PALEARIO, Aonio (Antonio Della Paglia)
Nato a Veroli verso il 1503, fu da giovane a Roma, e dopo il 1527 andò a Perugia; fu poi varie volte a Padova e a Siena, ovunque frequentando dotte compagnie, attendendo agli studî letterarî, filosofici e teologici, e privatamente istruendo giovani di cospicue famiglie. Sposatosi nel 1537, dimorò alcuni anni presso Colle Val d'Elsa. Tenne la cattedra di eloquenza a Lucca dal 1546 al 1555, e poi a Milano sino al 1567-68. Sospettato di seguire dottrine protestanti, era stato denunziato all'inquisizione diocesana a Siena nel 1542 e nel 1559 a Milano; ma entrambe le volte era riuscito a liberarsi. Nel 1567 fu citato di nuovo avanti l'inquisitore di Milano, e poco dopo arrestato per ordine del S. Uffizio. Tradotto a Roma, fu rinchiuso a Tor di Nona nel settembre 1568. Il suo processo durò sino al 30 giugno 1570. Sottoscrisse alla fine una ritrattazione, ma rifiutò di sottostare alla pubblica abiura in chiesa. Peraltro si confessò e dichiarò ai confortatori di voler morire da buon cristiano. Il 3 luglio 1570 fu impiccato e poi arso, quale eretico non ostinato.
Le opinioni del P., conformi a quelle dei riformati, appaiono chiaramente nell'Actio in pontifices romanos et eorum asseclas, che, composta in gioventù per esser letta in un vagheggiato futuro libero concilio di tutti i cristiani, rimase ignota sino al 1596. Questo scritto, piuttosto sopravalutato dai protestanti, se ha impeto e audacia, resta la dotta e un po' ingenua requisitoria di un teologo umanista. Delle altre opere del P. (alcuni scritti in volgare, 4 libri di epistole e 14 orazioni, tra le buone degli umanisti), ha discreta importanza il poemetto in 3 libri, De immortalitate animorum, steso fra il 1530 e il 1534 e pubblicato nel 1536. L'opera non vuol essere soltanto una contrapposizione al poema di Lucrezio (la confutazione della dottrina della corporeità dell'anima è fatta in pochi versi, II, 95-144), ma è un'organica trattazione, fatta con precisi intenti religiosi, d'importanti questioni: esistenza, attributi, opere di Dio; esistenza e natura dell. anima; sorti e sedi delle anime dopo la morte. Le dottrine, interamente ortodosse, sono desunte, oltre che dagli antichi filosofi, dalla Bibbia e dai S. Padri. Frasi e movenze di Lucrezio si hanno certamente, ma anche di Virgilio, di Ovidio e delle Scritture. Notevole, in un umanista, l'orrore per la mitologia, che giunge sino a omettere un'innocente invocazione alle Muse. Anche importante per il pensiero del P. e in genere per la storia dei rapporti tra umanesimo e Riforma, l'orazione De laudibus eloquentiae. Non è del P. il Trattato del beneficio di Gesù Cristo (ed. di G. Paladino, Opuscoli e lettere di riformatori italiani del Cinquecento, I, Bari 1913), che gli è stato spesso attribuito.
Bibl.: Young, The life and times of A. P., Londra 1860; J. Bonnet, Étude sur la réformation en Italie, Parigi 1863; G. Morpurgo, Un umanista martire: A. P. e la riforma teorica italiana nel sec. XVI, Città di Castello 1912; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano 1929, p. 75 segg.; F. C. Church, I riformatori italiani (trad. it. di D. Cantimori), Firenze 1935.