WINSPEARE, Antonio
– Nacque a Potenza il 23 maggio 1840 da Eduardo e da Maria Giuseppa Leonetti.
Educato a Napoli presso il collegio di S. Carlo alle Mortelle, completò gli studi giuridici e coltivò l’apprendimento delle lingue inglese e francese. L’avvio al percorso lavorativo fu agevolato dal metodo della cooptazione già sperimentato con successo nella tradizione familiare. Nel novembre 1859, il padre, direttore generale a Napoli del Registro e Bollo, «implorò» per il figlio Antonio un posto di consigliere di intendenza nell’amministrazione provinciale, facendo valere i prerequisiti formativi, ma anche le doti morali per le quali invocò come garanzia la stessa appartenenza alla famiglia Winspeare (Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale del personale, f. A. Winspeare).
Il capostipite, il primo Antonio (v. la voce in questo Dizionario), suddito del Regno di Napoli, appartenente a un ramo inglese trapiantato in Italia, padre a fine Settecento di dodici figli (su quattordici nati), di cui sei maschi da destinare alle occupazioni, si era posto con lucidità il problema di costruire l’avvenire con esiti possibili di ‘grandi carriere’ nel campo militare, amministrativo, nell’ordine giudiziario e di pensarle con l’obiettivo di resistere agli avvicendamenti di regime, alle rivoluzioni, ai crolli. Egli stesso aveva alle spalle un curriculum prestigioso: educazione militare, carriera nel genio, abilità nel ‘mestiere’ di ingegnere sperimentate nei progetti urbanistici di Ponza e Ventotene, nelle missioni in Calabria, nella giunta degli ingegneri. Dal 1795 fu preside di provincia, conobbe la macchina governativa e amministrativa, ebbe intense relazioni, fu intimo del ministro molisano Giuseppe Zurlo. Modello familiare per le generazioni successive, fu un intellettuale dai molteplici interessi, umanistici e scientifici, con attitudine a un metodo rigoroso di osservazione, di abitudine alla sistematicità da applicare allo svolgimento degli incarichi. Per costruire l’avvenire professionale dei figli puntò su più ‘fondamentali’: solidità culturale; validità della opzione in base alle attitudini; pratiche per agevolarla; contatti efficaci per imboccarla e percorrerla. Fece anche in tempo a constatare gli esiti virtuosi che portarono visibilità al cognome con i successi conseguiti da due dei figli: il titolo nobiliare nel 1814 per i servizi resi dal giurista Davide (v. la voce in questo Dizionario) nella commissione feudale; l’onore delle armi e la fama – nello stesso periodo – negli ambienti militari internazionali per i meriti acquisiti da Roberto nell’armata russa. «Governatori - Ministri - Ambasciatori - Generali - Magistrati, tutti portando lo stesso nome e tutti illustri» (Rizzo, 2004, p. 8) avrebbe detto a fine Ottocento un esponente della famiglia facendo il bilancio della presenza e dei posti di responsabilità ricoperti per un secolo e mezzo sotto governi diversi, dove la ricollocazione fu fatta valere per le solide professionalità. Rimase delicato il problema delle transizioni tanto è vero che Davide (il ‘grande barone’ come fu chiamato dai discendenti) si preoccupò di offrire solidità e basi economiche alla trasmissione del cognome con la costituzione di un asse patrimoniale che potesse dare una sorta di tranquillità economica, vissuta come lievito fertile di altri importanti valori: soprattutto autonomia e indipendenza. La famiglia si trovò infatti esposta a quelli che lo stesso capostipite chiamò i «non interrotti» sconvolgimenti: dai Borbone alla Repubblica; dal periodo rivoluzionario alla prima Restaurazione; dall’avvento della monarchia francese al ritorno dei Borbone nel 1815. E ancora la caduta del Regno delle Due Sicilie e la formazione dell’Italia unita.
Fu proprio nel pieno della crisi della monarchia borbonica che il 31 marzo 1860 con decreto del sovrano, il nipote omonimo del capostipite, Antonio Winspeare, fu nominato «consigliere senza soldo» dell’intendenza di Principato Citeriore e nel luglio dello stesso anno fu trasferito in Terra di Lavoro. Caduti i Borbone, durante il periodo della luogotenenza, il padre Eduardo chiese a Liborio Romano il «compenso» per il figlio, il passaggio cioè da volontario a stipendiato (Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale del personale, f. A. Winspeare, lettera di Eduardo Winspeare a Liborio Romano, 1° febbraio 1861). Nella domanda usò toni e pressioni di chi voleva rivendicare un ruolo nella continuità dell’ordinamento amministrativo in nome delle esperienze acquisite, al di là del diverso interlocutore politico; non a caso ricordò la circostanza di essere stato per cinquantadue anni un «impiegato» «al servizio dello Stato». Seguirono per il figlio una serie di incarichi retribuiti «in via straordinaria»: nel marzo del 1861 il giovane fu mandato in missione a Sora, poi da giugno e per tre mesi come delegato straordinario a Pontecorvo, da settembre a Sant’Angelo dei Lombardi.
Nell’archivio di famiglia a Depressa, nel leccese, sono custoditi i fogli manoscritti relativi ai ricordi di alcuni periodi della sua carriera e dell’attività prefettizia. Le «memorie» (come egli stesso le definì), discontinue, si riferiscono all’inizio dell’attività lavorativa, agli anni Sessanta, e poi a tutti gli anni Novanta fino all’abbandono della sede di Milano e al trasferimento a Venezia. Dai loro contenuti e dai documenti conservati nel già citato fascicolo personale presso l’Archivio centrale dello Stato, emergono una serie di elementi che fanno riflettere su un triplice ordine di problemi: sulla costruzione e progressione della carriera; sul lavoro svolto e sul tipo di operato che egli preferì ricordare; sul rapporto funzione pubblica/sfera privata. Se ne ricava una particolare propensione per il ruolo politico di cerniera tra il centro e le periferia rispetto alle altre numerose attività legate all’istituto prefettizio.
Per le progressioni di carriera e i cambi di sede per Winspeare diventarono una costante più iniziative: quella personale fino ai contatti con il presidente del Consiglio; gli interventi della famiglia; quella di amici e conoscenti influenti; il tentativo di mettere comunque in discussione gli ordini ricevuti cercando anche gli appoggi degli ambienti di corte, del ministro della Real Casa Urbano Rattazzi di cui era amico e lo stesso ascolto diretto del sovrano dal quale era ricevuto in udienza. Rivendicò sempre come titolo di merito quello di aver operato negli eroici anni Sessanta: nominato consigliere effettivo presso la prefettura di Campobasso nel novembre 1861, nel marzo 1863 fu direttore per le operazioni demaniali comunali nella provincia molisana; nel 1867 reggente della sottoprefettura di Rossano e poi di Bovino, da dove nel 1868 fu trasferito a Sant’Angelo dei Lombardi. Per Winspeare l’agognata promozione a sottoprefetto giunse nel gennaio 1870 con destinazione Nuoro e quella a effettivo nello stesso incarico nel 1872, anno in cui nel novembre sposò la contessa Albina Guicciardi, con la quale avrebbe avuto cinque figli (Giuseppina, Edoardo Carlo, Maria, Cesare, Sidonia).
Per tutti gli anni Settanta Winspeare scalò i gradini della carriera di consigliere e nell’aprile 1881 fu nominato prefetto di Forlì; come titolare di sedi di terza fu anche nei capoluoghi di Caserta, Modena e Alessandria. Nel febbraio 1890 fu promosso prefetto di seconda e destinato a Palermo. Le sedi ricoperte successivamente furono quelle di Torino (dal 1° aprile 1891) e poi dal febbraio 1893 quella di Milano, dove ricevette il 22 settembre la promozione a prefetto di prima classe.
Nell’aprile del 1890 era stato insignito dell’onorificenza di commendatore dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro per l’opera svolta nell’inchiesta sulle condizioni del Comune di Roma, mentre nel gennaio 1893 gli fu attribuita la decorazione di grande ufficiale.
Durante e a fine carriera, due furono soprattutto le stagioni e le problematiche su cui preferì soffermarsi: il lavoro compiuto rispetto al perdurare di episodi di brigantaggio e, per altro verso, il travaglio vissuto a Milano, con particolare riferimento agli anni 1896-98. Due richiami ugualmente significativi per la difesa – a suo giudizio – delle istituzioni: Winspeare appartenne alla generazione dei funzionari selezionati nelle regioni meridionali per le qualità dimostrate contro i fenomeni banditeschi, la cui presenza andò ben al di là della metà degli anni Sessanta. Da questo punto di vista rivendicò un ruolo di protagonista in una fase ritenuta problematica per l’avvio dello Stato unitario. Alcune sue osservazioni lucide e fondate erano legate ai soggiorni a Sant’Angelo: la prima volta negli ultimi mesi del 1861; la seconda per un periodo più lungo nel 1869. Egli sottolineò con un giudizio scevro da generalizzazioni come il brigantaggio fosse «la manifestazione di cause diverse da tempo a tempo e da luogo a luogo, e fosse esercitato con metodi diversi, secondo i quali occorreva scegliere i mezzi atti a combatterlo» poiché «credere alla uniformità delle cosa» produceva spesso «anche la uniformità dei metodi per combattere ed estirpare tale cancrena» (Depressa [Tricase], Archivio Winspeare, b. Antonio Winspeare, prefetto di Milano, Memorie 1869, pp. 10 s.), con pregiudizio dell’esercizio della stessa autorità dello Stato. Una categoria questa legata alla difesa delle istituzioni, sulla quale sarebbe ritornato (quando ormai nell’ambiente era quotato come il ‘primo’ tra i prefetti) nella difficile congiuntura degli anni Novanta a Milano.
Nel marzo del 1896 dopo la sconfitta di Adua, Winspeare riuscì a gestire (con «successo» a suo parere) le convulse giornate del moto anticrispino: sia quella del 3 marzo, quando una folla di migliaia di persone si riversò per le strade del centro chiedendo la fine della guerra e la caduta del ministero, sia quella del 4 marzo quando numerosi cittadini occuparono la stazione centrale e minacciarono di svellere i binari per evitare movimenti dei militari. Fatti gravi ma non eventi di una temuta piega rivoluzionaria che il moto milanese avrebbe potuto prendere con inevitabili ripercussioni sul resto del Paese.
Passato indenne attraverso i tormentati rapporti con Francesco Crispi, rispetto al quale fu in un certo senso protetto dalla stessa Milano, Winspeare fu travolto dalla bufera del 1898 con presidente del Consiglio Antonio di Rudinì, un «amico» imparentato indirettamente con la sua stessa famiglia. Le loro relazioni furono intense. Nel dicembre del 1896 di Rudinì chiese al prefetto una collaborazione fattiva, uno studio per un’eventuale applicazione del voto plurimo all’elettorato amministrativo milanese (ibid., lettere di Antonio di Rudinì a Winspeare, 4 e 26 dicembre 1896). Winspeare, definito «capacissimo» in materia (Farini, 1962), accettò evidentemente di svolgere il compito affidatogli, dal momento che nelle carte private è conservato l’interessante manoscritto redatto nella forma di un prospetto articolato sulla base dei dati elettorali del 1895 e dei nuovi iscritti nelle liste per il 1896 e il 1897. Della ‘leggina’ per restringere l’elettorato amministrativo ben presto non si parlò più poiché si abbatterono sul Paese e sul governo i moti che dal gennaio 1898 si estesero alle regioni centro-settentrionali assumendo un più marcato carattere politico.
Le giornate del maggio milanese, che videro le rivolte di piazza e gli scontri tra militari e dimostranti il 6 maggio, furono spartiacque per Winspeare poiché l’alto funzionario, accusato di non aver previsto e informato, fu messo «a disposizione». Seguirono al provvedimento più iniziative da parte del prefetto: una lunga difesa del 29 maggio di nove pagine spedita a di Rudinì; un promemoria senza destinatario e senza data, ma inviato sicuramente al nuovo presidente del Consiglio Luigi Girolamo Pelloux; un documentato resoconto scritto nell’agosto dello stesso anno per respingere quelle che riteneva accuse ingiustificate. Il prefetto non accettò dubbi sul suo operato né da parte dell’esecutivo, né dal partito di corte. Pelloux con un telegramma cifrato del 5 agosto gli comunicò che lo avrebbe proposto per la sede di Venezia, dove prese servizio il 1° settembre. Transitato poi per Firenze, fu collocato a riposo nel dicembre 1903.
Terminata l’attività amministrativa, Antonio Winspeare, come si rileva dall’archivio di famiglia, si divise tra una più intensa vita parentale e un impegno intellettuale che spaziò dagli interessi letterari alla riflessione sulle dinamiche sociopolitiche dell’ultimo Ottocento.
Due sono gli articoli manoscritti conservati tra le sue carte con i titoli Condizioni dell’Italia e Questioni sociali, entrambi del 1905. Le altre scritture sono di contenuto diverso: un testo del 1909 dal titolo Napoli ai tempi di Dante per un ciclo di conferenze; un commento ai tre passi della Storia dei Longobardi di Paolo Diacono, quelli utilizzati come fonte da Alessandro Manzoni; nel 1910 una traduzione per l’editore Barbera con introduzione di Pasquale Villari delle corrispondenze del medico svedese Axel Munthe scritte da Napoli per l’epidemia di colera del 1884.
Insieme a tali coinvolgimenti, Winspeare, che continuò a risiedere a Firenze, intensificò le frequentazioni familiari con visite a Napoli e soggiorni a Depressa nel Salento presso il cugino omonimo, attivo erede e custode delle memorie familiari.
Morì a Firenze il 25 agosto 1913.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero del’Interno, Direzione generale del personale, f. A. Winspeare; Gabinetto, Ruoli matricolari Personale, reg. 26, f. 11; Depressa (Tricase), Archivio Winspeare, b. Antonio Winspeare prefetto di Milano (dove sono conservate tutte le carte manoscritte del prefetto, comprese le sue Memorie relative al settembre-dicembre 1861, al 1869, al 1891, al 1892-93, al marzo 1896, al 1898); b. Corrispondenza del prefetto di Milano.
D. Farini, Diario di fine secolo 1896-99, a cura di E. Morelli, Roma 1962, pp. 1087 s.; F. Fonzi, Crispi e lo “Stato di Milano”, Milano 1965, ad ind.; M. Belardinelli, Un esperimento liberal-conservatore: i governi di Rudinì (1896-1898), Roma 1976, ad ind.; A. Canavero, Milano e la crisi di fine secolo (1896-1900), Milano 1976, ad ind.; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d’Italia, Roma 1978, ad ind.; E. Gustapane, I prefetti dell’unificazione amministrativa nelle biografie dell’archivio di Francesco Crispi, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, XXXIV (1984), 4, p. 1085; M.M. Rizzo, Per la storia dei ceti dirigenti tra Otto e Novecento, Galatina 2000, ad ind.; Ead., Potere e «Grandi Carriere». I Winspeare (secc. XVIII-XX), Galatina 2004.