VINCIGUERRA, Antonio
– Figlio di Francesco, di Recanati (ignota è l’identità della madre), trasferitosi a Venezia forse nei tardi anni Trenta e annoverato tra i cittadini veneti, nacque a Venezia negli anni Quaranta del XV secolo, certamente prima del 1446, dal momento che nel 1458 risulta assunto come donzello della Cancelleria (ruolo al quale si poteva accedere solo dopo il compimento del dodicesimo anno e solo se nati in città).
Quando era ancora molto giovane – per ragioni sconosciute – gli fu attribuito il soprannome di «Cronico», che compare in molti codici e con il quale gli si rivolsero i letterati con i quali ebbe scambi culturali.
Avviato alla carriera di segretario della Repubblica, fu iscritto alla Scuola di San Marco e seguì i corsi di grammatica di Pietro Perleoni e quelli di retorica di Giovan Mario Filelfo, ma prese lezioni private di filosofia e di belle lettere con Giovanni Caldiera (che gli avrebbe dedicato il suo trattato De praestantia Venetae politiae), pensatore che potrebbe avergli trasmesso la passione per la Commedia di Dante e averlo precocemente instradato verso un platonismo cristiano affine a quello ficiniano. Presto cominciò una brillante carriera nei ranghi dell’amministrazione veneta divenendo segretario extraordinario e quindi assistente degli inviati in ambasciate: da qui comincia un percorso che lo portò in Castiglia, a Roma, a Ferrara, a Firenze, sull’isola di Veglia (oggi Krk, in Croazia), in Lorena, a Bologna, spesso ritrovandosi a svolgere ruoli superiori al suo incarico.
Assai fitta la rete dei rapporti culturali che lo legarono a numerose figure dell’umanesimo centrosettentrionale. Occorre ricordare la collaborazione con Bernardo Bembo, l’amicizia con Pietro Marsi (che lo nominò più volte nel Bembicae peregrinae libri duo), la stima che gli dimostrò Giorgio Merula (che gli indirizzò delle epistole metriche, lo citò nell’opera In librum De homine Galeoti opus, ricordò la sua carta del fiume Timavo negli Adversus Domitii Calderini commentarios in Martialem, lo descrisse come suo compagno di dotte discussioni nel libro In Politianum, gli dedicò le sue Plinianorum quorundarum locorum correctiones). Mentre è solo ipotetico il suo incontro con gli umanisti romani in fuga a Venezia dalle condanne di Paolo II, è certa quella di Ludovico Foscarini, ambasciatore veneto e storiografo, e la sua frequentazione del circolo di Ermolao Barbaro, dove conobbe probabilmente Niccolò Lelio Cosmico. Intensi gli scambi con gli umanisti della cerchia laurenziana conosciuti nel soggiorno fiorentino del 1475: si segnala la lunga amicizia con Marsilio Ficino, che lo ricordò in alcuni suoi scritti e gli indirizzò tre lettere. Quando qualche anno dopo il Poliziano e Demetrio Calcondila si recarono a Venezia per visionare la biblioteca di Bessarione, fu proprio Vinciguerra ad aiutarli, impegnandosi in prima persona nella copiatura di alcuni codici. Pico della Mirandola ricorda il segretario veneziano due volte nell’Apologia e una volta nell’Oratio de dignitate hominis. Nel periodo ferrarese conobbe Iacopo Caviceo, mentre a Bologna strinse rapporti con Urceo Codro e probabilmente con l’artista Sperandio Mantovano, che lo ritrasse in una medaglia. Di un suo ritratto a opera di Carpaccio parla uno strambotto anonimo conservato, insieme ad altri che lo difendono da imprecisati attacchi dello Strazzola, nel codice di Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, It. XI 67 (7351, rispettivamente cc. 224v e 156rv).
La fama di Vinciguerra è legata a una serie di ternari, sei dei quali furono pubblicati da Francesco Sansovino nei Sette libri di satire (Venezia 1560), con l’accompagnamento di una nota introduttiva che gli riconosceva il merito della primogenitura del genere satirico in lingua volgare e accennava alla grande fama di questi testi presso il pubblico dei lettori. Nel 1495 era uscito a Bologna per i tipi di Platone de Benedetti un opuscolo intitolato Liber utrum deceat sapientem uxorem ducere an in caelibatu vivere, probabilmente sotto la diretta tutela dell’autore: dedicato a Marco Zorzi, contiene il ternario eponimo, diviso in due parti (del testo si ricordò l’umanista Codro nella lezione inaugurale dell’anno accademico 1495-96). In un altro opuscolo, privo di indicazioni tipografiche, databile intorno al 1500, fu stampato il ternario Ad clarissimum Ioannem Calderiam de obitu in morte filie consolatio, conservato anche nel manoscritto a Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. XLI 37, cc. 85v-93r: fu scritto per il maestro Giovanni Caldiera in morte della figlia Caterina (e quindi risale a prima del 1473, anno del De oeconomia in cui Caldiera ne ricorda la scomparsa).
Altri testi apparvero nell’Opera nova, di cui risultano almeno quattro edizioni, che probabilmente sono postume; contiene sei ternari, tra cui la Consolatoria, e poi: Contra falsum et imperitum vulgi iudicium, databile al 1483 e attestato anche, con varianti, nel manoscritto di Roma, Biblioteca Casanatense, 884, cc. 9r-13v, nel manoscritto di Modena, Biblioteca Estense universitaria, α O 10 15, cc. 32r-37r, e, solo per i 18 versi iniziali, anche nel citato codice laurenziano (Plut. XLI 37, c. 96r), in tutti i testimoni indicato come «satyra»; Contra vitia capitalia, indicato come «satyra»; De miseria humane condicionis, attestata con varianti nel manoscritto della Biblioteca Casanatense, 884, cc. 4r-9r e definita «satyra» in entrambi i testimoni: è largamente debitrice al De laude solitariae vitae attribuito al tempo a s. Basilio; il libello si chiude con la riproposizione dei due ternari contenuti nel Liber utrum. Questi testi furono recuperati da Sansovino e inseriti nella citata raccolta, etichettati tutti come satire e canonizzati come il momento di avvio della tradizione satirica in lingua italiana. Altri quattro testi rimasti inediti, conservati nel codice della Biblioteca nazionale Marciana, It. IX 72 (6632), furono pubblicati nel 1904 da Adelaide Sopetto e sembrerebbero risalire, da elementi interni, agli ultimi anni.
Di Vinciguerra rimane anche una produzione lirica. Un sonetto di argomento amoroso e di stile petrarchesco è conservato nel manoscritto della Biblioteca nazionale Marciana, It. XI 66, c. 20r (Una candida fede, un zelo ardente), dove è attribuito a Vinciguerra. È seguito (c. 20rv) da un capitolo in terzine, sempre di argomento amoroso, tradizionalmente ritenuto dello stesso autore (L’immensa pena con il foco ardente). Potrebbero forse essere quanto sopravvissuto del «canzonier» del quale Vinciguerra fa cenno nel suo testamento (Archivio di Stato di Padova, Liber primus instrumentorum Io. Antonii Boatini Notarii, 1495 usque 1504, doc. 315). Un sonetto di dedica a Bembo (Bernardo poi che liete nel tuo grembo) è contenuto nell’Opera nova. Marin Sanudo conserva due sonetti di argomento politico e di taglio satirico che sarebbero stati scritti da Vinciguerra durante la permanenza a Bologna e letti ai Pregadi: il Sonecto facto a Firenze e la Risposta facta in Bologna. Un sonetto di dedica a Francesco Contarini e Antonio Sufi (Sufi la vostra modulante lira) accompagna la satira Contra falsum et imperitum vulgi iudicium nei citati manoscritti di Roma, Biblioteca Casanatense, 884, c. 9r, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. XLI 37, c. 96v, e Modena, Biblioteca Estense universitaria, α O 10 15 (ital. 1797), c. 37r. Sempre in questo codice, alla c. 40v, è contenuto un altro sonetto attribuito a Vinciguerra, Ecco che’l gal gridar non s’ode più, che ricorda molto – per stile e per temi – quelli tramandati da Sanudo e che, per giunta, si trova in un mannello di altri testi anonimi tutti sulle vicende del ritorno in Francia di Carlo VIII.
Alla penna di Vinciguerra si deve anche la Giurisdizione antica di Veglia (spesso indicata come Cronaca di Veglia), ovvero la relazione nella quale diede conto della sua missione sull’isola, scritta nel 1481 su richiesta delle autorità; l’opera è attestata in vari manoscritti: Treviso, Biblioteca comunale, 846; Archivio di Stato di Venezia, Secreta materia miste notabili, 110; Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms. 648 (olim Cicogna 1658), Donà dalle Rose, 231; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Ital. VI 220 (5915); Wien, Österreiches Nationalbibliothek, Brera, s. I n. 121; Zagreb, Narodna Knjižica, II b 26 e II a 55.
Poco prima di morire compose anche una serie di ternari sul tema degli ideali di governo e della celebrazione di Venezia riuniti sotto il titolo De principe libellus e vergati in bella copia in un codice di dedica donato al neoeletto doge Leonardo Loredan nel 1502. L’opera è conservata al Victoria and Albert Museum di Londra (Res. H 33 KRP E 19). Da segnalare anche la lettera a Bembo del 25 maggio 1498 nella quale Vinciguerra descrive l’esecuzione di Girolamo Savonarola (New York, Pierpont Morgan Library, MA 1842).
Tornato a Venezia nel 1499 fece appena in tempo a ricevere l’onore dell’elezione al ruolo di uno dei quattro segretari del Consiglio dei dieci prima di ammalarsi. Il 3 dicembre 1502 dettò il suo testamento.
Morì il 9 dicembre. Secondo le sue richieste testamentarie fu sepolto nella chiesa di S. Andrea del Lido in una tomba monumentale da lui ordinata, che però fu pronta solo nel 1517.
Fonti e Bibl.: La maggior parte dei documenti relativi a Vinciguerra si trova nell’Archivio di Stato di Venezia ed è stata catalogata e in parte pubblicata da B. Beffa, Antonio Vinciguerra cronico, segretario della Serenissima e letterato, Berna-Francoforte sul Meno 1975. A questi si aggiungano: Forlì, Biblioteca Piancastelli, Autografi Piancastelli, b. 58 (lettera a Paolo Morosini del 1° agosto 1470); Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Lettere da Mantova e paesi dello stato dell’anno 1490, b. 2438-2439 (tre lettere a Francesco Gonzaga, 30 settembre, 1° e 8 ottobre 1490); Modena, Biblioteca Estense universitaria, α S 4 2 (Lat. 441; dedica di Merula del trattatello sul testo di Plinio); Napoli, Biblioteca nazionale, IV F 64 (dedica a Vinciguerra di un anonimo epigramma latino a c. 14v); New York, Pierpont Morgan Library, MA 1842 (lettera del 25 maggio 1498 a Bembo sull’esecuzione di Savonarola); Archivio di Stato di Padova, Liber primus instrumentorum I. Antonii Boatini Notarii, 1495 usque 1504 (testamento).
Per le testimonianze della storiografia coeva e le ricerche dell’erudizione sette-ottocentesca e del primo Novecento si rimanda alla bibliografia in B. Beffa, A. V., cit., da cui cominciano le ricerche moderne su questo autore. Inoltre si vedano: A. Tissoni Benvenuti, La tradizione della terza rima e l’Ariosto, in L. Ariosto: lingua, stile e tradizione, Milano 1976, pp. 303-313; N. Giannetto, Bernardo Bembo: umanista e politico veneziano, Firenze 1985, passim; M.L. King, Venetian humanism in an age of patrician dominance, Princeton 1986; P. Floriani, Il modello ariostesco. La satira classicista nel Cinquecento, Roma 1988, pp. 47-50; R. Bianchi, Bartolomeo Platina, Pomponio Leto e il Vitulus di Menecmo. Note sul De flosculis di Platina (con una testimonianza di Pomponio sulle rovine di Paestum), in I confini dell’umanesimo letterario. Studi in onore di Francesco Tateo, Roma 2003, pp. 127-154; I. Caliaro, La poesia del Quattrocento. Per ornamento e travestimento, in Il mito nella letteratura italiana, I, Dal Medioevo al Rinascimento, Brescia 2005, pp. 409-424; B. Buono, La poesia satirica in provincia. I capitoli in terza rima di Giovanni Agostino Caccia (1546), in Alfinge. Revista de filologia, XXI (2009), pp. 29-44; M. O’Connell, Legitimating Venetian expansion. Patricians and secretaries in the fifteenth century, in Venice and Veneto during the Renaissance: the legacy of Benjamin Kohl, Firenze 2014, pp. 71-85; A. Rozzoni, La rappresentazione del matrimonio nel Liber utrum deceat sapientem ducere uxorem an in caelibatu vivere di A. V., in La letteratura degli italiani, 4, I letterati e la scena, Roma 2014, https://www.italianisti.it/ pubblicazioni/atti-di-congresso/la-letteratura-degli-italiani-4-i-letterati-e-la-scena/Rozzoni.pdf (1° luglio 2020); I. Campeggiani, I pericoli del matrimonio. Qualche tessera per la satira V di Ariosto (senza dimenticare le altre), in Il dialogo creativo. Studi per Lina Bolzoni, Lucca 2018, pp. 279-289; L. Ariosto, Satire, a cura di E. Russo, Roma 2019, passim. Sulle medaglie che lo ritraggono si vedano: Museum Mazzuchellianum, Venezia 1761, tab. XXXVIII 1; Trésor de numismatique et de glyptique, Paris 1836, p. 35.