antropomorfismo
Tendenza ad attribuire aspetto, facoltà e destini umani a figure immaginarie, animali e cose, presente pressoché universalmente tra i popoli primitivi e nel folclore e nel pensiero dei popoli civili. In particolare, attribuzione alla divinità di qualità umane, fisiche (a. fisico) come anche intellettuali e morali (a. psichico; anche «antropopatia»). La scuola evoluzionista spiegava l’a. soltanto con la tendenza dei primitivi e dei bambini a concepire il mondo esterno come animato e lo faceva rientrare nello schema per cui l’a. si sarebbe manifestato nello stadio politeistico. Studiosi più moderni prendono in considerazione, soprattutto per quanto riguarda l’a. psichico, il fatto che l’uomo non scorge, nel mondo sensibile che lo circonda, alcun essere che gli sia superiore: da ciò consegue che quegli attributi della divinità che più la pongono al disopra dell’uomo possono esprimersi soltanto mediante l’analogia con l’uomo stesso. Il politeismo greco è la religione in cui fu più forte l’a., quale, secondo un notissimo passo di Erodoto, l’avevano foggiato Esiodo e Omero, assegnando agli dei i loro epiteti, uffici, funzioni e aspetti. A rafforzare tale a. continuarono a concorrere la poesia, le arti figurative e i mitografi, mentre già molto presto la filosofia (Senofane) introduceva una critica radicale dell’a. unitamente a quella della pluralità del divino. Per tale via, non percorsa fino in fondo dai Greci, procedette invece l’India, giungendo, nelle diverse filosofie religiose, a quello che fu definito «ateismo religioso» e, d’altro canto, alle rappresentazioni di dei con membra umane moltiplicate di numero, e disposte in maniera affatto mostruosa, nelle quali il divino vuole essere presentato davvero come l’interamente altro, eppure non si riesce a prescindere dall’umano. Pur nella prospettiva monoteistica e nell’accentuata dipendenza dell’uomo da Dio, anche nei testi biblici sono presenti aperte espressioni antropomorfiche (Dio che passeggia nel paradiso alla brezza pomeridiana, Dio, «delle cui dita sono opera i cieli», che ama e odia, desidera e si pente, ecc.), che già l’esegesi rabbinica si propose di spiegare, mitigare o eliminare; contro le critiche dei pagani colti, Filone di Alessandria e i padri della Chiesa poi ricorsero all’interpretazione allegorica e alla risoluzione dei testi antropomorfici in simboli che racchiudono insegnamenti morali e religiosi. La moderna esegesi biblica applica anche ai testi vetero-testamentari i criteri della critica storico-letteraria, risalendo alle fonti utilizzate dagli autori dei libri biblici e al loro mondo poetico e storico.