UGO, Antonio
Nacque il 22 gennaio 1870 a Romagnolo (Palermo), da Giuseppe e da Rosa Guerrera, due piccoli proprietari terrieri originari del comune palermitano di Altavilla Milicia.
Il precoce interesse per la pratica scultorea emerse da bambino, quando, ad appena cinque anni, in una fabbrica di laterizi vicina alla propria casa «abbozzava un pupazzo di creta che […] recava trionfante alla mamma in ansiosa attesa» (Pottino, 1956, p. 5).
Nel gennaio del 1884 fu ammesso nell’atelier, a pochi passi dalla chiesa palermitana della Martorana, dello scultore e ceramista Francesco Griffo-Saporito, direttore dello stabilimento di ceramica Florio e Varvano. Nei locali dell’ex monastero adiacente, in parte occupati dall’istituto di belle arti, il giovane scultore ottenne anche «un bugigattolo per sé» (Comitato, 1936, p. 39), non distante dagli ambienti di lavoro di altri importanti artisti siciliani, tra cui i pittori Francesco Lojacono e Pietro Volpes. Nello studio sarebbe tuttavia rimasto solo un anno, scegliendo già dal 1885 di mettersi in proprio.
Nel 1889 una commissione speciale, composta anche dall’architetto Giuseppe Damiani Almeyda e dallo scultore Benedetto Civiletti, decretò Ugo vincitore del pensionato artistico nazionale. Il successo fu raggiunto grazie al busto marmoreo di Gaetano La Loggia, giudicato notevole «per somiglianza, per larghezza di fattura e per assoluto merito d’arte» (Pottino, 1956, p. 10).
La pensione concessa dal Comune di Palermo consentì all’artista di risiedere a Roma per due anni, riconfermati nel biennio successivo (1889-93). Ugo poté così seguire i corsi di scultura di Ercole Rosa all’Accademia di belle arti. Il realismo neobarocco del maestro romano sarebbe stato, qualche anno dopo, attentamente rimeditato dallo scultore nel marmoreo Ritratto del cardinale Michelangelo Celesia (1895), di impianto monumentale e di vivace tocco veristico, esposto alla Biennale di Venezia del 1903 e in quell’occasione acquistato dal Consiglio superiore di antichità e belle arti per la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma.
Nel biennio 1891-92 Ugo conseguì un primo importante riconoscimento ufficiale: all’Esposizione nazionale di Palermo – alla quale partecipava con tre opere di sapore storicista – fu uno degli artisti premiati con la medaglia d’argento per la scultura. Parallelamente, nel monumento dell’ingegnere Pietro Neri a S. Maria dei Rotoli (1892), il calligrafismo lineare del partito decorativo, unito alla fluidità dell’angelo ghirlandoforo bronzeo, rivelò la ricettività dello scultore poco più che ventenne di fronte alle prime novità dell’Art Nouveau.
Al definitivo rientro nella città natale dopo il quadriennio romano, il 29 marzo 1894 Ugo sposò Teresa Delisi, figlia del celebre scultore di formazione neoclassica Benedetto. Dal matrimonio sarebbero nati quattro figli: Rosa (1895), Giuseppe Vittorio (1897) – in seguito uno dei più importanti architetti a Palermo tra le due guerre –, Giuseppa Valentina (1899) e Bice (1900).
Dal 1895 al 1926 Ugo partecipò su invito a tutte le edizioni della Biennale di Venezia, dapprima con singole opere e, a partire dal 1905, con alcuni nuclei selezionati. La toccante personificazione marmorea Pubescit, presentata all’esposizione lagunare nel 1901, mise in luce il suo livello di aggiornamento sulla sensiblerie di matrice simbolista. In quest’opera lo scultore siciliano, fedele «alla tradizione di nobile e calma compostezza di linee» – così lo definì Vittorio Pica – «nel volto pieno di languido smarrimento e nel corpo di una formosità ancora acerba della ignuda fanciulla […] ha espresso assai bene i primi fremiti voluttuosi della pubertà» (1901, pp. 201, 207).
Se, in occasione della stessa biennale, l’influente sala di Auguste Rodin poté fornire all’artista interessanti spunti tematici, ancora ravvisabili nella testa marmorea del Cristo deposto (1934), la scultura di Ugo a inizio secolo sembrò prediligere indirizzi di gusto differenti. Accanto a episodiche prove veriste (La massaia, in bronzo) egli si cimentò nello storicismo romantico, in opere di soggetto storico o di tema dantesco (come il frammento marmoreo Francesca da Rimini, presentato nel 1905 all’Internationale Kunstausstellung di Monaco). Seppe però dominare a pieno anche il realismo accademico, soprattutto in campo ritrattistico (ne è prova il Busto di Giuseppe Verdi, bronzo del 1902 al teatro Massimo di Palermo). Non si precluse, infine, nemmeno caute sperimentazioni di plastica di carattere pittorico, come in alcune sculture di realismo impressionistico dedicate a temi dell’infanzia (il marmo L’Imbronciata e il fortunato bronzetto Primi passi). Si trattò di attenzioni momentanee, che non lo distolsero dall’ideale di chiarezza di forma e solidità di modellato, cui cercò di rimanere sempre coerente: «per istinto, per volontà e per amore – si sarebbe scritto nel Giornale di Sicilia nel 1934 – «Ugo è rimasto sempre nella tradizione» (Comitato, 1936, p. 36).
Fondamentale nella sua carriera fu, dalla fine degli anni Novanta, il fruttuoso sodalizio creativo con uno dei massimi interpreti del liberty italiano, l’architetto Ernesto Basile. L’8 febbraio 1897 fu persino tra i firmatari del ‘patto artistico’ siglato presso lo studio dell’architetto al teatro Massimo. In quest’occasione, un gruppo di diciassette artisti (tre architetti, undici pittori e tre scultori) si impegnava, sulla scia dei fermenti secessionisti del modernismo europeo, ad allestire una mostra all’Hotel de la Paix il 29 maggio seguente, in aperta polemica con la contemporanea Esposizione siciliana promossa dall’Accademia di belle arti (E. Mauro, Le arti, in G. Pirrone, Palermo, una capitale. Dal Settecento al Liberty, Milano 1989, p. 236).
Condividendo la fascinazione europea per l’ideale di un Gesamtkunstwerk («opera d’arte totale»), Ugo iniziò a collaborare, insieme a Basile, con la celebre fabbrica palermitana di mobili Carlo Golia & C. di Vittorio Ducrot. Nel 1902, all’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna di Torino, il binomio Basile-Ducrot espose, con buon successo di critica, una selezione di mobili per tre ambienti domestici (stanza da letto, salone, studio). Tra questi, si distinse per la preziosità formale l’elegante testata di letto con un trittico bronzeo, sensibile alle lineari armonie bistolfiane, realizzato da Ugo (ripr. in A. de Bonis - G.V. Grilli - S. Lo Nardo, Ernesto Basile architetto, Venezia 1980, pp. 132, 134). L’attività di decoratore liberty, sia pure vissuta dall’artista con scarso trasporto personale, rispose alle attese e al gusto di un’emergente borghesia imprenditoriale impostasi sullo scorcio dell’Ottocento. Questo stile floreale, infatti, garantì allo scultore un notevole successo, al punto che il bronzeo Bacco anforifero (1903) fu comprato dal re d’Inghilterra Edoardo VII durante una visita allo studio dell’artista.
Il periodo di passaggio tra i due secoli registrò le prime commissioni monumentali di Ugo. Si trattò in larga parte di opere commemorative realizzate in Sicilia, dove lo scultore scelse di vivere tutta la vita per il profondo attaccamento alla terra d’origine. Si ricordano il Monumento a G. B. Filippo Basile nel foyer del teatro Massimo (1897), il Monumento a Re Umberto I a Gela (CT) e quello al conte Marco Trigona a Piazza Armerina, entrambi del 1901. Nel 1908 Ugo partecipò anche all’importante concorso per il fregio allegorico dell’Altare della Patria a Roma, risultando, con Lodovico Pogliaghi e Arturo Dazzi, tra gli scultori premiati. Per lo stesso cantiere romano avrebbe realizzato il bronzeo Genio della Vittoria.
Nel frattempo, a Palermo, rinsaldò i rapporti con Basile, che nel 1908 eresse in via Sammartino il villino Ugo, dove lo scultore trasferì la residenza e lo studio. L’edificio liberty, per molti anni abitato dalla famiglia, sarebbe stato tuttavia demolito nel 1957 dal figlio Giuseppe Vittorio per far posto a un nuovo immobile multipiano.
Nel 1910 Ugo e Basile tornarono a collaborare nel Monumento commemorativo del Cinquantenario della Liberazione, situato in piazza Vittorio Veneto a Palermo, e dal 1930 dedicato anche alla memoria dei caduti siciliani in guerra. La celebre battaglia del 27 maggio 1860 – che sancì l’annessione della Sicilia all’Italia – fu celebrata da Ugo in due altorilievi sul basamento, ai piedi di un alto piedistallo marmoreo. Con una sintassi da colonna onoraria romana, lo scultore mise in scena la Battaglia al ponte dell’Ammiraglio, nel riquadro di destra, e il Trionfo del Genio italico a cavallo, in quello di sinistra. Al centro trovavano invece posto le due personificazioni allegoriche, in aggetto, della Sicilia e dell’Italia, simbolicamente congiunte in un abbraccio.
La crescente popolarità di questi anni assicurò a Ugo la nomina, senza concorso, a insegnante aggiunto di plastica di figura nella Regia Accademia di belle arti di Palermo (1915-23). In questo periodo dovette però supplire anche il collega Mario Rutelli, spesso assente dalla città. Nello stesso istituto sarebbe in seguito diventato titolare della cattedra di scultura (1924-36). Dal 1929 al 1931, infine, rivestì anche il ruolo di vice-presidente dell’Accademia.
Gli anni Venti furono un periodo d’intenso lavoro per l’artista. Non si contano i monumenti ai caduti in guerra da lui realizzati in più di venti comuni dell’isola (tra cui quelli per Misilmeri, Trapani, Caltagirone, Caccamo, Valledolmo, Calatafimi, Gangi, Petralia Soprana, Castelbuono, Chiusa Sclafani, Comiso, Mistretta, Cerda), oltre che a Palermo (monumento ai ferrovieri nel palazzo delle ferrovie, agli studenti nel liceo Vittorio Emanuele II e ai caduti nel Banco di Sicilia).
Parallelamente non venne meno la prolifica attività di medaglista, che lo vide impegnato a ritrarre anche illustri nomi dell’ambiente culturale, oltre che politico, coevo (tra gli altri, Camillo Finocchiaro Aprile, Vittorio Emanuele Orlando e Giovanni Gentile).
Nella produzione scultorea di questi anni, i popolari bronzetti di cinquecentesca memoria (il Faunetto vendemmiatore), spesso di filone animalistico, si alternarono alle sempre più frequenti composizioni religiose (la Sacra Famiglia, marmo del 1928) e alle sculture legate al mondo dell’infanzia e della maternità (Riposo, bronzo del 1934). Dalla seconda metà degli anni Venti, inoltre, iniziò a emergere nelle sue opere una progressiva semplificazione delle masse plastiche. La maggiore sintesi formale si combinò con lontani riecheggiamenti della scultura novecentista, come nel marmo La tormenta e la mamma: prossimo, nell’idea formale, alla Pisana di Arturo Martini.
Erede di Giacomo Serpotta nella delicata resa dell’universo infantile, nel 1932 Ugo dedicò un monumento al maestro del rococò palermitano (nel chiostro del convento di S. Domenico), imitandone lo stile in una scenografica struttura di marmo e bronzo.
Due anni dopo, in occasione dei suoi cinquant’anni di carriera (1884-1934), nelle sale del Circolo artistico di palazzo Utveggio, a Palermo, gli fu allestita una considerevole personale di quasi cento opere. Per l’evento fu pubblicato un succinto testo di accompagnamento, che raccoglieva fotografie delle sale, testimonianze di amici e stimatori, e una nutrita rassegna stampa (Comitato, 1936). Spiccava, tra i pezzi esposti, il colossale bozzetto della Fonte del pensiero, «una rappresentazione del Duce, eroicizzato in forma romana, tre volte il vero, solenne, sereno, forte» (p. 39). Al capo del governo fascista lo scultore aveva donato personalmente anche una Madonna del grano (1933), che Mussolini destinò alla chiesa madre di Littoria (oggi cattedrale di S. Marco a Latina). Era un gruppo, imbevuto di classicismo novecentista, in cui una madre, dai delicati tratti preraffaelliti, teneva con una mano il figlio in braccio, mentre un altro giovane si aggrappava a lei, porgendole una spiga di grano: un omaggio allusivo alla città simbolo della bonifica dell’Agro pontino.
Nel 1935, avendo raggiunto i limiti d’età, Ugo fu collocato a riposo dalla cattedra di plastica della figura all’Accademia di belle arti e, contestualmente, fu insignito dell’alta onorificenza di grand’ufficiale dell’ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Lo scultore fu altresì accademico di S. Luca, socio dell’Accademia di scienze, lettere e arti di Palermo e membro di numerose commissioni di rilevanza regionale (per il Pantheon della città, per la tutela delle bellezze naturali e panoramiche della Sicilia e per la conservazione dei monumenti).
Nel 1938 la Galleria d’arte moderna di Palermo accolse un nucleo di quaranta opere offerte dall’artista nel gennaio tre anni prima. Tra i vari marmi e bronzi inclusi nella donazione, figuravano due capolavori marmorei come la Madre (1906) e Contadina siciliana (1932), quest’ultima dominata dal virtuosistico contrasto tra l’incarnato serico del volto e l’esibizione del non-finito nella chioma. Le quaranta sculture, tuttavia, non poterono essere ospitate nell’aula rossa del museo – come avrebbe voluto lo scultore – a causa dello scarso spazio a disposizione nel ridotto del Politeama (Cucciniello, 2013).
Nel 1949 gli fu conferito il premio Columbus 1949 dall’International Columbus Association, e l’anno seguente, in occasione del suo ottantesimo compleanno, il Circolo artistico di Palermo allestì nel palazzo Whitaker di via Cavour una sua importante retrospettiva, riconoscendone il ruolo guida nel panorama artistico della città.
Morì a Palermo il 19 aprile 1950.
Gran parte della documentazione su A. U. è conservata nell’archivio privato dello scultore, a Palermo.
V. Pica, L’arte mondiale alla IV esposizione di Venezia, Bergamo 1901, pp. 201, 207; F. Allmayer, Arte e artisti. A. U., in Natura e arte, XV (1905-1906), 30, pp. 585-590; Comitato per la mostra di sculture di A. U. nel cinquantennio della sua attività artistica. Presidente del comitato d’onore: S.E. Giovanni Gentile, Milano 1936; F. Pottino, A. U., scultore (1870-1950), Palermo 1956; G. P[iantoni], A. U., in Pittura e scultura del XX secolo. 1894-1910, Roma 1981, pp. 98 s.; I. De Guttry - M.P. Maino - M. Quesada, Le arti minori d’autore in Italia dal 1900 al 1935, Roma 1985, pp. 290-293; M.A. Spadaro, A. U., in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, XIII, Palermo 1994, pp. 333-335; E. Rizzo - M.C. Sirchia, Scultori siciliani. XIX e XX secolo, Palermo 2009, pp. 274 s.; O. Cucciniello, A. U., in La Galleria d’Arte Moderna di Palermo: il museo tra storia e costume. Opere dei depositi (catal., Palermo), a cura di F. Mazzocca - A. Purpura, Cinisello Balsamo 2013, pp. 118 s.; M. Di Carlo - M.A. Spadaro, Commemorare a Palermo. Le medaglie di A. U., Palermo 2014.