CATTANEO, Antoniotto
Nobile genovese, figlio di Stefano, nacque probabilmente tra il 1530 e il 1540. Nella vita politica della Repubblica, cui prese sporadicamente parte negli ultimi decenni del XVI secolo, il C., appartenente alla "nobiltà vecchia",si impegnò nella difesa dei privilegi suoi e dei conservatori contro le richieste di reale equiparazione dei diritti che provenivano dalla nobiltà "nuova".
Una autentica guerra civile scoppiò tra le due fazioni nel 1575 attorno alla richiesta, avanzata dai nobili nuovi, di abolizione della legge del cosiddetto garibetto, che, attraverso il metodo della elettività per voti anziché per sorte dei membri del Minor Consiglio e di un terzo di quelli del Maggiore, favoriva i nobili vecchi (detti anche del portico di S. Luca) a danno dei nobili nuovi (o del portico di S. Pietro, dal nome delle chiese presso cui i due gruppi si radunavano).Il 15 marzo 1575 il Senato, allarmato da una sollevazione popolare, aveva concesso l'abolizione del "gabinetto",provocando la controreazione dei "vecchi" nobili, molti dei quali, tra cui il C., disgustati dalla debolezza dimostrata dal Senato e timorosi per la propria incolumità, preferirono abbandonare Genova e rifugiarsi nel Finale, dove Giovan Andrea Doria assunse la direzione dei dissidenti. Il C. restò in volontario esilio con gli altri finché, attraverso la mediazione del papa, della Spagna e dell'Impero, non furono pubblicati a Casale il 10 marzo 1576 i nuovi ordinamenti costituzionali della Repubblica. Il Senato richiamava in città i fuorusciti di Finale. Nel frattempo essi avevano elaborato un progetto di tassazione del 2 e ½ sul patrimonio, cui obbligare i nobili di S. Pietro per risarcimento delle spese sostenute durante la guerra civile. Il 26 febbraio 1576, nel monastero di S. Caterina in Finale, vennero anche eletti i deputati a tale esazione nelle persone del C., di Agostino Grimaldi e di Filippo Lomellini.
Tornati a Genova, il C. e i colleghi si riunirono il 4 aprile nel chiostro di S. Maria delle Vigne per procedere all'esazione, ormai legalmente approvata dal governo. Ma le operazioni si protrassero a lungo, per i rifiuti e le ovvie contestazioni dei nobili tassati: il 14 dicembre il C., anche a nome degli altri due, chiesta pubblica udienza, esponeva la difficile posizione cui li aveva condotto la mancanza di adeguati mezzi di coercizione dei renitenti.
In realtà tale tassazione, probabilmente concessa dal governo solo per offrire una compensazione agli esuli ritornati, era completamente superata dal processo di normalizzazione in corso. Del resto molti degli esuli avevano riottenuto cariche di prestigio: anche il C., nello stesso 1576, era stato estratto tra i membri dei Minor Consiglio. Non si hanno altre notizie del C. fino al 1590, quando venne inviato come ambasciatore di obbedienza al nuovo pontefice Gregorio XIV; tuttavia dovette proseguire nella carriera politica perché nel 1595 fu eletto ad una delle massime cariche, quella di governatore. Sul finire del 1598 fu scelto come ambasciatore per la sede di Vienna e gli furono affidati due incarichi di grande responsabilità: trattare l'acquisto del Sassello e ottenere garanzie nell'importante pratica dei diritti della Repubblica sul Finale.
La missione ebbe esito nell'insieme positivo. Circa il primo punto, il C. creò le premesse perché Genova potesse vedere riconosciuto il possesso del Sassello. In questo territorio, possesso dei Doria dal secolo XII, una sollevazione popolare nel 1593 aveva spinto Ascanio Doria, proprietario dei due terzi, a vendere la sua parte alla Repubblica per 100.000 lire; ma l'opposizione di Nicolò, proprietario del terzo restante, aveva provocato la confisca di tutto il territorio da parte dei commissari imperiali, proprio quando la Repubblica stava per saldare il prezzo pattuito. Al C. venne consegnata istruzione di insistere sulla qualità di bene allodiale, e non di feudo, della terra in questione, e quindi sul pieno diritto di acquisto della Repubblica. Il C. svolse il suo incarico con molto scrupolo, anche se la firma del contratto definitivo che sanciva la proprietà genovese del Sassello avvenne poi solo nel 1611, dopo che la zona ebbe subito altre occupazioni, anche spagnole. Interessante il risultato della ambasceria del C. anche per la questione del Finale, proprio grazie alla lentezza con cui il C. la affrontò. La questione si era ultimamente riaperta dopo che, nel 1558, portato l'aiuto richiesto ai Finalesi che si erano ribellati al marchese Alfonso II del Carretto, Genova aveva preso possesso del territorio, sul quale vantava l'alto dominio. Ma Alfonso, appellatosi all'imperatore Ferdinando I, aveva ottenuto il sequestro del marchesato sino a definizione della vertenza. La causa durò a lungo, con l'intervento anche del pontefice, di Milano e della Spagna, che frequentemente prendevano decisioni senza consultare la Repubblica. Nel febbraio 1599, avendo il nuovo marchese manifestato l'intenzione di consegnare lo Stato a Milano, la diplomazia genovese venne tutta mobilitata per scongiurare questa evenienza: Giorgio Centurione in Spagna (affinché illustrasse al sovrano i vantaggi economici, politici e militari che gli sarebbero venuti dal possesso genovese del Finale); Gerolamo Assereto a Roma, perché ottenesse l'intervento del papa sul re di Spagna, e il C. appunto a Vienna. Inizialmente i motivi su cui il C. avrebbe dovuto fare pressione erano gli antichi diritti feudali vantati dalla Repubblica sul Finale, i suoi legami con la Casa di S. Giorgio e i regolamenti del commercio del sale. Il C. a Vienna aveva preparato un memoriale da presentare alla corte imperiale, ma la stesura era andata per le lunghe; inviatane poi copia al Senato genovese, questo lo disapprovò. La lentezza del C., comunque, finì col rivelarsi provvidenziale, giacché il Senato, che nel frattempo aveva trovato una soluzione procedurale, inviò al C. un proprio diverso memoriale, cui uniformare il futuro svolgimento della missione: il C. doveva ottenere dall'imperatore che non concedesse l'assenso all'accordo di alienazione fatto dal marchese con gli ambasciatori di Milano, a nome del re di Spagna, senza che fossero conosciute le ragioni di Genova. Il C. riuscì a ottenere che Rodolfo d'Asburgo firmasse un decreto in questo senso; decreto che rappresentò una grande conquista diplomatica, alla quale la Repubblica poté in seguito costantemente appellarsi, fino a quando non riuscì a concretare l'acquisto nel 1713.
Dopo il maggio 1600, da quando cioè lasciò Vienna per fare ritorno a Genova, non si hanno ulteriori notizie del Cattaneo.
Fonti e Bibl.: Genova, Civica Bibl. Berio, ms. m.r. X, 2, 167: L. Della Cella, Famiglie di Genova, c. 676; Istruzioni e relaz. degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, Roma 1951, I, pp. 333 ss., 362, 386; II, pp. 236, 307; A. Roccatagliata, Annali della Repubbl. di Genova, Genova 1873, pp. 193, 233, 236, 241; F. Poggi, Le guerre civili di Genova in relaz. con un documento economico-finanz. dell'anno 1576, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LIV (1930), pp. 146 ss.