APATIA (dal gr. ἀπάϑεια, da ἀ privativo e παϑος "passione, affezione, dolore"; fr. apathie; sp. apatia; ted. Apathie o Teilnahmlosigkeit; ingl. apathy)
Medicina. - Insensibilità affettiva. In misura moderata, può contrassegnare un carattere torpido, pigro, indolente, fiacco. È molto accentuata nei processi morbosi che conducono a un ottundimento grave della sensibilità e ad un torpore generale dei processi psichici: anemia cerebrale, intossicazioni causate da stupefacenti, compressione cerebrale, tumori cerebrali, uremia, mixedema, stupore confusionale, vecchiaia inoltrata, varie forme di demenza. Le forme di apatia più profonda si hanno in certi casi di demenza precoce, in cui la vacuità affettiva si manifesta con la mancanza d'ogni iniziativa, con la noncuranza di tutto ciò che accade, con la perdita d'ogni attaccamento per le persone di famiglia, per gli amici, con la scomparsa d'ogni aspirazione ideale. L'amor proprio, la compassione, il pudore, persino l'istinto di conservazione s'affievoliscono o restano soppressi. I malati restano indifferenti dinnanzi allo spettacolo delle più vive sofferenze, non provano alcun senso di vergogna, non sentono alcun disagio dall'essere fatti oggetto di attenzione curiosa o di scherno non provano alcun risentimento per calunnie, minacce, offese. Non mancano in questi ammalati soltanto le reazioni di difesa e le espressioni mimiche: manca l'emozione, tanto come stato soggettivo quanto come fenomeno obiettivo. Sotto uno stimolo doloroso, di fronte a una minaccia, a un'offesa, a una notizia funerea, di cui non è punto frainteso il significato, non si modifica il battito cardiaco, né l'innervazione vasomotoria, né quella dell'iride. È evidente che in questi casi la paralisi affettiva è dovuta a un'interruzione nel meccanismo somatico dell'emozione.
Filosofia. - Termine tecnico, specialmente del pensiero antico, indicante la condizione dello spirito scevro da sensazioni e commozioni che ne turbino l'interiore equilibrio. Nella concezione megarica, rappresentata da Stilpone, l'apatia era considerata rigorosamente come una completa insensibilità rispetto al dolore; mentre in quella stoica essa veniva piuttosto a coincidere con l'atarassia (v.), e indicava lo stato dell'animo che, pur avvertendo le varie sensazioni ed emozioni, rimaneva ad esse superiore, nella serenità della sua autonomia razionale (per tale distinzione cfr. Seneca, Epist., 9). Apatia e atarassia qualificavano così, nel sistema stoico, l'autarchia tipica del saggio rispetto ai turbamenti delle passioni. Il concetto di apatia fu talora messo in valore anche dal pensiero moderno: in senso positivo, p. es., da Spinoza, in senso prevalentemente negativo da Kant.