Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Vissuto a Venezia nella prigma metà del Settecento, Vivaldi ha dato contributi importanti in tutti i principali generi musicali. Tuttavia, la sua fama e la sua importanza restano essenzialmente legate ai concerti, che hanno esercitato una decisiva influenza su Johann Sebastian Bach.
Venezia
Al tempo di Antonio Vivaldi, la Repubblica di Venezia è già da qualche tempo avviata al declino politico. Dopo esser stata il principale baluardo dell’Europa contro i Turchi ed essersi espansa verso Oriente, subisce ora il crescente peso delle potenze nazionali, in particolare dell’Impero asburgico. L’evento militare fondamentale di questi anni, la pace di Passarowitz (1718), che segna la fine dell’ultima guerra con la Turchia, è in realtà un’operazione compiuta dall’Austria, che ne ricava notevoli vantaggi territoriali, mentre Venezia ne è sostanzialmente spettatrice passiva.
A dispetto del declino politico, per Venezia il Settecento rappresenta una grande stagione culturale, soprattutto nel campo delle arti figurative: è l’epoca dell’architetto Giorgio Massari, che edifica, tra l’altro, Palazzo Grassi e la chiesa dei Gesuati, e dei pittori Giambattista Tiepolo, Giovanni Antonio Canal, detto il Canaletto e, più tardi, Francesco Guardi.
Musicalmente, l’ambiente nel quale si forma Vivaldi è quello consolidatosi nel corso del XVII secolo. Il teatro dell’opera vi ha un ruolo fondamentale: alla fine del Seicento ben otto teatri veneziani si dedicano esclusivamente al melodramma. La cattedrale di San Marco, che un tempo ha avuto come maestri di cappella o organisti, musicisti del calibro di Adriano Willaert, Cipriano de Rore, Andrea e Giovanni Gabrieli e Claudio Monteverdi, mantiene ancora un notevole prestigio, grazie all’opera di Giovanni Legrenzi, Carlo Francesco Pollarolo e Antonio Lotti. Presso l’Ospedale della Pietà, inoltre, è attivo in qualità di maestro di coro il toscano Francesco Gasparini. Assai fiorente, infine, è l’arte della liuteria: a Venezia lavora, tra gli altri, un membro della famiglia cremonese dei Guarneri, Pietro (1695-1762), fratello del celebre Giuseppe Guarneri “del Gesù”.
Il fenomeno più rilevante, in relazione al ruolo di Vivaldi, è costituito tuttavia dal fiorire della musica strumentale nell’ambito dei grandi ospedali veneziani.
Gli “Ospedali” e la Pietà
Le guerre frequenti, le carestie e le epidemie riempiono da sempre Venezia di orfani e trovatelli; fin dal XIV secolo esistono pertanto degli orfanotrofi, che assumono col tempo il nome di ospedali. Un notevole impulso all’attività di tali istituzioni viene impresso dalla Controriforma: nel Cinquecento si fondano nuovi ospedali e se ne riorganizza l’attività educativa. Al tempo di Vivaldi gli ospedali attivi sono quattro, due di origine medievale (i Mendicanti e la Pietà), e due di istituzione cinquecentesca (gli Incurabili e l’Ospedaletto); essi beneficiano del sostegno economico dei privati e ricadono sotto il controllo amministrativo e istituzionale del governo veneto.
Il collegio della Pietà è esclusivamente femminile e le “putte”, conformemente ai dettami controriformisti, vi ricevono un’educazione quasi monastica.
Fra le attività didattiche dell’ospedale, la musica occupa fin dal XVI secolo un posto fondamentale, soprattutto in relazione al servizio liturgico: presso l’istituto è attivo pertanto un coro e, nel corso del Seicento, conformemente all’evoluzione della prassi musicale, acquista un peso crescente l’insegnamento degli strumenti. Fra i motivi dell’importanza attribuita all’istruzione musicale possiamo annoverare, oltre al ruolo educativo assegnato alla disciplina dal clima culturale successivo al concilio di Trento, anche ragioni di natura economica.
Poter far fronte alle esigenze della liturgia dell’ospedale con forze proprie consente un notevole risparmio; le esibizioni musicali, inoltre, sollecitano l’attenzione dei privati nei confronti dell’istituzione. A questo proposito è interessante ricordare come, nel corso del Settecento, si consolidi l’uso di affittare i banchi (i cosiddetti “scagni”) ai devoti che assistono alle funzioni nelle chiese annesse agli ospedali.
Alla Pietà le coriste vengono selezionate con rigore (la scelta avviene dopo una votazione, detta “ballotatione”) e affidate a una maestra scelta fra le ospiti più anziane. Ci si avvale poi di collaboratori di vario genere: fra i salariati fissi troviamo l’“organaro” e l’“agiusta spinete”, mentre fra gli esterni, assunti cioè a contratto, si annoverano il maestro di coro (carica ricoperta all’epoca di Vivaldi, come si è detto, da Francesco Gasparini) e i vari maestri di strumenti. Il 1° settembre 1703 Antonio Vivaldi, che da pochi mesi è stato ordinato sacerdote, viene chiamato dal Pio Ospedale della Pietà come maestro di violino. Più tardi, nel 1716, il suo ruolo si trasforma in quello di “maestro di concerti”, con un impegno più limitato sul versante didattico, ma con più obblighi su quello compositivo. D’altro canto, le frequenti malattie di Gasparini lo hanno già reso de facto direttore del seminario musicale.
Il “prete rosso”: la vita e le opere
Vivaldi, detto il “prete rosso” a causa della sua capigliatura, è un sacerdote particolare che a un certo punto della sua vita non celebrerà più alcuna funzione.
Anche se qualcuno ha voluto interpretare tale atteggiamento come una sorta di disinteresse per l’attività pastorale, i biografi tendono ad accreditare la tesi secondo la quale a impedire a Vivaldi di celebrare messa è una grave forma di angina pectoris; malattia che, tuttavia, non sembra ostacolare né l’attività di concertista, né quella di operista-impresario giramondo. Sta di fatto che quella di Vivaldi è una personalità complessa. Profondamente religioso (accoglie Goldoni con il breviario in mano), è tuttavia perfettamente immerso nel secolo: sa amministrare la sua professione ed è incline alla vita dei sentimenti. La sua relazione con la cantante Anna Giraud gli crea non poche noie: nel 1737, mentre si trova a Ferrara per seguire l’allestimento di una sua opera, il nunzio apostolico gli interdice, a nome del cardinal Ruffo, ogni attività in quella sede, “e ciò”, come riferisce Vivaldi stesso, “stante essere io religioso che non dice messa, e perché ho l’amicizia con la Girò cantatrice”. Da quest’episodio Vivaldi esce molto indebolito ed è l’inizio del suo declino, che lo porterà a Vienna dove muore il 28 luglio 1741, povero e dimenticato.
La musica strumentale
Il catalogo vivaldiano conta oltre 400 concerti, una metà circa dei quali è costituita da composizioni con violino solista. Ad essi si devono aggiungere le oltre 70 sonate per strumenti vari.
Nel genere del concerto Vivaldi fissa definitivamente alcuni tratti formali, melodico-armonici e ritmici, che segnano un netto distacco della sua opera rispetto al concerto grosso di ascendenza corelliana. Tanto nei concerti solistici quanto nelle composizioni a più strumenti, Vivaldi mostra una fantasia timbrica inedita: mentre il concertino di Corelli è composto dall’organico della sonata a tre, ossia da due violini e basso continuo, Vivaldi sperimenta le combinazioni più varie, dando spazio anche agli strumenti a fiato (flauto a becco, flauto traverso, oboe, fagotto e perfino clarinetto). Ma è soprattutto il genere del concerto violinistico, al quale appartengono anche le celeberrime Quattro stagioni (dalla raccolta opera ottava Il cimento dell’armonia e dell’invenzione), a confermare l’importanza storica e artistica di Vivaldi: con le sue composizioni il musicista veneziano, grande violinista egli stesso, dà un notevole impulso al virtuosismo, lanciando sempre nuove sfide tecniche ed espressive allo strumento. È a partire da Vivaldi che, attraverso Locatelli e Tartini, si sviluppa quella scuola violinistica italiana i cui echi giungeranno fino al XIX secolo.
Per quanto concerne l’impianto formale del concerto solistico, Vivaldi sanziona definitivamente per il primo movimento l’alternanza regolata delle sezioni di ritornello (eseguite dal “tutti” orchestrale, in genere in numero di quattro) e “solo” (dove il solista è sostenuto dal basso continuo, con al massimo alcuni sporadici interventi dell’orchestra).
La fama di Vivaldi come compositore di musica strumentale assume ben presto dimensione internazionale e viene definitivamente sancita nel 1711, con la pubblicazione, da parte dell’editore Estienne Roger di Amsterdam, della sua opera terza, la celebre raccolta di concerti L’estro armonico. Anche le numerose visite a Venezia di nobili stranieri rafforzano la fama europea di Vivaldi; in particolare, nel 1716 giunge nella città lagunare Federico Augusto II, futuro principe elettore di Sassonia e re di Polonia, che reca con sé da Dresda il violinistaJohann Georg Pisendel, destinato a divenire grande amico di Vivaldi, nonché dedicatario di alcune sue composizioni.
L’assetto formale prestabilito e la relativa semplificazione del linguaggio armonico rispetto a quanto avveniva nel tardo Seicento garantiscono al concerto vivaldiano una sorta di formulario. Ciò ha condotto alcuni commentatori malevoli, tra i quali Stravinskij, a parlare di Vivaldi come di un musicista che ha scritto per centinaia di volte il medesimo concerto. Ma il ventaglio delle variazioni microformali, melodiche e ritmiche, possibili all’interno di questo formulario, è di ampiezza considerevole e rende il corpus dei concerti vivaldiani un organismo più vario di quanto si sia spesso ritenuto.
L’opera
Il 1713 segna l’inizio dell’attività come operista del trentacinquenne Vivaldi: a Vicenza si rappresenta infatti il suo Ottone in villa e successivamente, a partire dall’Orlando finto pazzo, le sue opere vengono accolte anche nei prestigiosi teatri veneziani. Secondo il costume del tempo, il musicista si trasforma ben presto nell’impresario di se stesso, mostrandosi decisamente abile nel muoversi in mezzo agli intrighi del teatro d’opera. A questa sua attività sono legate le frequenti assenze di Vivaldi dalla Pietà: il musicista gira infatti l’Italia per seguire le sue opere.
All’attività operistica di Vivaldi è legato anche l’incontro con Carlo Goldoni, avvenuto nel 1735: il giovane scrittore è stato incaricato di rivedere per lui il testo della Griselda di Apostolo Zeno.
La rapidità con la quale Goldoni versifica lascia il “prete rosso” non poco stupito.
Il giudizio su Vivaldi come musicista teatrale divide i contemporanei: stando alle cronache si deve inferire che il successo di pubblico è grande, ma i commentatori esperti vedono in lui un operista di routine ed esprimono giudizi negativi non esenti da un certo moralismo. Fra le critiche negative, che registrano anche la censura del compositore e flautista Johann Joachim Quantz, per altri versi ammiratore e debitore di Vivaldi, spicca la satira di Benedetto Marcello Il teatro alla moda (1720), dove l’autore stigmatizza la vita teatrale del suo tempo, facendo esplicito riferimento a Vivaldi, il cui nome viene appena celato attraverso l’anagramma Aldiviva.
In tempi recenti è stata avviata una valutazione più attenta del Vivaldi operista, e se ne cominciano a mettere in luce i pregi: in particolare, un ruolo tutt’altro che trascurabile dell’orchestra nelle arie e un impulso notevole alla definizione espressiva dell’aria stessa, che riceve stimoli anche dalla produzione strumentale del musicista.
La musica sacra
La scoperta della produzione sacra vivaldiana è recente ed è conseguenza del reperimento di alcune fonti manoscritte ora conservate presso la Biblioteca Nazionale di Torino. L’impegno di Vivaldi su questo versante è probabilmente legato alle assenze per malattia dal Pio ospedale della Pietà del maestro di coro Francesco Gasparini.
Fra le composizioni sacre di Vivaldi hanno un particolare rilievo le sezioni dell’ordinario della messa e i salmi. L’analisi del Gloria in Re maggiore, per esempio, mette in risalto una concezione architettonica grandiosa e, in generale, le esigenze d’organico di questa produzione oltrepassano i mezzi di cui Vivaldi dispone alla Pietà. D’altro canto, la sua fama rende le sue composizioni sacre sempre più richieste per le celebrazioni importanti; nel 1727 un Te Deum vivaldiano risuona durante un ricevimento dell’ambasciatore francese a Venezia.
L’oratorio Juditha triumphans, l’unica composizione vivaldiana del genere di cui ci sia giunta la partitura, viene composto per celebrare una vittoria di Venezia sui Turchi ed è considerato unanimemente un capolavoro.
La fortuna
Quando Vivaldi muore, nel 1741, la sua fama è già oscurata: nel 1787 Goldoni scrive nei suoi Mémoires che si trattava di un “compositore mediocre”. Un primo accenno all’importanza storica di Vivaldi si ha solo nel 1802, ed è contenuto nella prima grande monografia su Bach scritta da Johann Nikolaus Forkel. Quest’ultimo rileva come i concerti vivaldiani siano serviti da guida a Bach, che “ne studiò la condotta delle idee, i rapporti fra le medesime, l’avvicendarsi delle modulazioni e molte altre cose ancora”. Se dunque la “Vivaldi-renaissance” è un fenomeno che si manifesta solo a partire dagli inizi del XX secolo, già la musicologia ottocentesca ha modo di cimentarsi con le trascrizioni di concerti vivaldiani realizzate da Bach.
Tra il 1708 e il 1717 Bach è organista presso il duca di Weimar; qui si forma un sodalizio tra lui, Telemann e Walther, sodalizio che è probabilmente alla base di un approfondito studio delle opere strumentali dei maestri italiani.
Di Vivaldi, Bach trascrive 20 concerti, in parte per organo e in parte per clavicembalo. Molto diffusa nel repertorio odierno è la trascrizione per quattro clavicembali e orchestra d’archi del concerto in Si minore per quattro violini da L’estro armonico.
Nel trascrivere i concertivivaldiani, Bach mantiene sempre desto il suo senso critico, modificando e adattando qua e là alcuni passi. Tuttavia, il debito del musicista tedesco nei confronti di Vivaldi si rivela notevole. In particolare, come ha scritto Walter Kolneder (1965), Bach deve al suo modello italiano