ZOBI, Antonio
ZOBI, Antonio. – Nacque a Tavarnelle Val di Pesa il 15 giugno 1808, secondogenito di Benedetto, fabbro, e da Giustina Taddei. Nel 1817 perse la madre, e il padre si risposò di lì a poco con Rosa Giachi.
Non è chiaro quale sia stato il suo percorso di studi; nel 1828 e poi di nuovo nel 1829 si iscrisse all’Accademia di belle arti di Firenze, ma non frequentò. Nella dedica delle Considerazioni storico-critiche sulla catastrofe di Ugolino della Gherardesca conte di Donoratico (Firenze 1840, p. 4), ringraziò il padre, che a costo di «dure privazioni» lo aveva avviato «agli studi delle arti belle».
Nel 1830 presentò all’Accademia dei Georgofili due relazioni di argomento agronomico e in un’adunanza accademica del 1835 discusse di due macchine olearie da lui stesso progettate, che nel 1837 tentò vanamente di far testare dall’Accademia di belle arti. Fu impiegato come tecnico nel nuovo Catasto generale toscano e come perito in aste giudiziarie di immobili e terreni. Stabilitosi a Firenze forse già negli anni Trenta, pubblicò le Memorie storico-artistiche relative alla cappella della SS. Annunziata nella chiesa dei pp. Serviti di Firenze (Firenze 1837), primo di una serie di studi che lo avvicinarono al poligrafo Melchiorre Missirini e ad artisti operanti in città, come Pietro Benvenuti, Luigi Pampaloni e Luigi Sabatelli, dei quali commentò le opere.
Tra i vari pamphlet storico-artistici di Zobi, citiamo: Descrizione illustrativa delle pitture a buon fresco del prof. Gaspero Martellini nella Cappella della Concezione in S. Croce di Firenze (Firenze 1838), Discorso storico-artistico intorno ad un ritratto rappresentante Michelangelo Buonarroti (Firenze 1842), Descrizione delle pitture a fresco eseguite dal cav. prof. Luigi Sabatelli nella cappella della Madonna in San Firenze. Lettera di A. Zobi al cavalier conte Ambrogio Nava di Milano (Firenze 1846); in quest’opera Zobi si lamentò di essere «da lunga stagione» tormentato da «basse malevolenze» (p.15): parole da mettere forse in relazione con la vendita all’incanto forzata di una casa e due terreni del padre, stabilita dal tribunale di Siena nel 1846.
La prima opera di Zobi ad avere una certa risonanza fu Notizie storiche riguardanti l’I. e R. stabilimento dei lavori di commesso di pietre dure di Firenze (Firenze 1841, 2a ed. 1853), ancora oggi essenziale per lo studio dell’Opificio delle pietre dure, stampata grazie a un rescritto del granduca Leopoldo II (1838). Trascorse un periodo a Roma, tra il 1844 e il 1845, quindi tornò a Firenze. Inaugurò il filone dei suoi studi storico-economici con il Manuale storico delle massime e degli ordinamenti vigenti in Toscana (Firenze 1847), pubblicato su consiglio di Cosimo Ridolfi, presidente dell’Accademia dei Georgofili; il Manuale, che riunì una serie di articoli usciti sul giornale Il Commercio di Firenze, fu concepito «coll’intendimento di diffondere quanto più è possibile le sane dottrine economiche nel popolo toscano» (p.11), in primis la libertà di commercio introdotta in Toscana sotto Pietro Leopoldo; gli fruttò un premio di 50 zecchini, corrisposto dalla Depositeria granducale su segnalazione dei georgofili.
Zobi continuò a occuparsi di storia dell’arte, intervenendo con vari pamphlet in dibattiti che coinvolsero l’opinione pubblica fiorentina, come quelli sulla collocazione del David di Michelangelo, sul cimitero delle Porte Sante e sulla nuova facciata di Santa Croce, cui dedicò quattro polemici articoli usciti sul settimanale Lo Spettatore (1858-1859).
Compose un Catechismo rivoluzionario (Firenze 1848), con cui invitò i cittadini toscani a partecipare alla vita politica dopo la proclamazione dello statuto firmato da Leopoldo II; era questo il suo contributo alla patria, come scrisse al gonfaloniere di Firenze Bettino Ricasoli, dato che uno «sconcerto organico al cuore» gli aveva impedito di prestare servizio nella neonata guardia civica (Firenze, Archivio storico del Comune, LXXIII, 379). Seguirono i Pensieri di ulteriori riforme da introdursi nelle pubbliche amministrazioni in Toscana (Firenze 1848), che compose «istigato dal desiderio di giovare alla patria» (p. 3).
In questi anni iniziò a lavorare alla sua opera più nota, la Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848 (Firenze 1850-1852, 5 voll.), che ebbe il merito di essere l’unico lavoro ad abbracciare l’intero periodo lorenese e di essere corredato da una ricchissima documentazione; lo storico iniziò le ricerche con il sostegno di Leopoldo II, che poi venne a mancare per il timore, sembra, di diffondere materie riservate. L’opera approfondisce soprattutto le leggi, le istituzioni e gli effetti dell’azione di governo sulla vita delle popolazioni; Zobi esaltò il riformismo degli Asburgo-Lorena, attuato da saggi ministri, messo a confronto con il principato mediceo, bollato come una «tirannide». «Si deve allo Zobi l’aver definitivamente fissato [...] alcuni criteri di giudizio sul governo lorenese che, pur essendo [...] largamente diffusi, non avevano trovato fino a quel momento un autore che li codificasse» (1789 in Toscana, 1990, p. 38): la Toscana dei lumi, grazie al buon governo immune da derive rivoluzionarie, era così proposta quale punto di riferimento ideale del liberalismo ottocentesco. L’autore si valse della collaborazione di Gino Capponi, che gli permise di pubblicare in forma anonima (t. V, App., pp. 63-71), un estratto dell’incompiuta storia che voleva scrivere su Pietro Leopoldo. La Storia civile fu severamente criticata da Civiltà Cattolica e a essa Marco Tabarrini dedicò un’ampia recensione anonima in cui imputò all’autore una mancanza di distacco da polemista settecentesco e il plauso senza distinzioni a tutti i provvedimenti di Pietro Leopoldo in campo ecclesiastico; Zobi reagì pubblicando la Lettera apologetica al dottor Francesco Cerrina in replica alle censure di un anonimo sulla storia civile della Toscana (1856), recante il falso luogo di stampa di Capolago, anche perché il 5 settembre 1854 l’opera era stata messa all’Indice dalla Chiesa. Vicino al pensiero di Capponi e di Ridolfi, Zobi restò deluso dalla restaurazione del 1849, che portò all’abrogazione dello Statuto in Toscana. Iniziò allora a guardare alla monarchia sabauda come l’unica forza capace di condurre a buon fine il processo di unificazione nazionale. Nell’autunno del 1850 compì il primo di una serie di viaggi e lunghi soggiorni in Piemonte, dove fu introdotto negli ambienti che sostenevano la politica di Camillo Cavour. Entrò così in contatto con Massimo D’Azeglio, Ercole Ricotti, Giuseppe Siccardi, Guglielmo Stefani, Girolamo Boccardo e Federico Sclopis, che lo presentò all’Accademia delle scienze di Torino. Qui cominciò a raccogliere materiali per un’opera ambiziosa, che avrebbe dovuto integrare e proseguire le celebri Vite di Giorgio Vasari: le Vite e memorie dei pittori, scultori ed architetti vissuti in Italia dal 1550 al 1850; l’impresa titanica restò allo stadio di progetto, nonostante i tentativi compiuti dall’autore presso gli editori.
Gli anni Cinquanta furono un decennio denso di riconoscimenti: divenne socio corrispondente della Società Colombaria di Firenze (1852), dell’Accademia delle scienze di Torino (1854), dell’Accademia dei Georgofili (1855) e dell’Accademia pistoiese di scienze lettere ed arti (1855). Il 19 maggio 1855 fu insignito del titolo di cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, prestigiosa onorificenza conferita dai Savoia per alti meriti culturali e civili.
Alla fine del decennio Zobi fu un fautore del partito filopiemontese in Toscana e si oppose all’influenza dei gesuiti: anche se il suo nome non compariva, ebbe forse parte nella pubblicazione dell’Apologia delle Leggi di giurisdizione, amministrazione e polizia ecclesiastica in Toscana sotto il regno di Leopoldo I (1858), edito dalla Biblioteca civile dell’italiano; e gli fu attribuito un opuscolo firmato con lo pseudonimo di Filopatride, Documenti relativi alla soppressione dei Gesuiti accettati e sempre vigenti in Toscana, con una prammatica di Leopoldo I... (Torino, ma Firenze 1858), preso di mira dalle autorità, anche se poi il prefetto ritenne controproducente sequestrarne le copie: «se ne lamentò lo stesso Pio IX che indirizzò una lettera autografa al granduca il 20 gennaio 1859» (Cannarozzi, 1936, p. 133). Nel 1858 Zobi fu anche accusato di aver giudicato un reazionario il defunto ministro della Pubblica Istruzione Cosimo Buonarroti, in una relazione letta ai georgofili.
Gli eventi cruciali del 1859 fino all’unione della Toscana al Regno di Sardegna furono da lui narrati nella Cronaca degli avvenimenti d’Italia nel 1859 (Firenze 1859-1860); «nonostante fosse un instant book ante litteram, il suo libro colse il senso dello svolgimento dei fatti verso una soluzione unitaria» e influenzò notevolmente il lavoro di Thomas A. Trollope, Tuscany in 1849 and in 1859, che «doveva convincere l’opinione pubblica colta inglese sulla natura ‘civile’ della rivoluzione in corso in Italia» (Sulle orme di Antonio Zobi, 2017, pp. 118 s.). Di lì a poco diede alle stampe le Memorie economico-politiche o sia de’ danni arrecati dall’Austria alla Toscana dal 1737 al 1859 (Firenze 1860); la contraddizione fra l’accusa mossa ai Lorena d’avere asservito gli interessi toscani a quelli di Vienna e la celebrazione del buon governo granducale espressa a suo tempo nella Storia civile, fu spiegata dall’autore con il fatto che un decennio prima gli era stato negato l’accesso a una parte della documentazione. Nel 1863, su incarico del ministro della Pubblica Istruzione, fondò il Regio istituto tecnico di Reggio Emilia, dove insegnò per un anno economia pubblica ed estimo rurale. Si trasferì quindi a Ferrara dove fu docente di diritto amministrativo e di economia pubblica della facoltà giuridica e politico-amministrativa dell’Ateneo (1863-64). Tornò a Firenze, forse alla fine del 1865, dove, dopo la pace di Vienna fra Italia e Impero austriaco, il presidente del Consiglio Ricasoli incaricò lui e Vittorio Sacchi di trattare con la controparte austriaca sui beni rivendicati da Leopoldo II e su quelli portati all’estero dal duca di Modena; deluso per essere stato congedato all’inizio del governo di Giovanni Lanza, Zobi si rallegrò del fatto «che gli oggetti artistici, scientifici e letterari pretesi dall’ex Granduca» fossero tutti rimasti «a decoro di Firenze»; ne uscì provato anche fisicamente, per «una specie di paralisi» provocata dall’«accesso di collera» prodotto in lui dal ricevimento delle insegne dell’Ordine di Francesco Giuseppe spedite da Vienna (Come fossero difesi gli oggetti artistici, scientifici, letterari di Firenze pretesi da Leopoldo II e come Francesco V dovesse restituire quelli asportati da Modena, relazione letta alla Società Colombaria, 20 agosto 1871).
Delle sue ultime opere la più significativa è il Saggio sulle mutazioni politiche ed economiche avvenute in Italia dal 1859 al 1868 (Firenze 1870), con cui intese dimostrare l’irreversibilità dell’unificazione italiana; il libro è dedicato all’amico scomparso Giovanni Battista Niccolini. Atto Vannucci scrisse a Zobi per avere notizie biografiche per la stesura dei Ricordi della vita e delle opere di G. B. Niccolini (Firenze 1866). Sono accomunati da un’intenzione encomiastica Delle nozze del magnifico Giuliano de’ Medici con la principessa Filiberta di Savoia (Firenze 1868), in occasione delle nozze del principe Umberto, e Ricordi sulle relazioni commerciali dei fiorentini con gli spagnuoli (Firenze 1870), celebranti l’ascesa di Amedeo di Savoia al trono di Spagna.
Insoddisfatto per la propria condizione economica, mai florida a giudicare dai ripetuti cenni in lettere e discorsi, gravato da cronici problemi di salute, ma celibe e libero da vincoli, Zobi decise di trasferirsi a Roma alla fine del 1876. È possibile che agissero in lui sia l’attrazione esercitata dalla nuova capitale del Regno, sia un senso di isolamento: non è un caso che alla sua morte né l’Accademia dei Georgofili né la Società Colombaria ne ricordarono la figura.
Morì a Roma il 26 novembre 1878 e i suoi resti, non reclamati dalla famiglia, finirono in seguito in un ossario comune. Si può supporre che la notizia giungesse a Firenze solo qualche tempo dopo, il che spiegherebbe come mai tutta la bibliografia sia stata concorde nell’indicare come anno della morte il 1879.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Stato civile, Censimento 1841, Barberino Val d’Elsa, parrocchia S. Lucia al Borghetto; Ministero dell’Interno, 3191, n. 311; Segreteria e Ministero degli Esteri, 2740, n. 11; Prefettura Compartimento fiorentino, 1701, n. 106, e 1773, n. 1510; Firenze, Archivio storico arcivescovile, Reg. parrocchie di campagna, n. 160, S. Piero in Bossolo, Battesimi (1808-1823), cc. 74, 90 (atto di battesimo), 127, 149, 188 e 373; n. 2043, Morti del Borghetto dal 16 ag. 1792 al 1852, c. 47; Fondi depositati, A. Zobi (I-XIII); Archivio dell’Accademia dei Georgofili, bb. 29, 30, 32, 73, 79, 82, 83, 93 e 128; Biblioteca nazionale, Carteggi, Barbera Gaspero, 1, 186; Capponi Gino, XVI.25; De Gubernatis, 135, 30; Tordi, 548, 55 e 551, 76; Vannucci, XVIII, 49; Vieusseux, 121, 52 e 125, 222; Vari, 293, 218; 439, 222-224; 452 bis. 326; Poligrafo G. Gargani, 2185; Archivio storico dell’Accademia di belle arti, Carteggio e Atti, Filze di Affari, f. 26 (a. 1837), inserto 58 e f. 45A (a. 1856), inserto 55; Alunni, Iscrizioni, 6. Ruoli degli anni 1828-1830, a. 1828, Architettura, n. 63 e a. 1829, Prospettiva, n. 11; Archivio storico del Comune, LXXIII, 379; Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, Carte Contrucci, XVIII (16 lettere di Zobi a Pietro Contrucci); Accademia Pistoiese di Scienze Lettere Arti, 14, n. 500; Prato, Biblioteca Roncioniana, Carte Guasti, 359, inserto 7 (contiene lettere di Zobi a C. Guasti); Roma, Anagrafe del Comune, Atto di morte n. 736, serie B, 1878; Torino, Archivio storico dell’Accademia delle scienze, mss. 1890.
A. Bresciani, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848 di A. Z., (Firenze 1850-1853), in Opere del P. Antonio Bresciani della Compagnia di Gesù, V, Roma-Torino 1866, pp. 28-41; Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848, in La Civiltà Cattolica (recensione), II, (1851), 6, pp. 465 s.; Anonimo [M. Tabarrini], Sulla storia civile della Toscana del cavaliere A. Z., in Archivio storico italiano, s. 1, I (1855), 1, pp. 222-245; Università libera di Ferrara, Anno scolastico 1863-64, Ferrara s.d., pp. 12 s.; Lettere e documenti del barone B. Ricasoli, a cura di M. Tabarrini - A. Gotti, I, Firenze 1887, p. 332 e II, p. 263; Atti della Società Colombaria di Firenze dall’anno 1856 al 1890, Firenze 1893, p. L; A. Panella, Gli studi storici in Toscana nel secolo XIX, Bologna 1916, pp. 55, 60 s., 163; C. Cannarozzi, La rivoluzione toscana e l’azione del Comitato della Biblioteca civile dell’italiano (1857-1859), Pistoia 1936, ad ind.; A. Panella, Z. A., in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, XXXV, Roma 1937, pp. 967 s.; G. Capponi, Scritti inediti, Firenze 1957, ad ind.; G. Martina, Pio IX e Leopoldo II, Roma 1967, p. 332; G. Mazzoni, L’Ottocento, in Storia letteraria d’Italia, II, Milano 1973, pp. 338 s.; La Toscana dei Lorena. Riforme, territorio e società. Atti del Congresso di studi,... Grosseto... 1987, a cura di Z. Ciuffoletti - L. Rombai, Firenze 1989, ad ind.; 1789 in Toscana. La Rivoluzione francese nel Granducato, Atti del Convegno, Cortona... 1989, in Accademia etrusca di Cortona, Annuario, XXIV (1989-90), Cortona 1990, ad ind.; Fra Toscana e Boemia. Le carte di Ferdinando III e di Leopoldo II nell’Archivio Vitali - C. Vivoli, Roma 1999, ad ind.; A. Del Grosso, Un misconosciuto continuatore di Vasari nella Firenze dell’Ottocento: A. Z. (1808-1879), in N. Lepri - S. Esseni - M.C. Pagnini, Giorgio Vasari. Tra capitale medicea e città del dominio, Firenze 2012, pp. 169-177; Sulle orme di A. Z. (Barberino Tavarnelle 1808 -Roma 1879). La storia civile della Toscana dai Medici ai Lorena, a cura di Z. Ciuffoletti, Firenze 2017.