VERGNANINI, Antonio
VERGNANINI, Antonio. – Nacque il 16 maggio 1861 a Reggio Emilia, da una famiglia benestante. Conclusi gli studi liceali s’iscrisse alla facoltà di scienze dell’Università di Torino, poi passò a quella di Bologna.
La morte del padre Paolo, esercente, e altri rovesci familiari incisero negativamente sulla sua carriera universitaria. Dopo una pausa di alcuni anni si trasferì a giurisprudenza, ma presto abbandonò gli studi per dedicarsi pienamente all’impegno politico e giornalistico.
Fin dal 1882 scrisse su fogli progressisti o socialisti locali: dapprima L’Ape e Lo Scamiciato, poi La Mosca e Il Nuovo Comune. Diresse L’Orizzonte e fu tra i promotori del Punto nero, fondato nel 1894 da Olindo Malagodi e considerato il primo quotidiano socialista italiano. Collaborò a lungo, scrivendovi anche in età matura, con La Giustizia, nata nel 1886 su iniziativa di Camillo Vittorio Prampolini, punto di riferimento del socialismo reggiano, del cui gruppo di collaboratori più stretti entrò a far parte, mettendo a disposizione le proprie poliedriche abilità, politiche, giornalistiche, letterarie.
In occasione delle elezioni amministrative del 1889 pubblicò Norma (Reggio Emilia), parodia del melodramma di Vincenzo Bellini, in cui sosteneva con ironia la lista progressista («Edizione - Ricordi il lettore di dare il voto alla lista democratica») e metteva alla berlina gli avversari (p. 1). Nel 1891 scrisse una Divina Comedia della Unione Liberale Monarchica e relativi tirapiedi, con la quale attaccava l’alleanza tra moderati e clericali. Erano le prove generali per opere più ambiziose, come Figli del secolo (Reggio Emilia 1895), un dramma che si ispirava a Germinal di Émile Zola e a I tessitori di Gerhart Hauptmann, più volte rappresentato nelle filodrammatiche popolari.
Ambientato in un’area del Belgio sconvolta dallo sciopero dei minatori e dalla violenta reazione borghese, mostrava l’adesione piena di Vergnanini al credo riformista, che nella Reggio di Prampolini stava piantando salde radici, e che veniva esaltato dalla figura della protagonista, Vera, quotidianamente impegnata per il miglioramento costante delle condizioni dei lavoratori («Questa marcia dell’umanità oggi pazza, scomposta, si farà domani più ordinata, più calma e questo sarà progresso, conquista; tappa nell’avvenire», pp. 44 s.).
Partecipò come delegato al Congresso socialista di Genova dell’agosto 1892, fu chiamato alla presidenza di quello tenuto a Reggio Emilia l’anno seguente e divenne presidente della Lega socialista cittadina. Di Prampolini, di poco più anziano, fu uno dei primi biografi, già nel 1892 (Cenni biografici di Camillo Prampolini e sua azione in Parlamento, Reggio Emilia 1892), e mantenne affettuosi contatti anche quando fuggì in Svizzera con la moglie Leocadia, alla fine del 1894, per sottrarsi al domicilio coatto dovuto alle leggi repressive del governo Crispi.
Dall’incontro con i nichilisti russi durante l’esilio nacque una riflessione, I due terrori in Russia (Ginevra 1895), in cui, pur non giustificando il terrorismo, condannava l’incapacità zarista di comprendere e venire incontro ai bisogni del popolo. Entrò nell’Unione socialista di lingua italiana, che raccoglieva lavoratori ticinesi ed emigrati italiani, e svolse un’importante opera di organizzazione e propaganda. Diresse L’Avvenire del lavoratore e si propose di trasformare l’Unione in un segretariato che aiutasse gli emigrati a trovare lavoro e li sostenesse nelle vertenze con i proprietari. I disordini di cui alcuni operai italiani si resero protagonisti nel maggio del 1898, contemporaneamente ai moti milanesi, lo videro molto critico, e determinarono uno scontro all’interno dell’Unione. Vergnanini sostenne che si dovesse accentuare il carattere economico dell’organizzazione, in contrasto con chi intendeva privilegiare quello politico. Nel congresso tenutosi nella primavera del 1900 si trovò in minoranza, e la segreteria passò a Giacinto Menotti Serrati, che operò per la trasformazione dell’Unione in Partito socialista italiano in Svizzera. Vergnanini si trasferì allora a Berna a dirigere l’Ufficio di emigrazione e, durante l’estate del 1901, condusse vittoriosamente lo sciopero dei minatori di Lugano.
Nell’autunno di quell’anno tornò a Reggio Emilia e assunse la segreteria della neonata Camera del lavoro, dove si impegnò a irrobustire il movimento cooperativo e a migliorare la condizione sociale dei lavoratori della città e della provincia. Creò nel 1902 l’Università popolare, con il fondamentale aiuto, logistico e finanziario, del Comune, guidato da Gaetano Chierici, primo sindaco socialista. Settecento iscritti, in maggioranza provenienti dai ceti popolari, frequentarono nei primi anni i corsi tenuti da studiosi locali e forestieri che Vergnanini, in qualità di segretario, invitava senza remore ideologiche, tant’è vero che uno dei più apprezzati fu il sacerdote Raffaello Stiattesi, direttore dell’osservatorio di Quarto Fiorentino ed esperto di fisica. Coerente con questa impostazione, nel 1908 propose la ristrutturazione del teatro comunale, che prevedeva tra l’altro l’abbattimento del palco reale e la creazione di un maggior numero di posti, allo scopo di emancipare «il nostro teatro dalla sterilità e dalla condizione di un inutile oggetto di lusso, per farne un centro di educazione, un ambiente vivo di irradiazione artistica» (Per l’avvenire del teatro municipale, Reggio Emilia 1908, p. 24).
Questa attenzione era parte organica dell’attività continua di rafforzamento del movimento dei lavoratori della provincia, che poteva vantare, alla fine del 1903, centosei leghe di lavoratori giornalieri nelle campagne, cinquantasei di operai, cinquantadue di coloni, altrettante cooperative di lavoro e cinquanta cooperative di consumo. Operò per fare della Camera del lavoro, assieme all’amministrazione comunale, il perno dell’economia cittadina. La fede positivistica nel ‘sole dell’avvenire’ e la passione lo portarono a dichiarare all’VIII Congresso del Partito socialista italiano (PSI), tenutosi a Bologna nel 1904, che la spinta del socialismo reggiano avrebbe portato alla paralisi del commercio borghese, anticipando la tesi della «cooperazione integrale», che avrebbe esposto di lì a pochi anni. Fu pertanto un’amara sorpresa la vittoria dei moderati alle elezioni comunali parziali del 1904 e a quelle generali dell’anno dopo, un successo replicato alle elezioni politiche che videro la sconfitta di Prampolini. Tuttavia, grazie anche all’azione di Vergnanini, il PSI reggiano si prese ben presto la rivincita.
Nel 1907 non solo il Comune fu riconquistato, ma furono inaugurati i lavori della ferrovia che collegava la città a Ciano d’Enza, sui primi contrafforti appenninici. L’opera era da anni un cavallo di battaglia di Vergnanini, che intendeva dimostrare la forza del movimento cooperativo da lui coordinato; il 29 settembre 1907, alla presenza di Luigi Luzzatti, nume tutelare della cooperazione, si tenne una cerimonia entusiasta per l’inizio dei lavori. Nel 1911 la ‘ferrovia rossa’ fu ultimata e una comitiva di lavoratori raggiunse l’Esposizione internazionale di Torino a bordo di due convogli trainati da locomotori realizzati nelle Officine reggiane e ribattezzati Andrea Costa e Rochdale. Era il trionfo di Vergnanini e della Camera del lavoro di Reggio Emilia, e suscitò interesse e ammirazione in tutta Europa per avere dimostrato – caso unico al mondo – che la cooperazione era in grado di costruire e gestire un’opera complessa, che esaltava le capacità e l’organizzazione del movimento reggiano e l’approccio riformistico del socialismo locale rispetto alle sirene rivoluzionarie.
La fiducia di Vergnanini nel sistema cooperativo lo portò a proporre la sua tesi principale, quella della «cooperazione integrale», al VII Congresso internazionale dell’Alleanza cooperativa internazionale, svoltosi a Cremona in quello stesso 1907. Qui indicò nella cooperazione, a lungo guardata con sospetto da molti dirigenti socialisti, la via attraverso la quale «le classi lavoratrici possono dare alla lotta di classe una efficacia pratica, un valore reale di conquista», contrapponendola all’azione di resistenza, «espressione riassuntiva della lotta di classe», che però – a suo dire – presentava troppi limiti per riuscire a incidere effettivamente nella società dell’epoca. In particolare, nel suo pensiero era la cooperazione di consumo a dover svolgere un ruolo centrale, diventando un asse tra produttori e consumatori che permettesse di arrivare a fare a meno del mercato borghese, o quanto meno a prevalere su di esso: «La solidarietà del consumo deve essere [...] la nuova base d’azione per la classe lavoratrice. Questa, che costituisce la grande maggioranza dei consumatori, può [...] sottrarre alla speculazione libera la maggioranza dei clienti ed assicurarla [...] alla nuova grande amministrazione sociale» (Cooperazione integrale, Reggio Emilia 1910, p. 27).
All’XI Congresso del PSI, svoltosi nel 1910 a Milano, presentò una relazione su Cooperazione e socialismo, redatta con un altro importante dirigente del movimento cooperativo, il ravennate Nullo Baldini, e ottenne che la cooperazione venisse riconosciuta come «un’arma di conquista e di redenzione per le forze lavoratrici». Nello stesso anno, in polemica con Costantino Lazzari, attaccò il «socialismo semplicista» dei massimalisti e le loro «velleità di intransigenza sterile», cui contrappose la fede in una lenta ma costante azione che elevasse le condizioni delle masse operaie, «cacciandosi fra i congegni della vita borghese» (La Giustizia, 12 gennaio 1910). Era una strategia che tra il 1906 e il 1914 sostenne anche come membro del consiglio direttivo della Confederazione generale del lavoro, e che, per essere efficace, avrebbe richiesto non solo l’aiuto delle amministrazioni locali, ma anche una politica governativa che ampliasse la legislazione a favore della cooperazione ed eliminasse gli intralci burocratici. Non a caso, in quegli stessi giorni, intervistato dal Tempo, chiese al governo di creare una banca pubblica che finanziasse le cooperative, liberandole dall’esigenza di sottostare alle condizioni degli istituti di credito privati.
Un duro colpo alle sue strategie venne dal fallimento, nel 1912, del Consorzio delle cooperative di consumo di Reggio Emilia, gravato da un cospicuo debito causato da vari motivi, tra i quali: la scarsa attenzione all’utile aziendale e alla capitalizzazione, l’eccessiva facilità nel credito alle consorziate e la forte tendenza all’immobilizzazione dei capitali. Il fallimento non fu però tale da precludergli, in quello stesso anno, la nomina alla segreteria della Lega nazionale delle cooperative e mutue, lasciata vacante dalla morte di Antonio Maffi, dove si pose in primo luogo l’obiettivo di riordinare un movimento cresciuto molto in fretta. Contestualmente assunse la direzione dell’organo ufficiale della Lega, La cooperazione italiana. Indicò la via per l’azione futura della cooperazione, che doveva cessare di essere «sussidiaria della speculazione privata» e divenire «uno dei più importanti fattori della vita sociale», puntando, ancora una volta, sulla cooperazione di consumo: «La vita economica che oggi si svolge dal punto di vista di chi produce, deve tendere a spostarsi e svolgersi in considerazione dell’interesse di chi paga e consuma» (La cooperazione italiana, 8 giugno 1912).
Nel settembre del 1914 partecipò alla creazione del Comitato nazionale parlamentare della cooperazione, assieme ad altre personalità di spicco del movimento. Nel frattempo, con lo scoppio della guerra in Europa, la Lega delle cooperative aveva adottato un neutralismo fortemente intriso di sentimento antiaustriaco. Dopo l’entrata dell’Italia nel conflitto, Vergnanini, sensibile ai richiami alla concordia nazionale, sostenne lo sforzo bellico. Cercò di influire sul governo perché attuasse una politica economica che garantisse un vettovagliamento sicuro alla popolazione entrando, nel 1916, nella Commissione centrale degli approvvigionamenti, presieduta dal ministro Giovanni Raineri.
A guerra terminata, trasferitosi prima a Milano e poi a Roma, tornò con forza ad agitare la bandiera della cooperazione di consumo, nella speranza che venisse varato un piano statale di riforme incisive, tra cui la creazione di grandi demani collettivi, l’assegnazione alle cooperative dei terreni incolti e l’avvio di opere pubbliche in grado di assorbire la disoccupazione. Era una linea di «riformismo governativo ad oltranza» (Rosada, 1978, p. 207) che auspicava un’irrealistica armonia tra classi sociali, in un momento in cui il massimalismo socialista accantonava le tesi riformiste e il fascismo iniziava violentemente ad affermarsi. Nel 1921 entrò nel consiglio di amministrazione dell’Istituto nazionale di credito alla cooperazione. Dopo la marcia su Roma, nella speranza di salvare quanto realizzato con tanto sforzo e fatica dal movimento cooperativo, cercò il dialogo con Benito Mussolini, che si dichiarò favorevole alla cooperazione, nonostante fin dal 1921 le sue strutture fossero assalite e distrutte dal fascismo trionfante. Nel 1925 la Lega delle cooperative, dove Vergnanini era ormai solo alla guida, fu chiusa d’autorità. Inserito nella lista dei ‘sovversivi’, ne fu cancellato nel 1929.
Rimase nella capitale, dove si spense l’11 aprile 1934.
Fonti e Bibl.: Bologna, Università degli studi, Archivio storico, Antonio Vergnanini; Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi, Fondo Prampolini, mss. regg. C 535/43; Carteggi generali, mss. regg. D 402/34, D 414/11, E 190/126.
Una panoramica delle opere di Vergnanini e della bibliografia fino al 1978 è consultabile alla voce redatta da A. Rosada in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, V, T-Z, Roma 1978, pp. 204-208. Oltre a quelle citate nel testo si segnalano: G. Soglia, Come sorse e come visse l’Università popolare, in La Provincia di Reggio, 1922, pp. 78 s.; A. V. In memoria, Roma 1934; M. Ruini, Scritti di Meuccio Ruini, II, t. 2, Profili di storia. Rievocazioni, studi, ricordi, Milano 1961, pp. 138-146; R. Marmiroli, Storia amara del socialismo italiano, Parma 1964, ad ind.; L. Serra, V.: il pensiero di un cooperatore, in Critica sociale, LXXXVII (1978), 21-22, pp. 37-39; L. Serra, Cultura e socialismo a Reggio dal 1904 al 1914, in Prampolini e il socialismo riformista, I, Roma 1979; G. Bonfante et al., Il movimento cooperativo in Italia, Torino 1981, ad ind.; M. Degl’Innocenti, Geografia e istituzioni del socialismo italiano, Napoli 1983, ad ind.; Gli anni della giustizia. Movimento operaio e società a Reggio Emilia (1886-1925) (catal.), Reggio Emilia 1986, pp. 16 s., 33, 38, 41 s., 76 s., 79, 85, 105, 136, 144, 152, 154, 157 s., 196, 230; M. Fincardi, V. e il villaggio, in L’Almanacco, V (1987), 11, pp. 65-82; M. Degl’Innocenti, La Reggio Emilia de «La Giustizia», in Cittadini e rurali nell’Emilia Romagna rossa tra ’800 e ’900, Milano 1990, pp. 94-140; A. Varni, Emilia-Romagna terra di cooperazione, Bologna 1990, ad ind.; L. Salsi, V., Reggio Emilia 1991; Z. Ciuffoletti, Storia del PSI, I, Roma-Bari 1992; Uniti siamo tutto. Alle origini della Camera del lavoro di Reggio Emilia (catal.), Reggio Emilia 2001, pp. 9, 17, 44, 47, 60 s., 67, 72 s., 75, 95, 119, 125-128, 143; T. Menzani, Il movimento cooperativo tra le due guerre, Roma 2009, ad ind.; M. Del Bue, Storia del socialismo reggiano, I-II, Montecchio 2009-2011, ad ind.; L’Almanacco, XXXI (2012), 58 (in partic. M. Del Bue, In ricordo di A. V., pp. 57-59; G. Catellani, A. V. (Reggio 1861 - Roma 1934), pp. 61-70; R. Testi, A. V.: tra socialismo e cooperazione; tra lavoro, capitale e scienza, pp. 71-116).