FERLONI, Antonio Severino
Nacque a Borgo San Donnino (od. Fidenza in prov. di Parma) il 17 apr. 1740 da Giacomo, negoziante in quella città, e da Francesca Rovaldi. Dopo i primi studi sotto la guida dei gesuiti e poi di un minore conventuale, tale Ruina, che gli fu maestro di teologia, passò a Parma, nella cui università studiò diritto canonico, e divenne sacerdote. Mancano notizie precise che permettano una ricostruzione cronologica della sua attività negli anni immediatamente successivi, anche se è probabile che vivesse a San Donnino con qualche ufficio ecclesiastico e che durante questo periodo compilasse una Cronaca di quella terra, rimasta inedita, che il Pezzana (Storia..., V) dice di aver potuto consultare e che cita ripetutamente, confutandone alcune affermazioni.
Era sicuramente a San Donnino nel 1766, quando iniziò una corrispondenza col ministro G. Du Tillot, allora impegnato nel suo radicale programma di riforme ecclesiastiche. Uno dei più decisi oppositori alla sua realizzazione era il vescovo di San Donnino, mons. Girolamo Baiardi, sostenitore dell'autorità e dei privilegi ecclesiastici, e tra il 1766 e il 1768 il F. inviò al ministro una nutrita serie di documenti e informazioni tali da costituire un pesante atto di accusa contro le prevaricazioni del vescovo, che avrebbe fatto sparire antiche scritture e decisioni favorevoli ai diritti dei poteri civili, e una denuncia degli abusi commessi ai danni della Comunità.
Dapprima spontaneamente e poi sollecitato dal Du Tillot, il F. continuò nella sua funzione di informatore, coinvolgendo nella sua attività, con l'autorizzazione del ministro, anche il proposto della cattedrale Vittorio Pallavicini Pincolini, assai bene informato della storia ecclesiastica locale e in possesso di un ricco archivio. Nello stesso tempo però il F. richiese che questa sua attività rimanesse segreta, ottenendo l'assicurazione che il suo nome sarebbe stato eliminato dalle missive. Così rassicurato, a notizie storiche e informazioni di ogni tipo aggiungeva proposte concrete di carattere decisamente riformatore e consigli relativi a provvedimenti da prendere come, per es., la riforma di tutti gli ospedali e ricoveri di San Donnino da riunirsi in uno solo, l'apertura di una casa di lavoro, ecc. Ma, il 23 marzo 1770, inviò al ministro una lettera nella quale ritrattava quanto aveva scritto contro il vescovo e dichiarava che un serio esame di coscienza e il consiglio di persone illuminate lo spingevano ora a confessare che la sua corrispondenza era stata dettata da risentimenti per supposti torti ricevuti, dall'ambizione di rendersi utile alla corte e dal desiderio di avere la protezione di uomini potenti, anche se insisteva sui sentimenti di pietà, carità e zelo che lo avevano spinto a volere porre rimedio a mali reali. Pregava quindi il rninistro di distruggere le sue lettere, perché non rimanessero a "trista memoria del suo rossore". Il Du Tillot gli manifestò la sua comprensione, anche perché - scriveva - si era gia accorto che il contegno dei F. non era libero da passioni e lo rassicurava che il carteggio non sarebbe stato dato alla luce.
Il Benassi (nella recensione a G. Sforza) ipotizzò che tale carteggio, dopo il licenziamento del Du Tillot (1771), durante un'operazione di riordino delle sue carte, fosse venuto a conoscenza delle autorità laiche e religiose e avesse suscitato lo sdegno del duca Ferdinando, che aveva ormai abbandonato la politica ecclesiastica del suo ex ministro. È comunque certo che il F. fu bandito da Parma nel 1780, per ordine del sovrano. Sembra invece poco convincente la voce corrente che tale esilio - come rileva il Pezzana nelle sue Memorie degli scrittori e letterati parmigiani - fossedovuto a una imprudenza del F., il quale avrebbe presentato al duca una medaglia d'oro a nome di Pio VI, senza che ne avesse avuto commissione. Anche se il fatto era accaduto, non poteva essere un motivo valido per l'espulsione, e, peraltro, da una lettera dello stesso pontefice (pubblicata nel 1784 in appendice a uno scritto del F. di cui si dirà) risulterebbe che nel 1775 fosse stato effettivamente incaricato di presentare un donativo del papa al duca. Ma, come spesso accade nella biografia dei F., non è facile distinguere i fatti realmente accaduti e le voci o le spiegazioni, forse messe in circolazione dallo stesso abate.
In ogni caso, dopo la caduta del Du Tillot, il F. rivolse il suo fervore verso la predicazione e, grazie alla sua parola facile ed eloquente, divenne presto oratore di fama. Secondo talune indicazioni dei suoi biografi, si trasferi a Milano e, poi, in veste di predicatore, passò per varie città italiane (Roma, Genova, Venezia, Torino) e straniere (Vienna). Connessa a questa attività è la pubblicazione del suo scritto Adorazioni all'amore di Gesù solite recitarsi nelli suoi spirituali esercizi al popolo dall'abate A. S. Ferloni (s.i.t.). Gli spostamenti frequenti inerenti alla sua missione non gli impedirono di compilare anche un'opera di vasta mole, De' viaggi da' sommi pontefici intrapresi cominciando da s. Pietro apostolo sino al regnante Pio VI. Opera in due parti divisa ... nella quale si dà l'idea degli affari interessanti la storia e il governo de' pontefici viaggiatori, uscita a Venezia nel 1783, presso lo stampatore Zatta, il quale annunciava che il F. stava preparando un'opera assai più vasta e interessante di argomenti di politica ecclesiastica.
Pio VI, in onore del quale era stata scritta l'opera, gradì l'omaggio dell'autore e, nella lettera di ringraziamento che gli inviò, fu prodigo di elogi. Ma il lavoro fu accusato di superficialità e approssimazione, e il F. rispose con la Confutazione apologetica ... all'esame critico del padre D.N.N., pubblicato nel Giornale letterario dei confini d'Italia, Bologna 1784, allegandovi la lettera di Pio VI del '75, già ricordata, e l'altra con la quale il pontefice lo ringraziava ed elogiava.
Nel 1789 giunse a predicare a Lucca e qui, se pure ebbe un caloroso successo per la sua facondia oratoria, sollevò un certo scandalo per la sua familiarità con una signora lucchese, certa Francesca Romani. Le autorità ecclesiastiche ritennero tale comportamento poco idoneo alla veste che indossava e lo invitarono a tornare nella sua patria (Archivio di Stato di Lucca, Archivio Sardini, 75: Documenti relativi alla cronaca ecclesiastica lucchese, c. 36; Ibid., 15 8: Zibaldone lucchese dell'abate J. Chelini, I, cc. 183-193). Dopo un breve tempo trascorso a San Donnino, per la quaresima del 1790 andò a predicare alla corte di Napoli, riscuotendo anche qui ampio consenso. Desideroso di tornare a Parma, riuscì ad ottenere dal re Ferdinando IV di Borbone la nomina a vice gran priore della chiesa della Steccata di Parma, dove era l'amministrazione dell'Ordine costantiniano di S. Giorgio di cui il re era gran maestro e di cui riteneva gli spettassero le nomine. Ma, giunto ai confini di Parma, il duca gli impose di recarsi a San Donnino e di non comparire in città, a causa di "molti pregiudizi fattigli in materie poco lodevoli ad un Ecclesiastico", frase che può ben riferirsi al suo contegno spregiudicato o alla sua passata attività di informatore del Du Tillot (Archivio Sardini, 75). Poco dopo il re di Napoli gli tolse l'incarico e la pensione.
Il F. riprese così le sue peregrinazioni: nel 1792 tornò a Lucca dove tenne un discorso di intonazione chiaramente antirivoluzionaria, Orazione sacro-politica recitata nella sala del Senato della Serenissima Repubblica di Lucca nel secondo sabbato di quaresima dal ... Ferloni predicatore nella metropolitana l'anno 1792 (Lucca 1792); nel 1795 era di nuovo nella città toscana dove riallacciò i rapporti con la Romani, con la quale ebbe però una relazione burrascosa culminata con una lite per ragioni economiche, composta poi da comuni amici (Archivio Sardini, 158).
Soprattutto questo soggiorno lucchese doveva segnare l'inizio della carriera politica del F., ormai pienamente convertito alle idee rivoluzionarie e deciso a cogliere il momento propizio non solo per far valere i suoi talenti di propagandista e di oratore, ma per ottenere una brillante affermazione politica nel nuovo ordine che andava profilandosi. Certo, per il momento, la Repubblica oligarchica lucchese non poteva offrire ampi margini all'ambizione del F., che invece avrebbe trovato un clima assai più favorevole con l'arrivo in Italia delle armate repubblicane francesi, mentre le sue convinzioni divenivano sempre più radicali.
I calcoli militari del Bonaparte, seriamente impegnato a fronteggiare gli Austriaci nella Padana, preservarono dall'invasione il territorio lucchese, anche quando le truppe francesi occuparono Livorno. Anzi le autorità francesi non avevano alcun interesse, in quel momento, a fomentare disordini e a provocare radicali cambiamenti di governo. Furono proprio queste a informare, nell'agosto del 1796, le autorità lucchesi di una trama eversiva contro la Repubblica. Il console di Francia a Livorno, Charles Rendon de Belleville, riferì anche che il F. gli si era presentato con una "profezia" secondo la quale sarebbe divenuto papa e si sarebbe impegnato allora a riunire tutti i popoli cristiani alla Repubblica francese. Il 19 agosto, per ordine della magistratura, il F. venne arrestato, con l'accusa di essere coinvolto nella congiura. Dal processo non risultarono però prove a suo carico; il 15 novembre fu scarcerato, ma con l'obbligo di non muoversi da Lucca; infine, l'11 dic. 1797, venne sciolto anche da quest'obbligo (Arch. di Stato di Lucca, Archivio Sardini, 158, cc. 242, 353; Cause delegate, 101, ins. 91).
Nel 1798, secondo l'estensore della voce riguardante il F. nella Biographie universelle del Michaud (siglata G. n., da identificarsi con l'abate Aimé Guilion de Montléon, che anche lo Sforza - in Cronache e biografie lucchesi indica come uno dei suoi biografi) e secondo quanto si legge nella Storia dell'amministrazione del Regno d'Italia..., si trovava a Roma quando le truppe francesi occuparono la città e venne proclamata la Repubblica.
In tali circostanze, la sua casa sarebbe stata saccheggiata, provocando la perdita di tutti i suoi averi e del manoscritto di un'opera che poteva formare trenta volumi: Storia delle variazioni della disciplina della Chiesa. Su quest'opera, di cui il F. doveva aver molto parlato, sostenendo che era il frutto delle sue lunghe ricerche negli archivi vaticani e in altri italiani e tedeschi, abbiamo solo vaghi e generici riferimenti, né vi è alcuna certezza che sia stata realmente scritta e che non si tratti solo di una vanteria del suo preteso autore.
In ogni caso il F. era di nuovo a Lucca quando il territorio della Repubblica, divenuto di grande importanza strategica, fu invaso dai Francesi, tra il 2 e il 4 genn. 1799. Il F. celebrò gli avvenimenti con due focosi discorsi, dati subito alle stampe ma editi senza note tipografiche: Sermone detto dal citt. abbate Ferloni nel tempio primario di S. Martino in occasione dell'innalzamento dell'albero della libertà eseguito dal popolo di Lucca la mattina de' 16 piovoso anno 7 Rep. e Discorso del citt. Ferloni in occasione che la Nazione lucchese inalzò solennemente su la pubblica piazza di S. Michele l'albero della libertà li 29piovoso anno VII Rep. (Lucca 1799).
Risale a questo periodo anche l'altro scritto, Prospetto di felicità pubblica che il citt. Ferloni ha presentato diverse volte ai suoicolleghi nella Società patriottica sino da prima che si facesse la rivoluzione e da' patriotti generalmente acclamato (Lucca 1799). Il 6 marzo iniziò la pubblicazione di un giornale settimanale La Staffetta del Serchio. Ma la fine del governo oligarchico e l'avvento della Repubblica democratica non portarono al F. quella posizione politica alla quale aspirava. Dalle pagine del suo giornale, che portava il motto "Post nubila Phoebus", dopo il primo numero nel quale inneggiava alla libertà che si godeva in quei giorni e permetteva ad ognuno di esprimere i propri sentimenti, presto cominciò a stigmatizzare duramente l'operato dei nuovi governanti lucchesi, accusandoli, tra l'altro, di venalità e di volere imbavagliare la libertà di stampa. Contro la nuova legge sulla stampa, emanata dai nuovi Consigli legislativi, ricorse ripetutamente alle autorità francesi, finché l'intervento del gen. S.-A.-F. Miollis riuscì a farla modificare (8 aprile).
I ripetuti attacchi del F. contro i nuovi governanti, da lui definiti incapaci e privi di senno, spinsero infine il governo a bandirlo dal territorio lucchese. Tra il 6 e il 7 maggio fu fatto accompagnare al confine con Pisa; da lì passò a Livorno, ma l'8 giugno, con un salvacondotto, tornò a Lucca. Qui partecipò alla cerimonia funebre in onore dei plenipotenziari francesi uccisi a Rastadt e subito stampò il Discorso del citt. Ferloni per la memoria funerea dei ministri plenipotenziari francesi a Rastadt celebrata solennemente in Lucca il di 20pratile anno 7 Rep. (Lucca 1799; Archivio Sardini, 159: Zibaldone, II, passim).
Con 1'"insorgenza aretina", che dilagava in Toscana, e coi successi delle armate austro-russe, la presenza dei Francesi diveniva sempre più insostenibile. L'8 luglio anche il F. fuggì da Lucca alla volta di Massa, ponendo così fine alla sua attività di giornalista (l'ultimo numero della Staffetta del Serchio uscì il 3 luglio). Quando Lucca fu occupata dagli Austro-Russi, la casa del F. fu messa a sacco dalla popolazione e una sua effige data alle fiamme (30 luglio; Archivio Sardini, 160: Zibaldone, III, c. 27). Il F., che aveva cercato rifugio in Francia, dopo la campagna d'Italia del 1800 e la vittoria di Marengo rientrò a Milano e qui rimase durante i rapidi cambiamenti di governo a Lucca, successivi ad ogni nuova occupazione. Da Milano cercò di screditare il governo lucchese di nuovo "democratizzato", adoperandosi per far richiamare il gen. G.-J. Clément e per sostituirlo con un altro più vicino alle idee dei "veri patrioti" lucchesi. Dopo essere passato da Firenze, nel gennaio 1801 tornò a Lucca. Il clima della città diveniva sempre più difficile per lui, malvisto com'era da tutti, e a nulla valsero i suoi tentativi per ottenere un risarcimento dei danni subiti. Due giorni dopo essere ricorso a Gioacchino Murat, perché intercedesse direttamente, venne arrestato (5 maggio 1801) e accusato, insieme con altri, di complicità nel delitto di cospirazione contro lo Stato (Arch. di Stato di Lucca, Governo provvisorio, 39, Processi straordinari 1800-1801).
Agli atti del processo è allegata fra le tante carte una memoria del F. sopra la soppressione degli Ordini religiosi e delle confraternite e la devoluzione dei loro beni alla organizzazione di ospizi per trovatelli, case di lavoro per i poveri e pubblici laboratori di seta che mostra come egli fosse rimasto fedele alle idee riformatrici della sua gioventù, forse influenzate anche, da motivi giansenisti. Si trova pure una lettera al Murat con pesanti accuse al malgoverno e alla doppiezza dei governanti, i quali fingevano che il paese fosse povero per non pagare le contribuzioni di guerra. Il F. prometteva invece che queste sarebbero state cospicue, nel caso di una sua assunzione al governo, e si impegnava a pagare 500.000 franchi e a rifornire lautamente 1.000 soldati se questi fossero inviati a Lucca entro il 30 floreale, per creare un nuovo governo nel quale si riservava il ruolo di ministro dell'Interno, Relazioni estere e Finanze.
Dopo una lunga istruttoria, l'11 sett. 1801 fu condannato a io anni di carcere e all'esilio perpetuo da Lucca. Lo stesso giorno della condanna, per ordine del Murat, fu scarcerato. Ospitato dapprima nell'abitazione del comandante della piazza gen. G. Mouton de Lobau, nella notte tra il 15 e il 16 partì da Lucca, portando con sé tutti i suoi fogli, i suoi averi e le carte del processo e si diresse a Milano (Arch. Sardini, 161: Zibaldone. IV, c. 496).
Non è ben chiaro quale ruolo o posizione egli avesse a Milano. Giuseppe Valeriani scrisse di averlo conosciuto ormai caduto in estrema miseria quando aveva cercato di accattivarsi la benevolenza del Bonaparte scrivendo omelie in favore della coscrizione. Postosi così in luce, il suo talento era stato richiesto per stendere alcuni indirizzi di adesione dei vescovi italiani alle tesi che sarebbero state sostenute nel concilio di Parigi del 1811. Ma tale attività non lo sollevò dalla miseria, né egli godé della "larga munificenza" del viceré Eugenio, al contrario di quanto scrisse dopo la sua morte il Giornale italiano (n. 308). In realtà, sembra che solo poco prima di morire ottenesse una modesta elargizione.
Morì a Milano il 23 ott. 1813.
Subito il suo nome ricorse in scritti altamente elogiativi ma altrettanto generici o scarsamente precisi nelle notizie che riguardavano la sua vita. Cominciò il Giornale italiano che, nel citato numero, lo definì uno degli uomini più celebri della seconda metà del sec. XVIII e tra i più profondi conoscitori della storia ecclesiastica, oltre che autore di opere importanti per dottrina e profondità di argomenti, giudizio universalmente condiviso all'epoca nell'ambiente milanese. Secondo il Giornale italiano, la Biographie universelle e la Storia amministrativa..., aveva infatti composto anche Dell'autorità della Chiesa secondo la vera idea che ne ha data l'antichità, onde conoscere l'abuso che se ne è fatto e la necessità di emendarlo;ma pure di questa opera non abbiamo traccia.
Fonti e Bibl.: F. Coraccini [G. Valeriani], Storia dell'amministrazione del Regno d'Italia durante il dominio francese, Lugano 1823, pp. LXXXV, 192 ss.; A. Mazzarosa, Storia di Lucca dalla sua origine fino al 1814, Lucca 1833, II, pp. 180 s.; A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, IV, Parma 1833, pp. 402 ss.; Id., Storia della città di Parma, V, Parma 1859, ad Indicem;C. Massei, Storia civile di Lucca dall'anno 1796 all'anno 1848, I, Lucca 1878, pp. 237s.; G. Sforza, Contributo alla storia del giornalismo ital. I. I giornali lucchesi (1756-1850), in Riv. stor. del Risorg. ital., I (1896), p. 451; Id., Un giornalista del sec. XVIII, in Ricordi e biografie lucchesi, Lucca 1916, ad Indicem (cfr. recensione di U. Benassi in Arch. stor. per le prov. parmensi, n. s., XVIII [1918], pp. 253 ss.); G. Arrighi, Una "trama" contro la Repubblica di Lucca organizzata a Livorno nel 1796, in Rivista di Livorno, 1956, n. 5, pp. 6 s.; P .G. Camaiani, Un patriziato di fronte alla Rivoluzione francese. La Repubblica oligarchica di Lucca dal 1789 al 1799, in Rass. stor. toscana, XXX (1984), 1, pp. 72 s., 95 s., 100, 102; G. Tori, Ilmovim. giacobino lucchese..., in La Toscana e la rivoluz. francese, a cura di I. Tognarini, Napoli 1994, ad Indicem; Nouvelle Biographie univers. (Michaud), XIII, Paris-Leipzig 1855, pp. 578 s.; Dizion. biogr. univ., II, Firenze 1842, p. 726; Grand Dict. universel du XIX siècle (Larousse), VIII, Paris 1872, p. 251.