ANTROPOLOGIA CULTURALE
CULTURALE L'a. c. è una branca delle scienze antropologiche sviluppatasi con tale nome (cultural anthropology) negli Stati Uniti, e quindi entrata come disciplina autonoma nel mondo scientifico e accademico in molti paesi occidentali, fra i quali l'Italia. Essa si distingue da altre branche della scienza antropologica per due principali elementi: la colorazione "nazionale" legata alla sua origine SUA, per cui si differenzia dall'a. sociale a sua volta legata a origini inglesi, e il taglio metodologico, per il quale la cultura, vista come entità autonoma, viene assunta come specifico oggetto di analisi, il che consente di differenziare di nuovo l'a. c. dall'a. sociale, perché quest'ultima ritiene "la cultura un concetto troppo ampio per indicare in modo appropriato un campo determinato di ricerca sistematica" (Beattie). D'altra parte lo studio della cultura è comune anche all'etnologia (v.), con cui pertanto l'a. c. ha stretti rapporti, pur differenziandosene per accentuazioni metodologiche proprie. Del resto i termini e le etichette con cui s'indicano le varie discipline antropologiche variano secondo le nazioni e nel corso del tempo. Oggi è frequente nel linguaggio corrente, e anche in quello scientifico, l'uso del termine a. tout court come sinonimo di a. c. (SUA), o come comprensivo (Francia) di a. c. e sociale (Balandier, Mercier) e perfino di etnologia. Infine il termine a. oggi è spesso impiegato nei paesi europei per tipi d'indagini che in tempi anteriori erano sviluppate sotto l'etichetta di etnologia. Ciò significa che al rilievo assunto dalle scienze antropologiche nella cultura e nella scienza odierne non corrisponde un'univoca, precisa e consolidata delimitazione di ambiti. Anzi, le varie branche della scienza antropologica (in Italia detta anche etno-antropologica) sembrano sempre più avvicinarsi fra loro e perfino in più casi sovrapporsi: tant'è vero che mentre l'a. c. per il suo campo di ricerche originariamente aperto alle culture complesse occidentali si differenziava dall'etnologia, limitata allora all'analisi delle culture relativamente omogenee, semplici, extraoccidentali, oggi esiste un'etnologia europea (Ethnologia europaea, Revue internationale d'ethnologie, Parigi, dal 1967), come esiste anche un'a. sociale dell'Europa (Beyond the community. Social process in Europe, a cura di J. Boissevain, L'Aia 1975).
È dunque chiaro che le varie discipline antropologiche si collocano su un terreno comune, concernente lo studio dei fatti e dei prodotti culturali nelle singole società, e in una prospettiva tendenzialmente comparativista. Peraltro particolari accentuazioni, diversi tagli metodologici, vari aspetti, procedimenti e approcci distinguono fra loro le singole discipline, benché tali accentuazioni a loro volta varino fra i diversi indirizzi di studio e i singoli autori - perfino nei diversi momenti del loro svolgimento di pensiero e di metodo - per cui riesce arduo, se non arbitrario, dare definizioni nette che contraddistinguano le discipline come tali l'una dall'altra, e che siano di valore universale. Sia dall'antropologo culturale, che dall'antropologo sociale e dall'etnologo ci si aspetta comunque una serie di conoscenze e di esperienze - queste ultime possibilmente fatte direttamente con ricerche sul terreno - che riguardino tanto culture lontane e "altre" da quella occidentale di cui lo studioso generalmente è esponente, quanto culture vicine e proprie dell'ambito occidentale. In comune, fra le varie discipline antropologiche, v'è inoltre un significato epistemologico, generalmente ammesso dalle più varie scuole specialistiche oggi, di fornire - attraverso la comparazione - dati e strumenti per conseguire un'approfondita e critica conoscenza della propria cultura e delle forze storiche che ne sono alla radice, nonché dei diversi sistemi di valori, del loro sviluppo, dei loro processi di mutamento, disgregazione e rifondazione. Infine un obiettivo pedagogico che accomuna le varie discipline antropologiche sta nella scoperta e nella denunzia dei pregiudizi sociali, etnici e culturali, e nel superamento dell'etnocentrismo in ogni sua espressione, sia manifesta (razzismo) che implicita (sciovinismo culturale, religioso, linguistico, ecc.).
Tuttavia, se si chiede quali siano le differenze più comunemente ammesse fra le discipline in questione - pur con le riserve anzidette - si può rispondere che l'a. c. statunitense tende, nella grande parte dei casi, a fare della cultura un oggetto d'analisi tanto autonomo e separato dalla realtà sociale e dalle forze storico-sociali che ne stanno alla base, da avere creato un termine nuovo, "culturologia", per indicare il proprio assunto. L'a. sociale britannica tende a studiare i fenomeni culturali in un indissolubile rapporto con quelli sociali. Entrambe le discipline oscillano, secondo gli autori, fra interessi di studio sincronico e diacronico, fra tendenze generalizzanti (nomotetiche) e particolari (idiografiche). Entrambe si sono venute sempre più aprendo, da un originario interesse limitato alle popolazioni cosiddette primitive o illetterate, verso interessi allargati e indagini vertenti su gruppi e piccole comunità appartenenti alle società occidentali moderne.
È bene precisare anche quali siano oggi i rapporti generalmente riconosciuti tra a. tout court ed etnologia: rapporti modificatisi profondamente nel corso degli ultimi decenni. È noto che tali scienze sorsero e si svilupparono autonomamente l'una dall'altra, l'a. avendo per oggetto i fattori razziali trasmissibili direttamente per via biologica, l'etnologia i fattori culturali trasmessi indirettamente attraverso i rapporti umani e sociali. La prima era dunque una scienza biologica, la seconda una scienza umanistica. Tuttavia, dacché nel mondo anglosassone (in SUA: F. Boas, A. Kroeber, M. Herskovits; v. indi il moderno periodico Current anthropology; in Inghilterra: il Journal of the royal anthropological institute di Londra, dal 187 1), quindi anche nel mondo neolatino il termine a. venne a coprire l'intera gamma dei fenomeni prima designati distintamente dai due diversi termini, si ricorse a termini secondari per indicare i vari momenti e aspetti dello studio dell'uomo. Perciò nascevano l'a. c. e l'a. sociale come distinte dall'a. fisica. Oggi dunque non esiste più l'opposizione che v'era decenni or sono, fra a. ed etnologia. Si tratta di discipline affini, integrantisi reciprocamente, o perfino di termini interscambiabili. Infatti oggi la teoria positivista e fissistica delle razze umane come unità biologiche pure, cioè riportabili a caratteri legati a un unico gene, e fisse nel tempo, è superata dai contributi della genetica, che riconosce l'esistenza, piuttosto che di geni unici, di stock genetici dalla multiforme origine e composizione. Inoltre la stessa a. ha messo in rilievo l'influenza determinante dei fattori culturali e sociali nello sviluppo dei caratteri psico-fisiologici e perfino anatomici che caratterizzano le popolazioni. Si pensi all'influenza che fin dall'origine l'uso del linguaggio articolato dovette portare nella conformazione anatomica dell'apparato vocale dell'uomo (E. Sapir, Language. An introduction to the study of speech, New York 1921). Più in particolare si pensi all'influsso determinante che le condizioni sociali ed esistenziali esercitarono nello sviluppo di attitudini fisiche e motorie dell'uomo presso società di cacciatori primitivi, fra le quali sono divenuti caratteri etnici ereditari l'agilità e rapidità nella corsa, l'acutezza visiva e di percezione sensoriale. Oppure si pensi all'enorme influenza delle condizioni esistenziali delle società tradizionali sullo sviluppo di attitudini fisio-psicologiche in loro particolarmente frequenti e normali, per manifestazioni di trance sciamanica, possessione e altre, che nelle condizioni della cultura urbana moderna ricadono tra i fenomeni psichici paranormali o abnormi. Dato dunque il rappozto di reciproca influenza e funzionalità riconoscibile tra i caratteri culturali e i caratteri etnici ereditari, non ha più giustificazione la vecchia contrapposizione epistemologica tra i diversi ambiti, o nomi, della scienza dell'uomo, quali a. ed etnologia.
Pertanto in questa sede, secondo una divisione convenzionale, ci riferiamo all'a. c. nella sua accezione ufficiale statunitense, e all'a. c. italiana, mentre i riferimenti all'a. di altri paesi e a particolari altri settori della scienza antropologica, vengono discussi nella voce etnologia in questa Appendice.
Tuttavia, sempre a proposito dei rapporti fra le discipline suddette, è bene ricordare che negli SUA l'a. è considerata più comprensiva dell'etnologia, ritenuta come un settore specifico di quella, e che in Francia (Lévi-Strauss) si tende a stabilire una graduatoria fra l'a., l'etnologia e l'etnografia. Esse avrebbero un ruolo diverso rispetto alla formazione d'una scienza generale dell'uomo. L'etnografia corrisponderebbe al momento della ricerca sul campo, delimitata al caso preso in esame e descritto; l'etnologia al momento dell'analisi storica, funzionale e comparativa dei dati offerti dall'etnografo; l'a. tout court al momento generalizzante, supremo, cui concorrerebbe il supporto di altre scienze quali la filosofia, la logica, la linguistica, la psicologia e psicanalisi, la matematica. La pretesa di attribuire all'a. il valore di scienza umana onnicomprensiva, generalizzante e suprema - condivisa più o meno esplicitamente da molti anche in Italia - discende per un verso dal fallimento delle tradizionali filosofie, sociologie, psicologie, ecc. rispetto al loro assunto altrettanto ambizioso e utopistico, per altro verso da una fondamentale esigenza umana d'ordine intellettuale, volta verso un'unità e una sintesi del sapere scientifico, per quanto velleitaria e irrealizzabile essa si sia dimostrata negli sforzi ricorrenti perseguiti nei vari campi della scienza moderna. Non a caso l'a., nelle sue varie specificazioni, è assurta oggi a un ruolo preminente, al punto da coinvolgere su ampia scala gl'interessi della cultura media oltreché specialistica. Questo emergere dell'a. è a sua volta un riflesso, nell'ambito culturale e scientifico, dell'emergere - sul piano dei rapporti storico-politici - delle popolazioni del Terzo Mondo, anzitutto afroasiatiche, con l'esplosione dei movimenti di emancipazione anticolonialista nel secondo dopoguerra. E non a caso la stessa filosofia sempre più si viene facendo antropologica, mentre la sociologia e la psicologia avvertono una comunanza d'interessi con l'a., con la quale si alleano.
Fatto sta che le scienze antropologiche, studiando l'uomo nelle sue manifestazioni spazialmente, temporalmente e moralmente più lontane da quelle proprie, non solamente tendono a raggiungere, come s'è detto, una più profonda conoscenza di noi stessi attraverso il confronto con uomini diversi, ma per altro verso tendono a individuare se certi tratti culturali, psichici, sociali, morali, intellettuali, siano condivisi da tutte le società umane ab origine, e se si possa giungere a definire delle basi universali, invariabili, strutturali dell'umano comportamento e del pensiero dell'uomo. Perciò l'a., ossia la scienza antropologica nel suo insieme, per così dire possiede una duplice anima, a seconda che in essa si accentui il momento di analisi delle variabili e delle differenze particolari (connesse con l'ambiente, con le storie locali e le etnostorie, con le attitudini collettive, a lor volta condizionate da vicende e da situazioni culturali ad esse preposte), ovvero il momento di ricostruzione delle invarianti, delle analogie, delle strutture culturali, sociali, psichiche, morali.
Da questa duplice anima dell'a. discendono due approcci differenziati e in parte contrapposti fra loro, o addirittura in polemica reciproca. Da un canto discendono le scuole storiche, funzionaliste, dinamiste, volte - pur con criteri diversi o divergenti - allo studio di casi particolari o comparabili fra loro, visti in rapporto all'ambiente interno e alla situazione specifica; dall'altro discendono le scuole - pur fra loro diversamente orientate - culturologica americana e strutturalista inglese e francese.
L'a., come scienza generale dell'uomo, nasce negli Stati Uniti con F. Boas (General anthropology, New York 1938), il quale per primo rivendica l'autonomia della vita culturale e dei processi culturali dai fattori etnici (The mind of primitive man, New York 1938). Da Boas l'intero filone dell'a. statunitense s'orienta verso lo studio del concetto di cultura, e della cultura in sé, come prodotto autonomo dell'uomo (a. c. stricto sensu).
Gli studi americani partono dall'analisi, fatta sul campo, di culture di popoli illetterati quali: indiani SUA e del Canada, eschimesi, melanesiani, africani, ecc., e sviluppano una serie di temi e criteri metodologici, assunti poi anche come etichette di scuole particolari, intorno ai cosiddetti modelli culturali, ai problemi di cultura e personalità, di acculturazione, del superorganico e della culturologia, dell'a. applicata e del relativismo culturale. La scuola dei modelli culturali creata da R. Benedict (Patterns of culture, New York 1934) e seguita da C. Kluckhohn, M. Mead, G. Gorer, attribuisce all'antropologo, nell'atto di studiare una cultura nel suo insieme, la capacità di cogliere, per un intuito psicologico intrinseco più che per una razionalizzazione scientifica, il carattere e l'attitudine psicologica che contraddistinguono quella cultura da altre, per esempio il carattere dionisiaco dei Kwakiutl in contrapposizione a quello apollineo degli Zuñi, il carattere lealista dei Giapponesi, e così via. Si svilupparono, da questa scuola, ricerche sui cosiddetti caratteri nazionali.
L'approssimativismo ascientifico dell'approccio "patternista" si presta a serie riserve, tanto più che esso trascura le componenti storico-culturali poste alla radice delle attitudini collettive. La scuola di cultura e personalità (R. Linton, A. Kardiner, C. Dubois, M. Mead) si propone di studiare in qual modo ogni diversa cultura modelli un certo o certi tipi di personalità di base o modale, quale importanza e significato abbiano le variazioni individuali in rapporto a quei tipi considerati normali in una data società, e in quali modi si attui il processo di socializzazione dell'individuo entro il suo contesto sociale (C. Kluckhohn, H. A. Murray). Sottolineando il potere condizionante della cultura sulla psiche individuale, e i limiti statistici di variabilità delle personalità individuali nell'ambito della stessa cultura, questa scuola fonda un ramo particolare dell'a., ossia l'a. psicologica, destinato a ulteriori e importanti sviluppi. Verso gli anni Trenta negli SUA si sviluppano anche gli studi concernenti l'acculturazione (R. Redfield, R. Linton, M. Herskovits), ossia i processi di mutamento culturale che intervengono dall'incontro-scontro fra culture e società differenti. Nasce così un nuovo capitolo dell'a., che segue e aggiorna i temi prima affrontati dall'etnologia diffusionista (C. Wissler, A. Kroeber, A. Lesser), riferendosi a fenomeni di trasformazione culturale in atto fra le società tradizionali, nel loro incontro con le civiltà euro-americane. Anche in questi studi, pur innovatori, si avvertono certi limiti: soprattutto quello d'attribuire al concetto d'acculturazione un senso unidirezionale come processo volto unicamente verso l'assimilazione da parte nativa dei modelli culturali occidentali - senza considerare le influenze dirette o indirette ricevute, per parte sua, dalla cultura occidentale, e sottovalutando il carattere creativo, originale, dei processi acculturativi -; e l'altro limite, di non tener conto del contesto di rapporti di forze, entro cui s'attua l'incontro culturale, e che presiede ai suoi sviluppi. Il medesimo limite concettuale e metodologico poi è inerente alla teoria del relativismo culturale (M. Herskovits, Man and his works, New York 1948), su cui pur oggi si fonda l'a. c. americana ufficiale, e che difende il principio della dignità intrinseca di tutte le culture, ciascuna giustificabile in se stessa, astenendosi dal formulare giudizi di valore su esse. I limiti di tale teoria, al di là del positivo suo apporto contro l'ideologia razzista, consistono nel fatto che la rinunzia a esprimere giudizi di valore s'estende anche ai casi d'involuzione culturale come il nazismo e il fascismo, e che il principio della dignità delle culture, quando però non sia convalidato dal rispetto effettivo per le società portatrici di esse, non ha altro senso che quello di un alibi intellettuale.
La discussione circa la natura della cultura, già impostata da Boas, si sviluppa soprattutto con Kluckhohn e Kroeber (Culture. A critical review of concepts and definitions, Harvard 1952). La tendenza a non differenziare fra loro i concetti di cultura e civiltà, ma a considerarli sinonimi, viene difesa, mentre da noi in Italia v'è chi (Tentori) li pone fra loro in una contrapposizione, che si riporta alla più vasta contrapposizione fra una "etnologia come scienza delle civiltà soprattutto primitive", e un'a. c. come "scienza della cultura". Ma né l'a. americana né altre scuole, oggi, hanno ragioni per radicalizzare i contrasti fra le varie discipline antropologiche, né fra i termini cultura e civiltà; mentre in Italia il contrasto ebbe certamente radice nel bisogno, del tutto contingente, di dar vita a un'a. c. allora (1960) non riconosciuta ufficialmente, affrancandola dall'etnologia.
Nell'ambito degli studi sulla cultura e sui rapporti fra cultura e individualità, si sviluppa un indirizzo, rappresentato da A. Kroeber (The superorganic, in Amer. anthropologist, 1917) e L. A. White (The science of culture, New York 1949) che, enfatizzando l'importanza del momento cultura nei rapporti con il momento dell'individualità, giunge a un vero determinismo culturale, nel quale si perde di vista la natura dialettica e articolata di quel rapporto e si dà il via alla cosiddetta "culturologia". Secondo Kroeber il reale può essere studiato a tre distinti livelli, inorganico (biologico), organico (psichico), e superorganico (culturale). Il livello superorganico, o culturale, ha una sua specificità e autonomia, che produce per esempio il fenomeno delle invenzioni plurime e simultanee. Esso dimostrerebbe che il cosiddetto genio inventivo individuale è un concetto da ridimensionare, in quanto che una data cultura, in un dato momento, sarebbe portata ineluttabilmente a produrre determinate invenzioni, ed il genio non altro sarebbe, allora, che un comune artigiano, interprete di quelle esigenze culturali. Evidentemente, dalla positiva accentuazione del ruolo della cultura sull'individuo, si scivola verso la reificazione fantastica di un'astrazione, qual è il superorganico.
Uno svolgimento significativo dell'a. statunitense è dato dall'a. applicata, che con la Benedict (Chrysanthemum and the sword, Boston 1946), Linton (The science of man in the world crisis, New York 1945), Kluckhohn (Mirror for man, ivi 1949) e un'intera scuola (cfr. il periodico Human organization dal 1941) si propone di superare il momento conoscitivo per offrire, agli enti e governi delle potenze mondiali (SUA), dati e strumenti idonei per intervenire attivamente nelle situazioni di contatto e urto culturale, secondo criteri di acculturazione controllata o pianificata. L'a. applicata SUA ha il suo parallelo nel funzionalismo inglese con la Indirect rule d'epoca coloniale, e ha i suoi precedenti tanto nell'azione di conversione dei missionari quanto nella vecchia politica deculturatrice dei Conquistadores in America centro-meridionale. Essa si basa sul presupposto - oggi sempre più criticato - di un modello di relazione asimmetrica, per cui esisterebbero gruppi (nativi) unicamente "riceventi" e gruppi (occidentali) unicamente "datori". Ma va anche sottolineato il rischio soggiacente a ogni ricerca od operazione di a. applicata: di subire il condizionamento (anche se inespresso, camuffato o negato) degl'interessi prioritari, economici e politici, diretti o indiretti, degli enti, istituti preposti alle ricerche e sovvenzionatori dell'intervento (Lanternari, 1974).
L'a. statunitense nell'insieme ha aperto la via a studi specialistici che oggi si sviluppano in una serie d'indirizzi e interessi, che vanno dall'a. economica (G. Dalton, K. Polanyi) a quella socio-politica (E. R. Wolf), all'ecologia culturale (J. H. Steward, M. Sahlins), con aperture verso il marxismo (S. Diamond, K. Gough, M. Harris). È importante e positivo comunque, che l'a. americana abbia maturato ed espresso dal proprio seno, negli ultimi tempi, i germi d'una revisione critica (a. radicale) delle aporie e contraddizioni inerenti ai vari indirizzi e studi tradizionali, nei loro continui compromessi fra istanze scientifiche autonome e condizionamenti extrascientifici, fra impulsi d'apertura ideologico-umanistica e ricadute su posizioni etnocentriche o astrattamente antistoriche e culturologiche.
In Italia un collegamento diretto con l'a.c. americana viene istituito da T. Tentori, che passa dall'etnologia tradizionale (di cui era esponente il suo maestro R. Pettazzoni) all'a. c., accentuando questo passaggio in termini di netta contrapposizione fra discipline e fra specifici temi di ricerca. I primi interessi per l'a. c. da noi si sviluppano negli anni Cinquanta intorno a T. Tentori e, indipendentemente, a E. De Martino, mentre un'attenzione a problemi concernenti il pensiero umano, nelle sue espressioni più primitive, vien data da alcuni filosofi (R. Cantoni, Il pensiero dei primitivi, 1941; indi: C. Tullio-Altan, Lo spirito religioso nel mondo primitivo, Milano 1960). Questi ultimi sviluppano soprattutto una tendenza speculativa, via via aperta a vari contributi esterni (sociologia, filosofia del diritto, psicologia, etologia, marxismo, strutturalismo), ma pur sempre volta a far suo problema centrale la "cultura" nei suoi complessi rapporti con la società e l'individuo. D'altra parte l'a. c. tentoriana e demartiniana danno avvio a ricerche sul terreno in zone depresse del meridione d'Italia (E. De Martino, Note Lucane, in Società, 1950; T. Tentori, Matera: uno studio, Roma 1953), e a discussioni di metodo (E. De Martino, Intorno a una storia del mondo popolare subalterno, in Società, 1949; T. Tentori, Antropologia culturale, 1960). Nette differenze d'impostazione si riscontrano fra il gruppo tentoriano, orientato verso ricerche di comunità secondo i modelli americani, e De Martino, volto in modo originale verso la fondazione di una a. c. che egli chiama anche etnologia o folklore (E. De Martino, Le nuove scienze umane: antropologia, in Civiltà delle macchine, 1970,1), d'impianto storicistico, conforme alla sua formazione umanistico-crociana, aperta in un secondo tempo - attraverso la lettura di Gramsci - al marxismo. De Martino integra la ricerca sul campo con la ricerca storiografica, intesa a ravvisare l'origine storico-culturale e sociale dei fenomeni di religiosità popolare arcaicizzanti o sincretici, propri del mondo contadino meridionale, e i rapporti conflittuali avutisi nel corso storico, fra la politica culturale dei ceti egemoni - soprattutto della chiesa cattolica - e la resistenza culturale dei ceti subalterni. L'a. c. di De Martino segna un ampliamento e un approfondimento della problematica della demologia (o folklore) tradizionale: e se ne avvertono gli effetti positivi nei più recenti sviluppi di questa disciplina in Italia (A. M. Cirese, L. Lombardi Satriani, G. Bonomo, A. Buttitta, A. di Nola), nonché dell'etnologia (v. Lanternari).
Se De Martino (1908-65) rimane indipendente da qualsiasi influenza dell'a. americana, come anche di quella inglese (funzionalismo) che egli critica per il loro antistoricismo e per gli stretti rapporti con il colonialismo o l'imperialismo, già nel 1958 si ebbe in Italia un'esplicita presa di posizione nei confronti dell'a. c. statunitense, quando un gruppo di giovani studiosi pubblicò un Memorandum (L'antropologia culturale nel quadro delle scienze dell'uomo, 1958), in occasione del I Congresso nazionale di scienze sociali. In esso la nozione di modello culturale, di tema culturale, e in genere l'impostazione dell'a. americana sono criticate per la carenza d'interessi per la dimensione storica dimostrata nell'analisi e nell'interpretazione dei fatti culturali. Su questi presupposti, e insieme arricchendosi di stimoli e di esperienze metodologiche provenienti - a seconda dei casi - dal marxismo, dallo strutturalismo, o da entrambi, l'a. c. sta sviluppandosi in Italia negli ultimi anni sul piano della ricerca sul terreno e speculativa, avvalendosi anche di una nuova base istituzionale, data dall'apertura di cattedre universitarie. L'eterogeneità degli approcci, la varietà delle problematiche e dei temi di ricerca fra i numerosi cultori, la sproporzione tra le grandi aspettative in essa poste soprattutto dai giovani per i suoi contenuti critici, e un certo approssimativismo di alcune risposte, infine l'intrinseco contrasto proprio d'una scienza che quanto più si presume sintetica e totalitaria tanto più rischia di mancare della coerenza e del rigore necessari, fanno della nostra a. c. una disciplina in fase di crescita, non scevra dei difetti d'una gioventù non del tutto matura.
Bibl.: Riviste: American anthropologist (Washington); Archivio per l'antropologia e l'etnologia (Firenze); Current anthropology (Chicago); Human organization (Boulder, Colorado); Uomo e cultura (Palermo).
Per la letteratura antropologica statunitense sono da vedere: F. Boas, The mind of primitive man, New York 1911, 19382 (trad. it. Bari 1972); M. Mead, Coming of age in Samoa, ivi 1928 (trad. it. Firenze 1954); P. Murdock, The science of culture, in American anthropologist, XXXIV (1932); R. Benedict, Patterns of culture, Boston 1934 (trad. it. Milano 1960); R. Linton, The study of man, New York 1936 (trad. it. Bologna 1973); R. Redfield, R. Linton, M. Herskovits, Memorandum on the study of acculturation, in American anthropologist, XXXVIII (1936); L. A. White, Culturology, in Encyclopaedia of social sciences, New York 1937; F. Boas, General anthropology, Boston 1938; M. Herskovits, Acculturation. The study of culture-contact, New York 1938; M. E. Opler, Personality and culture, in Psychiatry (1938), 1; R. H. Lowie, An introduction to cultural anthropology, New York 1941; A. Kardiner, The psychological frontiers of society, ivi 1945 (trad. it. Bologna 1973); C. Kluckhohn, Mirror for man, ivi 1940 (trad. it. Milano 1952); M. Mead, Male and female, ivi 1949 (trad. it. Milano 1962); L. A. White, The science of culture, ivi 1949 (trad. it. Firenze 1969); G. Gorer, The people of the great Russia, ivi 1950; A. L. Kroeber, The nature of culture, Chicago 1952; A. L. Kroeber, C. Kluckhohn, Culture: a critical review of concepts and definitions, Harvard 1952 (trad. it. Bologna 1972); R. L. Beals, H. Hoijer, An introduction to anthropology, New York 1953 (trad. it. Bologna 1970); D. Bidney, Theoretical anthropology, ivi 1953; M. Herskovits, Cultural anthropology, ivi 1955; M. Mead, New lives for old, ivi 1956 (trad. it. Milano 1962); Language, culture and personality, a cura di D. C. Mandelbaum, Berkeley-Los Angeles 1958; Anthropology today, a cura di A. L. Kroeber, Chicago 19596; M. Herskovits, Man and his works, New York 1960; M. Mead, Anthropology. A human science, Princeton 1964 (trad. it. Bologna 1971).
Per la letteratura antropologica italiana sono da vedere: R. Cantoni, Il pensiero dei primitivi, Milano 1941, ripubbl. Il pensiero dei primitivi: preludio a un'antropologia, ivi 1963; Autori vari, L'antropologia culturale nel quadro delle scienze dell'uomo. Appunti per un memorandum, in Atti del primo congresso nazionale di scienze sociali, Bologna 1958; T. Tentori, Antropologia culturale, Roma 1960: 19766; E. De Martino, La terra del rimorso. Contributo ad una storia religiosa del sud, Milano 1961; N. Abbagnano, Il relativismo culturale, in Quaderni di sociologia, XI (1962), 1; E. De Martino, Furore simbolo valore, Milano 1962; Il pregiudizio sociale, a cura di T. Tentori, Roma 1962; Autori vari, in: De homine, rivista dell'istituto di filosofia dell'università di Roma, n. 17-18 (dedicato all'antropologia culturale), 1965; L. Bonin, A. Marazzi, Antropologia culturale. Testi e documenti, Milano 1970; G. Costanzo Beccaria, La costruzione dell'uomo, Roma 1970; Il concetto di cultura, a cura di P. Rossi, Torino 1970; C. Gallini, Il consumo del sacro. Feste lunghe in Sardegna, Bari 1971; F. Remotti, Lévi-Strauss. Struttura e storia, Torino 1971; C. Tullio-Altan, Manuale di autropologia culturale. Teoria e metodo, Milano 1971; A. M. Cirese, Cultura egemonica e culture subalterne, Palermo 1973; B. Bernardi, Uomo cultura società. Introduzione agli studi etno-antropologici, Milano 1974; C. Gallini, Le buone intenzioni. Politica e metodologia nell'antropologia culturale statunitense, Rimini 1974; V. Lanternari, Antropologia e imperialismo, Torino 1974; C. Tullio-Altan, I valori difficili. Inchiesta sulle tendenze ideologiche e politiche dei giovani in Italia, Milano 1974; L. Lombardi Satriani, Antropologia culturale e analisi della cultura subalterna, Rimini 19762; V. Lanternari, Folklore e dinamica culturale. Crisi e ricerca d'identità, Napoli 1976.