99 s.; V. Zabughin, Giulio Pomponio Leto, I, Roma 1909, pp. 171, 335; Th. Simar, Les Manuscrits de Martial du Vatican, in Le Musée belge, XIV (1910), pp. 205 s.; G. Mercati, Per la cronologia della vita e degli scritti di Niccolò Perotti arcivescovo di Siponto, Città del Vaticano 1925, p. 134 nota; R. Weiss, Un umanista veneziano: papa Paolo II, Firenze 1958, p. 45; G.B. Alberti, Erodoto nella traduzione latina di Lorenzo Valla, in Bollettino del Comitato per la preparazione dell’edizione nazionale dei classici greci e latini, n.s., VII (1959), pp. 65 s.; J. Ruysschaert, À propos des trois premières grammaires latines de Pomponio Leto, in Scriptorium, XV (1961), pp. 72 s.; C. Dionisotti, Jacopo Tolomei fra umanisti e rimatori, in Italia medioevale e umanistica, VI (1963), pp. 143, 154-158 (poi in Id., Scritti di storia della letteratura italiana, II, Roma 2009, pp. 153-157); R. Avesani, La biblioteca di Agostino Patrizi Piccolomini, in Mélanges Eugène Tisserant, VI, Città del Vaticano 1964, pp. 64 s.; J. Dunston, Studies in Domizio Calderini, in Italia medioevale e umanistica, IX (1968), pp. 83 s.; J. Ruysschaert, Miniaturistes ‘romains’ sous Pie II, in Enea Silvio Piccolomini. Papa Pio II. Atti del Convegno per il quinto centenario della morte e altri scritti raccolti da D. Maffei, Siena 1968, p. 273; Survie des classiques latins, Exposition de Manuscrits Vaticans du IVe au XVe siècle, Città del Vaticano 1973, pp. 71 s.; F. Di Bernardo, Un vescovo umanista alla corte pontificia: Giannantonio Campano (1429-1477), Roma 1975, pp. 213, 218-222; P. Cortesi, De hominibus doctis, a cura di G. Ferraù, Messina 1979, pp. 168 s.; A. Perosa, L’“Epigrammaton libellus” di Domizio Calderini in un codice della Bibliothèque nationale di Parigi, in Medioevo e Rinascimento veneto con altri studi in onore di Lino Lazzarini, Padova 1979, pp. 512-517, 521-525 (poi in Id., Studi di filologia umanistica, III, Umanesimo italiano, a cura di P. Viti, Roma 2000, pp. 121 s., 126-130, 132 s., 139, 164 s.); P. Medioli Masotti, L’Accademia romana e la congiura del 1468, in Italia medioevale e umanistica, XXV (1982), pp. 190-193; Ead., Codici scritti dagli accademici romani nel carcere di Castel S. Angelo (1468-1469), in Vestigia. Studi in onore di Giuseppe Billanovich, a cura di R. Avesani et al., II, Roma 1984, pp. 455-458; P. Scarcia Piacentini, Note storico-paleografiche in margine all’Accademia Romana, I, La biblioteca di Pomponio Leto: ricerche e ipotesi, in Le Chiavi della memoria. Miscellanea in occasione del I centenario della Scuola vaticana di paleografia diplomatica e archivistica, Città del Vaticano 1984, p. 523; L. Casarsa, L’“Epigrammatum libellus” di S. C., in Studi umanistici, IV-V (1993-1994) [ma 1998], pp. 87-162; P. Cecchini, Giannantonio Campano: studi sulla produzione poetica, Urbino 1995, p. 40; L. Casarsa, Per l’edizione dell’ “Epigrammatum libellus” di S. C.: i carmi a Lucido Fosforo Fazini, in Filologia umanistica per Gianvito Resta, I, a cura di V. Fera - G. Ferraù, Padova 1997, pp. 375-385; A. Lunelli, «Pomponius Sabinus» alias Pomponius Laetus: perché Sabinus. Con osservazioni sul ms. Corsiniano 1839 (43 F 21) e su CIL vi/5, 3477*, ibid., II, p. 1216 e tav. XXV; C. Bianca, I poeti del secondo Quattrocento romano, in Poesia umanistica latina in distici elegiaci. Atti del Convegno internazionale... 1998, a cura di G. Catanzaro - F. Santucci, Assisi 1999, p. 194; M. Campanelli, Polemiche e filologia ai primordi della stampa. Le Observationes di Domizio Calderini, Roma 2001, pp. 156 e nota, 238 e nota 13; D. Gionta, Ritrovamenti pomponiani, in Studi medioevali e umanistici, IV (2006), p. 391; M.D. Reeve, Lucretius from the 1460s to the 17th century: seven questions of attribution, in Aevum, LXXX, (2006), pp. 167 s.; A. Bellettini, La tradizione umanistica di Quinto Sereno ‘Sammonico’ e l’Accademia romana, in Italia medioevale e umanistica, LI (2010), p. 209 nota 33; H.M. Dixon, Pomponio Leto and his teachers Lorenzo Valla and Pietro Odo da Montopoli. Evidence from work on Lucretius, ibid., pp. 274, 283, 318, 325; Ead., Pomponio Leto’s notes on Lucretius (Utrecht, Universiteitsbibliotheek, X Fol 82 Rariora), in Aevum, LXXXV (2011), pp. 191-216 (in partic. pp. 210-216).