TROTTI BENTIVOGLIO (Trotto, Trottus, de Trottis), Antonio
TROTTI BENTIVOGLIO (Trotto, Trottus, de Trottis), Antonio. – Capostipite del ramo omonimo della famiglia Trotti, figlio primogenito di Gian Galeazzo e di Beatrice Pepoli. Incerti il luogo e la data di nascita, quest’ultima da collocarsi nei primi anni Venti del Quattrocento.
Il padre, morto nel 1462, era figlio di quell’Andreino – patrizio di Alessandria, condottiero al soldo di Bologna e gonfaloniere della Chiesa sotto papa Bonifacio IX – che nel 1391 aveva guidato la gioventù cittadina contro gli invasori francesi al comando del duca di Armagnac, ricevendo in ricompensa dai Visconti l’esenzione dai carichi fiscali sui suoi beni nello Stato di Milano. Tali beni già allora costituivano un congiunto relativamente esteso nel Meridione del contado alessandrino, comprendendo terre nei territori di Castellazzo (oggi Castellazzo Bormida), Casal Cermelli, Frugarolo – dove Andreino fece realizzare il famoso ciclo di affreschi arturiani – e Bosco. A sua volta Gian Galeazzo aveva ricevuto nel 1440 dal duca di Milano Filippo Maria Visconti l’investitura feudale di Rocca Val d’Orba – oggi Rocca Grimalda, in una posizione strategica per le comunicazioni commerciali tra Liguria e Lombardia –, in cambio di un prestito considerevole: nondimeno – quale capo della fazione guelfa di Alessandria, come più tardi il figlio Antonio – nel 1447 indusse i suoi fedeli nella terra di Castellazzo a consegnare il loro borgo agli invasori francesi in marcia da Asti verso Milano, ma fu imprigionato da Francesco Sforza, per essere liberato nel 1449 con la conferma di tutti i suoi privilegi e infeudazioni.
Arruolato sotto le insegne sforzesche a partire dal 1435, Antonio è segnalato quale uomo d’arme e squadraro nel gennaio del 1451 e come conductero, tenuto dal duca nella più alta considerazione, in giugno. Subì la cattura nel settembre del 1452 combattendo contro i correggeschi in Emilia, ma venne scambiato con due rinomati ufficiali nemici prigionieri per espresso desiderio del duca. La presenza fisica di Antonio nell’esercito condotto da Francesco in persona garantì ai Trotti significative concessioni, quali il sostegno ducale contro i propri creditori, la scarcerazione dei propri fedeli di Castellazzo e Rocca Val d’Orba accusati di contrabbando di sale e derrate agricole – attività assai proficua in una terra di confine –, pronunciamenti favorevoli in diverse contese legali, il beneplacito a concludere vantaggiosi matrimoni e la protezione degli Sforza contro i monferrini, che supportavano i ghibellini di Alessandria. A sua volta Francesco Sforza si servì di Antonio quale agente presso il padre di questi e il fratello Andrea, onde indurli a non pregiudicare i rapporti tra Milano e la Repubblica di San Giorgio, accettando la mediazione ducale nel loro conflitto contro il casato genovese degli Spinola di Lerma.
La facoltà di arruolare familiari, clienti e vassalli e di accrescere il contingente sotto il suo comando oltre la condotta stipulata e senza la preventiva autorizzazione del duca – il quale si limitava a verificare l’effettivo aumento delle ‘bocche’, ordinando solleciti adeguamenti dei rifornimenti –, consentì a Trotti di incrementare la fedeltà e il numero dei propri dipendenti, i quali acquisivano i privilegi (esenzioni fiscali, libertà di portare armi e uno status giuridico separato) connessi al servizio sotto le insegne sforzesche grazie alla mediazione del proprio patrono e comandante.
Ammesso ufficialmente alla corte ducale sin dall’11 aprile 1455 – ma già dal 1450 aveva certamente casa a Milano con la moglie e i figli –, tra la fine del 1461 e il 1463 lo ritroviamo nel Regno di Napoli, dove partecipò alla guerra contro gli angioini nel contingente di Roberto Sanseverino, assieme al fratello Andrea e a un considerevole seguito di cavalieri alessandrini – che Antonio raccomandò a Sforza perché li ammettesse nel novero dei suoi servitori – mantenuti a spese proprie e della moglie Isabella, appartenente al casato guelfo alessandrino dei Guasco. Rimasta in Lombardia, Isabella dovette destreggiarsi tra le spese per le truppe al seguito del marito e quelle per l’istruzione dei figli – educati nella casa di un non meglio identificato maestro –, gestendo nel contempo i rapporti con la corte ducale.
Nel gennaio del 1468 Trotti ottenne, probabilmente raccomandato da Sanseverino, il comando delle truppe del reggimento bolognese e una condotta di cento cavalieri. Particolarmente adatto a ricoprire incarichi di fiducia in Emilia, anche grazie ai legami parentali in loco, vi attese valendosi di un folto seguito di compatrioti e familiari, guadagnandosi una certa considerazione tra gli amministrati e, soprattutto, l’affetto di Giovanni II Bentivoglio, che lo volle adottare nella sua famiglia, il nome della quale Trotti aggiunse al suo, inquartandone lo stemma. Il signore di Bologna lo scelse anche quale attore principale in un evento di rimarchevole impatto scenografico, ossia il torneo tenutosi in occasione della festa di s. Petronio (4 ottobre 1470), con grande concorso di nobili da tutta Italia. Nel 1479, lasciata Bologna e la carica ricoperta per ben undici anni, assunse per breve tempo il governatorato di Parma.
Portavoce del patriziato e del popolo di Alessandria, nel marzo del 1466 Trotti rassicurò la corte circa la fedeltà della città, affinché la sua difesa venisse demandata unicamente agli abitanti, risparmiando loro gli incomodi di una guarnigione ducale; nel febbraio del 1467 raccomandò al nuovo duca Galeazzo Maria la locale comunità di frati francescani osservanti, assai graditi ai fedeli. Attento al culto quale strumento di consenso, tenne ad affidare la chiesa parrocchiale di Rocca Val d’Orba a sacerdoti preparati e fidati – come Giovanni Guasco, parente della moglie –, mentre nel più tardi acquisito feudo di Ovada avviò la costruzione della chiesa domenicana di S. Maria delle Grazie e dell’annesso convento (1481).
Negli anni Settanta Trotti rafforzò la sua posizione anche a corte, dove il figlio Sforza risulta ammesso già nel 1476. Nel 1479 (14 aprile) la reggente Bona di Savoia lo accolse nel Consiglio segreto ducale e gli concesse i feudi di Ovada e Rossiglione (19 novembre), guadagnandosi la fedeltà del condottiero alessandrino nella crisi apertasi con la ribellione di Sanseverino e dei cognati Ludovico e Sforza Maria.
Amante anche in età avanzata di feste e avventure galanti, Trotti acquistò fama per la pompa della sua ospitalità: nel 1481 accolse Roberto Sanseverino nel proprio palazzo di Alessandria, e il duca di Ferrara Ercole d’Este due anni dopo; sontuosi furono anche i preparativi per ricevere nel 1494 re Carlo VIII in viaggio verso Napoli, anche se questi, ammalatosi, fu costretto a deviare su Asti.
Nel 1482 – divenuto il Moro signore di fatto di Milano – ricevette un comando nella spedizione contro i Rossi di San Secondo. Nel 1485 risulta ammesso nel Consiglio di castello, ma proprio in quell’anno l’eccessivo favore accordato dagli Sforza ai guelfi di Alessandria ingenerò la reazione della parte ghibellina: nella notte fra il 3 e il 4 marzo le insegne dei Trotti sulla facciata del palazzo di Antonio vennero listate a lutto e nei giorni seguenti affluirono in città i partigiani delle due fazioni, addirittura quattromila, e tra questi i clienti di Trotti, da Castellazzo, Rocca Val d’Orba e Ovada.
Verso la fine del secolo i rapporti tra Antonio e Ludovico il Moro si incrinarono sino all’aperta rottura. Il 16 ottobre 1493 Ludovico sanzionò l’acquisto da parte di Trotti dei quattro quinti del feudo di Fresonara da Bernardino Guasco (un quinto era già stato comprato dagli Anfossi di Novi), mentre nel gennaio del 1495 risulta accordata ad Antonio la primogenitura in favore del figlio Francesco per il feudo di Rocca Val d’Orba; l’anno dopo il terzogenito Gian Battista venne ammesso nel Consiglio segreto ducale. Ma già nel 1488 il Moro aveva assegnato Ovada e Rossiglione ad Agostino e Giovanni Adorno, che governavano Genova assicurandone la permanenza nella sfera di influenza milanese; nel 1495 il duca privò Trotti anche della rendita annua di 400 ducati, mai corrisposta, sulle entrate ordinarie di Alessandria e concessa a compensazione dei due feudi, oltre che della condotta di colonnello.
Magro risarcimento dovette apparire a Trotti un nuovo mandato quale governatore di Parma (1494-96), che egli esercitò soprattutto attraverso la luogotenenza del figlio Gian Galeazzo: assai sospetta la richiesta di assentarsi dal suo posto per due mesi – ora per ragioni di salute, ora per assistere al matrimonio dell’ultima figlia, ora per trascorrere la Pasqua con la moglie – inoltrata a metà marzo del 1495 e rinnovata ai primi d’aprile, a cavallo della stipulazione dell’alleanza antifrancese cui aderì anche il duca di Milano (la notizia giunse a Parma il 5 aprile). Si direbbe che Trotti volesse portarsi a diretto contatto con il proprio circuito relazionale nel momento in cui le forze ducali fronteggiavano nell’Alessandrino le truppe del duca di Orléans, che accampava pretese su Milano. Per nulla casuale appare dunque il suo arrivo in Val d’Orba alla fine di aprile del 1495 – ossia meno di due mesi prima del riuscito colpo di mano di Orléans contro Novara –, così come la sua permanenza sino all’autunno inoltrato.
Il sospetto che Trotti cospirasse con i francesi per riottenere Rossiglione e Ovada divenne certezza quando, nel 1497, concesse libero passaggio per le sue terre in Val d’Orba alle truppe orleaniste di Gian Giacomo Trivulzio, offrendosi inoltre quale mediatore tra il condottiero fuoriuscito e gli uomini di Ovada perché consegnassero la terra ai francesi (30 gennaio). La denuncia di Galeazzo Sanseverino, comandante delle truppe sforzesche, innescò la reazione del Moro, che installò un presidio ducale a Rocca Val d’Orba e fece trattenere a Milano con un pretesto i figli di Trotti, Gian Galeazzo e Francesco, minacciando di farli impiccare.
Confinato a Milano dall’estate del 1498 e poi a Pavia dal giugno del 1499, in luglio Trotti rifiutò di armare a sue spese i trenta fanti richiestigli dal duca. Con la sconfitta del Moro riottenne la libertà e i feudi di Ovada e Rossiglione, che Trivulzio gli concesse nel nome di Luigi XII (27 agosto 1499) assieme al titolo di conte (28 ottobre) e alla completa esenzione da ogni tributo (marzo del 1502).
Incerti il luogo e la data della morte, fissata da Felice Calvi al 1502 in Alessandria. Sempre secondo Calvi – che non fa cenno del figlio Sforza –, oltre ai già menzionati Francesco, Gian Galeazzo e Gian Battista, Antonio ebbe sei figlie femmine: Cassandra, Maria (moglie del condottiero modenese Lanfranco Rangone), Elena, Margherita, Polissena e Ippolita.
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