antroponimi
Antroponimo è il nome proprio di persona e antroponimia (settore dell’onomastica) è l’insieme dei nomi propri di persona (ma anche dei ➔ cognomi), come pure lo studio di questi.
Rispetto al comune termine nome (nome personale o nome individuale o prenome), che indica una persona che porta quel nome, nell’onomastica si distinguono anche un tipo nominale e una forma nominale. Il tipo è una radice come Giovann-, con il maschile Giovanni, il femminile Giovanna, le forme regionali come Gioanni, gli alterati come Giovannino, i composti come Giovanbattista, forme accorciate (o ipocoristici) come Gianni, ecc.; la forma nominale è l’unità minima che si differenzia da tutte le unità del sistema: per es., per uno stesso nome possono esistere due o più forme graficamente distinte, come in Iacopo e Jacopo, Giovanbattista e Giovambattista, Giovan Battista (De Felice 1982: 8-9).
Il nome ha la funzione di un’etichetta, identifica un individuo rispetto a tutti gli altri. In genere oggi non si intravvede un significato in un nome di persona, ma guardando le cose in prospettiva storica, nel momento in cui è sorto quel nome poteva essere portatore di significato, conservando traccia del senso del nome comune o dell’aggettivo o delle espressioni da cui derivava: così per Amato, Fortunato, Fedele, Bruno, Primo, Secondo, Natale, Pasquale, Graziadio, Romeo, Rosario e molti altri.
Se in epoca romana la formula onomastica contiene un praenomen (o nome individuale), un nomen (o gentilizio) e un cognomen (o soprannome), con l’eventuale aggiunta di un supernomen, in epoca tardoantica e altomedievale il sistema onomastico si riduce progressivamente a un solo elemento, il nomen unicum, che può essere un cognomen, un supernomen, raramente un nomen.
Il patrimonio dei nomi personali comprende nomi tradizionali latini o romani, molti nomi greci penetrati nell’uso latino, vari nomi esotici (celtici, germanici ecc.), usati anche dall’onomastica cristiana, come Iulius, Flavius, Antonius, Aemilius, Valerius, Severus, Alexius, Cyprianus, Maximus, Leo, Ursus, Apollus, Mercurius, ecc.
Nella più antica onomastica cristiana sono frequenti:
(a) nomi augurali o gratulatori, che esprimono un augurio per il denominato o un ringraziamento a Dio per il figlio che ha concesso;
(b) nomi dedicatori, che indicano che il figlio è dedicato a Dio;
(c) molti nomi teofori (letteralmente «portatori di Dio»), contenenti il nome di Dio.
Tra i nomi augurali e/o gratulatori vi sono nomi di tradizione latina come Donatus, Felix e Felicitas, Florentius, Fulgentius, Gaudentius, Sperantius, Renatus, e di tradizione greca come Anastasius, Eugenius. I teofori greci come Cyriacus «del Signore», Theophilus «amico di Dio» hanno lunga tradizione precristiana ma in ambiente cristiano assumono un particolare senso. Vi sono poi nomi nuovi formati nella comunità cristiana: augurali e gratulatori e dedicatori, molti teofori come Deogratias, Servusdei, Adeodatus, ai quali si aggiungono nomi ripresi dal Nuovo Testamento come Anna e Maria, nomi di apostoli e di santi (verso il III secolo in comunità cristiane si trovano i nomi di Petrus e Paulus). Cristiani sono nomi tratti da feste come Paschasius, Epiphanius, nomi come Stercorius «in cui l’umiltà scende molto in basso» (Migliorini 1935: 378). Generalmente, quando il battesimo si impartiva ad adulti, il vecchio nome era sostituito da uno nuovo.
Già sul finire dell’impero entrano nel patrimonio antroponimico latino e cristiano nomi germanici, il cui numero s’accresce dopo le invasioni. Tra V e IX secolo i nomi germanici, specie di tradizione longobarda e franca, prendono piede in tutto il mondo romanzo. «Per non più di due o tre generazioni il nome corrisponde alla stirpe: poi la moda rimescola tutto, e genitori di legge romana danno ai figli nomi germanici, o viceversa» (Migliorini 1935: 378). Nell’antroponimia germanica si formano molte combinazioni, sicché è possibile avere un gran numero di nomi nuovi. Alcuni finiscono per essere favoriti. Nelle carte fiorentine del 1260 appaiono nomi longobardi come Alipertus, Anselmus, Prandus, Lampertus; di tradizione franca come Albertus, Aldobrandinus, Bernardus, Francus, Gerardus, Guido, Guillelmus, e altri; di tradizione tedesca come Arrigus, Fredericus, Ubertus, Ugo, nonché Guicciardus e Tancredus, antroponimi normanni e di tradizione storico-letteraria (Brattö 1953).
È interessante notare che l’attuale patrimonio dei nomi italiani, specie quelli maschili, conserva nomi di origine germanica (talvolta giunti attraverso l’antroponimia francese antica) che risalgono al medioevo. Ne sono esempi Aldo, Ermanno, Rodolfo dalla tradizione longobarda; Alberto, Carlo, Francesco (nel senso originario di «francese»), Franco, Guglielmo, Guido, Ivo, Leonardo, Roberto, Umberto, Adele da quella franca. Sono invece di tradizione tedesca, tra gli altri, Corrado (forse già in parte longobarda e franca), Enzo, Ernesto, Federico, Osvaldo, Ugo, Irma (De Felice 1982: 143-144). In aree che in epoca altomedievale sono sotto l’influsso bizantino entrano e si diffondono nomi come Cosma, Nicola, Oronzo, Demetrio, Agata, Calogero, Antioco, Leonzio, Apollonio, Basilio.
In aggiunta all’antroponimia di tradizione germanica, si adoperano di nuovo nomi di santi, ma con una certa uniformità. Nell’XI secolo in tutta l’Europa cristiana c’è una tendenza a ripetere sempre gli stessi nomi, siccché diventa difficile distinguere gli individui. Di qui l’introduzione progressiva di un nuovo sistema, che sostituisce il nome singolo ed è formato da nome e cognome, quest’ultimo ottenuto attraverso il fissarsi di vari tipi di aggiunte (nomi di persona, di luogo, etnici, nomi di mestiere, soprannomi di varia specie). Per nome e non per cognome sono in genere conosciuti i sovrani, i papi (che di solito ascendendo al trono assumono un nuovo nome), i religiosi di alcuni ordini. Rispetto al cognome che diverrà stabile, resta libera la scelta del nome che risponde a diverse motivazioni.
Tra la fine del XII e l’inizio del XIV secolo il repertorio dei nomi si incrementa con formazioni che risultano originali rispetto ai tradizionali procedimenti. Se ne possono distinguere cinque tipi fondamentali, sia pure in parte tra loro sovrapposti:
(a) nuovi nomi augurali o/e gratulatori, affettivi e anche soprannomi, come Benvenuto e Benvenuta, Bonaventura, Bonifacio, Graziadio, Ristoro, Bello e Bella, Nero e Nera, Rosso e Rossa;
(b) nuovi nomi formati da determinativi etnici, professionali, di condizione sociale, per es. Alemanno, Romano, Innocente (allusione alla condizione di figlio di ignoti), Nobile;
(c) nuovi nomi, alterati o derivati, di nomi base, pieni, già esistenti, come Gianni, Duccio o Agostino, Antonello;
(d) nuovi nomi stranieri di prestigio politico, sociale, letterario, o comunque di moda (come quelli degli imperatori tedeschi), tra questi Ottone, Enrico, Tancredi, Guglielmo;
(e) agionimi (cioè «nomi di santi») connessi con culti dei grandi santi dell’XI-XIV secolo, come Antonio (per Sant’Antonio da Padova), Francesco e Francesca (per San Francesco d’Assisi) (De Felice 1982: 151-153).
La struttura degli antroponimi in Italia, quale si presenta alla fine del Trecento, ebbe altri momenti e motivi d’innovazione più tardi, ma non così incisivi da stravolgerla. Tra Umanesimo e Rinascimento il patrimonio si arricchisce per il recupero di nomi dell’epoca classica (Mario, Alessandro, Cesare, Marcello, Orazio, Lidia, Livia, Flora ecc.). Attraverso le dominazioni straniere in Italia o l’influsso culturale straniero entrano nomi come Alfonso, Dolores, Ferdinando, Mercedes, Rodrigo di tradizione iberica; Walter, Wanda di origine tedesca; Boris, Mirko e Mirco, Tatiana di origine slava. A questi vanno aggiunti nomi tratti da personaggi di opere letterarie, dello spettacolo (Romina, Samantha, Sveva), o legati a imprese, fatti militari o altre circostanze.
Secondo i dati desumibili dagli elenchi telefonici del 1981, sul finire del secolo scorso, tra i venti nomi maschili più diffusi sono: Giuseppe, Giovanni, Antonio, Mario, Luigi, Francesco, Angelo, Vincenzo, Pietro, Salvatore, Carlo, Franco, Domenico, Bruno, Paolo, Michele, Giorgio, Aldo, Sergio, Luciano. Nomi prevalenti del Sud: Vincenzo (specie Campania e Sicilia), Salvatore (prevalentemente siciliano), Domenico, Pasquale e Nicola (più frequenti tra Abruzzo, Campania, Puglia), Antonino (peculiare di Calabria e Sicilia), Gaetano, Carmelo, Gennaro e Carmine (tipici della Campania), Rosario, Calogero e Alfio (specie in Sicilia, Alfio in particolare nel Catanese). Nomi prevalenti al Nord e / o al Centro: Sergio, Gino e Dino (accentrati tra Nord e Toscana), Elio, Maurizio, Walter e Amedeo (centro-settentrionali), Nello (Emilia-Romagna e Centro), Danilo, Fabio e Fulvio (centro-settentrionali) (De Felice 1982: 24-30).
I primi venti nomi femminili sono: Maria, Anna, Giuseppina, Rosa, Angela, Giovanna, Teresa, Lucia, Carmela, Anna Maria, Francesca, Caterina, Antonietta, Carla, Elena, Concetta, Rita, Margherita, Franca, Paola. Prevalgono nel Sud: Carmela e Concetta, Giuseppa, Vincenza e Rosaria (prevalentemente siciliane), Domenica (propria del Sud ma diffusa anche in Piemonte), Rosalia e Antonina (specialmente in Sicilia), Annunziata (soprattutto nel Napoletano), Santa e Nunzia (accentrate per un terzo delle occorrenze in Sicilia, Nunzia per un terzo in Campania), Pasqualina (prevalentemente campana), Agata (in Sicilia e specialmente nel Catanese), Gaetana (in Sicilia), Immacolata (in Campania). Nel Nord e/o nel Centro: Rina e Gina (dal Nord alla Toscana), Ines, Elisa e Irma (centro-settentrionali), Elsa (settentrionale ma anche toscana), Mirella e Dina (centro-settentrionali), Elda (settentrionale e toscana), Daniela (prevalente nel Nord), Valeria, Loredana, Ornella, Nadia, Edda, Stefania (centro-settentrionali, ma Ornella e Edda più compatte nel Nord) (De Felice 1982: 34-39).
Nell’attuale repertorio dei nomi in Italia la componente straniera è presente non solo per le ➔ minoranze linguistiche e per gli stranieri immigrati ma anche per l’introduzione di nomi stranieri che contribuiscono a rigenerare il repertorio. Nel computo effettuato da De Felice (1982) sulla base degli elenchi telefonici del 1981, la maggior parte dei nomi stranieri sono tedeschi (Josef, Franz, Johan, Karl i più diffusi per i maschili ed Erika, Helga, Frieda per i femminili). Seguono con forte stacco i francesi (Raoul, Jean i più diffusi, per il femminile Ivonne, Denise), poi quelli inglesi (William è il più diffuso, entrato anche come nome di moda; vi è anche la variante rara Villiam) slavi (specie Ivan e Mirko, Mirco), spagnoli (Luis, José, il femminile Dolores), in parte penetrati come nomi di moda; segue un piccolo gruppo di nomi arabi (Nadir, Omar, Mohamed, Osman). Alcuni nomi come David possono essere inglesi, francesi, tedeschi, Robert sia francese che inglese.
Considerando il patrimonio risultante dall’anagrafe del Ministero delle Finanze, Rossebastiano & Papa (2005: XXV) osservano che nel 1967 si registrano nomi mai attestati durante il XX secolo: ci sono 112 nomi nuovi contro i 60 del 1966, e quasi un centinaio sono nomi stranieri o quanto meno presentano caratteristiche grafico-fonetiche non italiane. Tra questi: Ismail, Ismet, Kamal, Karim, Sinue, Nur, Nirmala, Soumaya, e anche Clei, Devil, Roki, Jaclin. Nel 1971 le forme nuove sono 164. Alcuni nomi hanno numerose varianti grafiche: per l’inglese Michael si registrano Maicol, Majcol, Maycol, Maichol, Maikol, Majkol, Maykol, Maickol, Maikel, Maichel, Maichael (Rossebastiano & Papa 2005). Nomi come questi con cognomi tipici veneti producono accoppiate, del tipo Maicol Trevisàn, che Andrea Zanzotto ha chiamato «minotauri». Tra i nomi diventati di moda di recente si può menzionare Azzurra, assai frequente a partire dagli anni Settanta, in pochi anni ha raggiunto punte elevate di diffusione anche per la spinta di modelli sportivi come la barca a vela Azzurra (che nel 1983 ebbe la sua affermazione nella competizione internazionale dell’America’s cup: per tale anno si registra un picco di frequenza del nome). Anche Debora, nome di tradizione biblica, ha avuto una fortuna dipendente da modelli dello spettacolo come la canzone Deborah che dominò le classifiche del 1968 per molte settimane. Tra i nomi maschili di moda assai comune è Cristian (con varianti come Christian e altre) adattamento dell’inglese Christian che corrisponde al nome italiano Cristiano; il nome diventa frequente in Italia a partire dagli anni Settanta e può essere stato favorito dal cantante Christian allora di moda.
Tra i numerosi nomi esotici che entrano nel patrimonio italiano non emerge la presenza della numerosa comunità cinese residente in Italia; attraverso un’indagine nelle scuole all’inizio del XXI secolo, risulta che i bambini hanno un nome ufficiale italiano, col quale sono denunciati all’anagrafe, e un altro cinese riservato, di uso familiare (Rossebastiano & Papa 2005: XXVI).
De Felice (1982: 154-156) ha proposto una tipologia dei nomi personali italiani fondata sulla motivazione nella scelta, sulla base di caratteristiche sociali, culturali, religiose, e simili, distinguendo otto categorie:
(a) cristiani (1. agionimi e 2. nomi di solennità, devozioni e culti particolari);
(b) israelitici;
(c) generici, non connotati;
(d) augurali e/o gratulatori, affettivi, ecc.;
(e) classici greco-latini;
(f) di ideologia politica e patriottica;
(g) di autori e personaggi di opere letterarie e teatrali;
(h) di moda onomastica.
Le categorie (a) e (b) formano il tipo dei nomi religiosi; quelle da (c) a (h) il tipo dei nomi laici. Di classificazione incerta sono i nomi di origine ipocoristica (alterati e composti), ormai aventi vita autonoma rispetto alla forma originaria, gli ibridi, come Annaluna, Mariasole, quelli non riconducibili a un’unica forma base (Gino può essere ipocoristico di Giorgino, Biagino ecc.), o quelli genericamente non connotati come Gianni che pare impropriamente da includere tra gli agionimi, o infine alcuni nomi di fantasia (come Aniva, Cledes, Flario), poco numerosi, originati da neoconiazioni di genitori o da errori commessi durante la registrazione (Rossebastiano & Papa 2005: XXXVIII).
Una tipologia su base morfologica considera invece i principali tipi di formazione degli antroponimi, cioè la ➔ composizione e la suffissazione (➔ suffissi; sembrano mancare esempi di nomi con prefissazione). Altri procedimenti come la formazione di parole macedonia (➔ aplologia) sono marginali. Seguendo Thornton (2004: 601-604) la composizione annovera tra i tipi frequenti per il femminile i nomi Maria e Anna, anche composti (Anna Maria, Marianna); per il maschile il nome Giovanni, specie nella forma ridotta Gian-, e Pietro, Piero, Pier-; del tipo delle parole macedonia sono nomi limitati al femminile e con Maria, come Marisa da Maria e Luisa, Marilisa da Maria Elisa.
Nell’ambito della suffissazione sono diffuse le forme alterate come Antonino rispetto ad Antonio, ma anche forme in cui la suffissazione serve a formare il femminile, come Pasqualina rispetto a Pasquale, Giuseppina e Giuseppe, Antonietta e Antonio. Vi è poi una suffissazione in -i, graficamente anche -y, -j, per nomi accorciati come Robi, Roby per Roberto, e più raramente per nomi base bisillabi come Ambry da Ambra.
Altri aspetti relativi ai personali (considerati da Thornton 2004: 604-606) riguardano la conversione di radici per formare femminili da maschili e viceversa: Angelo e Angela, Luigi e Luigia, mentre per la conversione dei nomi uscenti in -e prevale la suffissazione: Giuseppe e Giuseppina, accanto a Giuseppa. Comune la formazione di ipocoristici per accorciamento come Ale per Alessandro, Fede per Federica; altre invece sembrano prodotte dal linguaggio infantile come Iaia per Ilaria o Titti per Patrizia, Tiziana. Come allocutivi e vocativi, in varietà centromeridionali sono usate spesso forme ridotte di troncamento di tutto ciò che segue la vocale tonica di un nome: France per Francesco, Francesca. Nomi propri di persona possono diventare nomi comuni (Migliorini 1968; DI 1997-) o produrre deantroponimici aggettivali e sostantivati.
Quando la scelta del nome dipende dalla tradizione familiare, spesso si dà al bambino il nome del nonno, ma in alcune località ciò accade solo se questo è defunto, perché si considera di malaugurio dare al nipote il nome del nonno vivente. Talvolta la tradizione vuole che si dia al figlio il nome del padre, nonostante le omonimie, o del padrino. Un altro motivo può essere di tipo religioso: allora viene scelto il nome di un santo cui si è devoti, il patrono di un luogo, o il santo del giorno.
Da qui la diffusione di Ambrogio in Lombardia, Gennaro in Campania, e, un tempo, di Petronio a Bologna. Alla confessione ebraica ma anche protestante possono rinviare nomi come Aronne, Giacobbe, Isacco, Mosè, Samuele, Rebecca, Sara. Vi possono essere motivi connessi a ideologie politiche o sentimenti nazionali e patriottici, riflessi in nomi come Menotti, Lenin e Lenina, Marx, Engels, Libertà, Progresso, Balilla, Gorizia, Gradisca, Trento, Trieste (sono compresi cognomi o anche toponimi usati come nomi). Ovviamente in qualche caso non sono da escludere altri motivi. Infatti un nome come Adua compare già alla fine del XIX secolo, ma ha un’impennata tra il 1935 e il 1940, in corrispondenza con la campagna di Etiopia (1935-36): se nel 1934 le occorrenze sono 5, nel 1935 sono 1091 e nel 1936 sono 1747 e nei tre anni successivi sono 396, 176, 113 (Rossebastiano & Papa 2005). Anche Benito, equivalente castigliano di Benedetto, presente in Italia a seguito della dominazione spagnola e dei rientri di emigrati dal Sud America, è attestato saltuariamente fino al 1919 (per tale anno si registra una occorrenza), nel 1936 conta circa 4.200 occorrenze, ma nel 1937 comincia già a calare (Rossebastiano & Papa 2005).
Un gruppo di nomi dipende da modelli della cultura storica e letteraria, classica e moderna, teatrale, cinematografica dello spettacolo, con nomi come Odisseo, Baiardo, Orlando, Lancillotto, Tancredi, Clorinda, Ermengarda, Tristano, Isotta, Nabucco, Norma, Parsifal, Radamès, Natascia. La scelta può dipendere dal gusto: può piacere il nome strano, esotico, o il nome semplice e anche breve che non viene poi variamente accorciato. Anche il suono verosimilmente conta molto. La trasparenza del nome, vale a dire un rapporto con un termine significativo della lingua, può essere un motivo di scelta, come nel caso di Felice, Benedetto, Fausto.
Le mode possono durare a lungo, anche per secoli, o per poco tempo, ovvero «con un passaggio dalle classi più elevate alla plebe e ivi si trivializzano» (Migliorini 1935: 379). Così nomi come Berta e Martino hanno avuto successo per secoli, mentre agli inizi del Novecento erano percepiti come volgari; Martino e Martina sono stati riscoperti di recente (Rossebastiano & Papa 2005). Un nome come Maria ha avuto alterne vicende: ora scelto in omaggio a Maria Vergine, ora evitato per rispetto (così in Spagna dove si usano i nomi delle feste della Madonna come Asunción, Concepción, Mercedes, Rosario e altri, evitando di dare il nome María); in altri periodi e luoghi Maria era sia considerato il più bello dei nomi sia evitato come troppo popolaresco.
Insomma il nome può dare informazioni sulla zona di provenienza, su un ambiente, un’epoca, sui gusti, sulla zona di nascita o di origine, e di riflesso anche sulle condizioni sociali ed economiche. Così, se Chiaffredo rinvia al Piemonte, Alvise al Veneto, Angiolo alla Toscana, Oronzo al Salento (specialmente Lecce), Calogero alla Sicilia, Alfio al Catanese, Rosalia al Palermitano, Efisio e Bonaria alla Sardegna e in particolare Cagliari (De Felice 1982: 131).
Nella scelta del nome opera anche un atteggiamento psicologico «come complesso delle reazioni individuali – di uno o di tutti e due i genitori –, rispetto ai nomi del repertorio disponibile: atteggiamento che spesso è condizionato dalle reazioni alla nascita del figlio» e che si differenzia in un’alternativa: scelta orientata verso il figlio (all’inglese, child-oriented, come Diletta, Amato), o verso il genitore o i genitori (parent-oriented, come Teodoro, Dorotea) (De Felice 1982: 194). Tra le due alternative non vi è netta separazione. La scelta del nome, anche se orientata sul figlio (caso meno comune), riflette sempre la personalità e la cultura dei genitori anche se impegnati a rispettare i futuri interessi del figlio, sia pure con valutazioni e previsioni necessariamente soggettive. Così oggi nomi come Adorno, Fulgido, Mansueto, Omobono, originariamente di carattere augurale, potrebbero risultare troppo onerosi perché trasparenti, dato che l’elemento lessicale da cui sono formati è ancora vivo; altri come Ermenegildo, Prosdocimo, Cunegonda paiono troppo pesanti, Tereso o Uga strani, Libertino, Secondino, Ingenuino, Papera non graditi per le associazioni lessicali che potrebbero attivare.
Brattö, Olof (1953), Studi di antroponimia fiorentina. Il Libro di Montaperti (an. 1260), Göteborg, Elanders Boktryckeri aktiebolag.
De Felice, Emidio (1982), I nomi degli italiani. Informazioni onomastiche e linguistiche, socioculturali e religiose. Rilevamenti quantitativi dei nomi personali dagli elenchi telefonici, Roma, Sarin; Venezia, Marsilio.
DI (1997-) = Schweickard, Wolfgang, Deonomasticon Italicum. Dizionario storico dei derivati da nomi geografici e da nomi di persona, Tübingen, Niemeyer, fasc. 3.
Migliorini, Bruno (1935), Onomastica, in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere, ed arti, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1929-1937, 35 voll., vol. 25º, ad vocem.
Migliorini, Bruno (1968), Dal nome proprio al nome comune, Firenze, Olschki (rist. anast. dell’ediz. 1927 con un suppl.).
Rossebastiano, Alda & Papa, Elena (2005), I nomi di persona in Italia. Dizionario storico ed etimologico, Torino, UTET, 2 voll.
Thornton, Anna Maria (2004), Antroponimi, in La formazione delle parole in italiano, a cura di M. Grossmann & F. Rainer, Tübingen, Niemeyer, pp. 601-606.