antonomasia
Antonomasia (dal gr. antí «al posto di» e ónoma «nome») è un termine tecnico della retorica, che indica sia una figura discorsiva sia un insieme di tropi, attraverso cui un nome proprio o un nome comune o un sintagma definito assumono un significato specifico e circoscritto, diverso da quello proprio che competerebbe loro normalmente.
Definita pronominatio «nome al posto di un nome» nella Retorica a Gaio Erennio (opera del I secolo a.C. per tradizione attribuita a Cicerone ma in realtà di autore ignoto, il cosiddetto Pseudo-Cicerone), l’antonomasia nella latinità classica è «quella figura che con appellativo [cognomine] per lo meno estraneo indica quanto non viene designato con il proprio nome così come quando diciamo ‘i nipoti dell’Africano’, parlando dei Gracchi» (IV, 42). Da questo punto di vista l’antonomasia si collega con le figure di definizione e in particolare con l’epiteto e la perifrasi. Lo riconosce lo stesso Quintiliano nella sua Institutio oratoria, osservando che «l’antonomasia, che mette un appellativo al posto di un nome proprio, è molto frequente nei poeti» (VII, 6, 29-30) e può realizzarsi attraverso due modi specifici: l’epiteto, che consiste nel togliere il nome proprio e nel definirlo diversamente ma assolvendo la stessa funzione di rinvio; o attraverso proprietà che sono tipicamente caratteristiche di qualcuno o di qualcosa.
Gli esempi riferiti più comuni sono i patronimici:Titide per indicare Diomede o Pelide per indicare Achille; o, ancora, autentiche perifrasi: per es., quando Zeus è chiamato padre degli dei e re degli uomini. Nell’antichità dunque l’antonomasia è una specifica modalità discorsiva per ‘fissare’ le credenze enciclopediche (il sapere stabilito convenzionalmente) intorno alle varie entità designate dai nomi.
Con questa accezione, l’antonomasia penetra come una delle figure preferite nel basso medioevo, ad es. con il Venerabile Beda che la definisce «meccanismo di significazione [significatio] che consiste nel porre un’espressione in luogo di un nome» attraverso diverse tecniche che coinvolgono per le persone l’animo, il corpo o gli eventi che gli sono associati (Rhetores latini minores 1863: 613). Così la intenderanno i maestri di poetica dell’XI e XII secolo che ne faranno una figura basilare per la composizione dei poemi, ad es. Gervasio di Melkley che nella sua Ars versificaria la inserisce accanto ai tropi della metonimia e della sineddoche in quanto fissano le credenze al massimo grado: ad es., quando diciamo Poeta per indicare Virgilio, colui che assume la proprietà del nome comune al livello più alto.
In questo senso, l’antonomasia prende per la prima volta e con più convinzione anche un aspetto generalizzante e non solo descrittivo come l’epiteto. Con tutte queste accezioni, ma soprattutto nella variante della perifrasi (giro di parole), l’antonomasia entra tra le figure preferite nella Commedia di Dante che ne fa un uso straordinario e assai variato, ricorrendo sia alle antonomasie e perifrasi classicheggianti, sia a quelle innovative e incisive: ne è il caso forse più memorabile il disegno antonomasico del tutto specifico e anche carico di aspetti metaplasmici come nell’invettiva a Firenze:
Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande
che per mare e per terra batti l’ali,
e per lo ’nferno tuo nome si spande!
(Inf. XXVI, 1-3)
Saldamente penetrata nel nostro linguaggio poetico sin da Petrarca (celebre la sua definizione del sonetto 114 «il bel Paese che Appennin parte, il mar circonda e l’Alpe», cioè l’Italia), l’antonomasia trova una sua prima definizione teorica e concettuale rigorosa nel pensiero di ➔ Giambattista Vico che, nella Scienza Nuova (1744), la considera una figura primordiale in grado di codificare i principi dell’allegoria con quelli della metafora:
Essendo le favole, […], generi fantastici, le mitologie devon essere state le loro propie allegorie. Il qual nome, […], ci venne diffinito ‘diversiloquium’ in quanto, con identità non di proporzione ma, per dirla alla scolastica, di predicabilità, esse significano le diverse spezie o i diversi individui compresi sotto essi generi: tantoché devon aver una significazione univoca, comprendente una ragion comune alle loro spezie o individui (come d’Achille un’idea di valore comune a tutti i forti; come d’Ulisse, un’idea di prudenza comune a tutti i saggi); talché sì fatte allegorie debbon essere l’etimologie de’ parlari poetici, che ne dassero le loro origini tutte univoche come quelle de’ parlari volgari lo sono più spesso analoghe (Princìpi di scienza nuova: 221)
In breve, l’antonomasia precisa nel corso dei secoli la sua natura di tropo che collega più artifici retorici. In particolare, essa viene definita come sineddoche ad individuum, nel senso che seleziona un aspetto dell’ambito di predicabilità associata attorno a un individuo: così, nell’esempio di Vico, il valore associato all’individuo Achille. Ma anche, a partire da G. Vossius, come sineddoche dall’individuo al genere, quando cioè il procedimento utilizza il nome proprio per indicare un appellativo (ad es., quel giovane Achille). È dunque possibile, come è stato messo in evidenza (Mortara Garavelli 1997), che le possibilità dell’antonomasia si moltiplichino a seconda del rapporto nome comune - nome proprio come è indicato nella tab. 1.
La casistica sopra riportata indica con chiarezza come l’antonomasia costituisca una figura adibita alla selezione di proprietà lessicali e contestuali affidate a due meccanismi principali: un massimo di restringimento di proprietà (antonomasia particolareggiante) e un massimo di ampliamento della proprietà indicata (antonomasia generalizzante).
In italiano, come in molte altre lingue, ciò vale in particolare per la creazione di quelle che sono state chiamate categorie ad hoc, cioè percorsi di significato che sono via via ricostruiti contestualmente operando sul significato letterale di un termine al quale viene associato uno stabilizzatore di credenza che ne facilita l’interpretazione. Si tratta di un espediente attivo in tutti i casi di onomastica, cioè di creazione dei nomi. Ad esempio, è possibile parlare di un’antonomasia ‘mimetica’ per intendere la possibilità che un nome ha di riprodurre per onomatopea il suono di un oggetto o di un animale. Particolarmente vitale da questo punto di vista è il settore ornitologico della nostra lingua che permette di denominare gli uccelli riproducendo per antonomasia il suono del verso loro proprio come avviene per l’allodola, l’assiolo, il chiurlo, la cincia, il cuculo, il fringuello, il garrulo, la gazza, il gheppio, il gracchio, il picchio, la pispola, il tordo, la tortora, l’upupa, il verzellino e lo zigolo.
Ma un meccanismo antonomastico analogo è all’opera anche nel caso dei nomi di persona e dei cognomi (➔ antroponimi; ➔ cognomi). Si passa da un massimo di restringimento di proprietà in casi come Serena, Chiara, Franco, Onesto, ecc. a un elevato ampliamento come per Gloria. Lo stesso si realizza per quel settore particolare che sono i ➔ nomi commerciali, che si affidano a valori antonomastici sempre più ricorrenti ed evidenti, come dimostrano questi esempi relativi ai settori dei detergenti e dell’auto: Smacchiotutto, Svelto, Sole Piatti, Coccolino, Mastro Lindo, l’Acchiappacolore, Perlana, Ace Gentile; Bravo, Golf, Punto, ecc., e così per un’infinità di altri prodotti.
In italiano, nel Novecento, il più accentuato uso dell’antonomasia riguarda i linguaggi settoriali dello sport e della politica. Negli anni Sessanta fu soprattutto lo scrittore e giornalista Gianni Brera a inventare, in particolare per il calcio, un’abbondanza di termini antonomastici a cominciare da Eupalla, la presunta divinità che protegge e ispira il gioco del pallone. Si propose così un’infinità di denominazioni per i calciatori, come indica l’elenco che segue, moltiplicabile con facilità: l’Imperatore (Adriano), Bimbo (Ancelotti), Divin Codino (R. Baggio), lo Zio (Bergomi), Bell’Antonio (Cabrini), Puma (Emerson), Ringhio (Gattuso), Gheddafi (C. Gentile), Superpippo (Inzaghi), El pibe de oro (Maradona), Abatino (G. Rivera), il Bimbo de oro, er Pupone (F. Totti), ecc.
Lo scopo del linguaggio antonomastico è quello di ‘mitizzare’ l’universo discorsivo. Lo stesso si può dire per il linguaggio politico, dove principi di antonomasia sono attivi nella stessa denominazione dei partiti. Negli anni Novanta, ad es., il berlusconiano Forza Italia (oggi Popolo della Libertà). I personaggi politici stessi ricevono immediatamente dai media una denominazione antonomastica: ad es., l’Avvocato per Gianni Agnelli, il Cavaliere per Silvio Berlusconi o il Professore per Romano Prodi. Da ultimo, l’antonomasia beneficia dell’irruzione di altre lingue nell’italiano, permettendo così nuovi percorsi di elaborazione delle credenze da parte dei mezzi di comunicazione di massa, specialmente nei casi in cui, attraverso i mass media, si creano nuove immagini e nuovi riferimenti (così, per la telenovela Dallas, essere un Ridge è «essere ricchi»; cfr. anche la denominazione Spice Boy per il calciatore Beckam).
Cicerone, Marco Tullio (1992), La retorica a Gaio Erennio, a cura di F. Cancelli, Milano, Arnoldo Mondadori.
Quintiliano, Marco Fabio (2001), Institutio oratoria, a cura di A. Pennacini, Torino, Einaudi, 2 voll.
Rhetores latini minores, ex codicibus maximam partem primum adhibiti, emendabat Carolus Halm, Lipsiae 1863.
Vico, Giambattista (1990), Princìpi di scienza nuova, in Id., Opere, a cura di A. Battistini, Milano, Arnoldo Mondadori, 2 voll. (1a ed. Napoli 1744).
Beccaria, Gian Luigi (2007), Tra le pieghe delle parole. Lingua storia cultura, Torino, Einaudi.
Lausberg, Heinrich (1960), Handbuch der Literarischen Rhetorik. Eine Grundlegung Litteraturwissenschaft, München, Max Hueber Verlag.
Lausberg, Heinrich (1969), Elementi di retorica, Bologna, il Mulino (ed. orig. Elemente der literarischen Rhetorik, München, Hueber 1949; 19632).
Mortara Garavelli, Bice (1997), Manuale di retorica, Milano, Bompiani.