TRIVULZIO (Gallio Trivulzio), Antonio Tolomeo
TRIVULZIO (Gallio Trivulzio), Antonio Tolomeo. – Nato a Milano il 22 maggio 1692, secondogenito di Lucrezia Borromeo (1670-1715) e di Antonio Gaetano Gallio Trivulzio (1658-1705) che, figlio di Tolomeo Gallio duca d’Alvito e di Ottavia Trivulzio, aveva acquisito il cognome della madre grazie al testamento del cugino, il principe Antonio Teodoro Trivulzio (nato nel 1649). Questi, morto il 26 luglio 1678 senza eredi diretti, volle ricompensare gli zii che lo avevano allevato lasciando ad Antonio Gaetano e alla sua discendenza i titoli tra cui quello di principe di Mesocco e della Valle Mesolcina, di feudatario imperiale di Retegno e Bettole, oltre alle numerose proprietà Trivulzio.
Il lascito disponeva che l’erede divenisse figlio adottivo del testatore a condizione che lui e la sua discendenza acquisissero «nome e cognome Triulzio» (Guicciardi, 1968, p. 3). L’eredità, certamente imponente, era tuttavia gravata da debiti dovuti anche al mancato pagamento da parte della camera degli interessi spettanti all’erede in qualità di figlio adottivo del defunto principe Trivulzio (Archivio di Stato di Milano, Trivulzio Archivio Milanese, ASMi, TAM, cart. 223). Tuttavia, la mole degli utili e dei legami familiari e clientelari consentirono di superare le maggiori criticità finanziarie. Già nel 1690 Antonio Gaetano Gallio Trivulzio aveva redatto un testamento nel quale costituiva un fidecommesso perpetuo primogeniturale che assegnava alla moglie Lucrezia l’usufrutto dei beni Trivulzio e il diritto di successione ai loro figli maschi, sostituiti dalla discendenza maschile del cognato conte Carlo Borromeo Arese (ibid., cart. 281).
Grazie a tali circostanze e all’appartenenza a due delle più insigni famiglie del patriziato milanese, Trivulzio poté precocemente godere di molti vantaggi e acquisire cariche e significative opportunità di carriera. Già nel 1702 il padre, previo esborso di 6000 ducati alla Camera Regia, aveva assicurato al figlio la nomina a colonnello con la quale gli garantiva la ‘futura successione’, ovvero il diritto a succedergli nel ruolo di comando del reggimento Trivulzio (ibid., cart. 234). Nel 1705 quando era ancora tredicenne, mentre suo padre era sul punto di morte, Antonio Tolomeo ottenne la possibilità di accedere, una volta maggiorenne, al Consiglio generale dei LX decurioni di Milano, fulcro del potere patrizio (ibid., cart. 602). In tal modo il giovane principe avrebbe potuto sedere sullo scranno che avevano occupato il padre e gli avi Trivulzio: si trattava dell’opportunità di una carriera civica che si aggiungeva a quella nell’esercito assicuratagli pochi anni prima. L’importante risultato fu raggiunto grazie all’azione sinergica della madre (che aveva chiesto al governatore Charles-Henri de Lorraine-Vaudémont la concessione) e dello zio Carlo Borromeo Arese.
Forse a causa della decisione presa alla fine della sua vita di eliminare le carte più private (ibid., cart. 281), non abbiamo notizie circa la sua iniziale formazione: sappiamo però che dal 1707 frequentò il collegio gesuitico Tolomei di Pisa (ibid., cart. 602) e che da lì si mosse nel 1710 per raggiungere lo zio Carlo Borromeo Arese, viceré di Napoli; là Trivulzio incontrò i cugini d’Alvito e rimase fino al mese di ottobre del 1711. La permanenza a Napoli rappresentò la prima tappa di quel viaggio di istruzione con cui a quel tempo si concludeva sempre la formazione di un giovane aristocratico. Queste prime esperienze fuori dal contesto milanese instillarono in lui la consuetudine con gli ambienti internazionali. E quando nel 1712 compì il suo primo viaggio a Vienna, la corte lo folgorò e per lungo tempo rimase un punto fermo in una vita contrassegnata da cambiamenti e delusioni. Nel 1718 sposò Maria Archinto (1696-1762), figlia del conte Carlo e di Giulia Barbiano di Belgioioso, nonché già vedova del marchese di Cavenago Carlo Giorgio Clerici. Dal matrimonio nacquero due figlie entrambe morte in tenera età: Lucrezia Maria (1723-1727) e Maria Teresa (morta poco dopo la nascita nel 1739).
Dopo il matrimonio la sua vita e la sua carriera si indirizzarono decisamente verso la professione militare: nel 1720 prese possesso del grado di colonnello, nel 1723, a conferma delle sue strette relazioni con la corte imperiale, fu nominato ciambellano da Carlo VI. Nel 1732 ottenne l’incarico di governatore del castello e della prefettura di Lodi. Nello stesso anno fu insignito del collare del Toson d’oro, onorificenza con la quale volle essere raffigurato nel ritratto conservato al Pio Albergo Trivulzio. Nel 1733 fu nominato generale maggiore. La sua carriera militare proseguì con la nomina nel 1741 al grado di tenente maresciallo (ibid., cart. 222). Ma con la morte della seconda figlia nel 1739 iniziò un mutamento che riguardò sfera privata e pubblica. Il matrimonio, già minato da incomprensioni e da una condotta alquanto libera di entrambi, naufragò e i coniugi iniziarono a vivere separati.
Il vaiolo che aveva colpito Trivulzio nel 1708 non aveva lasciato segni sul suo volto (ibid., cart. 602) ed egli poteva considerarsi un uomo dotato di fascino, che seppe esercitare cercando l’amicizia e la frequentazione del mondo femminile. Era incline ai piaceri della vita, amava i cibi raffinati ed era conosciuto negli ambienti aristocratici europei come un bon vivant: faceva giungere da Vienna il ‘salmone fumato’, allevava i polli o i vitelli con particolari mangimi in modo che la loro carne fosse più saporita; nella scarna corrispondenza conservata frequenti sono i riferimenti alla ‘fabbrica di cioccolatta’ con la quale omaggiava amici e clientes, oppure emerge la sua predilezione per i broccoli, il parmigiano o i mostaccioli (Milano, Archivio Andreani-Sormani-Verri, Carteggio Trivulzio-Verri, AASV, CTV, cart. 47; ASMi, TAM, cartt. 341 e 222). Il principe e la moglie avevano vissuto durante la loro convivenza nel lusso e ciò impose ben presto la richiesta di deroghe al fedecommesso (ASMi, TAM, cart. 269) al fine di pagare i debiti, ma ciò nonostante entrambi proseguirono a sostenere un modus vivendi al di sopra delle loro possibilità. Il suo stile di vita peraltro fu all’origine della sua salute malferma: soffrì di sifilide e di gotta tanto che egli stesso si definiva ‘lo zoppo di Omate’ dal nome di una delle proprietà in cui amava trascorrere la villeggiatura; frequenti furono i soggiorni nelle località termali del territorio veneto, in particolare nell’eremo di S. Daniele, sui Monti Euganei.
I grandi cambiamenti intervenuti dalla fine degli anni Trenta nella sua vita personale coincisero con mutamenti epocali nella politica cittadina ed europea: il varo della Lombardia austriaca con cui Carlo VI nel 1738 aveva cercato di avviare un’opera di ristrutturazione politico amministrativa aggregando in un unico territorio Milano, Mantova e Piacenza alla fine della guerra di successione polacca, sembrava aprire la strada verso sviluppi non prevedibili.
Nel 1739 Trivulzio probabilmente ebbe modo di incontrare a Milano Maria Teresa d’Asburgo, venuta in Italia con il marito Francesco Stefano di Lorena granduca di Toscana: grandi festeggiamenti furono organizzati dalle autorità cittadine e Trivulzio cercò di incontrare l’arciduchessa nei pressi di Lodi in compagnia del marchesino Clerici, Anton Giorgio figlio di sua moglie, al quale rimase sempre legato.
Il 14 ottobre 1740 – non si sa se perché attratto dall’idea di inserirsi più chiaramente nelle dinamiche della corte imperiale o se spinto da altri motivi – prese una decisione che appare in qualche modo in contraddizione con il suo legame con la tradizione familiare: rinunciò al seggio decurionale, poi occupato dal conte Gabriele Verri, suo corrispondente e amico. Si trattò di un atto clamoroso per un principe appartenente a una famiglia di antica prosapia, il segno di un senso di estraneità nei confronti dell’appartenenza alla nobiltà civica che egli avrebbe manifestato in modo ricorrente nei suoi carteggi negli anni successivi, dichiarandosi sempre più incapace di comprendere le logiche cittadine (AASV, CTV, cart. 47). È possibile che ragioni finanziarie affiancassero quelle politiche: conosciamo l’esistenza di una sorta di mercato che metteva d’accordo chi desiderava entrare nel Decurionato, chi invece per le più svariate ragioni era costretto a uscire.
In seguito alla morte di Carlo VI il 20 ottobre 1740 il suo interesse parve essere sempre più attratto da Vienna. Dopo che lo Stato di Milano si fu affrettato a riconoscere la nuova sovrana, Trivulzio si recò dapprima a Vienna e poi a Pressburg dove, nella primavera del 1741, partecipò alle grandi celebrazioni con cui Maria Teresa fu incoronata regina d’Ungheria. Durante il soggiorno a corte nel 1741 ricevette la già citata nomina a tenente maresciallo e il comando della piazza di Piacenza che imponeva la residenza in loco e la rinuncia al governatorato di Lodi. Il suo stato di salute lo indusse a rifiutare entrambi gli incarichi. Tuttavia, la rinuncia – preludio a una residenza sempre più frequente nella Repubblica di Venezia dove ebbe contatti con il doge Grimani fautore della neutralità armata di Venezia durante la guerra di successione austriaca – non gli precluse la promozione a consigliere di Stato concessa a Vienna nel 1748 da Maria Teresa, segno di distinzione che non molti tra i milanesi ebbero.
Dunque Trivulzio non era a Milano quando grazie al conte Gianluca Pallavicini furono attuati progetti di risanamento finanziario della Lombardia austriaca. Negli anni Cinquanta soggiornò spesso a Omate, a Bergamo e a Venezia, oppure a Padova per incontrare i medici e ad Abano per le cure delle sue malattie, sempre impegnato nel tentativo di risolvere i problemi legati ai debiti e alla definizione dell’eredità: in entrambe le circostanze si dovevano chiudere le cause legali aperte già dal 1714 con i parenti Gallio d’Alvito (ASMi, TAM, cart. 348) a proposito del fedecommesso disposto dal padre che li coinvolgeva in merito a diverse proprietà dei Trivulzio. Nonostante i tentativi tra il 1749 e il 1752 della cugina Caterina Rospigliosi, figlia di una Borromeo e sposata a un Gallio d’Alvito, Trivulzio non si convinse a lasciare a lei e ai suoi discendenti titoli e sostanze (ibid., cart. 341).
La morte della moglie nel 1762 forse lo indusse a pensare di contrarre un nuovo matrimonio, ma alla fine prevalse in lui un progetto che aveva la sua origine già nel testamento paterno, dove Antonio Gaetano Gallio Trivulzio aveva espresso il desiderio che, qualora si fossero estinte le linee di successione indicate nella sostituzione fidecommissaria, i beni venissero convogliati all’istituzione in Milano di un’opera pia (ibid., cart. 281). Trivulzio cominciò a pensare che questo progetto fosse la soluzione ai suoi problemi: se approvato dai sovrani, gli avrebbe garantito di legare la propria memoria a un’opera benefica. L’idea aveva il vantaggio di essere in linea con le riforme dell’assolutismo illuminato e l’attuazione di una società ben regolata in cui povertà, accattonaggio e criminalità, preoccupanti minacce all’ordine pubblico, fossero finalmente oggetto dell’intervento pubblico. Il 4 dicembre 1756 Trivulzio scrisse una supplica per ottenere il placet sovrano alla costituzione di un albergo per i poveri quale proprio erede universale.
Nel 1757 fu di nuovo a Vienna e si incontrò con i sovrani. Sempre più malato, non aveva perso l’autoironia e si definiva nella corrispondenza con l’abate Niccolini «un vero Maresciallo della gotta» (Firenze, Archivio Niccolini di Camugliano, cart. 295). Tra il 1763 e il 1764 visse tra Milano, Omate, Bergamo e Padova, dove fu ospite delle feste organizzate a Montecchio da Carlo Cordellina nella sua villa affrescata da Giambattista Tiepolo (ibid.). Nei carteggi degli ultimi anni, alle consuete critiche rivolte verso gli ambienti milanesi si sommavano inediti commenti sarcastici sui cambiamenti della corte imperiale che ora gli pareva un «emporio di grandi e solenni confusioni» (ibid.). Mentre non celava il fastidio per la notizia dell’arrivo di Giuseppe II che, pensava, «non rimedierà a niente in Milano e accrescerà la confusione» (ibid.): il suo atteggiamento nei confronti degli Asburgo Lorena, sul finire della vita, sembrava più distaccato. Tuttavia, a nulla sarebbe approdato il suo progetto senza il favore dei sovrani poiché, data la legge sulle manimorte del 1767, sarebbe stato impossibile vendere i feudi e pagare i debiti. Solo grazie a Giuseppe II, Maria Teresa poté acquistare il feudo imperiale di Retegno per 280.000 lire e ciò rese possibile pagare i creditori.
Quando morì, il 30 dicembre 1767, Trivulzio volle essere sepolto privo degli orpelli della condizione nobiliare, vestito con il saio dei padri cappuccini, trasferito senza cortei, ma in una chiesa con un addobbo funerario di grande effetto. Le sue esequie, alla stregua di quanto accadeva per il lutto dei sovrani, si svolsero contemporaneamente con grande sfarzo anche nella basilica di S. Stefano Maggiore, nella cui giurisdizione sarebbe stato aperto il Pio Albergo: dopo aver amato gli onori, il lusso e sperperato il patrimonio, aveva indirizzato le sue ultime volontà ad alleviare la condizione dei poveri.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Trivulzio Archivio Milanese, cart. 222, 223, 234, 269, 281, 341, 348, 360, 528, 602; Milano, Fondazione Mattioli, Archivio Andreani-Sormani-Verri, Carteggio Trivulzio-Verri, cart. 47; Biblioteca Ambrosiana, ms. N. 1-42 suss.: G.B. Borrani, Diario; Firenze, Archivio Niccolini di Camugliano, cartt. 30 (lettera da Vienna del 22 gennaio 1757); 295, ins. 10 (lettera da Bergamo di Trivulzio all’abate Nicolini, 24 ottobre 1764); C. Celidonio, Relazione della venuta da Firenze dell’ingresso fatto dalle Altezze Reali [...] Francesco III Duca di Lorena [...] e [...] Maria Teresa Arciduchessa d’Austria [...] il dì 20 Gennaio 1739, Roma 1739, p. 34; T. Pendola, Il Collegio Tolomei di Siena e serie dei convittori dalla sua fondazione a tutto giugno 1852. Cenni storici, Siena 1852, p. XXV; Trivulzio di Milano, in P. Litta, Famiglie celebri d’Italia, VII, Milano 1820, tavv. I-IV; E. Guicciardi, Disegno per una vita. Il Principe A.T.G. T., Milano 1968; C. Capra, Il principe T. e la fondazione del pio Albergo, in Dalla carità all’assistenza, a cura di C. Cenedella, Milano 1993, pp. 68-76; C. Cremonini, Ritratto inedito di un celebre benefattore: vita e opinioni del principe A.T.G. T., ibid., pp. 77-100; Ead., Ritratto politico-cerimoniale con figure. Carlo Borromeo Arese e Giovanni Tapia, servitore e gentiluomo, Roma 2008, pp. 180, 188; Ead., Alla corte del governatore. Feste, riti e cerimonie a Milano tra XVI e XVIII secolo, Roma 2012, pp. 130, 158; A. Bardazza, «...e con ciò porre in perpetuo silenzio le loro questioni...»: il matrimonio di A.T.G. T. e Maria Gaetana Archinto, in Il Principe e la sovrana, in Annali di storia moderna e contemporanea, VI (2017), pp. 93-120; C. Cremonini, A.T.G. T. e Maria Teresa, storia di un legame politico e dei suoi sviluppi, ibid., pp. 19-44.