Antropologia ed etnologia
Il termine antropologia deriva dal greco ἄνθϱωποϚ, uomo, e da λόγοϚ, discorso. Il termine etnologia deriva da ἔθνοϚ, popolo o razza. Alla lettera, antropologia significa dunque 'studio dell'uomo', etnologia significa 'studio dei popoli e delle razze'.
Storicamente, questi termini sono stati impiegati in modi diversi. In Europa l'antropologia fu associata sin dall'inizio agli aspetti biologici dell'uomo e venne ascritta al dominio delle scienze naturali. Negli Stati Uniti e in Canada tale disciplina includeva in genere quattro branche: una fisica, una socioculturale (etnologia), l'archeologia e la linguistica antropologica. Il termine etnologia ebbe un uso piuttosto limitato sino al 1840; a partire da questa data, l'etnologia venne intesa come studio generale delle popolazioni nei diversi aspetti fisici e psicologici, linguistici, culturali e migratori. Mentre alcuni consideravano questa disciplina come uno studio specifico dei popoli preindustriali, F. Boas, nel 1888, la concepì come storia generale dell'uomo in tutti i suoi aspetti, compresi quelli fisici e culturali, dalle ere glaciali al presente. Pochi anni prima E. B. Tylor aveva usato il termine antropologia per lo stesso tipo di indagine. Lo studio delle popolazioni antiche e moderne dell'Italia fu lo scopo primario della Società di Antropologia ed Etnologia, fondata a Firenze nel 1870.
L'introduzione del concetto di cultura verso la fine del XIX secolo portò ad attribuire lo studio dello sviluppo storico delle culture all'etnologia, sottraendole invece l'antropologia fisica e la linguistica.
Muovendosi in un orizzonte storico, gli etnologi si sforzarono di fare della loro disciplina una scienza e rivendicarono la cultura come suo oggetto. Essi si dedicarono allo studio dei processi culturali, e cercarono di ricostruire l'espansione storica e territoriale delle varie culture, individuando nelle diverse aree geografiche la presenza o l'assenza di elementi e di complessi culturali. A partire dagli anni trenta di questo secolo l'etnologia ha dedicato la sua attenzione alla comparazione di culture etnograficamente e storicamente documentate. L'introduzione dell'antropologia culturale americana e dell'antropologia sociale inglese portò, in Italia, a una definizione simile dell'etnologia. Negli Stati Uniti, la corrente letteratura antropologica preferisce parlare di antropologia culturale piuttosto che di etnologia. Il prefisso 'etno' è adoperato largamente in varie combinazioni per designare differenti specializzazioni, quali l'etnobotanica, l'etnostoria e l'etnolinguistica.
Gli sviluppi dell'antropologia come scienza generale dell'uomo devono molto agli orientamenti, alle filosofie sociali e alle teorie biologiche relative all'uomo come essere fisico e come artefice di società e culture, che in Europa accompagnarono l'espansione industriale e lo sviluppo scientifico.I dati biologici e socioculturali e le spiegazioni causali risultavano così caratteristici e contrastanti che in genere l'antropologia fisica e l'etnologia seguirono strade separate, entrando spesso in conflitto circa l'influsso dei fattori biologici o di quelli culturali sul comportamento umano. Si dovettero attendere gli anni quaranta perché cominciasse a costituirsi il fondamento teorico per una collaborazione più stretta tra le due discipline, grazie all'introduzione di teorie genetiche ed ecologiche nell'antropologia fisica e al progressivo indebolimento del determinismo sociale e culturale, che aprirono la strada ad altre spiegazioni del comportamento sociale.
L'antropologia e l'etnologia si svilupparono grazie agli sforzi di naturalisti, anatomisti, medici, filosofi, storici, teorici della società e della politica, ecclesiastici e insegnanti, per definire l'uomo quale essere che si viene formando nel corso della storia, seguendo secondo alcuni il disegno divino, secondo altri le leggi della natura, relegando così Dio in secondo piano o negandone l'esistenza. La storia del genere umano veniva vista come una progressione di realizzazioni creative, che si evolvevano gradualmente dal semplice al complesso, dal rudimentale al perfezionato. Ciò aprì la strada a una varietà di osservazioni, riflessioni e deduzioni sulla natura umana. L'uomo veniva considerato un essere dotato di capacità fisiche, intellettuali, morali e sociali suscettibili di perfezionamento con il migliorare della qualità della vita sociale. Era tipico di questo modo di vedere il tentativo di dimostrare il progresso graduale dell'uomo confrontando i vari stadi della sua evoluzione.
I Greci erano stati i primi a mostrare i legami che sussistevano tra natura umana, società, geografia e clima. Essi posero l'accento sull'idea di una gerarchia di parti fondata sulla funzione, l'armonia, lo scopo ultimo, e sostennero il primato del sistema, concepito come un tutto, sulle sue varie parti. Nel momento stesso in cui si rifacevano largamente all'umanesimo, alla filosofia e alla scienza dei Greci, gli intellettuali del XVIII secolo si resero conto di trovarsi alla vigilia di sviluppi senza precedenti nella storia. La rivoluzione industriale stava mutando radicalmente il mondo, sia dal punto di vista economico che da quello politico e sociale. I progressi della scienza dovuti a Copernico, Galileo, Newton, Boyle e Descartes fecero nascere una nuova fiducia nelle capacità dell'uomo, che avrebbero potuto aprire la strada ad un futuro libero dai ceppi dell'ignoranza e della superstizione. La scienza rivelò l'esistenza di leggi della natura, seguendo le quali gli uomini sarebbero diventati padroni del loro destino. La scoperta di queste leggi naturali portò ad un nuovo materialismo che rafforzava la fiducia dell'uomo in se stesso; mentre la natura assumeva una posizione di primo piano, Dio recedeva sempre più nello sfondo. Per lo scienziato cristiano e laico, la natura e le leggi della natura costituivano una scuola per l'umanità, e gli strumenti per la sua realizzazione.
La scienza del XVIII secolo trasformò tutta la realtà - il cosmo, l'uomo, la società e la divinità - in oggetti suscettibili di descrizione e analisi in base ai loro attributi, strutture, funzioni, processi ed effetti sull'uomo e sulla vita sulla terra. Il nuovo atteggiamento lasciava libera la curiosità di osservare, raccogliere e classificare tutto ciò che faceva parte della natura, e vennero così gettate le basi di numerose discipline: psicologia, pedagogia, economia, diritto, linguistica, sociologia, antropologia fisica, etnologia, geologia, geografia, paleontologia ecc.
Nel 1735 Linneo riconosceva all'uomo il primo posto nell'ordine degli Anthropomorpha o Primati, un gradino al di sopra delle scimmie più evolute, seguito dai babbuini e dalle scimmie del Vecchio Mondo.
Gli uomini appartenevano tutti alla stessa specie, quella dell'Homo Sapiens, all'interno della quale si distinguevano i bianchi dell'Europa, i pellerossa d'America, i bruni dell'Asia e i neri d'Africa, mentre i trogloditi segnavano il confine con le specie inferiori. L'uomo era dunque un animale tra gli altri e, seguendo la grande catena dell'essere, Linneo trovò difficile determinare secondo principî tassonomici se l'uomo fosse un uomo-scimmia o una scimmia-uomo. J. Blumenbach (1775), maggiormente colpito dalle capacità raziocinanti, discorsive e manuali dell'uomo, e dalla sua mancanza di difese fisiche dalle aggressioni della natura, decise di collocarlo in un ordine distinto, quello dei Bimani. Il Creatore aveva destinato l'uomo a vivere in società utilizzando gli utensili, il linguaggio e la ragione. Studiando una raccolta di crani, Blumenbach divise le specie umana in cinque razze principali: la caucasica, la mongolica, l'etiopica, l'americana e la malese.
Gli scienziati del XVIII secolo definivano le razze tipologicamente, mettendo insieme caratteristiche contrastanti, alcune misurabili. Alcuni ritenevano che le diverse varietà derivassero per modificazioni ambientali da un tipo originario, altri che ciascuna costituisse una specie distinta, formata da o per un ambiente specifico. La controversia tra monogenesi e poligenesi ebbe origine dunque nel XVIII secolo, anche se l'idea della poligenesi era già affiorata durante il Rinascimento. Le moderate difficoltà ambientali dei climi temperati sembravano stimolare al meglio le potenzialità dell'uomo, compresa l'aspirazione alla libertà e all'indipendenza. Gli estremi del gelo artico e del calore tropicale invece parevano limitare gravemente le sue capacità fisiche, morali e intellettuali. La distribuzione geografica delle razze spinse i poligenisti a moltiplicare il numero delle specie razziali.
Come fece rilevare Charles Darwin (v., 1871), gli scienziati non erano riusciti a stabilire se l'uomo dovesse essere classificato come "una singola specie o razza, o due (Virey), tre (Jacquinot), quattro (Kant), cinque (Blumenbach), sei (Buffon), sette (Hunter), otto (Agassiz), undici (Pickering), quindici (Bory St. Vincent), sedici (Desmoulins), ventidue (Morton), sessanta (Crawfurd), o sessantatre (Burke)". Con alcune notevoli eccezioni, i poligenisti concepivano il rapporto tra 'razze' e ambiente in termini di superiorità e inferiorità. Sulla base della sua concezione dell'origine dell'uomo e del principio della selezione naturale, Darwin ascrisse l'uomo all'ordine dei Primati dal punto di vista biologico, e sostenne che la razza umana è costituita da un'unica specie.
Il nascente nazionalismo dell'epoca indusse anche al tentativo di identificare le razze attraverso tipologie craniche. Si attribuì alle tribù nomadi dei Germani la diffusione dell'idea di libertà tra le popolazioni franche e britanniche che stavano sotto il dominio di Roma. Durante la Rivoluzione francese l'abate Siéyès si servì politicamente delle differenze 'razziali' per caratterizzare il Terzo stato, identificato con gli antichi Galli, contro i nobili, franco-germanici. In Italia Carlo Cattaneo (1842), prendendo spunto dalla diffusione delle lingue indo-germaniche, indagò il processo attraverso il quale un piccolo gruppo di conquistatori riusciva a imporre la propria lingua a una popolazione più vasta.
J.-B. Lamarck (1801) fu il primo a mettere in discussione l'idea che una specie si modificasse nella forma senza variare nella struttura. Egli sostenne che i cambiamenti indotti dall'uso e dal disuso trasformassero una specie in un'altra attraverso le generazioni.
Cominciando dagli organismi semplici, la vita si evolve attraverso una successione di specie sempre più complesse: se si risalisse ai progenitori, si troverebbero forme radicalmente diverse dalle attuali. Nel 1813, J. C. Prichard introdusse l'idea di un'evoluzione intraspecifica associando le modificazioni nella struttura cranica e nella razza all'evoluzione dei modi di vita. Prichard considerò i cacciatori neri prognati dell'Africa il prototipo dal quale erano derivati i piramidocefali della Mongolia e altre popolazioni di allevatori, come pure gli agricoltori asiatici dal cranio ovale e gli europei dal cranio ellittico. Benché tutto il genere umano fosse dotato di intelligenza, senso religioso e aspirazione al miglioramento, secondo Prichard gli europei dal cranio ellittico si distinguevano come la razza più evoluta dal punto di vista economico, e con un più alto grado di civilizzazione rispetto alle altre.
La contrapposizione tra l'idea di mutamento mediante processi naturali e quella mediante interventi catastrofici della divinità, tra la concezione di sistemi in equilibrio statico e sistemi che si evolvono, fu cruciale per le teorie geologiche. Nel 1785 James Hutton respinse la teoria del catastrofismo affermando che la Terra aveva subito dei mutamenti nel passato per l'azione del vento, della pioggia, del gelo e delle maree, e attraverso processi di sedimentazione e di emersione di terre, proprio nel modo in cui tali fenomeni continuano a trasformare giorno dopo giorno la superficie terrestre. Le ricerche geologiche di C. Lyell contribuirono a far accettare la tesi del mutamento graduale di Hutton, anche se per Lyell i mutamenti geologici non procedevano verso una direzione definita, presentandosi invece come oscillazioni cicliche. Egli chiarì la storia geologica della Terra e delle sue recenti forme di vita. Servendosi della proporzione di molluschi recenti o viventi presenti nei vari strati, Lyell distinse tre periodi successivi nell'era cenozoica, l'Eocene, il Miocene e il Pliocene, e concluse che la Terra era molto più antica dei seimila anni calcolati tradizionalmente sulla base dell'esegesi biblica.Una concezione statica dei processi geologici forniva scarso sostegno alla tesi dell'evoluzionismo, sia biologico che culturale. Le notizie di ritrovamenti di utensili di selce assieme a ossa di mammuth, di orsi delle caverne, di rinoceronti e di cavalli estinti vennero ignorate o messe in dubbio sostenendo che i corsi d'acqua avevano mescolato ossa appartenenti ad epoche diverse, o che si trattava di ossa intrusive.
Nel 1839 Boucher de Perthes, un seguace di Lamarck, non riuscì a convincere gli accademici di Francia di aver trovato nei pressi di Abbeville asce di pietra forgiate da uomini 'diluviani' o forse 'antidiluviani', contemporanei di elefanti e rinoceronti estinti.
Le collezioni di antichità locali e gli sforzi compiuti per esibire nei musei testimonianze di una storia nazionale anteriore all'occupazione romana contribuirono anch'essi a far luce sulla preistoria.
I Danesi furono i primi a classificare gli utensili secondo una progressione evolutiva, che C. Thomsen formalizzò nel 1837 nei tre stadi della pietra, del bronzo e del ferro. Nel 1786 William Jones diede impulso alle ricerche linguistiche illustrando i legami tra sanscrito, greco, latino, germanico e persiano, e concluse che tali lingue derivavano tutte da un ceppo comune. La comparazione tra i mutamenti lessicali, grammaticali e fonetici costituì ben presto la base della filologia, e suscitò un grande interesse per lo studio delle connessioni storiche e delle migrazioni dei popoli.
L'idea di progresso fornì un modello dinamico e orientato teleologicamente per spiegare l'avanzamento morale, psicologico e sociale dell'umanità, fondamentalmente diverso dal modello statico della scienza della terra. Quanti speravano di scrivere una storia nuova, governata dalle leggi della natura o della provvidenza - credenti, atei o deisti che fossero - erano tutti concordi nel ritenere che la ragione fosse la guida più sicura per il futuro. L'idea di progresso conquistò tutti gli studiosi, che ricostruirono idealmente le origini e gli sviluppi delle istituzioni in modo conforme alla ragione, specialmente nel campo della conoscenza, del linguaggio, della religione, del diritto, della tecnologia e della scienza. Lord Kames pose le basi di un metodo comparativo servendosi di esempi tratti dai vari popoli della terra per illustrare l'evoluzione logica e progressiva del diritto. I filosofi morali scozzesi dedicarono la loro attenzione alla natura della società nei suoi vari stadi, 'selvaggio', 'barbarico' e 'civilizzato', e analizzarono le forze che promuovono la stratificazione sociale e la formazione dello Stato (v. Bryson, 1945).
Gli storici scozzesi della società diedero particolare impulso alla delineazione di una storia generale dell'umanità, mettendo insieme i diversi fattori che operano uniformemente e costantemente in favore del progresso dell'umanità e del miglioramento dell'individuo all'interno della società. Essi concepivano l'uomo come un essere autocosciente, morale e razionale, fondamentalmente libero dall'istinto, anche se ha in comune con gli animali la reazione al piacere e al dolore, gli impulsi di autoconservazione e di riproduzione, la tendenza alla socialità e l'aggressività. Si riteneva che l'uomo, alla nascita, fosse una tabula rasa, ma che attraverso la percezione sensoriale e la riflessione imparasse a reagire all'ambiente e ad accumulare conoscenza. Grazie alle sue capacità mentali e sociali, la specie umana si era elevata al di sopra del livello puramente organico di esistenza proprio degli animali: selvaggi e civilizzati, sebbene appartenenti alla stessa specie, erano separati dal diverso grado di sviluppo e di valorizzazione della ragione. L'accumulazione di invenzioni tecniche, i progressi nelle arti, nel diritto, nella conoscenza testimoniavano il graduale avanzamento della ragione. Dietro il progresso dell'uomo c'era una naturale aspirazione alla proprietà privata e al benessere economico, che stimolava l'iniziativa individuale, il senso di libertà e di giustizia e la creatività. Grazie alle loro invenzioni gli uomini avevano abbandonato la raccolta e la caccia per la pastorizia, e si erano in seguito dedicati all'agricoltura e al commercio, per lo più sotto la spinta dell'incremento demografico.
La storia dell'uomo concepita come realizzazione di un piano prestabilito differiva dalla storia tradizionale in quanto non era più soggetta ai capricci delle decisioni individuali, ma sottostava alle regolarità delle leggi naturali. Nel ricostruire la storia progressiva delle istituzioni si utilizzavano i fattori sociali più che quelli biografici privilegiati dagli storici. Il metodo comparativo si serviva del ragionamento analogico per collocare ogni usanza in un continuum logico, deducendo una concatenazione logica di stadi di sviluppo successivi dall'osservazione dei diversi popoli della terra, selvaggi, barbari e civilizzati.Sforzandosi di tracciare una storia unificata dell'umanità, che includesse anche le popolazioni preindustriali, gli storici della natura progressivisti arrivarono alle soglie di una scienza generale dell'uomo.
Tuttavia, in quanto scienza generale dell'umanità, la loro storia naturale era incompleta, e praticamente senza alcuna relazione con altre discipline emergenti quali l'antropologia fisica, la preistoria, la linguistica, la geografia e la paleontologia umane. Essi respingevano in generale il tentativo di lord Monboddo di associare i diversi stadi di sviluppo fisico dell'uomo ai diversi gradi di cultura, a partire dal cosiddetto uomo della foresta, giacché consideravano l'uomo primariamente come essere sociale anziché biologico. La Société des Observateurs de l'Homme, fondata a Parigi nel 1799, fece il primo, serio tentativo di raccogliere in modo sistematico dati sui 'selvaggi'; a tal fine inviò, dal 1800 al 1804, una spedizione in Tasmania per raccogliere dati sui rapporti tra i sessi, l'educazione morale dei bambini e la struttura della società relativamente alla famiglia, all'organizzazione economica e politica, alla morale e alla religione.
Gli sviluppi intervenuti tra il 1840 e il 1870 gettarono le basi per la costituzione di una nuova disciplina che avesse come oggetto peculiare la storia fisica e culturale del genere umano. Le esplorazioni e l'espansione politica europee avevano fatto conoscere l'esistenza dei vari popoli della terra e i tratti generali delle loro culture. I progressi degli studi di preistoria, di geologia, di paleontologia, di craniometria, di filologia, delle mitologie e della teoria evoluzionista dimostravano la necessità di una disciplina che integrasse i rispettivi dati e desse loro significato inserendoli in una teoria generale e comparativa dello sviluppo umano.
Anatomisti, fisiologi, psicologi, filologi, geologi, paleontologi, archeologi ed etnologi si impegnarono a studiare il passato dell'uomo promuovendo la costituzione di diverse società etnologiche a Parigi (1839), a Londra (1841) e a New York (1842). La rapida estinzione degli aborigeni a contatto con la civilizzazione minacciava la perdita di informazioni di vitale importanza, e la British Association for the Advancement of Science iniziò la pubblicazione di un periodico - "Notes and queries on anthropology" (1843) - per guidare la raccolta di dati sul campo.Tre avvenimenti successivi accelerarono la costituzione di una scienza complessiva del genere umano. Nel 1856 fu scoperto in Germania uno strano scheletro, in seguito classificato come 'uomo di Neandertal', che suscitò un vivo interesse per il problema della sua eventuale classificazione nella specie umana. Poco dopo, nel 1858, i geologi inglesi confermarono il reperimento di utensili di pietra associati a mammiferi estinti da lungo tempo. Infine, l'Origine delle specie di Ch. Darwin (1859) dimostrò che la teoria della selezione naturale offriva un principio per integrare lo sviluppo evolutivo della specie umana e spiegava l'accresciuta capacità di adattamento fisico e intellettuale dell'uomo ai fini della sopravvivenza. Tutto ciò favorì la rapida diffusione di società antropologiche - a Parigi (1858), Londra (1863), Berlino (1869), Vienna (1870), Firenze (1870), Stoccolma (1873), Washington (1879) e Roma (1893). Un legame formale delle varie discipline nell'ambito di una scienza generale dell'uomo si ebbe solo dopo che, nel 1866, ebbe luogo l'International congress of anthropology and prehistoric archaeology.
Nel 1869, a Berlino, Adolf Bastian, etnologo, e Rudolf Virchow, anatomista e patologo, fondarono una Società di Antropologia, Etnologia e Preistoria. In Inghilterra l'Anthropological (più tardi Royal) Institute of Great Britain and Ireland (1871) fuse la società antropologica con quella etnologica. La Società Romana di Antropologia univa antropologia fisica, etnologia, psicologia sperimentale e sociologia. La American Anthropological Society fu istituita solo nel 1902, e riuniva sia l'antropologia fisica che quella culturale, o etnologia. La formazione di società portò alla distinzione professionale fra antropologi ed etnologi. Nel 1851 la British Association for the Advancement of Science riconobbe l'etnologia come disciplina scientifica, e nel 1882 l'antropologia fisica fu ammessa nell'American Association for the Advancement of Science.
La formazione di società antropologiche non determinò l'uniformità delle teorie. Adottando la teoria biblica della creazione, o quella di Lamarck, i poligenisti potevano fare a meno della monogenesi e della selezione naturale di Darwin. L'élan vital di Bergson governava i processi vitali e lo sviluppo senza far ricorso alla selezione naturale. Tuttavia, sia i monogenisti darwiniani che i poligenisti concordavano nel considerare la specie come l'unità fondamentale dell'evoluzione. La creatività, le conquiste e i destini degli individui, delle nazioni, delle classi sociali e degli Stati si confondevano con quelli della razza. Ad alimentare questa confusione contribuì il dibattito sulla schiavitù negli Stati Uniti, nonché il nazionalismo che accompagnava la formazione degli Stati in Europa e l'espansione coloniale d'oltremare. J.-A. de Gobineau deplorava la mescolanza razziale che infiacchiva la creatività e l'attitudine al dominio dei popoli nordici. Il problema di definire i confini tra le specie sulla base della capacità di riprodursi della prole fu prontamente trasformato nella questione degli effetti progressivi o degenerativi delle mescolanze razziali. P. Broca, un seguace di Lamarck, fondò nel 1859 la Société d'Anthropologie de Paris, di orientamento poligenista, e si avvicinò alla teoria dell'ibridismo del poligenista americano S. Morton.
La razza diventava il fulcro dell'antropologia fisica nello studio dell'evoluzione e dello sviluppo del genere umano. Otto Ammon teorizzò che una selezione naturale sociale rendeva i dolicocefali superiori più adatti a vivere nel convulso ambiente urbano. Per accelerare il miglioramento prodotto in base all'eredità biologica F. Galton propose l'eugenica, che avrebbe dovuto prevenire la riproduzione dei meno adatti. C. Lombroso studiò i tipi fisici in relazione al genio e alla criminalità. Mentre K. Marx esortava i lavoratori a unirsi e a spezzare le loro catene, F. Nietzsche invitava gli uomini inferiori a sacrificarsi perché potesse nascere una specie superiore a quella dell'uomo ed esortava gli uomini superiori a favorire questo processo lottando contro le masse. Si arrivò a concepire le razze come stirpi differenti di un ceppo comune, e quelle comparse per prime erano considerate inferiori a quelle evolutesi più tardi, come la caucasica.
Herbert Spencer delineò (1876-1896) una storia universale nella quale la materia, gli organismi e le società passano da uno stato omogeneo instabile ad uno stato di equilibrio più differenziato. Forze esterne turbano però l'equilibrio funzionale delle parti, e il sistema si disintegra a causa della perdita di energia. La storia umana veniva vista pertanto come una sequenza di successive differenziazioni e integrazioni di equilibrio, seguite da squilibrio e disintegrazione.Spencer combinò la termodinamica con i caratteri acquisiti di Lamarck e con la selezione naturale di Darwin ('sopravvivenza del più adatto') in una sintesi più ampia e logicamente coerente dello sviluppo fisico, intellettuale e sociale dell'uomo. Egli associava un determinato livello biologico di sviluppo a un livello equivalente di acquisizioni intellettuali, sociali e culturali. Secondo Spencer, lo stato selvaggio rappresenta uno stadio inferiore dal punto di vista biologico, e di conseguenza i 'selvaggi' sarebbero stati incapaci di arrivare alla civilizzazione, e persino di coesistere con essa, senza un progresso nelle qualità biologiche. Il sistema nervoso del selvaggio funziona per azione riflessa e reagisce spontaneamente agli stimoli, dando luogo ad un comportamento eminentemente instabile ed emozionale. Per il selvaggio è difficile formare idee astratte, ampliare le capacità dell'attenzione e costruire catene logiche di eventi. Più amorale che morale o immorale, egli segue gli impulsi o l'abitudine, e non modifica facilmente i suoi costumi.Molti di questi giudizi sui 'selvaggi' ripetevano quanto avevano già sostenuto i progressivisti. Tuttavia, in una prospettiva biologica non c'era modo di elevare i selvaggi alla civiltà per mezzo dell'educazione. Dal punto di vista biologico le uniche alternative erano l'estinzione totale o l'estinzione attraverso gli incroci razziali.
Per molti il selvaggio rappresentava l'infanzia dell'umanità, e sebbene adulto dal punto di vista fisico, restava un bambino quanto a sviluppo emozionale e psicologico, senza possibilità di ulteriori evoluzioni.Nel tentativo di evitare una progressione teleologica unica e lineare, quale era espressa nella sequenza stato selvaggio-barbarie-civiltà, Spencer mise l'accento sui processi di diversificazione e convergenza. Egli insisteva anche sul fatto che il passaggio da una forma inferiore ad una superiore non avviene in modo uniforme. Accade invece che, occasionalmente, nasce un tipo più adatto, che domina gli altri; alcune forme possono anche regredire quando si trovano sospinte in ambienti sfavorevoli. Quello che vale per i tipi organici vale anche per le società. Tuttavia, Spencer teorizzava un costante progresso verso livelli più avanzati, prefigurando società libere da guerre e ingiustizie.
La teoria evoluzionista indusse gli studiosi ad indagare in che modo il corpo influenza i comportamenti sociali e culturali. E. Crawley raccolse vari esempi per dimostrare che le funzioni fisiologiche fondamentali, quali l'alimentazione, l'escrezione e il sesso, erano circondate da ogni sorta di tabù derivati da paure ancestrali legate alla sopravvivenza. E. A. Westermarck, accettando le teorie di Darwin sulle conseguenze dannose degli inincroci, attribuì alla selezione naturale la graduale immissione nei caratteri ereditari dell'uomo dell'avversione nei confronti di tale pratica. Egli pensava che il rapporto fratello-sorella fosse alla base di un simile tabù, nato forse in un nucleo familiare elementare di antenati preumani, ma senza dubbio con la comparsa dell'uomo vero e proprio. H. Schurtz individuò nelle categorie del sesso e dell'età le basi primarie della differenziazione sociale, e concordò con J. J. Bachofen (1861) nel sostenere che il grande disegno della storia della cultura si è realizzato nel trionfo della mascolinità sulla femminilità.
Le ambiguità relative alla trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti di Lamarck o delle capacità di adattamento attraverso la selezione naturale resero possibile ritenere che si acquisissero anche una grande varietà di sentimenti e istinti. Alcuni teorici sostenevano che sentimenti e istinti fossero derivati da contesti sociali primordiali, altri da una base organica che l'uomo ha in comune con gli animali e con la natura in genere. Secondo Charles Morris la selezione naturale ha perfezionato gradualmente una socialità di tipo animale finché gli uomini sono stati in grado di unirsi in gruppi e di cooperare nella caccia, come avviene nei branchi di lupi. Sigmund Freud, a sua volta, diede una spiegazione filogenetica dei divieti sessuali e del complesso di Edipo, ipotizzando un parricidio originario perpetrato dall'orda primordiale, che ha segnato il principio della storia umana. Questo evento traumatico si ripete ontogeneticamente nell'esperienza psichica di ogni individuo. L'idea di un'eredità collettiva portò a postulare l'esistenza di un inconscio collettivo in cui sono stratificate le esperienze passate dell'umanità, e che spesso è la fonte di credenze e comportamenti ormai privi di senso nella vita contemporanea.
La sintesi biologicamente fondata di razza, psicologia e cultura, formulata sulla base delle teorie evolutive di Lamarck e di Darwin, sembrava realizzare le ambiziose aspirazioni di quanti avevano fondato le prime società etnologiche. Tuttavia, le connessioni tra razza, psicologia e cultura si rivelarono false e prive di fondamento scientifico. Le valutazioni delle razze erano in realtà valutazioni del livello culturale, e le razze cosiddette inferiori venivano associate negativamente con lo stato selvaggio e la barbarie, le razze superiori con la civiltà. Questa determinazione delle razze in base al livello culturale ingenerò ulteriori confusioni tra razza, nazionalità e classe sociale, e portò a classificare le razze in superiori e inferiori, o attive e passive.
La combinazione iniziale di antropologia ed etnologia non riuscì a sviluppare una scienza integrata dell'uomo, perché quelli che venivano ipotizzati come i processi che originavano le razze non tenevano in nessun conto le spiegazioni psicologiche e culturali delle differenze tra le popolazioni. Né le indagini antropometriche né quelle psicologiche erano giudicate necessarie per determinare i tipi fisici e le caratteristiche psicologiche, dal momento che le definizioni in base al livello culturale le rendevano irrilevanti. Le testimonianze paleontologiche dell'evoluzione umana non erano essenziali, in quanto le origini sociali ipotizzate e l'ordinata sistemazione dei costumi e delle usanze in un continuum logico fornivano una documentazione e una misurazione dell'evoluzione dell'uomo di gran lunga più precise di quelle che potevano offrire la geologia o la paleontologia.
Gli evoluzionisti studiarono lo sviluppo di un numero notevole di istituzioni da forme originariamente semplici a stadi e forme sempre più complessi. Per la portata dei risultati conseguiti - sia analitici che descrittivi - alcuni di questi pionieri possono essere considerati i fondatori di alcune specializzazioni. È questo il caso di sir Henry Maine, il quale in Ancient Law (1861) sostenne che le leggi civili erano nate dalla consuetudine, e che le società basate sulla parentela avevano aperto la strada a quelle fondate sulla legge territoriale. L. H. Morgan può essere considerato il fondatore della sociologia della parentela e della discendenza. Mettendo a confronto un'ampia gamma di relazioni parentali di tutto il mondo, egli cercò di correlare mutamenti nelle tipologie familiari con la parentela e con la discendenza.
Gli evoluzionisti che studiavano le origini e lo sviluppo delle istituzioni prestarono scarsa attenzione alla biologia: al centro dei loro dibattiti vi era la questione se la società avesse avuto origine da un'orda promiscua, da una famiglia monogamica strutturata dalla gelosia sessuale maschile, da una famiglia matriarcale o da una patriarcale.
Studiosi di formazione giuridica ricercarono contesti in grado di favorire l'emergere di idee associate allo status giuridico e al diritto, come la maternità e la paternità. Mentre la maternità sembrava derivare naturalmente dalla nascita dei figli, il concetto di paternità richiedeva contesti sociali che consentissero a un uomo di avanzare diritti sui figli, presumibilmente mediante doni o l'aperto acquisto della sposa. Il controllo dell'incesto attraverso l'esogamia implicava moralità, e la famiglia monogamica fu vista come il prodotto di una riforma di ordine morale delle pratiche promiscue e incestuose (v. Morgan, 1877; v. Stocking, 1987). I culti religiosi e il sacrificio comune di un animale totemico apparivano gli elementi cruciali di unione di gruppi locali in una comunità di fedeli uniti dalla discendenza matrilineare. La religione pertanto avviò un processo sociale che, con la discendenza patrilineare, trascendeva i vincoli biologici associati alla maternità e dava luogo a vincoli di tipo sociale, essenziali alla statualità.
Le prime comunità cominciarono come società comunitarie di carattere sacro, che in seguito però, attraverso la proprietà privata, si trasformarono in società libere, fondate sul diritto, individualizzate e socialmente differenziate. Sia Rousseau che Marx ed Engels sostennero il contrario: la trasformazione della società comunitaria aveva significato privilegiare i diritti legati alla classe sociale e alla proprietà rispetto ai valori e ai diritti umani, privando la grande maggioranza degli uomini del diritto fondamentale a esistere come esseri umani. Marx ed Engels si richiamarono a Morgan per sostenere che le comunità primitive erano fondate sull'uguaglianza, perché Morgan (v., 1877, pp. 552-556) guardava nostalgicamente a un futuro in cui "la libertà, l'eguaglianza e la fraternità delle antiche genti" sarebbero state ripristinate.La religione, in virtù delle sue prescrizioni rituali, veniva considerata anche la fonte della moralità e della giustizia. Secondo J. Frazer, gli uomini cercarono dapprima di imbrigliare la natura con formule magiche, ma gli insuccessi in questo senso li portarono a riconoscere l'esistenza di un dio superiore che presiede a tutte le cose. Questo atteggiamento di sottomissione fu essenziale perché si sviluppassero nell'uomo la devozione e il senso etico. R. R. Marett individuò gli inizi della religione nella personificazione di suoni e oggetti che suscitavano spavento e stupore. Un potere misterioso, il mana, che secondo una credenza melanesiana è infuso in persone e oggetti, costituì il logico presupposto di una religione animistica. Secondo H. Spencer, il culto religioso era derivato dalla paura degli spiriti; E.B. Tylor attribuì ai filosofi primitivi la riflessione sui sogni e sulla morte e la formulazione dei concetti di anima e spirito (animismo), che portarono al monoteismo. La teoria evoluzionistica, che metteva l'accento sul passaggio graduale da forme semplici a forme complesse, non era conciliabile con le teorie della religione che ponevano già all'origine la credenza in esseri supremi, onnipotenti e morali.
Nelle prime comunità la religione si configurava più come una tradizione sociale sacralizzata che come teologia della morale e dell'espiazione. Allo stesso modo in cui la società e la conoscenza si erano progressivamente laicizzate, anche la morale era destinata ad evolversi, liberandosi dal contesto religioso per trasformarsi in umanismo etico. Tuttavia, uno studio su 643 società divise tra cacciatori, allevatori e agricoltori suscitò qualche dubbio sulla continuità del progresso della moralità, della giustizia, dell'eguaglianza e dell'individualità (v. Hobhouse e altri, 1915). Risultò che un determinato livello di sviluppo economico non aveva alcun rapporto diretto con un analogo livello di sviluppo della moralità e della giustizia. La differenziazione economica e sociale non confermava quel progresso verso una maggiore libertà prefigurato da quanti celebravano l'avanzamento della civiltà. Al contrario, il crescere della complessità determinava nuovi ordinamenti sociali che comportavano la subordinazione dell'individuo e la scomparsa della relativa eguaglianza che regnava tra i popoli di cacciatori.
L'approccio morale e ideologico degli evoluzionisti culturali, sia di orientamento umanistico che etnologico, ignorava di fatto il materialismo dialettico di Marx, che pure non era meno deterministico, lineare e teleologico dell'evoluzionismo culturale. Anche per Marx il punto d'arrivo era costituito da una società umanizzata ed egualitaria, e nella sua concezione conflitto ed estinzione costituivano un processo evolutivo. L'utilizzazione che Marx ed Engels fecero della Ancient Society di Morgan a sostegno della tesi di un'evoluzione da un'economia comunitaria a un'economia classista e infine a una società senza classi, non ebbe alcuna influenza sulle teorie etnologiche dell'epoca.
Nel 1871 E. B. Tylor (v., 1874, vol. I, p. 1) descrisse l'etnologia come una scienza della cultura che studiava "conoscenza, credenze, arte, morale, diritto, usanze e ogni altra capacità e consuetudine acquisita dall'uomo in quanto membro di una società". La cultura pertanto era qualcosa che si apprende, e Tylor riteneva che l'uniformità dei processi mentali e delle condizioni del genere umano spiegasse i differenti gradi di cultura e il passaggio dallo stato selvaggio alla barbarie e alla civiltà. Processi uniformi producono risultati uniformi, e la scienza della cultura prese come oggetto d'indagine i popoli e le culture preindustriali. L'importanza data all'apprendimento sociale come chiave del progresso umano riecheggiava concezioni settecentesche, ma anticipava anche sviluppi successivi, che rienfatizzavano l'importanza dei fattori sociali e culturali piuttosto che biologici per spiegare il comportamento e il progresso dell'uomo.
L'emergere del concetto di cultura segnò un cambiamento nell'orientamento teorico. L'etnologia stava per essere trasformata in una disciplina storica che ricostruiva le relazioni reciproche, la diffusione geografica e gli sviluppi regionali delle culture. L'impulso in questo senso fu dato dalla geografia storica, il cui pioniere fu F. Ratzel. L'associazione della cultura con l'etnologia doveva avere un effetto profondo sull'antropologia come disciplina generale, perché creò una specializzazione il cui oggetto di studio era relativamente avulso dai processi biologici. I sociologi all'epoca si stavano staccando da una sociologia dinamica evolutiva per dedicare maggiore attenzione alla struttura e ai processi funzionali della società. L'orientamento struttural-funzionale e quello storico determinarono una suddivisione dell'etnologia in un'antropologia sociale, sviluppatasi in Francia e in Gran Bretagna, e un'antropologia storico-culturale, coltivata principalmente in America e in Germania. Nessuno di questi sviluppi però incoraggiò una collaborazione più approfondita con l'antropologia fisica o con la biologia.
Sebbene variamente definita per mettere in evidenza di volta in volta determinati elementi descrittivi, storici, normativi, psicologici, strutturali e simbolici, ogni cultura racchiude i modi di vita storicamente sviluppati e in continuo mutamento e i valori di un popolo trasmessi di generazione in generazione attraverso l'apprendimento. Gli storici della cultura di ogni indirizzo erano convinti che la storia della cultura fosse dominio dell'etnologia. R. H. Lowie (v., 1917, pp. 5-6) rivendicò la cultura come "solo ed esclusivo oggetto di studio dell'etnologia", e sostenne che scopo principale della disciplina fosse quello di studiare le culture di tutti i popoli, dalle più semplici alle più complesse.Lo studio delle collezioni etnografiche dei musei contribuì alla formulazione del concetto di cultura, al suo studio storico e alla sua associazione con l'etnologia (v. Graebner, 1911). La descrizione oggettiva e la classificazione tipologica delle forme degli utensili, del vasellame e del vestiario come tratti o complessi culturali si estesero ben presto alle credenze, alle cerimonie, alle arti e agli stili letterari. La cultura divenne pertanto oggetto d'analisi. Le comparazioni storiche richiedevano un ordinamento dei reperti etnografici in base alla provenienza, anziché in base a una scala evolutiva che andava dal semplice al complesso.
Questo metodo era già stato adottato da A. Bastian e F. Ratzel, allorché avevano descritto e analizzato determinati tratti culturali in base alla loro distribuzione geografica. A New York, F. Boas sostenne l'esigenza di un ordinamento geografico delle collezioni dell'American Museum of Natural History anziché di un ordinamento basato su una progressione evolutiva.Il fatto che le idee e le usanze venissero considerate oggetti situati nel tempo e nello spazio favoriva la convinzione che le caratteristiche culturali potessero essere studiate senza far riferimento alla biologia umana o alla psicologia. Le culture nascevano grazie al propagarsi di determinati tratti culturali, e di conseguenza i processi culturali erano essenzialmente processi storici.
Si apriva la strada ad una storia mondiale della cultura, che andava al di là dei confini ristretti della storia documentaria e risaliva alle origini stesse delle culture.La teoria sociale e culturale che andava emergendo non aveva posto per una memoria collettiva legata da un'eredità filogenetica ai primordi dell'umanità, ma sicuramente utilizzava il concetto di condizionamento dovuto alla consuetudine, che metteva in rilievo la preponderanza dei processi inconsci nel comportamento umano. Il pensiero cosciente entrava in causa quando si trattava di razionalizzare o di fornire spiegazioni secondarie delle origini della cultura e del comportamento umano. La tradizione sociale ha plasmato a tal punto la natura umana che la psicologia dell'individuo può essere intesa solo attraverso il suo sapere sociale. Di qui l'affermazione di uno dei più importanti storici americani della cultura, Franz Boas (v., 1940): "Il problema psicologico è contenuto nei risultati dell'indagine storica". Solo un fatto storico-culturale può spiegare un altro fatto storico-culturale, e la psicologia sociale ad esso associata. La cultura appariva così un dominio separato con determinanti causali sue proprie, e di conseguenza non poteva essere spiegata riducendola al livello della psicologia individuale o della biologia. Questo orientamento permeò sia la teoria culturale che quella struttural-funzionale. Secondo B. Malinowski la cultura affondava le sue radici nei bisogni dell'uomo, ma questo richiamo al livello fisiologico aveva unicamente lo scopo di individuare l'energia propulsiva dei comportamenti culturali. Tuttavia, si concordava generalmente nel ritenere che l'efficacia delle risposte culturali si fondava su un condizionamento di impulsi, sentimenti ed emozioni. Le teorie psicologiche preferite dalla maggior parte degli storici della cultura erano il behaviorismo di Watson e la teoria dei riflessi condizionati di Pavlov.
Gli storici della cultura si divisero in tre 'scuole': i diffusionisti svedesi e americani, i teorici del Kulturkreis austro-germanici e i migrazionisti inglesi. Questi ultimi riconducevano tutte le forme di civiltà più evolute all'Egitto, ipotizzando una serie di correnti migratorie che avrebbero portato sino alle coste delle Americhe un complesso culturale di cui facevano parte l'adorazione del sole, la mummificazione e l'edificazione di piramidi. I teorici del Kulturkreis cercavano le tracce di intere culture diffuse in vaste aree - spesso interi continenti - in virtù di processi migratori. I diffusionisti svedesi e americani concentrarono la loro attenzione sulla trasmissione di elementi culturali e sulla formazione di culture in regioni limitate, senza dare particolare importanza alle migrazioni, tranne che per la diffusione delle lingue. Gli storici della cultura in genere criticavano le teorie e le conclusioni degli evoluzionisti, ammettendo però la realtà dell'evoluzione culturale.
Una prova di quest'ultima, tuttavia, doveva essere differita in favore di un interesse più immediato nei confronti dei processi storico-culturali e della raccolta dei dati.Una mappa della distribuzione geografica dei tratti culturali rivelava di solito un centro attorno al quale si raggruppavano i tratti più recenti e complessi, mentre quelli più antichi e più semplici si distribuivano in una serie di cerchi via via sempre più ampi e distanti.
La discontinuità della distribuzione poneva problemi particolari, ma non eliminava la probabilità della diffusione storica o della propagazione attraverso le migrazioni. I tratti culturali più antichi erano individuati di solito ai confini estremi dei continenti o in territori di rifugio. Gli elementi più semplici in genere erano più antichi di quelli complessi. Un tratto semplice trovato in due aree adiacenti poteva esser stato creato in modo indipendente, ma se i tratti erano identici nella forma e nell'uso, si doveva far risalire la sua origine al gruppo che aveva elaborato il complesso culturale di cui quel tratto faceva parte. Un criterio quantitativo avvalorava dunque le ipotesi basate su elementi qualitativi, riducendo la probabilità di errore. La comparazione storica richiedeva forme omologhe piuttosto che analogie funzionali.
Le distribuzioni concentriche erano come stratificazioni culturali dalle quali era possibile dedurre l'età relativa dei tratti. I Kulturkreislehrer tedeschi associavano ciascuno strato con una cultura specifica (v. Schmidt, 1937). Negli Stati Uniti C. Wissler e A. L. Kroeber formularono una teoria secondo la quale le culture si sviluppavano e raggiungevano il loro apice all'interno di un'area geografica relativamente omogenea (v. Kroeber, 1939). Favorito da un'abbondanza naturale di risorse alimentari, un nucleo di società dotate di inventiva emergeva come centro culturale dal quale si diffondevano nell'area geografica circostante nuovi tratti e complessi di tratti, configurando una cultura-tipo. Nelle aree dove si era sviluppata l'agricoltura, le culture più evolute emergevano come tradizione religiosa, cerimoniale e artistica diffusa in numerose zone ecologiche, cui facevano seguito imperi politico-militari.
L'interesse per la storia delle culture regionali e mondiali ricavata dalla distribuzione dei tratti declinò nel corso degli anni trenta, man mano che i suoi principali sostenitori invecchiavano. Diventava inoltre sempre più evidente che le culture autoctone mutavano rapidamente sotto l'influsso politico ed economico dell'Europa, e davano in questo modo l'opportunità di studiare la diversità delle trasformazioni culturali e dei processi di mutamento. Le analisi basate sulla forma, sul significato, sull'uso e sulla funzione consentivano una descrizione più efficace delle componenti individuali dei tratti e dei complessi culturali che influenzavano l'accettazione, il rifiuto o la modificazione di un tratto (v. Barnett, 1953). L'approccio istituzionale di Malinowski (v., 1945) era utile per indagare in qual modo i contatti interculturali erano guidati dai sistemi di credenze, dalla tecnologia e dalle organizzazioni di categorie particolari di persone (ad esempio amministratori, missionari ecc.).
Gli storici della cultura consideravano il lavoro sul campo essenziale alla ricerca etnologica in quanto permetteva di controllare sui dati etnografici le ricostruzioni storiche di tipo speculativo. Essi elaborarono il concetto di cultura e se ne servirono per mettere in discussione la combinazione di razza, psicologia e cultura portata avanti dalla teoria evoluzionista e le spiegazioni biologiche dei modelli culturali e del comportamento sociale. La mappa della distribuzione dei tratti contribuì a delineare una geografia culturale assai utile per la determinazione di connessioni storiche e di correlazioni funzionali di tipo matematico. Le analisi storico-culturali misero in luce i processi culturali e una tipologia delle culture che prepararono il terreno alle indagini sull'acculturazione, l'ecologia, la personalità.
Negli Stati Uniti l'organizzazione sociale e politica era considerata parte della cultura, ma in Francia e in Inghilterra si era creata una tradizione sociologica che accordava uno status speciale al sociale, considerando la cultura un fenomeno derivato. É Durkheim modernizzò la sociologia francese riprendendo la concezione comtiana secondo la quale solo un fatto sociale può spiegare un altro fatto sociale, ed elaborò un modello da cui derivare tali fatti. L'interazione tra gli individui produce in essi un sentimento estremamente potente di appartenenza al gruppo e di legame reciproco. Questo sentimento di solidarietà sociale si esprime in un'idea collettiva, e in una rappresentazione collettiva o simbolo, che a seconda del contesto può assumere la forma di una divinità, di un emblema o di una bandiera. Un fatto sociale è allora un groviglio di sentimenti inconsci collettivi, razionalizzati in un'idea o in una forma, e di conseguenza la cultura è un prodotto derivato di un sentimento sociale generato dall'interazione sociale.In Inghilterra A. R. Radcliffe-Brown diede un nuovo indirizzo alla sociologia evoluzionistica inglese e respinse la nascente etnologia storica. Egli combinò la comune metafora della società come organismo con una teoria sociopolitica del diritto, e si richiamò a Durkheim per quel che riguarda la formazione dei sentimenti sociali e la loro ritualizzazione e simbolizzazione nelle usanze e nelle cerimonie pubbliche.I teorici dei fatti sociali cercavano di definire un ambito causale indipendente che si differenziasse dalla cultura e di sostituire alle interpretazioni psicologiche del comportamento sociale spiegazioni di ordine sociologico.
In questo modo l'antropologia sociale avrebbe avuto una solida base scientifica per sviluppare le leggi sociali e per confutare le interpretazioni psicologiche degli evoluzionisti.
Durkheim e i suoi seguaci studiarono il sacrificio, la magia, le variazioni stagionali, la morfologia sociale e gli scambi per dimostrare in che modo il contesto sociale producesse opposizioni espresse in idee e forme collettive. Tutti gli scambi, compresi quelli economici, hanno origine dagli scambi sociali tra entità quali famiglie, clan e tribù. Il sociale prevale dunque sempre sull'individuale. Gli scambi assolvono varie funzioni, sociali, giuridiche, economiche, magiche, religiose e morali, e sono pertanto un tipo speciale di fatto sociale, un "fatto sociale totale" (v. Mauss, 1925). Secondo Arnold Van Gennep (v., 1909), l'esistenza è segnata da opposizioni drammatiche, da separazioni e ricongiungimenti, in un continuo morire e rinascere. Tutto viene cerimonializzato in riti di separazione, transizione e reincorporazione, configurati sul modello del passaggio attraverso una porta che immette nella sicurezza di una dimora. Il semplice portale magico delle iniziazioni africane e l'arco di trionfo che celebra le vittorie dei Romani derivano dallo stesso simbolismo. L'iniziato e il vincitore venivano separati dal corpo sociale e poi riammessi attraverso riti di passaggio preliminali, liminali e postliminali, che assicuravano anche il funzionamento armonioso della comunità.
C. Lévi-Strauss adottò il principio delle opposizioni reciproche, ma tolse ogni aura mitica ai "fatti sociali totali" di Mauss e vi aggiunse un'analisi strutturale di tipo matematico derivata dalle teorie linguistiche di de Saussure e di Jakobson. Lévi-Strauss (v., 1949, p. 136) considerava "la capacità dell'uomo di pensare i rapporti biologici come un sistema di opposizioni" di vitale importanza per la costituzione di scambi e alleanze, fondamentali nella società. La forma più elementare di organizzazione fondata sulla reciprocità è il matrimonio incrociato tra cugini, che assicura un equo accesso alle donne, un bene di importanza primaria ma scarso.
Gli scambi generalizzati e ristretti delle donne e di altri beni danno luogo a relazioni strutturate, le quali, secondo Lévi-Strauss, dimostrano che la discendenza unilineare, le regole esogamiche e le organizzazioni dualistiche sono estensioni dello scambio elementare basato sull'incrocio tra cugini. Questa impostazione contraddiceva l'importanza che si attribuiva generalmente alla discendenza unilineare nel determinare l'origine dell'esogamia e degli incroci tra cugini. Portando a sostegno delle sue tesi il modello linguistico al quale si era ispirato, Lévi-Strauss mise l'accento su un'organizzazione della società strutturata secondo regole che riflettono i bisogni fondamentali e i processi mentali dell'uomo. Come Durkheim, egli fece ricorso alla nozione di opposizione e alle sue trasformazioni per definire un'organizzazione sociale fondamentale la cui logica strutturale accomuna i popoli primitivi e quelli evoluti, anziché separarli come aveva cercato di fare L. Lévy-Bruhl distinguendo tra pensiero prelogico e pensiero logico.
A. R. Radcliffe-Brown considerava l'antropologia sociale una branca della sociologia che studia in particolare le popolazioni preindustriali. Egli attribuiva scarso valore alla distinzione dei tipi basata su una progressione evolutiva, e a quella che considerava storia speculativa, ossia lo studio della diffusione dei tratti culturali. Radcliffe-Brown mirava a una disciplina nomotetica fondata su una teoria generale della società di tipo funzionale. Il punto di partenza di tale teoria era costituito da un modello organicistico i cui singoli elementi costitutivi, vincolati da diritti stabiliti in base alla condizione sociale e doveri sanciti dalla legge, dalla religione e dalla morale, interagiscono in modo funzionale al sistema. Le funzioni sono distribuite secondo una struttura gerarchica che garantisce l'equilibrio armonico del sistema e rafforza la coesione reciproca.Nella prospettiva dei diritti, dei doveri e delle sanzioni legali, le società e i segmenti dei lignaggi diventano entità corporate che esercitano il controllo su persone e proprietà (v. Radcliffe-Brown e Forde, 1950). La coesione delle società parentali è strutturata attraverso principî che regolano le generazioni e attraverso l'unità del lignaggio e del gruppo dei fratelli uni- e bilaterali. Le esigenze funzionali e integrative della società hanno la precedenza sull'individuo, dato che le società accentuano attraverso i riti il primato delle attività istituzionalizzate e provocano negli individui un sentimento di insicurezza che può essere alleviato solo dalla sottomissione. I conflitti sociali che minacciano l'armonia dei rapporti vengono eliminati con comportamenti di evitazione o con 'scherzi obbligatori', oppure con un'inversione ritualizzata dei ruoli, o ancora mediante un rituale di ribellione (v. Gluckman, 1963).
Gli storici della cultura americani, sotto l'influenza di Boas, consideravano le culture per lo più come prodotti delle mutuazioni storiche, ed erano poco inclini a considerarle come tipi o come sistemi funzionali strettamente integrati. Il concetto di modello impedì ai tipi di area culturale di Wissler di risultare dei meri inventari di tratti culturali. L'interesse per il rapporto tra cultura e personalità portò E. Sapir a contrapporre una cultura eschimese 'estroversa' ad una cultura indù 'introversa'. Influenzato da Sapir, R. Benedict distinse un tipo culturale apollineo e uno dionisiaco, originati dalla selezione storica di temperamenti contrastanti. G. Bateson analizzò le relazioni parentali tra gli Iatmul in base a interrelazioni strutturate di tipo emotivo (ἔθοϚ) e cognitivo (εἶδοϚ) per spiegare il rovesciamento dei ruoli e la sua funzionalità all'equilibrio del sistema.I valori erano generalmente considerati essenziali all'integrazione sociale e culturale. R. Redfield descrisse la folk society come un tipo di comunità omogenea in cui obbligazioni di tipo morale-religioso governano i rapporti con le divinità, il paese, la famiglia e la comunità.
Secondo C. Kluckhohn, le culture sono integrate da valori generali oltreché da postulati esistenziali sulla natura del mondo e da un principio-valore strutturante che opera inconsciamente nel comportamento. M. Herskovits concepì il 'centro focale' di una cultura come un'attività dominante nella quale un popolo aderisce a forme e valori tradizionali, ma allo stesso tempo elabora e inventa variazioni del modello. R. Linton (v., 1936, pp. 357-360) considerò l'integrazione culturale come una configurazione sociopsicologica. Egli la definì come un nucleo di "valori in gran parte inconsci, di associazioni e di risposte emotive condizionate, che forniscono alla cultura la sua vitalità e all'individuo le motivazioni per aderire ai suoi modelli e agire in conformità di essi". I modelli ideali o le norme incorporano valori primari impliciti e forniscono una struttura di base alla cultura. Linton, tuttavia, riteneva che contraddizioni e incongruenze facciano parte delle culture non meno che delle personalità, e che l'integrazione funzionale delle culture non si sia mai avvicinata a quella degli organismi, soprattutto in quanto il nucleo sociopsicologico cambia nel tempo.
Il modello di scambio dei Kula costituisce un importante esempio dell'approccio istituzionale di Malinowski (v., 1922) all'integrazione culturale, che il suo discepolo R. Firth applicò e perfezionò nel suo studio etnografico sui Tikopia. Per Radcliffe-Brown, la funzione sociale dell'ordinamento politico è quella di intensificare e promuovere la coesione della comunità, e pertanto le istituzioni politiche incorporano principî integrativi e valori basilari nel rituale e nei simboli. (v. Fortes e Evans-Pritchard, 1940).
Leo Frobenius diede l'avvio alla morfologia culturale tedesca con il suo concetto di 'paideuma', un'essenza organica di stampo mistico che struttura lo sviluppo culturale in una progressione di tipi culturali paralleli agli stili di vita e alle capacità mostrate dagli individui nel corso dell'esistenza. A. Jensen continuò a incentrare l'attenzione sulla Welt~anschauung come elemento essenziale dell'integrazione e delle differenze tra culture.Nei differenti stadi evolutivi gli uomini sono colpiti da fondamentali verità concernenti l'ordine e i processi del mondo, e organizzano la loro cultura per esprimere tali verità primarie (ad esempio la morte e la procreazione) attraverso cerimonie e simboli. Ispirandosi alla teoria del Kulturkreis W. Schmidt delineò i tipi culturali in base alla loro comparsa 'stratigrafica', cominciando dai primitivi raccoglitori seguiti dai primi coltivatori e allevatori. Le culture del Secondario e del Terziario derivavano da una mescolanza di tipi culturali, e diedero luogo alle antiche civiltà dell'Asia, dell'Europa e dell'America.
Studiando le dinamiche del cambiamento nello Yucatán, R. Redfield osservò che comunità omogenee di tipo religioso tendevano a trasformarsi in società eterogenee di tipo laico, secondo un processo che riecheggiava le concezioni evoluzionistiche del XIX secolo. Kroeber, seguendo un orientamento di tipo storico, non riuscì a trovare conferma di quelle regolarità strutturate delle civiltà nei loro cicli di espansione, arresto e declino ipotizzate da Toynbee. Tuttavia, nella fase di crescita delle culture, egli individuò degli apici di creatività segnati dalla concentrazione di persone geniali dovuta alle dinamiche dei modelli culturali (v. Kroeber, 1944).
Gli studiosi della preistoria non erano meno impegnati di etnologi e storici nell'indagare la natura della cultura e dei processi culturali. Nel 1936 V. G. Childe mise in rilievo il ruolo svolto dalla tecnologia e dalla scienza nel rivoluzionare le civiltà del Medio Oriente con lo sviluppo di centri urbani diversificati in base alle specializzazioni artigianali e alle classi sociali. Gli archeologi americani, cercando di formulare classificazioni dinamiche dei fattori e dei processi che improntano la formazione e lo sviluppo dei tipi culturali, introdussero le categorie dell'agricoltura incipiente, formativa, dello sviluppo, classica, della fioritura regionale, delle conquiste imperiali, militari, e cicliche per descrivere la storia culturale e la formazione degli Stati nella Mesoamerica. Nel 1948 J. Steward utilizzò questa terminologia per correlare fra loro gli sviluppi verificatisi in Perù, Egitto, Mesopotamia e Cina.
J. Steward (v., 1955) aprì la strada all'ecologia culturale studiando le differenze nell'evoluzione sociale prodotte da diversi contesti tecnico-ecologici, e le somiglianze prodotte nelle organizzazioni sociali da contesti tecnico-ecologici analoghi. Il suo sistema teorico metteva in relazione un centro ecologicamente determinato con livelli di integrazione socioculturale, formazione di un tipo culturale ed evoluzioni differenziali o multilineari.Nel 1943 L. White misurò lo sviluppo culturale in base al consumo di energia pro capite. All'interno di ciascuna cultura si distinguono subsistemi tecnologici, sociologici e ideologici, e ciascun sistema sociale è una funzione del sistema tecnologico.
Ogni tecnologia ha la sua propria ideologia, ma la compatibilità di determinate ideologie con tecnologie specifiche varia a causa del progressivo sviluppo delle filosofie e quindi delle culture. Per quanto materialista nel suo concetto di energetica culturale, White sostenne che la cultura è un sistema superorganico di comunicazione simbolica che si evolve seguendo le proprie leggi, indipendenti dal controllo umano. La cultura non è un'astrazione derivata dal comportamento, ma un oggetto osservabile empiricamente, nelle idee, nelle credenze, negli strumenti, nelle usanze, nei sentimenti e nelle istituzioni. Ribadendo che solo un fatto culturale può spiegare un altro fatto culturale, White (v., 1949) definì il proprio tipo di studio 'culturologia'. La culturologia ha il compito di sintetizzare i processi evolutivi, temporali e formali, lasciando alla storia il compito di occuparsi dell'aspetto temporale, meno importante, e all'antropologia sociale dell'aspetto formale funzionale.L'ecologia culturale e l'energetica aprirono la strada a un'interpretazione materialistica della cultura e dei sistemi sociali, di tipo quasi marxiano.
Alle teorie ecologiche ed energetiche si accompagnava inevitabilmente un determinismo economico evoluzionistico. Tuttavia, il ruolo storico della religione (ideologia) nell'organizzazione della sociologia economica di gruppi così diversi come cacciatori, coltivatori e agricoltori dell'era formativa, prima della laicizzazione della conoscenza, sollevò una certa perplessità sulla validità delle spiegazioni materialistiche.
In Totem e tabù (1912), S. Freud lanciò una sfida agli etnologi, sostenendo l'universalità dell'esperienza edipica e l'origine nevrotica dei tabù culturali. Malinowski fu il primo a mettere in discussione l'universalità del complesso di Edipo, rilevando che i desideri incestuosi dei maschi tra i Trobriand erano diretti verso una sorella piuttosto che verso la madre, e che il bersaglio dell'ostilità dei maschi era il fratello della madre piuttosto che il padre.
Gli antropologi statunitensi in genere ignorarono Freud, più preoccupati dell'apprendimento culturale e della personalità, nonché della formulazione del concetto di cultura. Nella teoria dell'apprendimento la personalità è in gran parte un prodotto della cultura, e dato che le culture variano, variano anche le personalità. Un avvicinamento a Freud si ebbe negli anni trenta, con il tentativo di unificare la teoria freudiana con quella comportamentista di stimolo-risposta, allorché Abram Kardiner ispirò agli etnologi R. Benedict, C. DuBois, C. Kluckhohn e R. Linton una teoria freudiana modificata. Kardiner descrisse una struttura di base della personalità derivata dall'allattamento, dallo svezzamento, dall'educazione igienica e dalle 'istituzioni' disciplinari che sono causa di ansie, privazioni e frustrazioni. La 'costellazione' psicologica viene poi proiettata in costruzioni secondarie, soprattutto la religione, la mitologia, la malattia e la sua cura.La teoria neo-freudiana servì per formulare ipotesi sui correlati transculturali fra l'educazione dei bambini e i sistemi proiettivi, e fra le proibizioni e le concessioni nell'ambito parentale (v. Whiting e Child, 1953; v. Murdock, 1949).
Il metodo neofreudiano, tuttavia, anche se integrato da test proiettivi e indagini sulla storia personale dei soggetti, toccava solo aspetti limitati della cultura e della personalità. I test proiettivi rivelarono che la stretta corrispondenza postulata tra apprendimento condizionato e comportamento culturale era eccessivamente sopravvalutata. Servendosi del test di Rorschach O. Lewis (v., 1951) diede una descrizione dei Tepoztechi molto differente da quella che era risultata dall'indagine di Redfield nel 1930. Mentre Redfield metteva in rilievo il condizionamento positivo degli atteggiamenti e la formazione di un senso sociale che derivava dalla cooperazione e dalla condivisione dei mezzi e dei fini, il Tepozteco descritto da Lewis, diffidente, ansioso, conflittuale e represso, rifletteva meccanismi di tipo freudiano. I differenti risultati delle indagini fecero nascere il sospetto che in entrambi i casi le teorie di partenza e il metodo di raccolta dei dati avessero influenzato i risultati e le interpretazioni.
La teoria psicanalitica ebbe un ruolo positivo in quanto riportò l'attenzione sui fattori biologici e psicologici che influenzano il comportamento e la personalità umani. Essa reintroduceva un'immagine dell'uomo come essere autocosciente idealmente governato da un Io positivo, piuttosto che una sorta di automa condizionato. A. I. Hallowell (v., 1950, p. 164) osservò che i requisiti funzionali alla società devono accordarsi con la "struttura psicobiologica generale dell'uomo" perché si crei la società e la cultura.
La supremazia dell'uomo fra i Primati è data dalla sua capacità di comunicazione simbolica. Tuttavia, per diventare un essere sociale l'uomo deve sviluppare un centro psichico integrato, un Io, per poter vedere se stesso - sia sotto il profilo comportamentale che sotto quello morale - come un soggetto in relazione con gli altri. Una funzione di controllo morale come il Super-Io è ugualmente essenziale per organizzare gli impulsi primari intorno ad obiettivi sociali. La teoria freudiana introdusse anche una dinamica di azione reciproca tra cultura e personalità che mancava nella teoria dell'apprendimento culturale. Questa interazione risultava anche dai particolari dei racconti biografici e dagli studi interculturali sull'infanzia (v. Simmons, 1942).
Sino agli anni quaranta gli studiosi di antropologia fisica continuarono ad occuparsi della tipologia fossile e razziale, usando le tradizionali tecniche antropometriche. Nel 1910 F. Boas mise in discussione gli assunti antropometrici relativi alla realtà genetica e alla stabilità delle unità di misura utilizzate per distinguere le razze in base alla struttura corporea e cranica. In un suo studio sugli immigrati a New York egli dimostrò che il nuovo ambiente culturale ne aveva mutato le misure del corpo e del cranio (v. Boas, 1940). Il suo interesse per questo processo di mutamento lo indusse a studiare anche la crescita dei bambini correlando i profili fisiologici con quelli intellettuali. Gli etnologi e gli antropologi generalmente rifiutavano i tentativi di definire la personalità o i tipi criminali, come avevano fatto ad esempio W. H. Sheldon e S. S. Stevens. Nell'ambito dell'etnologia M. Mead e R. Benedict rappresentavano un caso a parte, in quanto si servivano del 'temperamento' per spiegare l'integrazione delle culture.Lo studio della preistoria stabilì la connessione più diretta con l'antropologia fisica attraverso l'analisi di resti ossei e di patologie legate all'alimentazione, all'attività sessuale e all'ambiente, tutte cose che nel corso del XIX secolo erano state oggetto di studio da parte di anatomisti, medici e antropologi. Già nel 1910 Ruffer aveva documentato la diffusione della schistosomiasi negli antichi Egizi rinvenendo uova calcificate di schistosomi nei condotti urinari delle mummie. E. A. Hooton (v., 1930) esaminò stratigraficamente resti ossei per documentare la frequenza di malattie in varie sequenze temporali a Pecos Pueblo, aprendo così la strada agli studi paleoepidemiologici. Un numero crescente di dati comparativi sulle conoscenze e sulle pratiche mediche desunti da studi medici ed etnografici segnò la nascita dell'antropologia medica come una specializzazione dell'etnologia.
L'integrazione della genetica delle popolazioni e della bioecologia nella teoria evoluzionista diede basi biologiche più ampie all'antropologia, che poté differenziarsi in una serie di specializzazioni che stabilivano un collegamento tra biologia e cultura. Gli antropologi che si occupavano di genetica misero in discussione la tipologia razziale basata sul raggruppamento geografico di unità antropometriche. Essi miravano a sostituire i tipi razziali con le distribuzioni spaziali delle frequenze di determinati caratteri genetici, ma l'applicazione iniziale che utilizzava i gruppi sanguigni non produsse i raggruppamenti genetici previsti (v. Boyd, 1950; v. Kelso, 19742).
La ricerca di processi che consentissero nuove spiegazioni delle relazioni tra strutture interne ed esterne e delle loro variazioni ha improntato gli sviluppi dell'antropologia e dell'etnologia dalle loro origini ai nostri giorni. I sociostrutturalisti e gli storici della cultura sostituirono i processi evolutivi di tipo psicologico-culturale degli evoluzionisti del XIX secolo con processi di tipo sociale e culturale. I teorici della società e della cultura spiegarono il comportamento sociale mediante norme o modelli ideali, valori e credenze interiorizzati attraverso l'apprendimento, e ritennero che i processi biologici potessero essere facilmente modificati in vista di obiettivi sociali e culturali. Gli etnologi di orientamento sociologico durkheimiano costituivano un'eccezione, in quanto sostenevano che gli esseri umani sono programmati per analizzare le percezioni in coppie di insiemi contrapposti. Tutti gli organismi sono programmati dalla natura per riconoscere gli esseri della propria specie e per evitare quelli che rappresentano un pericolo.
La separazione tra omologie e analogie nelle classificazioni formali sembra indicare che l'azione è determinata tanto dall'apprendimento e dall'esperienza quanto dalla anatomia del cervello. Il variare degli orientamenti in antropologia ed etnologia fu accompagnato da mutamenti nell'impostazione dei problemi, nel tipo di riscontri fattuali richiesti, nei metodi per raccogliere i dati, nei tipi di analisi e generalizzazioni. Ogni svolta fu contrassegnata da specializzazioni per migliorare i metodi e le analisi dei dati. I nuovi enunciati teorici rispecchiavano il persistere di problemi metodologici relativi ai concetti di struttura e variazione, e alle loro interrelazioni.
A partire dal 1890 e sino agli anni quaranta gli orientamenti teorici di antropologia, etnologia, antropologia sociale, linguistica e preistoria incentrarono il loro interesse sulla struttura e sulle forze positive che la sorreggono, e sulla continuità della struttura che permette di collegare funzionalmente le parti in un tutto. Le terminologie mettevano in evidenza concettualizzazioni derivate empiricamente da oggetti, usanze, credenze e pratiche. Un interesse di stampo durkheimiano per la struttura traspariva da concetti quali sentimento sociale, idee e rappresentazioni collettive. L'antropologia sociale inglese sottolineava l'integrazione funzionale di ruoli e status sociali al servizio delle esigenze della società e del suo equilibrio armonico. Gli storici della cultura riunivano i tratti culturali in complessi, modelli ideali e tipi di area culturale, e ritenevano che i cambiamenti culturali fossero regolati dalla compatibilità con il modello. Gli studiosi di preistoria cercarono di elaborare cronologie culturali di tipo 'genetico', basate su una classificazione 'tipografica' dei tratti desunta dal confronto tra le varie aree geografiche e tra i diversi strati. I linguisti si occuparono principalmente della strutturazione delle forme linguistiche nella grammatica, della trasmissione di significato attraverso elementi formali e di classificazioni genetiche basate su somiglianze strutturali.
La teoria della personalità di ispirazione neo-freudiana descrisse un tipo di personalità di base che rivelava una differente integrazione tra Es, Io e Super-Io a seconda delle differenti gratificazioni, privazioni e punizioni. La classificazione tipologica basata su indici antropometrici era al centro degli sforzi degli antropologi per definire i tipi razziali di base, le loro varianti e le loro relazioni genetiche (v. Armelagos e altri, 1982). Gli anni trenta e quaranta prepararono il terreno per una 'nuova' etnologia e una 'nuova' antropologia fisica, che fecero la loro comparsa nell'immediato dopoguerra. Durante questo periodo di transizione, il crescente interesse per i processi di acculturazione e di cambiamento portò ad incentrare l'attenzione sulla disorganizzazione sociale e culturale e sulla variabilità e conflittualità interne. Le teorie ecologiche ed energetiche introdussero variabili ambientali ed economiche che misero ulteriormente in discussione e finirono per minare definitivamente il determinismo causale che veniva rivendicato per l'ambito sociale e culturale. Nel 1940 l'antropologo inglese E. E. Evans-Pritchard presentò un'analisi descrittiva socio-culturale divenuta celebre della società Nuer, individuando il fondamento primario dell'ordinamento sociale in un sentimento sociale che trova poi espressione in simboli ritualizzati e in norme giuridiche e morali. A partire dal 1950, però, Evans-Pritchard rinunciò a cercare leggi naturali e sollecitò gli antropologi a studiare le società come sistemi morali e a combinare l'analisi storica con quella struttural-funzionale. Nel suo studio etnografico Pul Eliya E. Leach (v., 1961) minimizzò l'importanza delle norme e delle sanzioni giuridiche nella determinazione delle scelte individuali. Queste sono più spesso guidate da una combinazione storica di elementi estrinseci all'ordine sociale e alle sue regole.
G. P. Murdock, utilizzando un campione di 250 società, applicò tecniche statistiche alla terminologia e al comportamento relativi alla parentela onde ricavare associazioni invarianti in base alle quali formulare leggi sociali comparabili a quelle della fisica. Egli combinò la teoria psicanalitica con la psicologia comportamentista e la teoria adattiva-funzionale per spiegare i sentimenti legati ai divieti e alle autorizzazioni sociali, e l'estensione ai parenti collaterali di determinati sentimenti. Per arrivare alle determinanti della terminologia parentale, Murdock (v., 1949, p. 158) mise insieme tredici assunti assiomatici in base ai quali formulare teoremi dimostrabili, come ad esempio: "Consanguinei bilaterali tendono ad essere associati con terminologia parentale che si riferisce al tipo di generazione". Egli descrisse anche i mutamenti evolutivi di undici tipi e sottotipi di parentela e le loro forme di transizione, misurate in base alla residenza, alla discendenza e alla terminologia relativa ai cugini. I cambiamenti di residenza davano l'avvio a mutamenti significativi da un tipo di parentela ad un altro, influenzando in primo luogo le famiglie allargate e/o i clan, e modificando l'appartenenza ai gruppi locali, con un conseguente mutamento nella terminologia.Paradossalmente, l'applicazione dei metodi statistici ai dati etnografici contribuì a diminuire la fiducia nell'esistenza di leggi sociali che regolino la struttura e i mutamenti sociali. Le correlazioni statistiche si limitavano a sostituire le determinanti causali con associazioni probabilistiche.
Si ripresentava il problema se l'etnologia fosse una disciplina eminentemente storica e umanistica, oppure una scienza naturale. A. L. Kroeber, nel 1936, equiparò l'antropologia culturale (etnologia) alla storia, svalutando la "cosiddetta scienza sociale". Tuttavia, storici e antropologi differivano in quanto questi ultimi si occupavano dei modelli culturali, della loro diffusione storica e dei loro significati. C. Lévi-Strauss attribuì alla storia il compito di interpretare i processi consci, all'etnologia quello di interpretare i processi inconsci. Usanze e istituzioni si fondano sulla strutturazione inconscia di pensiero e sentimenti, e compito dell'etnologia è quello di enucleare i principî fondamentali in base ai quali si possono spiegare in generale le istituzioni. L'etnologia pertanto si occupa della realtà nascosta, la storia di quella palese.Il tradizionale interesse dell'etnologia per i processi strutturati fu mantenuto attraverso lo studio dei modelli, delle istituzioni e dei processi inconsci, mentre fu lasciato alla storia quello degli elementi variabili. In una successiva definizione dei modelli 'statistici' e 'meccanici', Lévi-Strauss combinò la variabilità dei processi storici con la regolarità dei processi strutturati.Con l'indebolirsi della fiducia nel determinismo culturale e nelle leggi sociali, l'etnologia abbandonò l'obiettivo di formulare previsioni. Tuttavia, né gli antropologi né gli etnologi rinunciarono al loro vivo interesse per le regolarità dei processi strutturati, pur accogliendo la variabilità nei loro schemi. I marxisti continuarono a sostenere la legittimità di una teoria deterministica della storia, basata sulle regolarità del processo dialettico e dei suoi esiti 'prevedibili'.
Verso il 1950 l'interesse comune per i processi evolutivi ed ecologici portò etnologi e studiosi di antropologia fisica a valutare maggiormente le interrelazioni tra biologia e cultura. Studiando l'evoluzione dell'uomo, gli antropologi non solo avevano bisogno di una "moderna biologia dinamica", ma anche di "una considerazione approfondita della storia e della funzione della cultura" quali si rispecchiano nelle migrazioni, nelle usanze matrimoniali, nella densità della popolazione, nella diffusione delle malattie ecc. (v. Washburn, 1953, p. 726). I processi tecnologici ed ecologici orientarono gli studiosi di preistoria verso una 'nuova' archeologia, che cercava di conferire significato a comportamenti fissati in utensili di pietra, oggetti cerimoniali e disegni decorativi, mettendoli in relazione con contesti culturali rilevanti (v. Binford, 1962; v. Hodder, 1982; v. Watson e altri, 1984). La ricostruzione dell'organizzazione e delle attività delle comunità locali, nonché dei contesti che danno luogo a forme funzionali simili, divenne l'obiettivo primario. L'approccio sistemico interazionale mise l'accento sugli sviluppi in situ e minimizzò il ruolo della diffusione storica nella formazione delle culture e della conferma della diffusione basata sulla presenza comune di tipi omologhi. La linguistica, che aveva costituito un modello fondamentale per spiegare il formarsi e il persistere delle culture, passò anch'essa dall'analisi strutturale a un maggior interesse per i processi e le variazioni, con l'introduzione della grammatica trasformazionale (v. Chomsky, 1957).
Un elemento comune di questi nuovi approcci era costituito dall'accento posto sulle pratiche razionali nell'amministrazione delle risorse, sia che si trattasse di greggi nel loro habitat ecologico, sia che si trattasse di relazioni sociali, di attività connesse con lo status, di rivitalizzazioni di religioni, di linguaggio o di variazioni linguistiche in una determinata situazione sociale. Le analisi linguistiche ispirarono il tentativo di individuare quei processi mentali mediante i quali gli uomini classificano oggetti materiali, malattie, alimenti, relazioni di parentela e idee espresse in miti, rituali e forme letterarie. La cultura venne vista come un sistema di operazioni mentali comunicate attraverso simboli verbali, affiancati dal linguaggio non verbale prossemico e cinesico, da gesti e movimenti (v. Hall, 1959; v. Birdwhistell, 1970).
Lo scopo di registrare e interpretare i modi di vedere degli indigeni rimase una costante in etnologia. Secondo il linguista K. Pike, le percezioni e le categorie 'emiche' degli indigeni devono essere dedotte senza interferenze da parte delle categorie 'etiche', culturalmente condizionate, del ricercatore . W. H. Goodenough (v., 1956), servendosi dell'analisi semantica formale della linguistica descrittiva, sviluppò un'analisi componenziale per studiare campioni di comportamenti indigeni, registrati in un testo senza le distorsioni dovute alle influenze del ricercatore e degli indigeni stessi. I significati e le regole di categorizzazione dedotti dall'analisi componenziale non dovevano necessariamente corrispondere biunivocamente alle spiegazioni o alla logica degli indigeni. Era sufficiente che le regole della classificazione potessero essere estrapolate dai testi e utilizzate in modo accettabile nella cultura indigena. In questo caso i processi impiegati per organizzare una grammatica linguistica sarebbero serviti per una grammatica della cultura.
La nuova 'antropologia cognitiva' strutturalista, basata sull'analisi semantica formale faceva intravvedere regole universali di categorizzazione (v. Tyler, 1969). Tuttavia, il fatto che l'analisi componenziale si applicasse solo ad ambiti lessicali ristretti, relativi alla terminologia parentale, alle categorie dei colori e alle classificazioni in generale, costituiva un serio limite della nuova antropologia cognitiva. Verso il 1968 G. P. Murdock e D. R. White realizzarono un modello etnografico codificato in base a nuovi criteri, che sembravano renderlo un riferimento più valido per l'analisi statistica. Con l'ausilio degli atlanti etnografici H. Driver perfezionò nel 1973 le formule matematiche per individuare leggi universali, correlazioni causali di tipo funzionale e correlazioni derivate dalla diffusione storica.
Con l'introduzione di nuovi metodi per comprendere e studiare dati e processi, gli etnologi si trovarono di fronte i consueti problemi metodologici e operativi riguardanti le loro indagini sociali e culturali. Il periodo postbellico era caratterizzato da rapidi mutamenti, e le popolazioni preindustriali assumevano sempre più il ruolo di partners piuttosto che di spettatori passivi e di meri recettori nel processo storico-evolutivo del cambiamento culturale mondiale. Il mutamento alterava drasticamente la banca dati dell'etnologia, e divenne chiaro che il modello di equilibrio struttural-funzionale statico doveva essere abbandonato in favore di un modello in grado di dar ragione della dinamica della continuità strutturale, delle modificazioni, del mutamento rivoluzionario e della rivitalizzazione culturale. La difficoltà stava nella scelta o nella combinazione dei modelli: il feed-back informativo cibernetico, la dialettica hegelo-marxiana, l'evoluzione multilineare tecnico-ecologica, l'energetica, il diffusionismo storico, tanto per citarne alcuni. L'ambito socioculturale, a lungo isolato dal suo determinismo causale, era ora minacciato dal riduzionismo psicologico incentrato sulle opposizioni inconsce, o dall'elegante analisi componenziale, oppure ancora dalle spiegazioni materialistiche di tipo ecologico e sociobiologico.
La società e la cultura apparivano sempre più fatti da spiegare, non meno che spiegazioni del contesto umano. I teorici dell'interazionismo simbolico sostenevano che i fatti socioculturali non sono entità descrittive statiche, ma modelli dinamici e mutevoli di relazioni che si trasformano nel corso dell'interazione. Lo studioso di antropologia fisica e primatologia S. Washburn fece un'osservazione analoga a proposito del cambiamento dei tratti del volto durante la crescita: non ci sono punti fissi, solo modelli mutevoli di relazioni.
Nella discussione critica riemersero antichi problemi in gran parte attinenti ai rapporti tra generale e particolare, tra struttura e variazioni, tra storia ed evoluzione, tra linguaggio e parola, tra categorie emiche e categorie etiche, tra deduzione e induzione. Questi problemi si ripresentavano nella tipologia archeologica, come dimostrava la tecnica statistica di A. Spaulding per ricostruire tipi di artefatti da una distribuzione non casuale di attributi. Con questo tentativo di derivare una tipologia dal comportamento emico piuttosto che da criteri di tipo etico Spaulding aprì la strada alla nuova archeologia comportamentista. Tuttavia, se non si potesse stabilire una correlazione tra basi di dati etici ed emici, sarebbe impossibile effettuare comparazioni interculturali. La stessa necessità si ripresentava per altre categorie in opposizione quali induzione e deduzione, storia ed evoluzione, conscio e inconscio, ecc.I dati raccolti sul campo variavano a seconda delle esigenze specifiche dell'analisi psicolinguistica, dell'analisi componenziale, dei processi tecnico-ecologici o delle esigenze quantitative per l'elaborazione statistica. La quantificazione comportava anche il campionamento e i questionari strutturati. La descrizione etnografica generale restava importante, ma la tendenza a impostare l'indagine partendo da un problema teorico restringeva la ricerca a segmenti specifici della società e della cultura.
Ugualmente significativi furono gli sforzi per comunicarsi i risultati delle esperienze sul campo, per analizzare le interrelazioni tra l'etnologo e la sua fonte di informazione, e per valutare l'impatto della ricerca sulla comunità studiata. Non ci si preoccupava solo del metodo, ma anche di un'etica che guidasse la ricerca.La seconda guerra mondiale ampliò l'esperienza dei popoli preindustriali, e li portò a richiedere che la ricerca etnologica recasse vantaggio alla comunità. Le esperienze fatte indussero gli etnologi a rivedere nuovamente il proprio ruolo, una volta abbandonate le ricerche del tempo di guerra (v. Berreman, 1968; v. Barnett, 1956). Gli sviluppi dell'antropologia applicata misero in discussione l'etica di quei ricercatori che si ponevano obiettivi e pianificavano mutamenti senza tener conto degli interessi della comunità (v. Pelliccioni, 1980). Ogni programma di cambiamento sollevava problemi riguardanti il principio del relativismo culturale, cui facevano appello gli etnologi per giustificare il diritto intrinseco dei popoli a vivere secondo le proprie tradizioni culturali. Allo stesso modo costituiva un dilemma etico la questione se i popoli preindustriali dovessero o potessero conservare la propria tradizione culturale confinati in apposite aree di rifugio.
L'abbandono del condizionamento inconscio per la conoscenza trasformò gli individui da meri riproduttori di cultura in 'strateghi' che manovrano e manipolano l'ambiente sociale e culturale in base ai loro interessi e alle loro capacità. La teoria dei giochi si venne affermando rapidamente. Le carriere dei 'grandi uomini' melanesiani misero in rilievo l'importanza dell'amministrazione della famiglia, dell'allevamento dei maiali, della tessitura e della fabbricazione di reti per la pesca al fine di conservare e rafforzare il loro status e la loro influenza politica. I teorici del network illustrarono aspetti dell'infrastruttura che la descrizione formale non aveva considerato, e individuarono le connessioni organizzate dagli individui nello svolgimento di differenti ruoli, quali il patrono, il mediatore culturale, il politico ecc. (v. Mayer, 1961; v. Wolfe, 1970).La gestione economica fornì un ampio potere decisionale e permise di appurare l'importanza del sistema di parentela nel determinare scelte basate su preferenze di valore anziché su una massimizzazione di fini e mezzi. Gli etnologi al principio erano convinti che la gestione economica nelle società precapitalistiche fosse fondamentalmente diversa dal meccanismo capitalistico basato sull'incentivo del profitto.
Questa distinzione fu avanzata dall'economista K. Polanyi (v. Dalton, 1971), che descrisse l'economia di mercato dell'Occidente come unica storicamente, e diversa dall'economia di scambio delle società primitive o dai mercati regolamentati degli Stati arcaici di tipo redistributivo. Il grado di massimizzazione nelle società parentali era difficile da stabilire, ma nonostante i vincoli di status e le obbligazioni parentali venivano effettuate allocazioni razionali delle risorse e scelte alternative basate sulla mutevolezza delle circostanze.Con il processo di modernizzazione, i valori tradizionali e le reciprocità parentali non ressero alla crescente individualizzazione e massimizzazione e il comportamento economico si adeguò sempre di più alle leggi di mercato della domanda e dell'offerta (v. Belshaw, 1965; v. Cook, 1970). In ambiente urbano gli immigrati crearono unioni creditizie, associazioni di mutuo soccorso e organizzazioni volontarie con il sostegno di gruppi di riferimento e di interesse. Gli scambi con la famiglia rurale diminuirono gradualmente sino ad essere abbandonati.I movimenti di indipendenza politica misero in evidenza i rapidi mutamenti che si stavano verificando nel Terzo Mondo, che aveva visto inoltre quasi raddoppiare la propria popolazione urbana dopo la seconda guerra mondiale.
I movimenti religiosi precedenti agli sforzi politici di laicizzazione frammischiavano spesso obiettivi politici ed economici (v. Worsley, 1970). La religione ebbe anche una funzione importante nella rigenerazione di modi di vita disorganizzati dal prolungato contatto con culture estranee e dalla colonizzazione dell'economia (v. Lanternari, 1960; v. Wallace, 1970). I sistemi politici locali vennero in certa misura adattati all'amministrazione coloniale, e leaders politici carismatici utilizzarono le organizzazioni locali e la prassi politica occidentale per acquisire il potere. Questi fattori erano importanti per valutare i processi politici del tribalismo e del nazionalismo e militarismo emergenti in Africa.
La differenziazione aggiunse nuove dimensioni alla teoria etnologica allorché le varie specializzazioni rafforzarono i legami con discipline consolidate quali le scienze politiche, l'economia, la sociologia, la medicina e la biologia. L'ampliamento delle prospettive incoraggiò fortemente la cooperazione quando divenne chiaro che la complessità dei problemi trascendeva i confini delle singole discipline e specializzazioni e richiedeva l'impiego di una molteplicità di metodi e di dati.Il fatto di condividere problemi complessi e orientamenti teorici favorì la formazione di punti d'incontro interspecialistici. La concezione della cultura come comunicazione codificata diede impulso all'indagine sui significati espressi in segni, simboli, valori e comunicazioni verbali (v. Beidelman, 1966; v. Douglas, 1966; v. Geertz, 1973). Nella sua analisi sui rituali Ndembu, Turner (v., 1967) dimostrò in che modo si potesse ricavare un'epistemologia popolare dalla dinamica della comunicazione rituale. Egli osservò inoltre come le terapie sciamaniche non soltanto risanavano l'individuo, ma eliminavano anche i mali sociali della comunità provocati da situazioni conflittuali.
La drammatizzazione degli stati di opposizione con forme simboliche esagerate nell'abbigliamento, nelle azioni, nei tabù o nel rovesciamento dei ruoli, indicava l'importanza dell'apprendimento culturale per quel che riguarda la comunicazione simbolica dei significati. L'indagine sui significati metteva in evidenza il ruolo fondamentale del contesto per la comprensione dei processi socioculturali, e la sociolinguistica ricostruì contesti informali che nelle loro variazioni adattive rivelerebbero i fattori sociali, culturali e individuali che influenzano i mutamenti linguistici.
La teoria ecologica fornì un'ulteriore base per le relazioni interdisciplinari. I successori materialisti di Steward e White dedicarono la loro attenzione all'ecologia funzionale di determinate credenze e pratiche riconducibili a un fondamento tecnico-economico (v. Harris, 1979). Il cannibalismo rituale degli Aztechi bilanciava l'insufficienza di proteine dell'alimentazione, dovuta alla mancanza di selvaggina e animali domestici. M. D. Sahlins ricondusse l'organizzazione della discendenza in Polinesia all'ecologia locale, nella quale le risorse alimentari erano disperse o concentrate in determinate zone, e che di conseguenza disperdeva o agglomerava la popolazione locale influenzando le basi del potere politico. Il concetto di equilibrio era congeniale alla teoria della redistribuzione: infatti le cerimonie festive che comportano offerte competitive di doni, come il potlatch, possono essere considerate come una redistribuzione funzionale delle risorse naturali e di altri beni distribuiti in modo ineguale nel territorio.
R. A. Rappaport si servì del concetto di ecosistema omeostatico per spiegare lo svolgimento fra gli Tsembaga dei rituali basati sul maiale, che danno l'avvio ad altri rituali e altre attività. Analizzando le soluzioni pragmatiche dei problemi ambientali, come ad esempio la siccità, gli ecologisti culturali studiarono la fertilità, l'incremento demografico, le migrazioni, la produttività, le relazioni interne al gruppo e tra gruppi diversi, inserendoli in un contesto storico (v. Orlove, 1980; v. Polgar, 1975).L'antropologia ecologica si trovava in una situazione favorevole per collegare tra loro i fattori relativi ai processi demografici e culturali di piccole popolazioni che occupavano nicchie ecologiche di proporzioni ridotte. Gli studi dei fattori biologici e culturali che determinavano un aumento o una diminuzione della fertilità si fusero così con le indagini sulla densità della popolazione riferibile all'avanzamento tecnologico, economico e culturale. Gli archeologi della Mesoamerica sollevarono il problema se gli squilibri di popolazione e di risorse e la gestione di queste ultime fossero i fattori più rilevanti nell'evoluzione dell'economia e della stratificazione politica, oppure se l'ideologia religiosa desse un accesso privilegiato alle risorse e al potere politico.
Gli studi su popolazioni di piccole dimensioni indagarono su quei fattori che influiscono sulle disponibilità alimentari, sulla nutrizione, sulla fertilità, sulla mortalità, sulle epidemie, sulla genetica delle popolazioni, sulla riproduzione, sul matrimonio, sugli insediamenti e sull'economia (v. Carroll, 1975; v. Testart, 1988). L. L. Cavalli-Sforza (v., 1969) confermò l'importanza del fenomeno della deriva genetica nell'evoluzione a breve termine delle popolazioni dei paesi italiani. Popolazioni esigue, relativamente isolate e in cui l'accoppiamento avviene tra consanguinei erano i soggetti più idonei per verificare i concetti sociobiologici di idoneità inclusiva e selettiva.L'antropologia medica associava fattori sociali e culturali a quelli biologici e ambientali per spiegare i fenomeni medici. In uno studio classico F. B. Livingstone (v., 1958) dimostrò in che modo i disboscamenti per le coltivazioni nelle foreste tropicali avessero creato zone paludose adatte alla riproduzione della zanzara Anopheles gambiae nell'Africa occidentale. La malaria da Plasmodium falciparum si propagava con il propagarsi delle zanzare, e ciò coincideva con la presenza selettiva nella popolazione locale di anticorpi immunitari.
Gli antecedenti dell'etnomedicina possono essere considerati gli studi etnografici sullo sciamanismo e sulla medicina popolare; l'introduzione della medicina occidentale inoltre aveva richiesto la conoscenza delle terapie tradizionali e del modo di intendere le malattie degli indigeni al fine di comprendere le scelte terapeutiche etniche (v. Harwood, 1981). Il diffondersi della medicina occidentale sollecitò inoltre l'analisi della medicina locale come sistema culturale per favorire il rapporto tra pazienti e medici occidentali.Gli archeologi alla ricerca di referenti culturali per i loro dati si appoggiarono ai fatti etnografici, e ciò portò alla nascita dell'etnoarcheologia. Anche l'etnostoria stabilì un collegamento tra etnologia e archeologia determinando la locazione storica delle tribù, le vie seguite dalle migrazioni e le possibili associazioni tra villaggi e determinate sequenze culturali.
La sequenza evolutiva teorizzata da E. R. Service (v., 1962) di bande, gruppi sottoposti a un capo, tribù e Stati primitivi fornì un modello utile agli archeologi per correlare determinati siti con tipi etnografici. L'applicazione di contesti etnografici all'emergere degli Stati primitivi indicò l'esistenza di un'organizzazione prestatale di gruppi parentali, sostituiti, col passaggio alla vita urbana, da un'amministrazione burocratica, come suggerivano le tesi di sir Henry Maine (v. Adams, 1981). L'archeologia simbolica indagò i significati delle forme preistoriche servendosi delle opposizioni binarie di Lévi-Strauss e delle analisi di matrice freudiana sul mito e sul rituale.La genetica, l'ecologia e gli studi sulla popolazione, introdotti nell'antropologia biologica verso gli anni quaranta, tardarono a trovare applicazione nell'antropologia medica e demografica, in quanto si continuava a mettere l'accento su evoluzione, adattamento, variazione e tipologia, trascurando le procedure biostatistiche. La paleontologia umana e la primatologia fornirono informazioni essenziali sulla natura delle unità sociali dei primi ominidi, sul dimorfismo e sui ruoli sessuali.
La nascita del femminismo stimolò ricerche di etnologia, antropologia biologica, paleontologia umana e primatologia per individuare quei fattori che influenzarono lo sviluppo della differenziazione tra maschi e femmine, i loro ruoli e il loro potere nelle diverse organizzazioni socioeconomiche. La primatologia fornì due modelli contrastanti della vita sociale degli ominidi, quello dei babbuini, in cui il gruppo è dominato dal maschio, e quello degli scimpanzé, dove la femmina costituisce il centro di una 'famiglia matrifocale'. Due modelli contrastanti emergevano anche dall'esame dei dati desunti dalla primatologia, dall'evoluzione umana, dalla preistoria e dalla etnografia. In quello dell'uomo cacciatore la selezione evolutiva favoriva l'aggressività, il coraggio e l'attitudine al dominio, mentre il modello femminile della raccoglitrice metteva in evidenza la cooperazione e la compartecipazione (v. Fedigan, 1986).
L'etnologia e l'antropologia hanno avuto origine nel contesto della filosofia sociale e delle scienze fisiche del XVIII secolo. Le interrelazioni tra le due discipline sono state determinate dai rispettivi metodi e dalle rispettive teorie, oltre che dalle principali correnti di pensiero europee che accompagnarono la nascita della scienza e della filosofia politica e sociale. L'evoluzione biologica fornì la base iniziale per l'integrazione di antropologia ed etnologia nella seconda metà del XIX secolo. I teorici della società e della cultura reagirono negativamente alla sintesi biologica, e cercarono di definire l'ambito sociale e quello culturale come ambiti causali che determinano il comportamento umano escludendo i fattori biologici e psicologici.Negli anni trenta etnologi e antropologi, assieme a studiosi di preistoria e linguisti, manifestarono un nuovo interesse per quei processi che stimolavano le connessioni interdisciplinari. Tuttavia, l'importanza attribuita a regole trasformazionali e a significati simbolici e la soggettività della strutturazione delle culture contribuirono a mantenere separate etnologia e antropologia biologica. È soprattutto nel campo di ricerche relative all'adattamento (studi medici, ecologici, demografici, nonché studi sul sesso e sull'invecchiamento) e nell'antropologia applicata che l'etnologia e l'antropologia biologica trovano una assai feconda cooperazione.
Gli studi su piccole popolazioni e sugli ominidi, nonché la primatologia, hanno fornito il contesto più favorevole per la sociobiologia.Il processo di diversificazione e di specializzazione del secondo dopoguerra ha portato nuove variabili da prendere in considerazione, e questo ha reso più complesse le spiegazioni e ha introdotto la tendenza a sostituire le relazioni causali invarianti con associazioni probabilistiche. La diversificazione ha favorito inoltre un certo eclettismo che, insieme agli eccezionali progressi della tecnologia scientifica, ha indotto a ristrutturare la definizione dei problemi includendovi fattori biologici, ecologici e socioculturali. L'interdipendenza dei problemi ha incrementato l'interazione disciplinare, rafforzando i legami tra antropologia ed etnologia.A causa della continua differenziazione, un elenco delle varie specializzazioni non può che essere parziale, e i collegamenti tra il dominio biologico e quello culturale, nonché le fusioni metodologiche e teoretiche, rendono difficile l'attribuzione all'una o all'altra disciplina dei vari ambiti d'indagine. L'antropologia culturale marxista, quella umanistica e quella qualitativa esprimono i diversi orientamenti teorici, mentre l'antropologia matematica e quella visiva si occupano dei metodi e delle tecniche.
L'interesse degli studiosi di preistoria per lo sviluppo culturale anteriore ai tempi storici indica che l'archeologia dovrebbe essere considerata un settore dell'etnologia, anziché una disciplina separata.Mentre alcune specializzazioni dell'etnologia impiegano il prefisso 'etno' (etnografia, etnoarcheologia, etnoarte, etnobotanica, etnoecologia, etnostoria, etnomusicologia, etnopsichiatria), la maggior parte delle specializzazioni dell'antropologia affianca al termine antropologia una qualifica descrittiva (antropologia applicata, demografica, ecologica, economica, linguistica, medica, politica, sociale, psicologica, simbolica, urbana; e inoltre, antropologia giuridica, antropologia ed educazione, antropologia delle religioni). Nessuna qualifica antropologica viene invece adottata per la semiologia o la semiotica, il mutamento culturale, l'acculturazione e il folklore. La maggior parte delle specializzazioni comprende delle sottospecializzazioni.
L'antropologia medica include lo studio della medicina popolare, della nutrizione, delle malattie infettive, della riproduzione e della fertilità, dell'invecchiamento, nonché l'antropologia clinica e l'educazione medica in rapporto alle strutture sanitarie. Un'analoga proliferazione di specializzazioni si è avuta nello studio dell'antropologia biologica; molte di queste specializzazioni si sono sviluppate nell'ambito degli studi sull'evoluzione degli ominidi, la primatologia e la preistoria (antropologia fisica, antropometria, dermatoglifica antropologica, antropologia genetica, antropologia molecolare, paleontologia umana, neuroanatomia degli ominidi, paleoneurologia e paleopatologia degli ominidi, paleoecologia).L'etnologia e l'antropologia ai loro inizi accentrarono l'attenzione sulla storia primitiva e sull'evoluzione del genere umano dal punto di vista biologico, sociale e culturale. Nonostante il crescente interesse per le civiltà e le culture occidentali, le culture storiche e i mutamenti dei popoli preindustriali rimangono l'oggetto di studio privilegiato dell'etnologia. L'evoluzione degli ominidi e l'indagine genetico-demografica costituiscono i temi centrali degli studi antropologici.
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