TROMBETTA, Antonio (Trumbeta Antonius, Tubetta Antonius)
– Nacque nel 1436 a Padova da Pietro, di modeste condizioni sociali.
Nel testamento dettato in punto di morte ricordò la sua costante devozione, «a teneris annis citra», verso s. Antonio, e nel convento del Santo, in data imprecisata ma comunque successiva al 1451, vestì l’abito francescano (Poppi, 1962, pp. 349 s.). Una delle prime notizie sul suo conto risale al dicembre del 1459, quando compare come suonatore dell’organo del convento (Archivio Sartori, a cura di G.M. Luisetto, 1983-1989, I, p. 1334). Della sua attività musicale, attestata anche nei due anni seguenti, non sappiamo altro – è infatti erronea l’attribuzione a Trombetta (ibid., IV, p. 459) del Rerum musicarum opusculum di Johannes Frosch, stampato a Strasburgo nel 1535.
Nel convento del Santo, allora sede di uno dei più importanti Studi generali dell’Ordine dei frati minori, ricevette una formazione di matrice scotista, al termine della quale, nell’agosto del 1466, fu promosso baccelliere con l’incarico di tenere lezioni sulla Bibbia e «super primo Sententiarum» (Rossetti, in Storia e cultura..., 1976, p. 180). Riuscì a ridurre il baccellierato a meno di un anno (in luogo dei tre anni canonici) e ottenne la laurea in teologia il 2 giugno 1467, presentato da Giacomo Bonaccorsi da Rovigo. Segno della precoce maturità intellettuale di Trombetta è la reggenza della scuola di metafisica del Santo, tenuta a partire dal 1469 per oltre quarant’anni, e presto accompagnata da altri insegnamenti di teologia – dal 1471 sulle cattedre vacanti di S. Benedetto e di S. Maria in Vanzo, dal 1475 allo Studio del Santo – e di metafisica scotista. Quest’ultimo incarico gli fu affidato dal 1476, in sostituzione dell’agostiniano inglese Thomas Penketh, presso la cattedra pubblica istituita nella facoltà delle arti, pochi anni prima, in concorrenza con la cattedra domenicana in via Thomae. Un primo incarico, poi cassato per l’irregolarità della procedura, gli era già stato affidato dallo stesso Senato veneto il 6 dicembre 1473 (Poppi, 2014, pp. 170 s).
Ancora giovane, si trovò così ad affrontare il concorrente domenicano Francesco Securo di Nardò, che da oltre dieci anni insegnava in via Thomae. Testimonianza delle polemiche, ricorrenti ma garbate, tra i due professori sono le Questiones metaphysicales in phamosissima Universitate Paduana edite, lecte et disputate ad concurrentiam magistri Francisci Neritonensis ordinis predicatorum, pubblicate da Trombetta nel 1493 e nelle quali non mancano, a partire dal titolo, gli espliciti riferimenti al concorrente tomista. Al francescano rispose il successore di Francesco da Nardò, Tommaso De Vio (più noto come Gaetano), che attaccò Trombetta nel suo commento al De ente et essentia di Tommaso, stampato nel 1496 e di nuovo, in edizione riveduta, due anni dopo (Riva, 1995).
A partire dal 1476, quando fu eletto custode provinciale, Trombetta cominciò la propria ascesa all’interno dell’Ordine. Titolare d’Oriente a partire dal 1485, nell’aprile del 1489 fu eletto ministro della provincia del Santo nel capitolo di Piove di Sacco (Archivio Sartori, cit., III, p. 418). Al capitolo partecipò anche il ministro generale dell’Ordine dei minori, Francesco Sansone. Nonostante la carica di ministro provinciale fosse triennale, grazie a Sansone e a un intervento diretto di Innocenzo VIII, nel 1492 Trombetta riuscì a ottenere un secondo mandato (Regesta..., a cura di G. Parisciani, 1989-1998, I, n. 2438), ulteriormente prolungato fino al 1498.
All’attività di docente, gratificata nel corso degli anni da diversi aumenti di stipendio (nell’ottobre 1486 da 75 a 100 fiorini, nel novembre 1492 da 100 a 125, e un mese dopo da 125 a 150: Archivio Sartori, cit., III, p. 421), Trombetta accompagnò una serie di pubblicazioni cominciate con l’edizione delle Questiones in primum librum Sententiarum Petri Lombardi di Giovanni Duns Scoto stampate a Venezia nel 1472 e proseguite con l’Opus doctrine scotice Patavii in Thomistas discussum, stampato sempre a Venezia, da Girolamo Paganini, nel 1493.
L’Opus si componeva di tre parti distinte: una Questio de divina prescientia futurorum contingentium (cc. 2r-10v), le già menzionate Questiones metaphysicales (cc. 11r-76r; tavola e analisi in Scapin, in Storia e cultura, 1976, pp. 501-509), e la In tractatum formalitatum Scoti sententia (di seguito, con numerazione a parte, cc. 1r-24r). Insieme all’operetta sui futuri contingenti, le Questiones metaphysicales furono riedite nel 1502, in un’edizione accresciuta di quindici nuove questioni e riordinata in dodici libri, in forma di commento alla Metafisica di Aristotele (Opus in Metaphysicam Aristotelis Padue in Thomistas discussum, Venetiis, sumptu ac expensis heredum nobilis viri domini Octaviani Scoti, per Bonetum de Locatellis, 1502; ristampa pressoché inalterata, priva di indicazioni tipografiche ma attribuibile a Giacomo Penzio, nel 1504: v. Edit16, CNCE 48173 e 33625). Anche l’In tractatum formalitatum Scoti sententia fu ristampata nel 1502 da Boneto Locatelli a spese degli eredi di Ottaviano Scoto, insieme alle Formalitates di Antoine Sirect (Sirectus) e di Étienne Brulefer (Burlifer), e con aggiunte e concordanze curate da Maurice O’Fihely (Hibernicus), già allievo di Trombetta (Edit16, CNCE 35608). Questa edizione ebbe una ristampa veneziana presso Penzio nel 1505, e poi, con ulteriori aggiunte, nel 1520 a Pavia (Edit16, CNCE 33628 e 35334). L’opuscolo di Trombetta sul sistema delle distinzioni formali di Scoto, con le aggiunte di O’Fihely, era stato intanto ristampato nel 1514 da un altro allievo del teologo padovano, Antonio de Fantis, insieme a una sua Sententia circa formalitates (ristampe, con ulteriori aggiunte, nel 1516, 1517, 1525 e 1526: v. Edit16, CNCE 75225, 32950, 47832, 47833, 33286). Più tarde edizioni del testo si ebbero nel 1587 – ancora insieme a testi di O’Fihely e Sirect – da parte di Jean Du Douet (Dovetus), e l’anno successivo, nella Lectura absolutissima in formalitates Scoti e tra i Quinque illustrium auctorum formalitatum libelli (Edit16, CNCE 17835, 48220 e 28405).
Professore di metafisica da oltre vent’anni, sul finire del secolo Trombetta era considerato uno dei più illustri scotisti viventi, se non il più autorevole (M. O’Fihely, Castigationes scotice metaphysices, 1497), e un insegnante in grado di ricevere attestati di stima anche al di fuori dei ranghi scotisti (v. la testimonianza di Marcantonio Zimara, cit. in Nardi, 1958). Nel 1497, sulla scia delle censure del vescovo Pietro Barozzi – che nel 1489 aveva emanato un famoso editto contro coloro che disputavano sull’unità dell’intelletto – egli prese posizione contro le dottrine averroiste circolanti a Padova con il Tractatus de animarum humanarum plurificatione (stampato a Venezia, nel 1498, da Locatelli: v. Poppi, 1964, 1989, pp. 91-95, e, 1979, 1989, pp. 258-266). Nel Tractatus egli attaccava non l’opera di Averroè in quanto tale, ma i ‘novelli Averroiste’ che difendevano filosoficamente la dottrina dell’unità dell’intelletto: in primo luogo Nicoletto Vernia, ma quasi certamente anche il suo giovane allievo Agostino Nifo (Mahoney, in Storia e cultura..., 1976, pp. 295-301). Il vescovo Barozzi (cui l’opera fu sottoposta) e il cardinale Giuliano della Rovere (futuro papa Giulio II, cui fu dedicata), risposero entrambi elogiando l’impegno del teologo in favore dell’ortodossia.
Nello stesso anno morì il ministro generale Sansone, e con il suo successore, Egidio Delfini, cominciarono per Trombetta tempi meno favorevoli. Delfini diede ascolto al malcontento dei frati della provincia padovana per le tendenze autoritarie del loro ministro, e tra la fine del 1499 e l’inizio del 1500 depose Trombetta dalla sua carica (corroborando la propria decisione con una bolla di conferma di Alessandro VI). Tentando di raggiungere Roma per chiarire il proprio operato, il ministro uscente fu trattenuto a Perugia contro la sua volontà, e solo dopo la ratifica della sua sostituzione – e dopo che lo stesso governo veneziano si adoperò presso il papa per favorire la sua liberazione – gli fu permesso di tornare a Padova (Poppi, 1962, pp. 354-358).
Nel 1503, per l’indisposizione del suo successore, l’ormai anziano Giacomo Bonaccorsi, Trombetta ottenne di nuovo l’ufficio di ministro provinciale del Santo. Nell’agosto dello stesso anno, prendendo per vera la notizia della morte di Egidio, tentò di ascendere al generalato dell’Ordine, facendosi raccomandare dai suoi frati con lettere al protettore dei minori, il cardinale Domenico Grimani, e all’ambasciatore veneto a Roma (Cenci, 1968, pp. 301, 316 s.; Regesta..., cit., II, n. 1052). La candidatura non ebbe buon esito, e provocò un ulteriore inasprimento dei rapporti, già tesi, con Delfini, come mostra la presenza del nome di Trombetta in cima a una lista, di poco successiva, di «fratres rebelles Religionis, et qui multa mala dixerunt contra Generalem» (n. 1254).
Dopo la pubblicazione del trattato anti-averroista, l’attività intellettuale di Trombetta subì una sostanziale battuta d’arresto sul piano della produzione scientifica, che da allora si limitò alla riedizione di opere precedenti, a discussioni di tesi e a consulenze. Tra queste va segnalato il parere sull’ortodossia del Ricordo di Gabriele Biondo, un trattato spirituale su cui si erano appuntati i sospetti delle autorità ecclesiastiche veneziane a causa delle dichiarazioni dell’autore circa la superfluità della mediazione sacerdotale e sacramentale. L’autorevole difesa di Trombetta riuscì a far scagionare il Ricordo, sottolineandone gli obiettivi polemici verso le superstizioni cui la pratica sconsiderata dei sacramenti poteva portare e approvandone la diffidenza nei confronti di carismi profetici incontrollabili come quello di Girolamo Savonarola, salito sul rogo quattro anni prima (Dionisotti, 1968, pp. 262-264; Lodone, 2019).
Il momento critico attraversato da Venezia in seguito alla formazione della Lega di Cambrai, nel 1509, ebbe pesanti ripercussioni sull’Università di Padova, disertata tanto dagli studenti quanto dai professori. Trombetta proseguì i suoi insegnamenti fino al 1511, quando, in novembre, fu nominato vescovo di Urbino da Giulio II. Al pontefice – che si trovava allora a fronteggiare il concilio scismatico di Pisa, promosso dal re di Francia e da alcuni cardinali dissidenti – dedicò il trattato De plenitudine potestatis Pontificis et de utilitate Concilii generalis et de superioritate Romani Pontificis ad Concilium generale, necnon contra scismaticos et rebelles, tràdito dal cod. &.III.31 della Real Biblioteca del Monasterio de S. Lorenzo de El Escorial di Madrid e tuttora inedito.
Invitato a partecipare al Concilio Lateranense V, per volere di Leone X – succeduto intanto a Giulio II – prese parte alla commissione degli otto vescovi che prepararono il decreto Apostolici regiminis, approvato il 17 dicembre 1513. La condanna ivi contenuta delle tesi della mortalità e unità dell’anima trovava così, anche attraverso la figura di Trombetta, una precisa continuità con i divieti imposti a Padova da Barozzi (Constant, 2002, pp. 359, 366 s.).
Nel maggio del 1514, quasi ottantenne, diede le dimissioni dalla guida della diocesi di Urbino, ottenendo il titolo onorifico di arcivescovo di Atene. Nel dicembre dell’anno precedente aveva pubblicato la sua ultima opera, una Questio profunda de efficientia primi principii ad mentem Aristotelis, adiecta subtili questione nunquid adultus non baptizatus salvari possit secundum Scoti doctrinam, edita a Venezia, ancora a spese degli eredi di Ottaviano Scoto, da Giorgio Arrivabene.
Tornato definitivamente a Padova, in una casa in affitto al Prato della Valle, morì il 6 marzo 1517.
Nel testamento, dettato il 25 febbraio, aveva dato disposizione di donare alla biblioteca del Santo i suoi libri, consegnati dopo la sua morte dai nipoti don Sebastiano Paiarino e Andrea (l’inventario è trascritto in Archivio Sartori, cit., pp. 421 s.; Zanardi, 2012, pp. 231-236). Trombetta fu sepolto, secondo la sua volontà, all’interno della basilica del Santo, «in capella S. Marie in capite ecclesie, cui semper maximam servavit devotionem» (Poppi, 1962, pp. 363 s.). Nell’ottobre del 1521 cominciò la costruzione del suo monumento funebre, terminato nel giro di poco più di tre anni e affidato per la parte architettonica ai fratelli Vincenzo e Gian Gerolamo Grandi, mentre il busto bronzeo che rappresenta il teologo in atteggiamento riflessivo, con un libro in mano, fu realizzato da Andrea Briosco (Andrea Rizzo).
Fonti e Bibl.: M. O’Fihely (Hibernicus), Castigationes scotice metaphysices, in G. Duns Scoto, Questiones super libros Metaphysicorum Aristotelis. De Primo principio. Theoremata, Venetiis 1497, f. 99r; M. Sanudo, I diarii (1496-1533), a cura di R. Fulin et al., I-LVIII, Venezia 1897-1903, II, col. 562, III, coll. 270, 273; P.O. Kristeller, Iter italicum, I-VII, London-Leiden 1963-1997, I, pp. 3, 86, 93, 266 s., 288, VI, p. 33b; Archivio Sartori. Documenti di storia e arte francescana, a cura di G.M. Luisetto, I-IV, Padova 1983-1989, I, p. 1334, III, pp. 418-423, 897, IV, p. 459; Regesta ordinis fratrum minorum conventualium, a cura di G. Parisciani, I-II, Padova 1989-1998, I, nn. 565 s., 569, 607, 623, 625, 631, 1292, 2285, 2298, 2438, II, nn. 1052, 1076, 1080, 1254.
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