VISENTINI, Antonio
Nacque a Venezia il 21 novembre 1688, primogenito di otto figli, in una famiglia modesta: il padre Melchiorre di Antonio era barbiere, la madre Vittoria figlia di un falegname, Marco Dal Corso. Antonio fu battezzato e sepolto nella parrocchiale di S. Canziano (Canaletto, 1986, pp. 372-387, nn. 1, 48), nella cui contrada sembra abbia abitato per tutta la vita (in campiello della Madonnetta), senza prendere moglie. Nel testamento del 1768 indicò come eredi dei suoi modesti averi alcuni tra i nipoti, e lasciò i propri scritti a Marco Beati, figlio della sorella Anna (ibid., n. 36). James Wyatt lo descrisse come «a very temperate man, [who] went to bed and rose with the sun» (Watson, 1950, p. 351).
Visentini fu «uno dei più castigati architetti» della Venezia del tempo (Memmo, 1786), ma la sua opera testimonia in modo esemplare come l’architettura si esprimesse allora ben oltre l’aspetto costruttivo. Fu piuttosto un professionista del disegno: pittore, incisore e grafico, autore di scritti sull’architettura e la prospettiva, infine insegnante per queste materie presso la pubblica Accademia di pittura scultura e architettura di Venezia. Le notizie che si possiedono sono principalmente legate alla sua opera di incisore (Canaletto, 1986, pp. 372-387) e ai rapporti con Joseph Smith (morto nel 1770), console britannico tra il 1744 e il 1760 ma residente a Venezia fin dai primi anni del secolo, il quale – imprenditore, collezionista, intermediario d’arte e personalità di riferimento per gli artisti italiani operanti all’estero e per gli stranieri che toccavano la città lagunare – fu il suo principale committente e sembra aver indirizzato sensibilmente i suoi interessi (Vivian, 1971; Haskell, 1980, 2019; Da Raffaello a Canaletto, 1990).
Pietro Guarienti (che potrebbe averlo conosciuto personalmente) afferma che Visentini apprese l’arte della pittura da Giovanni Antonio Pellegrini (Guarienti, 1753). L’apprendistato si dovrebbe collocare tra il 1696 e il 1708, quando Pellegrini fu a Venezia prima di lasciare nuovamente la città insieme a Marco Ricci seguendo il ritorno in patria dell’ambasciatore Charles Montagu, duca di Manchester. Forse con Pellegrini Visentini si avviò anche agli studi di prospettiva, quadratura e architettura (Knox, 1995, p. 45). Entrambi lavorarono al Santo di Padova nel 1732 (p. 200). Dal 1711 Visentini è registrato come maestro nel Collegio dei pittori e ne divenne priore nel 1726 (Favaro, 1975).
Fin dall’avvio, la sua carriera mostra un forte coinvolgimento nel mercato d’arte del collezionismo degli intendenti stranieri (Modesti, 2010; Martignago 2017-18). Il primo documento noto è un pagamento del 1717 nel libro di spese del grand tour di Thomas Coke (1697-1759), una commissione non meglio precisata eseguita con l’intermediazione di Smith (Vivian, 1963b, p. 342; Modesti, 2010, p. 116). È questa la prima attestazione di rapporti tra Visentini e Smith, ma i rapporti con l’ambiente internazionale potrebbero essere precedenti, nati grazie ai contatti esteri di Pellegrini. Anche la prima opera datata di Visentini sembra legata al turismo d’élite. Nel 1726 pubblicò undici tavole di rilievo della basilica di S. Marco incise da Vincenzo Mariotti, opera per la quale, come «professore di architettura e quadratura», aveva presentato richiesta di privilegio il 31 luglio 1722, e per incisioni «di altri templi magnifici della Dominante» di cui non resta traccia (Canaletto, 1986, p. 372, n. 3 e passim; Modesti, 2012, pp. 191 s.). Le lastre furono poi stampate di nuovo da Antonio Zatta nel 1761 (L’augusta ducale Basilica, 1991). Esistono almeno cinque disegni preparatori (Marcon, 2008; Modesti, 2012, p. 199 nota 6). Il rilievo comportò un complesso e lungo lavoro di cui nulla si conosce, e perciò è rilevante l’ipotesi che Visentini abbia accompagnato John Talman nelle sue visite a S. Marco tra il 1713 e il 1716, quando l’architetto inglese compì il primo rilievo noto, molto accurato, di numerose parti dell’edificio (Hopkins, 2019). Fino agli anni Settanta, Visentini fu in contatto con architetti e intendenti stranieri (Modesti, 2010, passim).
Sul finire degli anni Venti fu impegnato da Smith nell’esecuzione di acqueforti derivate da dipinti di Canaletto: il Prospectus Magni Canalis Venetiarum, pubblicato nel 1735 (Levey, 1962; Le prospettive, 1984; Canaletto, 1986, passim; Il Canal Grande, 1988), era in buona parte concluso già nel 1730 (Watson, 1950, p. 351 nota 2; Montecuccoli degli Erri, 1980; e 1981). La raccolta fu ampliata nel 1742 (Urbis Venetiarum prospectus celebriores) con vedute di campi e chiese tratte da dipinti di Canaletto e altri (Succi, 1999). Si conservano i rami (I rami, 1990) e oltre un centinaio di schizzi e disegni preparatori (Links, 1969; Bleyl, 1983; Canaletto, 2005; Cunsolo, 2016). Se Visentini si considera principalmente un incisore, lo si deve al successo di queste raccolte insieme ai lavori di illustratore per la stamperia di Giambattista Pasquali (è di Visentini la marca Pasquali Literarum Felicitas), il quale, dal 1736, lavorò in società con Smith, con sede nella sua casa sul Canal Grande (Vivian, 1971, pp. 95-122). Tra i volumi illustrati da Visentini è Dell’Istoria d’Italia di Francesco Guicciardini (1738), il cui apparato di immagini fu pubblicato poi autonomamente con il titolo Isolario Veneto (1777; Isolario, 2002). Anche Giovanni Poleni, in diverse occasioni, si avvalse di Visentini per illustrare i propri studi (Vivian, 1963a; Delneri, 1988b). L’editoria e Smith misero Visentini in contatto con molte personalità del mondo artistico, scientifico, erudito e accademico: Antonio Conti, Anton Francesco Gori, Scipione Maffei, Andrea Memmo, Tommaso Temanza, Apostolo Zeno, Anton Maria Zanetti il Vecchio e il Giovane, ma è difficile distinguere le relazioni dirette e personali da quelle comuni e occasionali.
Negli anni Trenta Visentini realizzò alcune opere di pittura databili con sicurezza: una commissione pubblica, 1733 (Bassi, 1962, p. 373); e gli otto «quadroni da portego» in palazzo Contarini Fasan a Venezia, con episodi di vita in villa entro prospettive architettoniche di grande sfarzo scenografico, 1739-40 (Canaletto, 1986, pp. 53-69). Molto probabilmente iniziò allora a scrivere e a insegnare architettura e prospettiva (porta la data 1733 un suo libro di architettura manoscritto: Canaletto, 1986, p. 357) e realizzò alcuni tra i suoi pochi lavori di architettura costruita (Illuminismo e architettura, 1969, p. 69): forse la ristrutturazione di villa Smith a Mogliano Veneto, dal 1727 affittata e poi acquistata da Smith tra il 1732 e il 1741 (oggi distrutta, documentata da otto suoi disegni a Windsor: Knox, 1996; Montecuccoli degli Erri, 1997; Lenzo, 2018); le case Michiel (1736); l’ammodernamento di palazzo Contarini Fasan (Pedrocco, 2002, p. 214). Seguirono a Venezia la facciata di palazzo Smith (già Balbi), terminata nel 1751 (Vivian, 1971, p. 48), e nel 1766 i lavori a palazzo Coletti Giusti (Bassi, 1962, p. 364).
Al nome di Visentini sono tradizionalmente legati più di mille disegni di architettura (Lang, 1953; Blunt-Croft-Murray, 1957; Blunt, 1971), la cui attribuzione appare oggi da rivedere insieme alla datazione, alle finalità, alla trasmissione dei fogli e ai nomi degli esecutori materiali (Modesti, 2010; e 2012; Martignago, 2017-18), in particolare per i fogli conservati al Royal Institute of British architects e in altre raccolte, recentemente individuati (McAndrew, 1974; Modesti, 2012, pp. 195-197). Il nucleo più consistente proviene dalla collezione Smith, venduta a re Giorgio III nel 1762: i tre volumi che portano il titolo Admiranda Urbis Venetae (British Library, 71.i.1-3); l’unico autografo (British Library, King’s MS 146) che contiene le ricostruzioni degli apparati palladiani per la visita di Enrico III di Francia a Venezia nel 1574; i disegni a Windsor, Royal Collection: gli Admiranda Artis Architecturae Varia (187 A/13, Harris, 1984) e 24 fogli sciolti (inv. 19288-19311), forse già in volume. In maggior parte si tratta di trascrizioni tecniche in pianta e prospetto, impersonali e astratte, principalmente relative a edifici veneziani e di area veneta, che possono anche contribuire alla storia dei manufatti che rappresentano (Bassi, 1987; e 1997; Olivato, 1972). La datazione si appoggia alla richiesta ufficiale che Visentini fece nel 1744 per la pubblicazione di vari templi di Venezia, mai portata a termine (Canaletto, 1986, p. 377, n. 21).
Questo corpus grafico, interpretato come una sorta di idealizzazione neopalladiana dell’architettura cittadina (Bassi, 1964, p. 285), e le pitture degli anni Quaranta costituiscono i caposaldi dell’interesse di Visentini per l’architettura di Andrea Palladio (Lenzo, 2012, pp. 162 s.; Modesti, 2010). I dipinti sono opere su commissione, che riflettono programmi altrui utilizzando l’abilità di Visentini nella rappresentazione dell’architettura: Francesco Algarotti gli commissionò nel 1744-45 le due vedute di S. Francesco della Vigna e dell’interno del Redentore, alle quali lavorarono anche Francesco Zuccarelli e Giambattista Tiepolo (Lanzi, 1795-1796; Witt, 1931; Canaletto, 1986, pp. 65-76; 87-94; Modesti, 2010; Pastres, 2015); arrivò invece da Smith, nel 1746, l’incarico per gli undici «capricci» con architetture inglesi desunte dal Vitruvius Britannicus e dai Designs of Inigo Jonesdi William Kent (Blunt, 1958; Vivian, 1963c; Canaletto, 1986, pp. 73-78; Delneri, 1988a, pp. 240-242; Garms, 2002), sovrapporte realizzate con Zuccarelli, che si aggiunsero alle tredici con fabbriche palladiane già dipinte da Canaletto (1743-44). Quasi contemporaneamente uscì la rara Raccolta di vari schizi de ornati, ancora in collaborazione con Zuccarelli (1747, altra ed. Londra 1753; integralmente pubblicata in Canaletto, 1986, pp. 274-297), un repertorio di splendide decorazioni che esprimono un gusto opposto a quello classicista.
Altri dipinti non sono stati finora individuati, come quelli già in possesso di Sante della Valentina (Delneri, 1987); altri risultano dispersi, come le due rappresentazioni delle rovine di Baalbek e di Palmira vendute a Patrick Home nel 1773 (Vivian, 1971, p. 136; Da Raffaello a Canaletto, 1990, p. 40); altri ancora si vanno aggiungendo (Ruggeri, 2000; Pedrocco, 2002), seguendo le indicazioni stilistiche della critica del Novecento (Delneri, 1988a; Pallucchini, 1996).
Nel 1761 fu istituito l’insegnamento di architettura all’Accademia di pittura scultura e architettura di Venezia. Visentini fece parte dell’istituzione fin dall’avvio della sua attività e fu più volte incaricato di questo insegnamento (1761, 1766), che tuttavia sembra tenuto con una certa irregolarità fino al suo mandato tra 1772 e 1778 (Bassi, 1941; Molteni, 2012; L'Accademia di belle arti, 2015). Diversi scritti sull’architettura rimasti inediti si associano all’insegnamento (Bassi, 1962, pp. 359-372; Vivian, 1963b; Toesca, 1966; Canaletto, 1986, pp. 357-360), anche se alcuni sembrano più adatti a un pubblico di connaisseurs. I più importanti sono il Contra Rusconi e il trattato di prospettiva della Biblioteca Vaticana (Vat. lat. 8482), entrambi splendidamente illustrati (Delneri, 1987).
Nel 1767 Pasquali pubblicò, con il finanziamento di Smith e incisioni di Visentini, l’inedito trattato di Teofilo Gallaccini (1564-1641), forse giunto in Veneto grazie ad Alessandro Pompei (Comolli, 1792; Payne, 1999), e seguito a breve dalle Osservazioni di Antonio Visentini che servono di continuazione al trattato di Teofilo Gallaccini sopra gli errori degli architetti (1771; Bassi, 1986; McReynolds, 2009, pp. 117-127; Fontana, 2011). L’opera s’inserisce nel filone della critica architettonica settecentesca di matrice funzionalista, ma le pedanti censure di Visentini si fondano soprattutto sul binomio vitruviano natura e architettura e sull’autorità degli esempi della storia, aggiornata fino alle più recenti pubblicazioni su Atene, Palmira e Baalbek.
Morì a Venezia il 26 giugno 1782, all’età di 94 anni (Canaletto, 1986, p. 384, n. 48).
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