TIEPOLO, Antonio
– Nacque a Venezia il 28 febbraio 1527, primo dei figli maschi di Nicolò e di Emilia Savorgnan di Girolamo, che morì di lì a poco; donde un nuovo matrimonio del padre con Maria Foscarini di Giovanni Battista, vedova di Girolamo Barbarigo, nipote del doge Marco. All’età di vent’anni Tiepolo prese in moglie Elisabetta Morosini di Nicolò, da cui però non ebbe figli, e poiché neppure i suoi fratelli ebbero discendenza, con loro si estinse questo ramo del casato.
Raggiunto il requisito dell’età, intraprese la carriera politica rivestendo cariche di natura giudiziaria e di competenza del Maggior Consiglio: il 4 gennaio 1552 entrò così a far parte della Quarantia civil nuova, presto lasciata per passare avvocato delle Corti (24 luglio 1552); seguì una lunga latitanza, interrotta solo il 9 giugno1560 con l’elezione a ufficiale della Cazude, ossia alla riscossione dei crediti fiscali. Nello stesso anno risulta far parte dell’Accademia della Fama, che ebbe vita breve, ma fu animata dagli esponenti più brillanti del patriziato lagunare.
La morte del padre addossò a Tiepolo la cura dell’amministrazione patrimoniale, ma nel contempo gli aprì le porte delle cariche più impegnative e dispendiose, e così il 20 maggio 1564 accettò l’elezione all’ambasceria di Spagna. Rimase a Madrid due anni e mezzo, nel corso dei quali si verificarono eventi di grande rilevanza, fra i quali vanno ricordati l’assalto dei turchi a Malta, l’inizio della rivolta dei Paesi Bassi, la morte di Solimano il Magnifico.
Nella relazione letta in Senato nell’agosto del 1567, Tiepolo si dimostra in possesso delle migliori qualità dei diplomatici veneziani: percezione dei problemi, chiarezza di giudizio, capacità sintetica, felicità espressiva. Si veda la naturalezza con cui si apre la relazione: «Posso promettere [a V. Serenità] confidentemente due cose, che sono la brevità e l’importanza della narrazione» (Relazioni..., 1861, p. 125). Stile inusuale in un giovane alla sua prima esperienza di alta levatura, sennonché l’espressione ricalca quasi alla lettera quanto aveva scritto nel 1532 suo padre, in analogo documento steso al ritorno della legazione a Carlo V. Non diverso il tono della conclusione, dove Tiepolo si spinge a suggerire il modo con cui la Signoria potrà conservare la pace con la monarchia iberica, vigilando su «tre cose principalmente: l’una, a non lasciar pullulare gli eretici, essendo pronta e sollecita al gastigo contra ciascuno; l’altra, a tener col mezzo della giustizia [...] ognuno contento; e la terza in fine, esser vigilante e gelosa delle sue cose» (p. 159).
Nell’ottobre dello stesso 1567 entrò a far parte del Senato, poi il 14 febbraio 1568 venne eletto nel collegio sopra le appellazioni dei Beni inculti e fu savio di Terraferma per il secondo semestre dell’anno e ancora da luglio a settembre del 1569, per passare provveditore alle Pompe dal 6 ottobre di quell’anno al 30 settembre 1570, carica compatibile con il saviato di Terraferma, che ricoprì per il primo semestre del 1570.
Nel frattempo era alle porte la guerra di Cipro e il 27 maggio 1570 Tiepolo fu eletto ambasciatore a Sigismondo II re di Polonia, in vista di una possibile alleanza antiturca; si era già posto in viaggio, quando fu richiamato in patria il 4 gennaio 1571, essendo venuti meno i presupposti per l’alleanza, e di lì a qualche mese, il 4 maggio, venne nuovamente eletto ambasciatore in Spagna.
Scopo ufficiale della legazione era di rallegrarsi per il matrimonio di Filippo II con Anna d’Austria, ma in realtà si trattava di rinvigorire il re nell’impegno antiturco, che di lì a poco sarebbe stato premiato dalla vittoria di Lepanto. Effettuò il viaggio via terra e giunse a Madrid il 9 novembre, quando ormai le sorti della guerra erano decise, per cui il Senato gli ordinò di recarsi anche alla corte portoghese, dove il giovane e idealista re Sebastiano coltivava il sogno di una crociata contro i musulmani d’Africa. Fu una missione breve, perché già nel giugno del 1572 Tiepolo poteva leggere in Senato la sua relazione.
La relazione, come la precedente, è notevole: liquidata nelle pagine finali la cattiva disposizione di Filippo II a continuare il conflitto contro i turchi di Selim II, tutta l’attenzione dell’ambasciatore è riservata al Portogallo, dove ormai da novant’anni non era giunta una legazione veneziana. Immensi i domini di quel sovrano, ma «quanto la industria e il valore de’ Portoghesi gli diede, tanto gli toglie il picciolo numero delle sue genti [per cui] avviene che poche siano le navi e poche le genti con che naviga tanti gran mari e scorre tanta gran terra» (Relazioni..., 1861, p. 203).
Nuovamente a Venezia decorato del titolo di cavaliere, il 3 giugno 1572 venne eletto conservatore delle Leggi, poi le cariche si succedettero incalzanti anche prima della scadenza naturale, sicché non è facile capire quali di esse Tiepolo abbia davvero sostenuto o portato a termine: savio di Terraferma per il secondo semestre dello stesso 1572, membro del Consiglio dei dieci da ottobre, provveditore sopra Danari dal 15 ottobre, consigliere di Cannaregio dal 30 novembre, il 12 aprile 1573 era eletto bailo alla Porta ottomana.
Rimase a Costantinopoli circa due anni fino al dicembre del 1575, onde consolidare le relazioni fra i due Stati dopo la conclusione della guerra di Cipro e l’ascesa al trono di Murad III, verificatasi alla fine del 1574.
La relazione conclusiva, letta in Senato il 9 giugno 1576, spicca per l’ottima conoscenza della situazione politica ed economica dell’Impero ottomano e la finezza psicologica con cui penetra le ragioni di un’ineluttabile decadenza: deduzione tanto più acuta quanto più fresco era il ricordo della conquista turca di Tunisi e di Cipro. L’attenzione dell’ambasciatore è infatti volta non già a illustrare la vastità dei domini e la potenza dello storico avversario, ma a dimostrare «con quanta ruina di quell’imperio si faccia l’esazione del denaro, con quanta si nutrisca l’esercito di cavalli, con quanta si faccia l’eletta de’ giannizzeri, e quanto poco vaglia il tesoro col mancamento che tiene il Gran Signore della gente» (ibid., 1844, p. 190).
Tiepolo non era ancora rimpatriato quando il 3 novembre 1575 fu eletto ambasciatore a Roma, dove – forse anche per evitare la peste che imperversava a Venezia – si portò direttamente dal Bosforo il 24 marzo 1576, lasciando ad altri il compito di leggere in Pregadi il resoconto del bailato. Rimase alla corte di Roma per oltre due anni e nel dicembre del 1578 consegnò la relazione, penetrante ed esaustiva come le precedenti.
Dopo aver analizzato la divisione del Collegio nelle fazioni filofrancese e filospagnola, Tiepolo si sofferma sulla figura del pontefice, Gregorio XIII Boncompagni, di natura severo e di poche parole, ma generoso verso chi merita soccorso, «di che ne siano testimoni fra gli altri i ciprioti, sovvenuti in diversi modi della carità sua» (ibid., 1857, p. 265). Quanto ai rapporti con Venezia, «non ha molto di che lodarsi la Serenità Vostra del Pontefice, se ben né anco di che dolersi, perché [...] è sua natura che lo rende tale con tutti, e non particolar mala inclinazione verso di lei» (p. 267).
Il 10 gennaio 1579 venne eletto provveditore sopra i Beni comunali, carica che tenne per un anno, interrotto però da una breve missione in Toscana. Il 16 giugno dello stesso 1579, infatti, fu nominato ambasciatore a Firenze assieme al cavalier Giovanni Michiel, per rappresentare la Serenissima alle nozze del granduca Francesco con Bianca Cappello. Una veneziana dal passato non proprio limpidissimo, ma ora assurta al trono, donde la richiesta del granduca che «avrebbe carissimo, che dopo dato l’anello, si contentassemo, overo di meterle noi in testa una corona ducale [...] overo d’apresentarla di mano nostra al prelato [...]. Et ciò in segno di essere non più privata gentildonna, ma vera figliola di questa ecc.ma Republica». Accolta la richiesta e rientrato in patria, Tiepolo fu savio del Consiglio per il semestre aprile-settembre 1580 per poi passare a far parte del Consiglio dei dieci, incarico al quale il 24 ottobre sommò quello, non meno impegnativo, di essere uno dei tre responsabili del restauro dell’ala del palazzo ducale distrutta da un incendio nel 1577.
Coerentemente alla prassi veneziana dell’alternanza delle cariche, il 28 marzo 1581 venne eletto capitano a Brescia, dove morì nell’ottobre dell’anno seguente, nell’imminenza del rimpatrio, e dove probabilmente fu sepolto. Una conclusione oscura per un uomo che tanto aveva meritato dalla patria.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd., s. I, 20, Storia veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, p. 83; Segretario alle voci, Elezioni in Pregadi, reg. 3, cc. 12, 74, 95; reg. 4, cc. 7, 8, 10, 34, 39, 83, 85, 86, 95, 103; reg. 5, cc. 4, 123, 128, 141; Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio, reg. 3, c. 205; reg. 5, c. 197; Senato, Deliberazioni, Secreti, reg. 77, c. 40r; Senato, Terra, reg. 48, cc. 25r, 44r, 99v; reg. 50, c. 82v; reg. 52, c. 230v; Senato, Dispacci, Roma, f. 12, nn. 9, 13-18, 20-155; f. 13, nn. 1-53, 55-62; Capi del Consiglio di Dieci, Lettere di ambasciatori, b. 4, nn. 96-189, 192, 198-201, 207-216, 235-248, 257-264 (Costantinopoli 1573-75); b. 8, n. 75 (Firenze 1579); b. 26, nn. 102-188, 149-213 (Roma 1576-78); b. 29, nn. 113-116 (Spagna 1565-66); Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. VII: Consegli, 823 (= 8902), reg. 11, c. 342; 824 (= 8903), reg. 12, c. 95; 825 (= 8904), reg.13, c. 327; 828 (= 8907), reg. 16, c. 104; 829 (= 8908), reg. 17, c. 301; 830 (= 8909), reg. 18, c. 4. Si veda inoltre: Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di E. Albèri, s. 1, V, Firenze 1861, pp. 123-160 (Spagna 1567), 195-228 (Spagna 1572); s. 2, X, 1857, pp. 241-270 (Roma 1578); s. 3, II, 1844, pp. 131-191 (Costantinopoli 1575); E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, I-VI, Venezia 1824-1853, II, pp. 206 s., III, pp. 52, 410, V, pp. 559-561.