ADORNO, Antoniotto
Nato a Genova intorno al 1340 da Adornino e da Nicolosia della Rocca, poco si sa dei suoi anni giovanili, ma dovette avere accurata educazione, anche letteraria, giacché i cronisti e biografi ricordano come coltivasse l'eloquenza e gli studi giuridici, alternandoli all'attività mercantile e a quella militare. Sappiamo di alcuni suoi scritti in difesa dei marchesi Del Carretto e di un volume di lettere, che si dice esistessero nella biblioteca del duca d'Urbino: ma si tratta forse di documenti politici. Certo è che a lui dedicò nel 1386 la sua opera profetica il preteso eremita Telesforo di Cosenza (cfr. L. Pastor, Storia dei Papi, I, Roma 1910, p. 158).
Entrò nella politica come vicario di Chiavari (1371-74); e nel 1373 con una propria galea partecipò alla spedizione di Cipro.
Scoppiata la guerra di Chioggia (1378), coalizzò intorno a sé gli scontenti del doge Domenico Fregoso: accordatosi con Nicolò Guarco, suscitò una sommossa popolare che lo proclamò doge (17 giugno 1378). Ma, dopo poche ore, rinunziò, subendo l'esilio impostogli dal suo stesso compagno, eletto doge.
Accostatosi quindi ai Visconti, sempre desiderosi di riacquistare Genova, combatté nella Riviera di Levante. La pace di Torino (1381), chiudendo quel capitolo della contesa veneto-genovese, faceva cadere, per il momento, le sue speranze, così che egli andò esule a Savona.
Nel 1383, acuitosi un contrasto fra il doge Guarco e alcune categorie popolari, l'A. capitanò una sommossa suscitata dai Fregoso, senza successo; ma ottenne la revoca del bando, sicché poté essere presente poco dopo (3 aprile) all'assalto del palazzo ducale da parte dei popolani, sobillati da lui e da Pietro Fregoso. Il doge fuggì e l'A. tentò la candidatura al dogato; ma ancora dovette rinunciare di fronte alla decisione del popolo, che gli preferì Federico di Pagana e, due giorni dopo, Leonardo Montaldo. L'A., rimasto a Genova, dovette contentarsi di essere fra gli Anziani. Il Montaldo, però, moriva di peste il 14 giugno 1384 e si apriva finalmente per l'A. la strada alla suprema magistratura: il mite Federico di Pagana non costituiva un ostacolo e il Guarco, fiutato il vento infido, si era già allontanato da Genova, rifugiandosi presso il marchese Del Carretto. Il 15 giugno l'A. era doge.
Incarcerato il Guarco a Lerici, grazie al tradimento di Del Carretto, l'A. diede finalmente attuazione ai suoi piani politici. Nei sei anni di questo dogato egli si inserì nella politica italiana e mediterranea specialmente in due direzioni, secondo un programma unitario che mirava alla difesa della cristianità romana tanto nello scisma d'occidente quanto nella lotta contro i Saraceni.
Nel 1385 accolse l'invito di Urbano VI, assediato a Nocera, e spedì nell'Adriatico dieci galee al comando di Clemente Fazio (l'accordo era stato concluso tramite l'arcivescovo di Genova, Giacomo Fieschi, e suo fratello Luchino). Il papa, riuscito ad evadere da Nocera, giunse a Genova il 23 sett. 1385, trionfalmente accolto dalla popolazione, mentre l'A. riceveva congratulazioni dall'imperatore Venceslao. Ma l'ambizioso proposito di comporre lo scisma fallì per l'aspro carattere del papa, che, anzi, il 16 dic. 1386 lasciava Genova per Lucca, dopo aver dato al Comune, in compenso dell'ospitalità, alcuni feudi ecclesiastici.
La seconda direttiva politica, contro i Saraceni, toccava da vicino le ragioni stesse dell'esistenza mercantile di Genova. L'A., fatta la pace con l'Aragonese, riunì alle navi genovesi, comandate dal fratello Raffaele, galee pisane e siciliane (Venezia, pur invitata, non aderì) e puntò alla riconquista dell'isola di Gerba, presso Tunisi. Nel giugno 1388 l'isola era conquistata, ma subito ceduta per 36.000 fiorini a Manfredo Chiaramonti, ammiraglio siciliano. Una nuova grande spedizione, cui presero parte navi francesi e inglesi, comandata da Luigi di Clermont, duca di Borbone, si diresse nell'estate 1390 a Méhédia, in forte posizione presso Tunisi. L'attacco non riuscì e, dopo lunghi negoziati condotti in varie riprese, fu concluso il 17 ott. 1391 un trattato col sultano, il quale s'impegnava a una indennità di guerra, a liberare i prigionieri e a non porre ostacoli al commercio e alla navigazione dei Genovesi.
L'A. non aveva perso però di vista altri settori politici e nel 1387 fu arbitro fra il re di Cipro e la Maona genovese. Col Visconti mantenne sempre rapporti amichevoli; all'interno rafforzò e ingrandì il territorio. Ma la sua politica urtava contro troppe gelosie interne (sventò varie congiure e incarcerò il temuto Pietro Fregoso, fratello dell'ex doge Domenico), sicché, disgustato e amareggiato, lasciò spontaneamente il potere il 3 ag. 1390, ritirandosi a Loano. Ma l'indole del nuovo doge, G. Fregoso, non ambizioso e portato agli studi, lo indusse a rientrare nella politica. Vincendo l'opposizione degli Anziani e forte anche del promesso appoggio militare dei Del Carretto, entrò in Genova il 5 apr. 1391, riprendendo il potere in modo singolare: invitò il Fregoso a lasciare l'ufficio, lo trattenne a pranzo e lo rimandò a casa con tutti gli onori. Nel settembre del 1391 l'A. insieme col gran maestro dei Cavalieri di Rodi, Riccardo Caracciolo, riunì a Genova una conferenza che stabilì (20 genn. 1392) una pace di compromesso fra Gian Galeazzo Visconti da una parte, e Firenze, Bologna, Venezia dall'altra.
In questo dogato il problema più grave fu quello di Savona, la città rivale. L'A., sobillando le insofferenze antisavonesi dei luoghi vicini, inviò una flotta al comando del fratello Giorgio. Ma la resistenza violenta di Savona suscitò, in Genova, l'insurrezione di quanti, nobili e popolari, mal sopportavano l'autorità dell'A.; si aggiunse l'aperta ostilità dei Montaldo, suoi parenti (Martino Montaldo si pose a capo dei rivoltosi), e l'A. fu costretto a fuggire il 15 giugno 1392. Tentò ancora di riafferrare il potere con l'aiuto di Gian Galeazzo Visconti, ma, sconfitto, si ritirò in Lombardia, mentre Genova si abbandonava ad un vero parossismo di fazioni. L'A., accordatosi con Antonio Montaldo con l'impegno di non assumere il dogato, si impadronì della città il 3 sett. 1394; ma in un consiglio generale provocò segretamente una acclamazione popolare e divenne ancora doge.
Ma ormai la Francia riprendeva le sue mire verso l'Italia. Preceduto da una complessa preparazione diplomatica con i nobili guelfi e con lo stesso A., il piano francese si sviluppava affidato a Luigi, duca di Orléans, fratello di re Carlo VI. Momento essenziale doveva essere l'acquisto di Savona, che infatti, per odio contro l'A. e nell'impossibilità di far fronte a ribellioni nel suo territorio, si dava alla signoria francese (17 nov. 1394). L'A., vistosi giocato, tentò un colpo ardito: poiché le trattative col duca d'Orléans non gli consentivano di restare al potere, offrì direttamente a Carlo VI la sovranità di Genova, purché a questa fosse conservata Savona.
La situazione presentava ancora qualche possibilità favorevole: raffreddatisi i rapporti franco-milanesi, inseritasi un'azione diplomatica di Firenze, ostacolato il duca d'Orléans dagli intrighi cortigiani del duca di Borgogna (col quale l'A. stipulò nell'ottobre del 1395 un trattato di amicizia e di commercio: cfr. C. Desimoni e L. T. Belgrano, Documenti ed estratti inediti o poco noti,i n Atti d. Soc. ligure di storia patria, V [1871], pp. 385-388) e della regina, il re di Francia nel marzo accettò le condizioni dell'A., che nel frattempo si accordava con Antonio Montaldo ed attaccava il duca d'Orléans con le milizie di Facino Cane. Luigi d'Orléans cedette allora al fratello per 300.000 franchi le sue conquiste in Liguria. Non mancarono però anche segrete trattative dell'A. con il Visconti (giugno-luglio 1396). Ma al doppio gioco la diplomazia francese contrappose un'intesa con Firenze.
Stretto anche da difficoltà finanziarie, oltre che dall'opposizione interna e dalle mosse dei fuorusciti, l'A. riuscì a far sì che, superate con la sua eloquenza e soprattutto con la forza della necessità politica le ultime resistenze, il 23 ott. 1396 la cessione di Genova al re di Francia fosse approvata. Due giorni dopo, era steso il trattato che concedeva all'A. il titolo di governatore, i cui poteri egli assumeva il 27 novembre. Ma, forse stanco e deluso, egli si dimise il 18 marzo 1397 e, sostituito dal governatore francese, conte di Saint-Pol, si ritirò presso i marchesi Del Carretto a Finale, ove morì di peste il 5 giugno 1398. Aveva sposato Luchina Savignone, poi Ginevra Doria, avendone quindici figli.
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