TAMBURINI, Antonio
TAMBURINI, Antonio. – Nacque il 28 marzo 1800 a Faenza, da Pasquale e da Luigia Collina.
Il padre, suonatore di corno, lo avviò agli studi musicali per farne uno strumentista. Presto accortosi delle sue qualità vocali, lo fece educare nel belcanto da Aldobrando (o Aldebrando) Bossi, maestro di cappella di Fossombrone. Dopo un esordio improvvisato a Ravenna nel Carnevale 1816 come rimpiazzo di un anziano basso buffo (Ravaldini, 1978), il debutto avvenne nel 1818 nei teatri emiliani (Cento, Mirandola, Correggio; cfr. l’Antonio Tamburini, 1828), con una compagnia di giro che diede La contessa di Colle Erboso di Pietro Generali; cantò al Contavalli di Bologna nel 1819. A Piacenza nel Carnevale 1819 fu Dandini nella Cenerentola e Mustafà nell’Italiana in Algeri di Gioachino Rossini, avviandosi a un brillante successo, presto confermato dalla scrittura al teatro Nuovo di Napoli (primavera del 1819 - quaresima del 1821), dove fu impegnato in un repertorio misto di opere buffe, serie e semiserie di compositori in voga (tra cui Carlo Coccia, Giacomo Cordella, Giovanni Pacini, Stefano Pavesi, Generali): in particolare «entusiasmò assolutamente i napoletani» nell’Agnese di Ferdinando Paer e in Violenza e costanza di Saverio Mercadante (Antonio Tamburini, 1828, p. 95; gennaio 1820). A Firenze nell’estate-autunno del 1821 cantò nella Gioventù di Enrico V di Pacini, nel Medico ciabattino di Generali, nelle Nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart (Conte Almaviva) e nel Torvaldo e Dorliska di Rossini. Nel 1822 debuttò a Livorno, al teatro d’Angennes di Torino, alla Scala di Milano nella stagione estate-autunno, con Matilde di Shabran di Rossini e le ‘prime’ assolute di Adele ed Emerico di Mercadante e di Chiara e Serafina di Gaetano Donizetti, e infine alla Fenice di Venezia, nel Matrimonio segreto di Domenico Cimarosa (Conte Robinson); nel Carnevale 1823 debuttò al Grande di Trieste con Elisa e Claudio, ossia L’amore protetto dall’amicizia di Mercadante; tornò alla Fenice nella stagione 1824-25 come «primo basso serio cantante», nella Zelmira (Polidoro) e nel Mosè in Egitto (Faraone) di Rossini, e in opere di Cordella e Pavesi. Nella primavera del 1827 ritornò alla Scala; divenuto ormai un punto di riferimento nel genere sia comico sia serio, spaziava dal Barbiere di Siviglia (Figaro) all’Inganno felice (Batone) e dal Mosè in Egitto (Faraone) alla Donna del lago di Rossini (Douglas) fino all’Ultimo giorno di Pompei di Pacini (Sallustio). Il 27 ottobre fu Ernesto nel Pirata, il primo dei personaggi che Vincenzo Bellini modellò sulle sue capacità.
Nella carriera del cantante spicca la frequenza delle ‘prime’ di opere di Donizetti e di Bellini. Per quanto concerne Donizetti, dopo la citata Chiara e Serafina scaligera, Tamburini fu il baritono che creò L’ajo nell’imbarazzo (Roma, Valle, 1824), Alahor in Granata (Palermo, Carolino, 1826), Alina regina di Golconda (Genova, Carlo Felice, 1828), Gianni di Calais (Napoli, Fondo, 1828), Imelda de’ Lambertazzi (Napoli, San Carlo, 1830), Francesca di Foix (Napoli, San Carlo, 1831), Fausta (Napoli, San Carlo, 1832); al Théâtre-Italien di Parigi fu poi nel 1835 il primo Bertucci nel Marino Faliero e nel 1843 il Dottor Malatesta nel Don Pasquale. Quanto a Bellini, fu Filippo nella seconda versione di Bianca e Fernando (Genova, Carlo Felice, 1828), Valdeburgo nella Straniera (Milano, Scala, 1829), Riccardo nei Puritani (Parigi, Italien, 1835).
Le presenze scaligere del cantante si protrassero nel 1829 e 1830: partecipò tra l’altro alle ‘prime’ del Solitario di Giuseppe Persiani, del Talismano ossia La terza crociata in Palestina di Pacini, della Giovanna Shore di Carlo Conti, di Bianca di Belmonte di Luigi Riesck (Rieschi), della Giovanna d’Arco di Pacini, alternate a Le cantatrici villane di Valentino Fioravanti, La pietra del paragone, Saul di Nicola Vaccai, La gazza ladra, Paolo e Virginia di Pietro Alessandro Guglielmi. Nella stagione 1828-29 tornò al San Carlo e si produsse in Bianca e Gernando, Priamo alla tenda di Achille di Giuseppe Staffa, e L’assedio di Corinto (Maometto II); nella stagione 1830-31 cantò Gli Arabi nelle Gallie e Amazilia di Pacini, Costanza ed Oringaldo di Lauro Rossi, Bianca e Falliero, Semiramide, Il conte Ory (Aio), eseguendo anche I pazzi per progetto e la cantata di Donizetti Il ritorno desiderato, Il contestabile di Chester di Pacini, Francesca da Rimini di Staffa. Nella stagione 1831-32, cantò le prime assolute di Edoardo in Iscozia di Coccia, della Zaira di Mercadante e dell’Argene di Placido Mandanici.
Dagli anni Trenta la carriera di Tamburini ebbe un respiro sempre più internazionale, con presenze costanti nel parigino Théâtre-Italien, dove a partire dall’ottobre del 1832 si produsse in un repertorio che comprendeva La cenerentola, La gazza ladra, Il barbiere di Siviglia, Lucia di Lammermoor, Mosè in Egitto, Parisina (‘prima’ locale, 24 febbraio 1838), Marino Faliero, Don Giovanni nel ruolo eponimo, Roberto Devereux (‘prima’ locale, 27 dicembre 1838), Le nozze di Figaro; alle già citate ‘prime’ belliniane e donizettiane del 1835, bisogna aggiungere almeno Il bravo di Marco Aurelio Marliani (1° febbraio 1834), Ernani di Vincenzo Gabussi (25 novembre 1834), I briganti di Mercadante (22 marzo 1836), Malek Adel di Michele Costa (14 gennaio 1837). Con il soprano Giulia Grisi, i tenori Giovanni Battista Rubini o Mario (Giovanni Matteo De Candia) e il basso Luigi Lablache, formò un quadrifoglio di stelle nel tempio parigino dell’opera italiana (il cosiddetto quartetto dei Puritani), che si esibiva a stagioni alterne anche a Londra. Tamburini vi debuttò nel maggio del 1832 allo His Majesty’s Theatre nella Cenerentola, con un repertorio che comprese numerose prime locali (L’assedio di Corinto, 1834; Marino Faliero e I Puritani, 1835; Malek Adel, 1837; Lucrezia Borgia, 1839; Don Pasquale, 1843), mentre nel 1838 partecipò alla prima assoluta del Falstaff di Michael William Balfe (Ford). Divenne subito un beniamino del pubblico londinese, che nel 1840 si sollevò contro l’impresario dello Her Majesty’s per non averlo scritturato in una ripresa dei Puritani (cfr. The Annual register or A view of the history and politics of the year 1840, London 1841, pp. 45-47). Dal 1837 al 1855 si produsse al Covent Garden, sempre nel repertorio romantico d’affezione.
Il 7 gennaio 1842 alla Salle Ventadour di Parigi cantò nella ‘prima’ dello Stabat Mater di Rossini con Grisi e Mario, ch’egli fece poi eseguire a Faenza in giugno, insieme a Lucrezia Borgia e Lucia di Lammermoor, che riprese alla Fenice di Senigallia e al Giglio di Lucca (nella città natale tornò ancora nel 1862). Dall’ottobre del 1843 fu ripetutamente all’Imperiale di Pietroburgo, dov’era stato chiamato da Rubini: vi cantò Il pirata, L’elisir d’amore, Lucia di Lammermoor, Anna Bolena, Linda di Chamounix. Nel 1852 fu a Königsberg, Berlino, Dresda, Breslavia, Amsterdam e L’Aia, con varie recite di Don Pasquale, L’elisir d’amore, Il barbiere di Siviglia, La sonnambula, Lucia di Lammermoor e I Puritani. Diede l’addio alle scene nel 1855, ma si produsse in concerto fino al 1869, al Grand Hotel di Parigi, e cantò in pubblico per l’ultima volta il giovedì santo del 1872 a Nizza, nella cappella delle Missioni africane, il Pro Peccatis dallo Stabat Mater di Rossini e il Pater Noster di Abraham Louis Niedermeyer (de Biez, 1877, pp. 121 s.). Si era ritirato nel castello di Brimborion, a Sèvres, località prediletta dalla nobiltà francese fin dai tempi della marchesa di Pompadour.
Nel 1823 aveva sposato Maria (Marietta) Gioia, contralto (1801?-1866), figlia del coreografo Gaetano e del soprano Teresa Gaetani (in carriera dal 1798 al 1819): i due giovani avevano cantato insieme alla Scala nel 1822 (Adele ed Emerico, ossia Il posto abbandonato di Mercadante), indi a Palermo, Milano e Napoli fino al 1831 (la cantante non andrà dunque identificata con la Marietta Tamburini che nel Carnevale 1818 fu seconda donna in un Turco in Italia a Fano). Dal matrimonio nacquero Salvatore, tenore, Marietta, Annetta e Carlo. Marietta, soprano, sposò Italo Gardoni, tenore di bella fama, primo Carlo Moor nei Masnadieri di Giuseppe Verdi (Londra 1847); con lui Tamburini cantò nelle citate recite di Amsterdam e dell’Aia.
Morì a Nizza l’8 novembre 1876.
Tra tanti ritratti litografici del grande baritono spicca quello a olio di Pietro Luchini, eseguito a Londra nel 1832, oggi nel Museo della musica di Bologna.
Antonio Tamburini dev’essere considerato uno dei massimi cantanti di tutti i tempi, sommo esponente della scuola italiana dell’Ottocento. Incarnò il tipo del cosiddetto basso cantante, in un’epoca in cui la distinzione tra basso e baritono era ancora fluttuante; e per tutta la carriera rimase fedele a questo ruolo. Pur protraendo la presenza sulle scene fino ai primi anni Cinquanta, non si accostò mai al melodramma verdiano, ossia alla figura del baritono modernamente inteso, dotato di ricche, veementi potenzialità drammatiche. Possedette una splendida voce, estesa con facilità dal la grave al fa acuto, adattabile a vocalità di diverso genere, ora assimilabili al basso in senso stretto, ora al baritono. Non a caso poteva agilmente passare da Maometto II al Figaro rossiniano. Fu un interprete di riferimento della produzione rossiniana; ma si identificò soprattutto con il repertorio romantico, e nel suo bagaglio entrò stabilmente il melodramma donizettiano (comprese Lucia di Lammermoor, Roberto Devereux, Linda di Chamounix, Parisina), nel quale dimostrò di saper sostenere magnificamente parti impetuose come quelle di Enrico Ashton, Nottingham e Antonio, ma anche imperiose come Alfonso d’Este (Lucrezia Borgia) ed Enrico VIII (Anna Bolena). Fece del Belcore nell’Elisir d’amore un cavallo di battaglia, spesso in coppia con il Dulcamara di Luigi Lablache, basso di eccezionale levatura, ma incarnò a volte egli stesso, e felicemente, la medesima parte buffa.
La voce si imponeva non tanto per la potenza quanto per la capacità di penetrazione: nel gergo operistico, era una voce ‘che correva’. Poteva così tener testa a quelle dei colleghi nei pezzi concertati. Proverbiali le interpretazioni dei ruoli baritonali destinatigli da Vincenzo Bellini, che in lui trovò l’artista capace d’incarnare la severità di Ernesto nel Pirata, l’accorata dolcezza di Valdeburgo nella Straniera, l’eroismo di Riccardo nei Puritani, in fiera rivalità con il tenore Rubini, con il quale i rapporti, generalmente amichevoli, furono talvolta tesi fino allo scontro vero e proprio (nel gennaio del 1843 Tamburini gli rinfacciò d’averlo voluto ostacolare sulle scene londinesi; Cassinelli - Maltempi - Pozzoni, 1994, pp. 588-590). Abilissimo nel canto di coloratura, che sapeva piegare alle più diverse situazioni, padrone d’ogni risorsa del virtuosismo canoro, amava interpolare e variare la propria parte, secondo la prassi dell’epoca, sicché, anche scorrendo le partiture di cui fu primo interprete, è difficile formarsi un’idea esatta del risultato delle sue esecuzioni. Nel 1825, durante una recita di Elisa e Claudio al Carolino di Palermo, essendo svenuta in scena la primadonna Caterina Lipparini, Tamburini condusse a termine il duetto da solo, imitando la voce di lei con un meraviglioso falsetto: l’aneddoto, risalente almeno al 1862 (cit. in Ashbrook, 1987, p. 82), e alimentato dallo stesso cantante (cfr. Gelli Ferraris, 1934, pp. 32-35), va preso con cautela, ma presuppone l’abilità del baritono nel canto fiorito, nell’uso dei registri, nell’arte di passare dal piano al forte. Controverse sono le testimonianze circa le sue capacità sceniche: ma ch’egli abbia tenuto in repertorio fino in età avanzata i ruoli buffi implica l’arte di un attore che sapeva esilarare il pubblico.
Fonti e Bibl.: A. T.: biografia, in I Teatri. Giornale drammatico musicale e coreografico, I, Milano, 1827, parte II, pp. 653-657; A. T., in Mayr e la musica ossia Amena biografia musicale, II, 1828, pp. 91-95; A. T., in Berliner musikalische Zeitung, n. 34, 27 aprile 1833, p. 135 s.; A biographical notice of T. by M. Castil-Blaze, in The Harmonicon, parte I, London 1833, p. 125; T., in Das Ausland, n. 99, 9 aprile 1833, p. 395; A. T., in Der Sammler, 24 settembre 1835, p. 460; Iconografia musicale ovvero Ritratti e biografie dei più celebrati maestri, professori e cantanti moderni, Torino 1838, p. 37; L. Escudier - M. Escudier, Études biographiques sur les chanteurs contemporains, Paris 1840, pp. 79-97; T., in Allgemeine Wiener Musikzeitung, n. 90, 29 luglio 1841, pp. 377 s.; A. T., in Der Wanderer, Wien 1842, p. 843; T., in Allgemeine Theaterzeitung, n. 11, luglio 1845; F.-J. Fétis, Tamburini Antoine, in Biographie universelle des musiciens, VIII, Paris 1865, pp. 178 s.; J. de Biez, T. et la musique italienne, Paris 1877; H. Gelli Ferraris, A. T. nel ricordo di una nipote, Livorno 1934; R. Celletti, in Enciclopedia dello spettacolo, IX, s.v., Roma 1962, pp. 673 s.; G. Ravaldini, Spettacoli nei teatri e in altri luoghi di Ravenna, Imola 1978, pp. 54 s., 71; F. Battaglia, L’arte del canto in Romagna, Bologna 1979, pp. 190-198; T.G. Kaufmann, A chronology of Grisi’s operatic appearances, in The Donizetti society journal, IV (1980), pp. 197 s.; W. Ashbrook, Donizetti. Le opere, Torino 1987, ad ind.; T.G. Kaufmann, Giuseppe and Fanny Persiani, ibid., VI (1988), pp. 123-151; B. Cassinelli - A. Maltempi - M. Pozzoni, Rubini, l’uomo e l’artista, Romano di Lombardia 1994, ad ind.; G. Appolonia, Vizi, vezzi e virtù di cantanti donizettiani, in Donizetti e i teatri napoletani nell’Ottocento, a cura di F. Mancini - S. Ragni, Napoli 1997, pp. 229-231; A. Bini - J. Commons, Le prime rappresentazioni delle opere di Donizetti nella stampa coeva, Roma 1997, ad ind.; Il teatro di Donizetti, I, La vocalità e i cantanti, a cura di F. Bellotto - P. Fabbri, Bergamo 2001, ad ind.; M. Jahn, Die Wiener Hofoper von 1810 bis 1836, Wien 2007, pp. 66 s., 178, 200; G. Landini, Hommage à Tamburini, programma di sala, Festival Rossini, Wildbad 2017; L. Bianconi et al., I ritratti del Museo della Musica di Bologna, Firenze 2018, pp. 558-560; «Qui la voce sua soave». Le carte di Rubini a Romano di Lombardia, a cura di M.C. Bertieri, Romano di Lombardia 2019, ad indicem.