TARONI (Tarone, Tarroni), Antonio
Nacque probabilmente a Mantova, a metà dell’ottavo decennio del secolo XVI (alla luce della sua carriera ecclesiastica). Nel 1612 i frontespizi dei suoi due libri di madrigali (stampati a Venezia da Ricciardo Amadino) lo qualificano «mantovano». Il poeta e cortigiano Eugenio Cagnani, nella Lettera cronologica anteposta alla Raccolta d’alcune rime di scrittori mantovani (Mantova 1612, p. 10), lo annovera tra i musicisti mantovani; prende tuttavia un abbaglio inserendolo nella serie dei compositori che concorsero alla collettanea madrigalesca L’amorosa caccia de diversi eccellentissimi musici mantovani nativi (Venezia, Gardano, 1588).
La notizia che nel 1598 Taroni avrebbe cantato da contralto nella basilica di S. Maria della Steccata a Parma (Pelicelli, 1932) non trova riscontro nei documenti d’archivio della chiesa (Padoan, 2010, p. 650). Viene così meno il primo dei motivi per cui si è potuto sostenere ch’egli fosse cantante e nativo di Parma (Przybyszewska-Jarmińska, 2018, p. 124). Rimane soltanto il secondo motivo: Francesco Diotalevi, il nunzio papale in Polonia, nel ricordare il servizio di Taroni alla corte reale nei primi anni Venti del Seicento, lo definisce «parmigiano» (ibid., p. 125); ma non mancano i dubbi circa l’identità del Taroni documentato in Polonia (cfr. in coda alla presente voce).
La prima notizia di Taroni è in effetti in Mantova, e conferma che difficilmente avrebbe potuto essere a Parma nel 1598. Nel novembre 1594 figura tra i membri del clero della basilica palatina di S. Barbara «in luoco d’un subdiacono per giorni 10» (Mantova, Arch. storico diocesano, Basilica di S. Barbara, b. 1A, c. n.n.); dopo il passaggio al diaconato fu cappellano nel 1601 e canonico nel 1603 (con quest’ultimo titolo compare nella stampa delle sue messe del 1614); mantenne questa posizione fino al dicembre 1616 (ivi, b. 19, c. n.n.). Dal gennaio 1617 non si hanno più sue notizie. In questo periodo, che testimonia un percorso ecclesiastico compiuto nella basilica palatina (si può supporre che vi fosse giunto in giovane età), le sue qualità musicali emersero in vario modo. Taroni compare nei Concenti musicali di Giovanni Giacomo Gastoldi (Venezia, Amadino, 1604) con il madrigale Eran ninfe e pastori, versi di Muzio Manfredi: fu forse la sua prima sortita pubblica come compositore, e in tal caso sarebbe da ritenere che appunto Gastoldi, all’epoca maestro di cappella della basilica, l’avesse avuto per allievo nel contrappunto. Appare di nuovo, con Ardo, mia vita, ancor com’io solia, versi di Battista Guarini, nel Duodecimo libro de madrigali di Giaches de Wert (Venezia, Gardano, 1608), che contiene anche brani dello stesso Gastoldi, di Claudio Monteverdi, musicista a corte, e di Paolo Virchi, organista in S. Barbara tra il 1598 e il 1610.
La considerazione di Taroni presso i superiori crebbe nel tempo: l’8 gennaio 1609 tre membri del Capitolo di S. Barbara, con lettere separate, chiesero di potergli subentrare nel canonicato, avendo avuto notizia ch’egli lo avrebbe lasciato in seguito alla nomina a maestro di cappella (Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 3296, cc. 866-870). In effetti, morto Gastoldi il 4 gennaio 1609, Taroni ne prese il posto, ma solo fino ad aprile (pagamento del 25 aprile «per haver servito tre mesi la chiesa in luogo di mastro di capella»; Mantova, Arch. storico diocesano, Basilica di S. Barbara, b. 38a, c. n.n.). Evidentemente l’apprezzamento era buono, ma non tale da farlo ritenere degno di un impiego stabile: il vero successore di Gastoldi fu Stefano Nascimbeni, musicista mantovano che godeva dell’appoggio del vescovo cittadino, il frate minore Francesco Gonzaga. Il ruolo di sostituto temporaneo gli venne di nuovo affidato nel 1612, quando, a seguito delle scelte del duca Francesco IV Gonzaga, succeduto a Vincenzo I, alcuni musicisti lasciarono la corte: tra essi Monteverdi e, in luglio, proprio Nascimbeni: Taroni ne prese il posto per due mesi (agosto e settembre) fino all’arrivo di Amante Franzoni in ottobre. In questi anni mantenne il titolo di canonico e ricevette l’incarico di maestro di canto fermo ai chierici (sono documentati pagamenti tra luglio 1610 e luglio 1612). Una ricevuta del 3 gennaio 1614 per «diverse cosette per servizio della chiesa et scola de’ chierici» (Mantova, Arch. storico diocesano, Basilica di S. Barbara, Entrate-Spese 1598-1679, c. 101r) fa supporre che continuasse un servizio musicale; nel 1615 e 1616 si registrano solo generiche ‘spese’. Un pagamento del 12 dicembre 1614 (ivi, b. 79, c. n.n.) a Francesco Sforza, compilatore e decoratore di alcuni raffinati codici corali della basilica, riguarda alcuni salmi di Gastoldi, «una Sesta del molto reverendo signor Antonio Taroni e una Nona [di] don Francesco Gonzaga»: il ms. 155 dell’archivio di S. Barbara (1614-25, oggi nella biblioteca del conservatorio di Milano), un volume polifonico redatto da Sforza, contiene i salmi di Gastoldi, i salmi ad Nonam del Gonzaga e i tre di Taroni, Ad Sextam: Deficit in salutare tuum anima mea, Quomodo dilexi legem tuam Domine, Iniquos odio habui, dallo stile piano e arioso. In un altro codice polifonico manoscritto redatto da Sforza nel 1614-16 (Mantova, Arch. storico diocesano, ms. n.n.) compare il Gloria e Credo di Taroni incorporato nella messa Octavi toni a 5 voci di Francesco Rovigo, che utilizza il cantus firmus della Missa in duplicibus minoribus del Kyriale proprio della basilica di S. Barbara.
Nel 1614 Taroni pubblicò il Primo libro di messe a cinque voci (Venezia, Amadino), di cui è pervenuta la sola parte del basso continuo, peraltro mutila (Kyrie – Christe – Kyrie e Gloria della Missa sine nomine; Kyrie II, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei della Missa brevis, con al termine la tavola di indice che segnala le altre due messe della raccolta: la Missa ego sum Pastor bonus e la Missa supra Missam). Dal frontespizio il libro risulta dedicato a Paolo Emilio Gonzaga, conte del ramo di Novellara, che come soldato imperiale aveva partecipato alla battaglia di Lepanto nel 1571 e per le ferite riportate si era ritirato in una tenuta a pochi chilometri da Mantova (Susano di Casteldario; morì nel 1619); ma la parte superstite non presenta alcun testo di dedica. Di queste messe venne fatta una ristampa nel 1646, col titolo Messe da capella (Venezia, Gardano-Magni), pervenuta integra e senza dedica.
Attribuita a Taroni, una «Messa in Contrapunto senza Gloria e Credo» è tramandata da tre manoscritti in altrettanti monasteri benedettini d’oltralpe: Lambach (Musikarchiv, M 359, 1779) e Kremsmünster (Musikarchiv, A 3/14, 1782) in Austria, e Einsiedeln (Musikbibliothek, Mss., 297.2, sec. XVIII) in Svizzera. Risulta la trasposizione una quarta sotto (con l’utilizzo delle chiavi usuali) della Missa brevis di Taroni, scritta con le cosiddette ‘chiavette’, non senza qualche intervento: piccole varianti melodiche negli incipit di Christe eleison e Agnus Dei, l’inserimento del violone della copia di Einsiedeln, l’ulteriore aggiunta di tromboni e violette nelle copie austriache.
Impegnato in prevalenza nella sfera ecclesiastica, Taroni non trascurò il genere del madrigale. Un attestato di considerazione nei suoi riguardi venne da Giovan Battista Sacchi, cantante di corte, che il 19 marzo 1610 inviò da Mantova al cardinal Ferdinando Gonzaga a Roma una serie di madrigali di Taroni (Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 2718, c. 520): il prelato, importante mecenate, divenne poi duca di Mantova alla fine del 1612, succedendo a Francesco IV. Si può dunque supporre che sia stato il porporato a propiziare, nel 1612, tanto la ristampa del primo libro di madrigali di Taroni (apparsa senza dedica) quanto la stampa del secondo, datato 1º agosto 1612 e dedicato al duca Francesco IV (regnante dal 10 giugno al 22 dicembre di quell’anno). Nel Primo libro de madrigali compare di nuovo Ardo, mia vita unitamente al suo pendant, Ardo sì, ma non t’amo (ed. mod. in Settings of “Ardo sì” and its related texts, a cura di G.C. Schuetze, II, Madison, Wi., 1990, pp. 380-389), accanto a un’ampia selezione di madrigali epigrammatici di Torquato Tasso, Guarini (dalle Rime del 1598) e Giovan Battista Marino (dalle Rime del 1602), oltre a stralci dal Pastor fido guariniano, come Ah dolente partita e O Mirtillo, Mirtillo, anima mia (resi famosi anche da Monteverdi): in base a tali scelte poetiche, cui si aggiunge il testo d’un madrigale di Gastoldi apparso nei citati Concenti del 1604, la prima edizione va ipoteticamente collocata in una data non anteriore appunto al 1604. Guarini e soprattutto Marino preponderano anche nel Secondo libro de madrigali, insieme a un madrigale di Cesare Rinaldi, altro poeta caro ai madrigalisti coevi. Di entrambi i libri fu poi fatta nel 1622 una ristampa a Venezia (cfr. Krummel, 1980; Vanhulst, 1996).
Non si ha notizia della morte di Taroni, le cui tracce certe cessano col dicembre 1616.
Quanto alle notizie ulteriori riportate in letteratura, va seriamente considerata una probabile sovrapposizione con un omonimo. Solo così si giustifica la sua presenza in S. Barbara a Mantova nel 1601 in simultanea con la registrazione come cantore nella cappella reale di Varsavia negli anni 1601-1607 (Przybyszewska-Jarmińska, 2009, p. 28). I dubbi sono alimentati da una lettera che un Antonio Taroni, che si firma senza il titolo di canonico, indirizza da Mantova al duca Ferdinando in data 25 luglio 1623 (Parisi, 1998, pp. 504 s.): lo scrivente definisce Sigismondo di Polonia «il mio signore, il mio re», redige la lettera perché non ha potuto «far riverenza» al duca di persona, riferisce di un tentativo fallito di assoldare Monteverdi e chiede aiuto al Gonzaga per risolvere la questione. Il confronto tra la firma di questa lettera e la citata ricevuta del 12 dicembre 1614, sottoscritta dal Taroni mantovano proprio in qualità di canonico, mostra due grafie diverse, per tratto e inclinazione. L’ipotesi di un altro Taroni (già in Bertolotti, 1890, che distingue «Tarrone agente musicale» da «Taroni don Antonio, musico») troverebbe un’ulteriore conferma nel fatto che la nota lettera di Monteverdi da Venezia ad Alessandro Striggi a Mantova il 13 giugno 1627 (Lax, 1994) allude a «un tal Tarroni che conduce musica in Polonia»: non appare credibile che Monteverdi sembri non conoscere davvicino un collega che ha visto a Mantova per molti anni, noto anche alle stampe musicali. Di conseguenza vacilla anche l’identificazione col «signor Antonio Tarrone» che nel 1625 trattava per condurre la cantante Andreana (Adriana) Basile in Polonia (Ademollo, 1888). Questo Tarrone che agì come intermediario per la corte polacca – per Sigismondo III, ma anche per l’imperatore Ferdinando II e Carlo d’Asburgo, vescovo di Breslavia – morì a Milano nel dicembre 1628, come si ricava da una lettera del 20 gennaio 1629 da Roma dell’abate parmense Giovanni Domenico Orsi a Sigismondo III: don Pietro Martire Tarone lo informava del decesso del fratello, Antonio (senza qualifica), a Milano nel dicembre precedente dopo una malattia (Przybyszewska-Jarmińska, 2018, p. 125). Alla luce dell’insieme di questi indizi appare improbabile che si trattasse del canonico musicista di S. Barbara a Mantova.
A. Ademollo, La bell’Adriana ed altre virtuose del suo tempo alla corte di Mantova, Città di Castello 1888, p. 299; A. Bertolotti, Musici alla corte dei Gonzaga in Mantova dal sec. XV al XVIII, Milano 1890, pp. 78, 92; N. Pelicelli, Musicisti in Parma nel secolo XVII, in Note d’archivio per la storia musicale, IX (1932), p. 223; P.M. Tagmann, La cappella dei maestri cantori della basilica palatina di S. Barbara a Mantova (1565-1630), in Civiltà mantovana, IV (1969-70), pp. 376-400; I. Fenlon, Music and patronage in sixteenth-century Mantua, I-II, Cambridge 1980-82, ad ind. (trad. it. del vol. I: Musicisti e mecenati a Mantova nel ’500, Bologna 1992); D.W. Krummel, Venetian baroque music in a London bookshop: the Robert Martin catalogues, 1633-50, in Music and bibliography: essays in honour of Alec Hyatt King, a cura di O. Neighbour, New York 1980, p. 25; S. Parisi, Ducal patronage of music in Mantua, 1587-1627: an archival study, diss., University of Illinois, 1989, pp. 505 s., 529 s., 667; C. Monteverdi, Lettere, a cura di É. Lax, Firenze 1994, pp. 160 s.; H. Vanhulst, The “Catalogus librorum musicorum” of Jan Evertsen van Doorn (Utrecht 1639), ’t-Goy-Houten 1996, pp. 25, 56; S. Parisi, New documents concerning Monteverdi’s relations with the Gonzagas, in Claudio Monteverdi. Studi e prospettive, a cura di P. Besutti - T.M. Gialdroni - R. Baroncini, Firenze 1998, pp. 503-507; I. Fenlon, T., A., The New Grove dictionary of music and musicians, XXV, London-New York, 2001, p. 105; B. Przybyszewska-Jarmińska, Starania biskupa wrocławskiego Karola Habsburga o pozyskanie włoskich śpiewaków (1621-1622) (Gli sforzi intrapresi da Carlo d’Asburgo, vescovo di Wrocław, nel reclutamento di cantante italiani), in Res facta nova, XV (2003), pp. 127-134; Ead., The careers of Italian musicians employed by the Polish Vasa kings (1587-1668), in Musicology Today, VI (2009), pp. 26-43; M. Padoan, Organici in S. Maria della Steccata (1582-1630) e contesto padano. Un’indagine comparata, in Barocco Padano 6, a cura di A. Colzani - A. Luppi - M. Padoan, Como 2010, pp. 567-680; B. Przybyszewska-Jarmińska, Sources on the history of music at the courts of the Polish Vasas preserved in Skokloster castle (Sweden), in Studies on the reception of Italian music in central-eastern Europe in the 16th e 17th century, a cura di M. Toffetti, Kraków 2018, pp. 124 s., 129 s.